Questa va a Ginnig, detta Gin o anche Nig, o meglio a Blackpearl.
Grazie della
consulenza (e della minaccia), tesò. ♥
Brina e Foglie
Ritrovarmi
da solo non è una novità.
In verità,
non lo è nemmeno la brina.
Eppure non smetto
di contemplare quella meraviglia.
E’ sempre
lì, dopo una fredda notte d’inverno, ad accarezzare la vegetazione, le foglie, l’erba.
Loro ce
l’hanno almeno un compagno.
La brina si
cura ogni giorno di dar loro lucidità e bellezza.
Ed io? Io
ce l’ho qualcuno che riesce a rendermi felice,
a farmi sentire importante?
Magari no.
Magari il
parlare con qualcuno, il ridere con qualcuno, lo studiare con qualcuno, non
corrisponde propriamente all’avere
qualcuno.
Avere
qualcuno che ti squadri il viso e capisca all’istante ciò che ti passa per la
testa.
Qualcuno
che sappia consolarti e conosca il tuo punto debole per strapparti un sorriso, anche stentato.
Ci penso e
ci ripenso.
Non ne
trovo.
Piango.
E piangendo
una lacrima funge da brina.
Sussurra la
mia tristezza all’erba ondeggiante nel vento.
Ma lei non
può sentirmi o parlarmi.
Sono solo.
La gente mi
ritiene strana.
Ma
stranezza più forte non c’è, che ritenere strana una persona che non si
conosce, o almeno così si dice.
Accarezzo
il cucciolo di Thestral davanti a me.
Un po’ mi
somiglia.
A lui manca
il papà.
A me manca
la mamma.
A entrambi
manca un amico.
Ma
qualunque amico mi guarderebbe da strana.
Anche se
non sapesse chi sono, lo farebbe.
Un brivido
mi sfiora la schiena.
E’ Gennaio.
Fa freddo. Ed io sono senza scarpe. Di nuovo.
Decido di
andar via.
Lancio
un’ultima coscia di pollo alla piccola creatura e sorrido nel vederla saltare
addosso alla preda.
Sì, mi
somiglia proprio. Anche a me piace il pollo.
Giungo al
limitare della foresta.
Intravedo
già il Lago Nero ed, a pochi metri dalla riva, qualcuno.
Mi
avvicino. Devo raggiungere il portone d’ingresso, del resto.
Lo
riconosco, sebbene abbia la faccia nascosta tra le braccia.
Neville.
Mi asciugo
le lacrime.
Difficilmente
riuscirò a farle smettere.
Odio questo
senso di solitudine, che mi piomba addosso quando meno me l’aspetto.
Mi volto,
sperando che non mi abbia visto nessuno.
Ma così non
è. Vedo una chioma lucente e bionda, a tre metri da me.
Luna.
Si accomoda
al mio fianco e mi sorride.
“Non dovresti
piangere così tanto. Attirerai una quantità immane di nargilli e ti confonderanno
oltremodo le idee”.
La fisso
stranito, un sopracciglio inarcato, non solo perché ha notato i miei occhi
rossi e gonfi di pianto, ma in particolare per il riferimento ai nargilli.
“Non sono
confuso”, ribatto.
“E cosa?”,
bisbiglia lei.
Non so
perché dovrei renderla partecipe di ciò che mi affligge, ma sento di poterlo
fare. Sembra sinceramente interessata.
Abbasso lo
sguardo. Assumo un’espressione triste.
“Il fatto è
che mi sento solo”.
“Avevo
ragione. Ti hanno confuso”.
Il tono che
usa mi pare fin troppo lieto.
Torno a
guardarla.
Ride. E’
strano, ma ride.
Capisco
solo allora che la sua frase cela una battuta velata.
“Se tu fossi solo, io non sarei qui. E se io
non fossi qui, allora ci starei
sognando. E se stessi sognando noi,
allora risulterei ancora più strana
di quello che realmente sono”.
Non smetto
di fissarla.
Aggrotto le
sopracciglia nel carpire le sue preoccupazioni.
“Ma tu non
sei strana, anzi…!”.
Inspiegabilmente
arrossisco, prima di aggiungere: “Tu sei normalissima!”.
Il suo
sorriso diventa dolce ed io lo ricambio.
“Grazie,
Neville. Sei un vero amico”.
Mi sento
felice. Tanto, troppo felice.
Poggio una
mano sulla sua e rivolgo lo sguardo all’orizzonte, per nascondere l’imbarazzo,
indotto dal mio stesso gesto.
“Anche tu,
Luna… Grazie”.
Continuo a
regalargli un sorriso placido e sereno, forse intriso di un che di felicità.
Lascio
scivolare la mia mano sotto la sua, in modo tale da permettere alle nostre dita
di intrecciarsi.
Un vuoto
sembra colmarsi.
Fisso un
olmo.
Sembriamo
proprio come brina e foglie.
Neville/Luna