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Autore: miseichan    30/06/2011    13 recensioni
“E’ un pervertito, agente. Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
“Giovane, come ti chiami?”
“Matteo Fiori.”
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
“Sei un pervertito, giovane?”
“No, agente.”
“Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutto fuorché uno sbaglio'
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Bugie bianche

                                                                                                

        ≈ Lorenzo ≈

 

 

“Sei seria?”
“Ti sembra che stia scherzando?”
Il ragazzo si accarezzò il pizzetto, guardandola con attenzione. Alla fine sentenziò, trattenendo a stento un sorriso che rischiava di tramutarsi presto in risate convulse:
“Non puoi essere seria.”
“Non potrei essere più seria, Daniele!” esclamò lei, fulminandolo con lo sguardo “Mi ha aggredito un piccione. Mi dici cosa ci trovi di tanto divertente?”
Daniele la fissò cercando di capire fino a che punto poteva spingersi oltre. Lo aiutò lei.
“Stai attento.” minacciò “Un passo falso e ti taglio il codino.”
Il ragazzo sospirò, smettendo un attimo di camminare. Veronica lo imitò, bloccandosi di fronte a lui.
Daniele svettava sopra di lei di buoni dieci centimetri. Era particolare, certo: il pizzetto, il codino... anche l’orecchino e il piercing contribuivano a dargli l’aspetto da cattivo ragazzo.
L’esatto contrario di quello che era: Veronica non aveva mai conosciuto persona più buona.
“Okay.” borbottò Daniele, prendendola a braccetto e ricominciando a camminare “Spiega.”
“Non è difficile.” s’innervosì lei “Stavo per attraversare la strada quando questo piccione mi ha aggredito.”
“Piccione?”
“Sì.”
“In che modo aggrediscono i piccioni?”
La domanda era stata posta con tono serio, eppure Veronica distinse senza difficoltà le note di profondo sarcasmo che il ragazzo aveva tentato di nascondere. Daniele, accorgendosi del nervosismo crescente, cercò di rimediare:
“E’ una domanda attinente.” spiegò “Pura curiosità, cucciola.”
“Non chiamarmi cucciola quando mi prendi in giro.”
“Non ti sto prendendo in giro.”
Veronica inarcò un sopracciglio, guardandolo in cagnesco: “Ridi e sei morto.”
Daniele sollevò le mani, facendole segno di proseguire.
“Stavo per attraversare quando questo piccione spicca il volo.” sospirò, aggiustandosi i capelli “Inizia volando raso terra e lentamente, molto, molto lentamente, si alza. Io resto tranquilla, dicendomi che non c’è pericolo: si alzerà abbastanza da non venirmi addosso. Perché sì, puntava diritto a me. Resto immobile fino a che non è a meno di un metro dalla mia faccia.”
Veronica si interruppe un secondo, scrutando il volto senza espressione dell’amico.
“All’ultimo istante mi piego sulle ginocchia.” aspetta ancora un attimo “Dovevo farlo, capisci? Mi avrebbe sbattuto contro, altrimenti, quel dannato piccione! Mi piego per evitarlo! Il colmo? Oltre il danno, la beffa: tutta la gente che era nei paraggi mi guarda, fissandomi come se fossi pazza. E io mi metto a urlare: ma perché, non lo avete visto il piccione?!
Veronica gemette mentre con la coda dell’occhio continuava ad osservare un Daniele inespressivo. Quando scorse il fremito che gli percorreva la gola, si arrese:
“Ridi.” concesse “Ridi, altrimenti ti scoppia un embolo.”
E il ragazzo rise di cuore, come non faceva da tempo. Dovettero fermarsi per non rischiare che si affogasse: sul ciglio della strada, lui piegato in due e lei con il capo leggermente rovesciato all’indietro e gli occhi puntati al cielo.
“Hai finito?”
Daniele annuì, rimettendosi a stento in posizione eretta. Bastò una fugace occhiata all’espressione della ragazza per farlo cominciare nuovamente a ridere, peggio di prima se possibile. Veronica si guardò attorno provando un briciolo d’imbarazzo: si strinse nelle spalle, rispondendo silenziosamente alle occhiate interrogative dei passanti. Gli concesse un altro paio di minuti prima di spintonarlo malamente; gli pizzicò il braccio più volte, sperando di placare le risate, invano.
Quando si fu calmato a sufficienza, gli rivolse un’occhiata risentita.
“Non è colpa mia.” brontolò “Chi altri poteva imbattersi nell’unico pennuto che impiega tempo a carburare?”
Daniele singhiozzò, passandosi una mano sul volto e stringendola di slancio in un abbraccio: “Hai ragione, cucciola.”
“Accondiscese lui come si fa con i pazzi.”
Veronica si lasciò stringere, cercando di non inalare l’odore di ospedale. Dopo un po’ lo allontanò, sbottonandogli il cappotto scuro con espressione indagatrice:
“Che fai?” cercò di svicolare lui, senza successo.
Lei gli aprì il cappotto, rivelando il camice azzurro che il ragazzo indossava.
“Devi tornare a lavoro?” sbottò incredula “Credevo avresti pranzato con me!”
Daniele si strinse nelle spalle, colpevole.
“Mi hanno affibbiato anche il turno pomeridiano, mi spiace.”
“Ti spiace?!”
Il ragazzo fece per aprire bocca ma lei lo interruppe:
“Mi hai chiamata,” elencò “ti ho raggiunto all’incrocio, abbiamo percorso mezzo isolato e…”
Fu in quel momento che si accorse dell’ospedale alla fine della strada.
“Brutto manipolatore che non sei altro.” soffiò Veronica, colpita.
“Così abbiamo passeggiato.”
“E ti ho riaccompagnato a lavoro!” sbuffò lei, ancora incredula “Mi abbandoni, ora?”
Daniele le diede un buffetto con la mano inguantata.
“Non te la prendere, dai.”
“Come faccio a non prendermela?” si offese lei “Il mio infermiere…”
“Specializzando.” la corresse come sempre.
“Il mio specializzando m’invita a pranzo…”
“Non l’ho mai detto.”
“Passeggia con me, ride a mie spese e alla fine mi lascia mangiare da sola.”
Daniele finse di sbuffare, una nuvoletta grigia che si formava davanti a loro, evanescente.
“Sei un mostro.”
“Non ci pensare più, cucciola.” ridacchiò lui “Com’è andata all’università? A parte il piccione, è chiaro.”
“A parte il piccione?” rifletté Veronica, imbronciata “Bene.”
“Puoi pranzare alla mensa dell’ospedale.”
“Sola?” lo rimbrottò, sperando di convincerlo “Tu proprio non puoi farmi compagnia?”
Daniele scosse il capo, sinceramente dispiaciuto. Stava per dire qualcosa quando gli suonò il cellulare: lo strinse a fatica fra le dita, cercando di non farlo scivolare e rispose, allontanandosi di pochi passi da Veronica. Lei lo osservò, pensando velocemente: prese il telefonino, scorrendo rapidamente le chiamate ricevute e senza aspettare più, premette il tasto verde. Aspettò: uno, due, tre squilli e poi…
“Pronto?”
“Sei libero a pranzo?”
“Chi… ragazzina?”
“Non hai risposto, Teo.” sorrise lei “Sei libero a pranzo? Adesso, per essere precisi.”
“Non credo… io… che hai in mente?”
“Hai presente l’ospedale?” s’informò “Il San Louise.” aggiunse, meditabonda.
“Sì?”
“Alla mensa fra dieci minuti?”
Matteo rimase in silenzio per un po’, facendole quasi temere che fosse caduta la linea.
“Sono in via Giotto.”
“Allora sei vicino!” si compiacque lei “Vieni, dai. Non mi piace mangiare da sola e un mio amico mi ha dato buca.”
“La cosa non mi sorprende.” scherzò lui, continuando in fretta, prima che la ragazza potesse replicare “Verrei, sai, ma mi fa ancora male il piede.”
Veronica strinse le labbra, reprimendo a stento un sorriso.
“Te lo meritavi.” sentenziò “Ora non fare il prezioso e muoviti.”
“Arrivo.” mormorò lui, chiudendo la chiamata.
Veronica sorrise, avvicinandosi all’amico ancora al telefono: gli girò attorno, tirandogli giocosamente il codino. Quello alzò gli occhi al cielo, esasperato e si affrettò ad attaccare.
“Andiamo.” sussurrò accelerando verso l’ospedale.
“Chi era?” chiese Veronica, accorgendosi immediatamente del nervosismo di Daniele.
“Nessuno.”
Lei sospirò, riuscendo con difficoltà a stargli dietro.
“Ancora Marina?”
Daniele non rispose, ma un tremito impercettibile del labbro fu sufficiente.
“Non mi va che ti faccia soffrire così, Danny.” mormorò, aggrappandosi al suo braccio “Perché non cambi numero?”
“Non servirebbe a niente.”
“Vuoi che le parli io?” si offrì Veronica, cercandone invano lo sguardo.
“No.” rispose Daniele, tentando di sorridere in maniera convincente “Grazie, ma no.”
Erano arrivati. Aprì la porta, aspettando che lei entrasse: vedendo che indugiava la sospinse appena, delicatamente, sorridendo ancora.
“Non preoccuparti, cucciola.”
“Mi preoccupo sì, se continui ad avere a che fare con quella… megera.”
Daniele ridacchiò, facendola sedere ad un tavolino minuscolo in fondo alla sala.
“Megera.” ponderò “Mi piace.”
Veronica sorrise, pregandolo con gli occhi di sedersi lì con lei.
“Non posso.” ripeté lui, scuotendo il capo, il codino che ondeggiava “Siediti, sta buona e mangia.”
Quando il ragazzo la fulminò, lei non poté fare a meno di rispondergli con una linguaccia.
“Mangia.” la redarguì lui “Altrimenti Cinzia se la prende con me.”
“Fila via, specializzando da strapazzo.” borbottò Veronica, assestandogli una pacca su una chiappa.
Daniele sparì oltre una porta a vetri; lei non fece in tempo a girarsi che Matteo prese posto sulla sedia di fronte alla sua: un ghigno sul volto mentre la fissava malizioso.
“Mi piace come modo di salutare.” disse “Perché non cominciamo a farlo anche fra noi?”
“Ben arrivato.” sorrise lei, ignorando la frase precedente “Tutto bene?”
“Benissimo, tu?”
Veronica si strinse nelle spalle, indicando con il capo dove potevano prendere da mangiare:
“Assalto di un piccione a parte, perfettamente.”
Impiegarono poco più di dieci minuti a riempirsi i vassoi: quando riuscirono finalmente a tornare al tavolo, Veronica estrasse le posate dalla busta di plastica e lo guardò con aria interrogativa.
“Profumi di cloro.” affermò, punzecchiandolo “Adoro l’odore del cloro.”
“Non annusarmi.” si finse oltraggiato Matteo, ripresosi dopo un istante di sorpresa.
“Perché profumi di cloro?”
“Mi ha chiamato Michele, qualche ora fa.”
Veronica sbuffò, mangiando un po’ di macedonia. Come, come si faceva a sopportarlo?
“Perché cambi discorso?” borbottò frustrata “Sei incredibile! Neanche ti avessi chiesto quanto è lungo il tuo…”
“Ragazzina!”
“Vedi?” ghignò lei, divertita dalla sua reazione “Non ti si può chiedere niente.”
Matteo la squadrò in silenzio per un po’, fissandola stralunato, poi assottigliò lo sguardo e sfoderò un sorriso che non preannunciava niente di buono:
“Okay.” mormorò “Vogliamo metterla su questo piano? Una domanda a testa. Bisogna rispondere per poter domandare ancora. Se non rispondi… penitenza.”
Veronica ridacchiò, alzando gli occhi al cielo:
“Neanche i bambini all’asilo sono tanto infantili.” sorrise “Ci sto.”
“Sono un cavaliere,” sussurrò Matteo, avvicinando la sedia a quella della ragazza “prego.”
“Comincio io?” si entusiasmò Veronica, divertita “Benissimo. Che voleva Mickey?”
“Aiuto con la fisica.”
Veronica s’imbronciò, riuscendo quasi ad assestargli una gomitata.
“E continua, per la miseria!” sbottò “Ho iniziato con una domanda facile: avevi persino accennato tu all’argomento, prima!”
“Hai ragione.” rise il ragazzo, scusandosi con gli occhi “Mi ha letto qualcosa come tre problemi in meno di venti secondi.” ridacchiò, scuotendo il capo “E sono riuscito a risolverli. A quanto pare ricordo ancora le basi, il resto è venuto da sé.”
Veronica sorrise, palesemente sollevata: “Per fortuna. Se questo compito va bene, dovrebbe…”
“Tocca a me.” la interruppe Matteo, impaziente come mai “Perché stai mangiando la macedonia?”
“Non capisco la domanda.”
Il ragazzo portò un pezzo di carne alla bocca, indicando il pollo che era in un piatto davanti a lei: “Hai il primo e anche il secondo,” mormorò “perché inizi con la frutta?”
Lei si strinse nelle spalle, meditando sulla domanda, indecisa:
“Non saprei.” rispose poi, sincera “La frutta è uno dei miei cibi preferiti. Credo… credo di aver sempre cominciato dall’ultimo. Sono la parte migliore, sai com’è: nel timore che mi sazi prima, così, li mangio subito.”
Matteo annuì, ancora perplesso. Sconsolato, alla fine, sorrise.
“Il cloro.” tornò alla carica Veronica.
“Prego?”
“Perché?” sbuffò la biondina, palesemente esasperata “Perché profumi di cloro?”
“Sono stato in piscina.”
“Perché?”
Matteo sorrise arguto, agitando la forchetta davanti a sé: “Una domanda alla volta, ragazzina.”  sogghignò “Tocca a me.”
Ci pensò su per un attimo e poi chiese: “Chi ti ha dato buca?”
“Daniele.”
“Chi è Daniele?”
Veronica sorrise serafica, inarcando un sopracciglio con espressione saputa: Matteo la fissò sconcertato, consapevole di essere caduto in pieno nella trappola. Lei annuì, finendo la macedonia: “Una domanda a testa, Teo, non imbrogliare.”
Rideva sotto i baffi, Veronica: “Torniamo al cloro. Che facevi in piscina?”
“Do qualche lezione.” mormorò Matteo “Per arrotondare, sai com’è.”
“E a quanti siamo, di grazia?”
“Di che cosa?”
“Di lavori.”
Il silenzio calò, solo per un fuggevole attimo.
“E io che credevo che tre fossero tanti.”
“Il mio è un caso a parte.”
“Oh, lo so.” sussurrò lei, divertita “Me ne sto rendendo conto.”
“Ora, lasciando correre per un po’ i miei innumerevoli lavori.” divagò Matteo “Ti chiederei ancora di Daniele, eppure un’altra domanda mi sorge spontanea.”
Veronica attese in silenzio, poi, rendendosi conto che non giungeva alcun quesito, si schiarì la voce: “Allora?”
“Sai nuotare, ragazzina?”
E Veronica quasi si strozzò con l’acqua.
“Ma che domande sono?!” singhiozzò, il tono stridulo “Certo che so nuotare.”
“Io dico di no.” affermò lui, sicuro “Scommettiamo?”
“Ma… che ti viene in mente?”
Matteo osservò il volto di lei, ogni minima sfumatura, soffermandosi con particolar interesse sul rossore diffuso delle gote.  Aveva notato qualcosa, non avrebbe saputo dire cosa, eppure avrebbe scommesso davvero che non sapesse nuotare.
“Puoi giurare di saper nuotare?” chiese con una semplicità disarmante.
E la risposta non arrivò.
“Sai nuotare, ragazzina?”
Matteo sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“Galleggi, almeno?”
La cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso.
“Quanto sei fastidioso!” sbottò lei “Lo sai, di essere impossibile? Lo sai, ne sei quantomeno consapevole? No, non so nuotare. No, no, no. No! Va bene?”
Gli occhi del ragazzo erano spalancati, increduli per quella sfuriata gratuita.
“Non volevo.” mormorò dispiaciuto “Non credevo fosse un tasto dolente, Ronnie, scusa.”
“Non chiedere scusa, al diavolo, non è un tasto dolente, non è niente.”
“Stai gridando.”
“Non sto gridando!”
E si rese conto di aver alzato la voce.
“Non stavo gridando.” ripeté, un sussurro appena.
“Ti faccio sempre innervosire.” constatò Matteo “Un’abilità innata.”
Lo sguardo truce di lei lo incenerì, strappandogli un sorriso imbarazzato. 
“Se vuoi, posso insegnarti.”
“Cosa?”
“A nuotare.” sorrise lui “O almeno a galleggiare.”
“Vai al diavolo, Matteo.”
Il ragazzo ridacchiò, toccandole un braccio: “Sono serio.” disse “Quando vuoi: è facile riconoscermi, sai? Credo di essere l’unico ad avere il costume di Superman.”
Furono gli occhi di Veronica, questa volta, a spalancarsi: “Di Superman?” mormorò basita, il sorriso nello sguardo “Veramente?”
La domanda successiva venne istintiva, quasi come i gesti che seguirono, inaspettati:
“Lo indossi ora?” chiese curiosa “Adesso?”
E le mani, prima ancora del secondo quesito, erano già scese ad afferrare il bordo dei pantaloni della tuta del ragazzo. Matteo aveva la bocca piena, un’espressione di terrore che gli dilagava in viso.
“Devo.” ghignò Veronica, incurante delle proteste silenziose di lui “Devo assolutamente vederlo!”
Un mugugno indefinito sfuggì al ragazzo, i denti che masticavano forsennatamente.
“Ragazzina.” riuscì ad articolare “Molla i miei pantaloni!”
“Non ci penso proprio.”
Gli occhi di entrambi erano puntati sulle mani di lei: le dita artigliate ai bordi della tuta, pronte ad allargare l’indumento quel tanto che bastava per dare un’occhiata veloce.
Non ci fu il tempo di dire altro: i pensieri si erano tradotti in gesti e gli occhi di Veronica fissavano già il costume blu adorno dell’inconfondibile stemma del supereroe.
“Com’è lo spettacolo?”
Le dita rilasciarono di colpo i bordi del pantalone, mentre la molla tornava rapidamente a stringersi e schioccava malefica e dolorosa attorno alla vita del ragazzo. Matteo mugolò, imprecando fra i denti e squadrando Veronica con odio. Lei non se ne accorse, lo immaginò, voltata in direzione di chi aveva parlato: un metro e novanta di vestiti firmati, candidi sorrisi e occhi azzurri.
“Sempre ben occupata, eh, principessa?”
Veronica non rispose, limitandosi a osservare il ragazzo che si avvicinava, prendendo posto al tavolo e sistemandosi allegramente fra di loro.
“Ha almeno qualcosa sotto?” continuò il giovane, lanciando un’occhiata ad un Matteo confuso e ancora un tantino sofferente.
“Vuoi controllare, per caso?”
Il biondo sorrise, apparentemente soddisfatto dalla frecciatina di Veronica. Scosse la testa, bevendo dal bicchiere della ragazza e guardando i due alternativamente; infine si soffermò su di lei: “Sai che diventa sempre più difficile trovarti, principessa?”
“Me ne dispiaccio.”
“Oh, non farlo.” continuò, ignorando e rispondendo al sarcasmo “Come vedi alla fine ci incontriamo comunque.”
Veronica gli strappò il bicchiere di mano, seccata. 
“Lorenzo, ti pregherei di arrivare al punto.”
“Con calma, per favore.” ridacchiò lui, gli occhi che brillavano “Immagino che il tuo giovane amico, qui, ti abbia riferito il mio messaggio, vero?”
Matteo sussultò, ritrovandosi inaspettatamente ad incontrare lo sguardo del nuovo arrivato. E fu solo in quel momento che lo riconobbe, trasalendo ancora una volta. Come aveva fatto a non riconoscerlo subito? Era il tipo dei Magazzini, il pazzo che… Matteo assottigliò lo sguardo, notando qualcosa in quel viso che lo sconcertò. Scorse le chiare lentiggini, il neo all’angolo dell’occhio, la cicatrice sul mento, ricercando inutilmente quel qualcosa.
Lo aveva perso.
“Lorenzo.” ripeté Veronica in un soffio “Stringi.”
“Una cena.”
E Veronica lasciò cadere la forchetta.
“Mi hai detto tu di stringere.”
“Non così tanto.”
“Una cena, stasera.”
“No.”
“Sì.”
Ci fu una lotta silenziosa, fatta di occhiate oblique e sorrisi tutt’altro che amichevoli.
Matteo osservava, estraneo, chiedendosi se fosse il caso di distrarli un’altra volta con il costume di Superman.
“Una cena, stasera, al Torchio.”
“E’ lunedì, Lorenzo.”
“Ne sono consapevole.”
“Non si fanno le cene di lunedì.”
“Vorresti rimandare a sabato?” chiese lui, candidamente.
Veronica non rispose e Lorenzo sorrise leziosamente: “O stasera o ricorro alle maniere brutali.”
“Davvero?” rise lei, incurante, dandogli un buffetto sulla mano “Sarebbero?”
“Che noia.” sbuffò Lorenzo, quieto “Non mi va di tornare alla Regina, ma se proprio devo...”
“Non lo faresti.”
“Scommettiamo?”
E non sorridevano più.
“Avevamo consolidato una sottospecie di tregua, o sbaglio?”
Lorenzo si strinse nelle spalle, guardandola con aria di sfida. Veronica sibilò fra i denti, scocciata come solo con lui accadeva. 
“Fammi capire.” sbuffò, avvicinandosi minacciosa al biondo “Staresti dicendo che se non organizzo la cena stasera è guerra aperta?”
“Esattamente.” approvò Lorenzo, svagato “Del resto non mi dispiacerebbe più di tanto: ci si annoia, ultimamente, alla Reggia. Sarà che manchi tu.”
Veronica reclinò il capo all’indietro, esasperata.
“Ricordi la nostra ultima tregua?”
“No.”
“Alle medie, se non erro.” mormorò Lorenzo, sovrappensiero “Non durò a lungo: sicuramente meno di questa attuale… Ricordi come andò a finire?”
“Guerra aperta.” rispose Veronica, cedendo alla memoria.
“Esattamente.”
“Distrussi tutte le tue riproduzioni in scala di modellini aerei.”
“E io feci un falò con le tue preziose bambole di pezza.”
Matteo li osservò sorridersi vicendevolmente, un segno di affetto che passava sul volto di entrambi. E fu in quel momento che sobbalzò, incredulo. 
Aveva trovato ciò che stava cercando.
“Fratelli.” sussurrò, la voce strozzata.
Attonito, fisso i quattro occhi di un identico blu che si voltavano verso di lui.
“Tutto bene, Teo?” gli chiese Veronica, non capendo “Che hai detto?”
“Sei pallido.” decretò il biondo, scrutandolo “Un po’ d’acqua?”
Matteo scosse il capo con frenesia, indicandoli alternativamente come un ossesso, cercando le parole. Gli sembrava di aver improvvisamente perso la voce.
“Siete fratelli!” riuscì ad articolare alla fine, pentendosi subito delle proprie parole.
Cosa gli era passato per la testa? Tutta colpa di quella ragazzina, dei suoi occhi e del costume che continuava imperterrito ad indossare. 
Colpa della molla dei pantaloni, colpa dello spilungone biondo.
“Perché, non lo sapeva?” ridacchiò incredulo Lorenzo.
E i pensieri di Matteo frenarono di botto. Con tanto di sgommata e tracce scure sull’asfalto.
“No.” borbottò Veronica, assestando una gomitata al fratello “Non lo sapeva.”
“Che assurdità.” roteò gli occhi Lorenzo “Come si fa a non vedere che siamo gemelli?”
Matteo sbatté le palpebre più volte, chiedendosi se fosse il caso di prendersi a schiaffi da solo. Già, come si faceva a non vedere che erano fratelli? E gemelli per lo più?!
“Gemelli?” balbettò, inumidendosi le labbra.
Non ottenne risposta. 
I due consanguinei si scambiavano occhiate complici, apparentemente ignari della sua presenza. Veronica aveva smesso di mangiare, frugando indolente nella tasca del fratello.
“E’ un po’ tardo, il ragazzo?”
“No.”
“Perché pranzi con lui?”
“Non sono fatti tuoi.” sbuffò Veronica, appropriandosi di un pacchetto di gomme.
“Per la cena?”
Veronica lo scrutò, adombrandosi di fronte al suo sguardo supplichevole. Una ciocca chiara che gli cadeva sul naso, gli occhi incatenati ai suoi, l’espressione studiata e comprovata da cucciolo bastonato.
“Non sarete solamente voi due.”
“Non me lo aspettavo.”
“Verrò anch’io.”
“Ne ero certo.”
“E Michele e Daniele e Silvestro, se vuole.”
“Anche il tonto qui, per quanto mi concerne, può aggregarsi.”
Veronica gli fece una linguaccia, guardandolo di sbieco.
“Lui è Matteo.” 
Lorenzo, ricordando forse solo in quel momento di non essersi ancora presentato, si sporse verso di lui e gli strinse saldamente una mano.
“Matteo.” mormorò, fra il serio e il faceto “E’ un piacere conoscerti. Io sono Lorenzo, il fratello di Veronica. Fratello gemello, nel caso non ti fosse ancora chiaro.”
L’espressione di Matteo era vacua, priva di alcuna emozione. Lorenzo storse il naso, deluso:
“Cosa?” chiese, rivolgendosi alla sorella “Vuole che gli guardi anch’io nei pantaloni?”
Forse fu l’ultima frase o la rabbia che colorò il viso di Veronica, nemmeno lui seppe cosa lo risvegliò. Eppure scattò, storcendo il naso a sua volta e fissando astioso Lorenzo.
“No.” ringhiò “E’ seccato perché la biondina non lo fa più.”
Al rossore irato di poco prima, sul volto di Veronica se ne aggiunse uno imbarazzato. Si coprì gli occhi con le mani, stanca di quel pranzo a dir poco estenuante. Ignorò ciò che accadde al tavolo nei minuti successivi e s’impegnò a ritrovare la calma che aveva perso disperatamente.
“Ora.” disse, riemergendo dal rifugio estemporaneo “Vediamo di porre fine al supplizio.”
Scrutò i due ragazzi, stanca.
“Lorenzo.” chiamò, tentata dall’idea di afferrarlo per un orecchio “Ci liberi della tua presenza?”
“Di già?” si lamentò quello, divertito.
“O sui tuoi piedi o sospinto dalla suola della mia scarpa, come preferisci.”
“Per quanto mi alletti la seconda, principessa.” sorrise “Credo me ne andrò solo, per preservare i pantaloni, non per altro.”
Si alzò, svettando in tutta la sua bellezza. Sorrise sornione a Matteo, scoccando poi un rapido bacio sulla guancia della sorella. Li guardò un’ultima volta, gli occhi che brillavano:
“Vado.” affermò “Potete anche tornare a sbirciarvi nelle braghe, ragazzi.”
Veronica non si girò per guardarlo uscire. Fissò Matteo, cercando di capire cosa gli frullasse nella testa: non sembrava divertito, non sembrava arrabbiato. Non sembrava niente ed era questo il problema.
“Vuoi che dia un’altra occhiata a Superman?”
“Come ho fatto a non capire che eravate gemelli?”
Lei si strinse nelle spalle, sorridendogli calorosamente.
“Non è che sia così palese.”
“Ma per favore!” scattò il ragazzo “Siete due gocce d’acqua. Cos’è, vi hanno fatti con lo stampino?”
“Matteo…”
“Non farmi Matteo e Matteo, sono un idiota. Un tonto, anche leggermente tardo, come dice il tuo caro fratellino. Che poi tanto ino non è, anzi. Che fa, li raggiunge i due metri, il ragazzo?”
Veronica sospirò, scuotendo il capo.
“No.” disse “E’ solo un metro e novanta.”
“Capirai.”
“Un metro e novanta di stupidità, Teo.”
“Stai cercando di rabbonirmi?” s’imbronciò Matteo, tormentando le briciole sulla tovaglia.
“Sto cercando di distrarti.”
E a quelle parole lasciò perdere le briciole, concentrandosi sulla biondina.
“Perché?”
“Perché devo convincerti a venire alla cena di stasera.”

 

 

 

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