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Autore: eldarion    01/07/2011    5 recensioni
Tsubasa e Sanae stanno per sposarsi. Sono felici. Tuttavia, la felicità a lungo sognata viene bruscamente spazzata via da una tragica fatalità.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
  

Nascondersi

 
Tsubasa se ne stava ancora lì nella sua stanza, in piedi.
Era tanto concentrato nei suoi tortuosi pensieri che non udì minimamente il rumore della porta che si apriva...
"Ciao Tsubasa! Sono tornata!...Ti va il gelato? Ne ho preso un po'...Così...Per festeggiare: il lavoro é andato splendidamente! Stasera e domani ci sarà un magnifico party nella villa del mio agente...Sai...Per il lancio della mia linea...MIA, MIA, proprio mia!...Porta il mio nome ci pensi?..Oh!...Capitano sono....”
Kumiko, elettrizzata dal successo ottenuto, prese a parlare appena varcata la soglia di casa, senza preoccuparsi di dove fosse Tsubasa. Si bloccò di colpo quando lo sorprese osservare, nostalgico, quella vecchia foto.
Si avvicinó.
Gli poggió una mano sul braccio e poi, delicatamente, sfilò la cornice dalle sue mani e la posó sul mobile  con l'immagine rivolta verso il piano di legno..."Ti manca molto vero?" Sussurrò.
Tsubasa non rispose, si limitó a guardarla e risollevò la foto. Lo sguardo era serio. Opaco. Lontano. Il suo bel corpo pareva circondato da un’aura di malinconia.
A Kumiko sembró quasi di sentire il dolore del ragazzo. Un dolore vivo. Una ferita provocata da lei, volutamente, e che ora lei stessa pretendeva di sanare. Le venne la pelle d'oca.
Ancora una volta non riuscì a sostenere lo sguardo del capitano.
Abbassò gli occhi.
Poi disse piano "So che fa male ma... Lascia che riposi in pace, se è morta devi lasciare che la sua anima voli via e, se non è così, se è viva...Beh...Magari è lei che non vuole farsi trovare. Ci hai mai riflettuto?...Anche tu devi sopire il tuo dolore, trovare la pace. Non si può vivere rincorrendo un fantasma, un ricordo...I ricordi restano con noi, fanno parte di noi ma non riempiono la vita, sono pur sempre solo ricordi Tsubasa..."
Era la prima volta in due mesi che proprio lei, Kumiko, affrontava spontaneamente un discorso su Sanae. Non era ció che Tsubasa sperava di sapere. Non gli stava raccontando nessuna veritá nascosta ma, inutile negarlo, era un discorso logico anche se gli squarciava il petto.
Continuò a guardarla taciturno: non voleva sentire quelle cose, non era pronto. " ...Vado al parco, vuoi venire?...Hai conosciuto Pinto ma non ti ho mai presentato gli altri bambini!" Esclamò, repentino, per troncare il discorso.
Lei lo guardó stralunata, parlando dei bambini che lo attendevano al parco gli occhi di Tsubasa mutarono completamente: brillavano.
"...Bambini?!..." ripetè la ragazza pensando tra sè che, giocare al parco con dei bambini, non fosse del tutto appropriato per un campione del suo calibro.
Che ci trovava?!
Non c’era nulla da fare: Tsubasa era decisamente sopra le righe, ma era proprio questo il suo bello!
"Sì!...Sí, bambini” rimarcò Tsubasa...”Vado spesso al parco a giocare con loro...Anche Sanae veniva quando poteva. Certe volte ci troviamo anche qui ma non vi siete mai incrociati. Se vuoi venire sbrigati: sono un po' in ritardo e non mi piace far aspettare le persone!"
“Sono solo bambini...” Brontolò lei rivolta a se stessa mentre si avviava distrattamente verso la cucina  per riporre il gelato nel freezer.
Al capitano non piaceva far aspettare le persone, era esattamente il contrario per lei...Tsubasa era una persona umile, viveva nella normalità, come uno qualunque.

Aveva talento, denaro e successo ma viveva in una casa semplice, rifuggiva la notorietà, non amava apparire sulle riviste, se non per motivi strettamente sportivi.
Lei gli aveva anche proposto un servizio fotografico da fare insieme ma lui aveva rifiutato risolutamente. Quando lo fermavano per chiedergli un autografo si emozionava ma non dava importanza alla cosa mentre lei, il contrario: lo faceva notare a tutti gli amici, si gongolava, quando ne aveva l’occasione.
Lui non voleva nulla di tutto ciò che poteva avere!
Lui si rilassava con i bambini al parco!
...Pazzesco!...Sembrava un bambino egli stesso!
Kumiko cominciò a scambiare la modestia e l’allegria fanciullesca del giovane calciatore per ingenuità: nessuno con un po’ di sale in zucca si sarebbe comportato così, non secondo il suo metro.
"Io vado!" La voce di Tsubasa che riecheggiava nel salone mise fine alle speculazioni di Kumiko che mentì... "D'accordo, arrivo!...Credo che mi divertiró!"
Ormai era allenata a fingere, sapeva alterare così bene la realtà che anche lei faticava a distinguere ciò che era vero da ciò che non lo era...Avrebbe potuto fare l’attrice!
In realtà i bambini le mettevano ansia.
Prorprio ansia, avevano una specie di sesto senso. Soprattutto Pinto, forse perchè era molto affezionato al capitano. O forse quel bimbo riusciva a far affiorare in lei il senso di colpa...E il senso di colpa reclamava una confessione!
In ogni caso, pur avendolo visto una sola volta di sfuggita, quel Pinto l’aveva guardata dritta negli occhi, senza paura, come a volerle scavare dentro...Si era sentita a disagio, anzi, si era sentita proprio male, malissimo. Aveva avuto paura e, di riflesso, aveva abbassato gli occhi; come le capitava spesso del resto.
"Di cosa hai paura?" le aveva chiesto lui candidamente, come se nulla fosse, come se avesse capito.
Non si conoscevano...Possibile intuisse che nascondeva un segreto nel profondo?  
Cercó di non pensarci, erano sciocchezze, in fondo.
Uscirono.
Non ci misero molto a raggiungere il parco della Ciutadella. Era molto grande e bello, Tsubasa si ritrovava sempre con i suoi amici ai piedi dell'acacia di Costantinopoli.
Il capitano era affezionato a quella pianta: a Sanae piaceva per i suoi fiori lilla, inoltre, aveva letto che quell'albero era il più curioso del parco. Era poco diffuso e, a dispetto del suo nome, in realtà era originario del Giappone...Lui e Sanae lo presero un po’ come un angolo di casa.
Raggiunsero il luogo dell'appuntamento percorrendo  un lungo viale di Tigli.*
Kumiko non potè fare a meno di restare colpita dal viale e dal profumo che emanava dalle piante...Naturalmente quegli effluvi le riportarono alla mente Sanae...”Dev’essere una maledizione!...Perchè, perchè non mi lasci essere felice..." Pensò tra sè digrignando i denti.
Strinse i pugni. Si trattenne a fatica: aveva voglia di gridare.
Al parco si potevano anche affittare delle barche. Kumiko avrebbe di gran lunga preferito una gita sul laghetto ovale, accompagnata da Tsubasa, ma dovette accontentarsi di guardarlo giocare con i suoi piccoli amici. “Sarà per un’altra volta..." Provó a consolarsi.
Non era di buon umore, ma doveva dissimulare. Ci riuscì, naturalmente.
Tsubasa aveva notato una certa ostilitá dei piccoli verso kumiko, qualcosa non andava tra loro, non legavano...Al punto che uno di loro disse" Non é come con Sanae! "
Quelle parole lo fecero morire dentro.
Anche a loro mancava...C'era malinconia e mentì facendosi forza "Coraggio, vedrete che tornerà. Adesso giochiamo!"
Rideva, sembrava il ragazzo più felice e spensierato del mondo.
Continuarono a giocare e rincorrersi fino a quando kumiko  li interruppe.."Tsubasa!...Mi dispiace, sarebbe meglio andare: devo tornare a casa, sai la festa... E’ ora, devo prepararmi. Non voglio tornare sola...Non conosco bene la strada e..."
Guardava Tsubasa quasi supplichevole.
Il ragazzo interruppe il gioco.
Era decisamente paziente e comprensivo... "Certo ti accompagno, non temere!” Ma, subito aggiunse, rivolgendosi a Pinto e a tutta la combriccola con il suo solito entusiasmo "Venite anche voi. C’è del gelato a casa: faremo merenda tutti  insieme!"
Il sorriso di Tsubasa non si spense ma non gli sfuggì l'aria leggermente contrariata di Kumiko " Che c'è?" ..Chiese schiettamente.
Lei rispose, un po’ delusa " No, niente...Pensavo venissi alla festa, almeno questa volta..."
Tsubasa non cedette "Non amo quel genere di feste e le evito se posso, lo sai. Ti divertirai comunque!”
Kumiko avrebbe voluto rispondere che andare a una festa con Tsubasa Ozora, la giovane promessa del Barça,  era tutta un’altra cosa ma, sapeva bene che il capitano non avrebbe sentito ragioni.
Preferiva restare con quei bambini.
Preferiva loro a lei.
Forse lui non aveva capito che poteva avere  attrici e modelle.
Poteva avere tutto il mondo ai suoi piedi.
Poteva avere un mondo dorato.
Poteva avere un mondo da Favola.
Poteva darglielo lei!
Poteva avere lei!
Quanto avrebbe voluto urlargli tutte quelle cose in faccia!
Poco male...
Glielo avrebbe spiegato più tardi, con tutta calma!
Giunti a casa Kumiko sparì nella sua stanza a prepararsi mentre Tsubasa e i suoi golosi ospiti allestirono una bella merenda sul terrazzo, come capitava ogni tanto quando c’era Sanae.
Ridevano e scherzavano, Tsubasa era veramente un tipo al di fuori degli schemi.
La giovane modella si era fermata a osservarli. Poi si fece coraggio e intervenne “Io vado!...Tsubasa tu sei certo che non vuoi...”
Ma non terminò la frase: leggeva chiaramente negli occhi del ragazzo che non l’avrebbe seguita. Li lasció ai loro giochi.
I bambini si rincorrevano rumorosamente per il terrazzo.
Al tavolo erano rimasti solo Pinto e Tsubasa. Pinto guardò serio verso il capitano e poi lo colpì con le sue parole “ Non l'hai più sognata?"
Tsubasa sussultò e lo guardó stranito, prima di decidersi a chiedergli  di cosa stesse parlando.
Pinto si spiegò più chiaramente..."Ma sì...Hai sognato ancora la felicità?"
Si riferiva al suo sogno ricorrente, quello dove giocava con Sanae e il bambino, Pinto era ancora l'unico al quale lo avesse raccontato. Tsubasa ormai era sicuro che avesse una specie di sesto senso verso le persone e in particolare nei suoi confronti. Quindi rispose senza indugio "Certo che l'ho sognata ancora..."
Il bambino però non era convinto e si lasciò scappare un "..Mmmhh.."
In effetti  Tsubasa stesso non aveva convinto se stesso, ma non sapeva per quale ragione, quindi chiese  " Perchè? Cos’hai?"
Pinto rispose titubante "Non prenderla male ma...Scusa...Tsubasa...Ma a Sanae...A Sanae non vuoi più bene?...Sembra che a lei non ci pensi più come prima..."
Tsubasa si sentì ferito e subito affermò "Certo che la penso. La amo, la ameró sempre."
Si rese conto, ancora una volta, di non essere stato persuasivo. Non convinceva se stesso, come poteva persuadere Pinto, o chiunque altro?
Aveva dato una risposta un po' banale e scontata.
Una risposta da manuale.
Una risposta che, a dirla tutta, non gli era piaciuta.
Sembrava una di quelle mielose frasi che si trovano negli incarti dei cioccolatini...Lui, tra l’altro, le detestava.
Si rese conto che stava cambiando o era già cambiato...Era così, senza ombra di dubbio!
Il piccolo non replicò.
Si limitò a guardarlo con la sua solita espressione seria. Un'espressione cosí profonda da arrivare dritta al cuore.
Purtroppo, il suono del campanello spezzó l'atmosfera: la madre di Pinto era venuta a prendere il figlio e gli altri piccoli.
Si salutarono e Pinto lo abbracciò forte come se volesse comunicargli qualcosa, qualcosa che non aveva avuto il tempo di dirgli o non aveva avuto il coraggio di dirgli. Oppure era qualcosa che il bambino sentiva ma non aveva  trovato le parole per dare forma al concetto.
Tuttavia lo salutò dicendo "Non dimenticarti di loro, stai attento!"  
Pinto era sinceramente triste.
Tsubasa  non capiva, ma lo rassicurò "Non temere, non potrei mai"  
Pinto ribadì, staccandosi dal capitano "Sì...Ma stai attento...Attento ti dico..."
Tsubasa chiuse la porta e fu assalito dall'inquietudine.
Era quasi ora di cena ma non aveva fame, il confronto con Pinto gli aveva chiuso lo stomaco.
Si fece una doccia per rinfrescarsi, indossò una tuta comoda e si fermó sul terrazzo a osservare il disco rosso del sole che stava tramontando.

Fu solo per un attimo...

 
La vide...Sanae...era di spalle. I capelli ondeggiavano mossi da un vento leggero. Non vedeva la sua figura interamente, distingueva solo la parte alta della schiena e la testa. Indossava un abito bianco che le lasciava leggermente scoperte le spalle. C'era un'atmosfera di festa tutt'intorno, le campane suonavano a distesa, poteva sentirle distintamente. Lei si voltó, Aveva un'espressione seria ma non c'era rimprovero negli occhi. Solo il tempo di dire "Che cosa vuoi fare Tsubasa?..." 
 

Tutto svanì, in un soffio...

 
Tsubasa si ritrovò nuovamente a fissare l'astro infuocato che si nascondeva, inesorabile, tra le ombre della sera...Come avrebbe voluto potersi nascondere anche lui e smettere di pensare.
Era finalmente diventato un calciatore professionista, realizzando così il sogno che aveva fin da quando era bambino.
Era stato fortunato: non a tutti succede...Ma allora perchè si sentiva così?
"...Mamma..." mormoró.
Chissá per quale motivo la sua mente voló a quando era piccino.
C'era sempre stata Natsuko al suo fianco, poteva perdersi nei suoi occhi rassicuranti, sembrava tutto più facile con il suo aiuto.
Andó a sdraiarsi nella sua stanza, come a volte gli era capitato da bambino, quando qualcosa non andava....Lì, nel suo letto, era al sicuro, nessuno lo avrebbe cercato, nessuno l'avrebbe trovato.
Era un bel gioco...Rise...Adesso non era piú così. Lui stava cambiando, doveva trovare il suo posto, non era un gioco, era la vita, era il suo cuore, era l'amore...

 

Continua...

 
 
* l'acacia di Costantonopoli, il viale di Tigli e anche il laghetto, che menziono qualche riga dopo, sono tutti elementi che si trovano realmente nel Parco della Ciutadella. Non ricordo come sono dislocati nel parco: io li ho adattati allo svolgimento della mia storia, credo di essermi presa qualche "licenza poetica"...chiamiamola così!
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 
  
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