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Autore: Sirius_the_real    13/02/2004    2 recensioni
Così comincia il seguito del Fiore di Cristallo .... in una veste molto più cupa della precedente ;)
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una notte fonda di metà estate e per strada non v’era traccia alcuna di viandante o visitatore, tutti troppo occupati a mangiare e poltrire al vecchio Paiolo Magico, stracolmo come ogni sera di maghi e streghe giunti da ogni dove. Fortebraccio aveva chiuso purtroppo in anticipo la sua famosissima gelateria a causa dell’improvvisa malattia di sua moglie ( boccilitillite acuta, aveva diagnosticato un guaritore del S. Mungo, l’ospedale per i maghi, almeno questa era la voce che andava in giro ) garantendo così la mancanza dell’unico luogo di svago per tutti i ragazzini di passaggio nella zona. Diagon Alley era totalmente deserta, come un quadro: immobile, fredda e silenziosa. Tutto era quieto, eccezion fatta per il gatto nero di Tom che stava cercando di arraffare un topolino sperduto tra i vecchi cumuli di roba vecchia, accatastati dietro al vecchio bidone divora tutto, proprio a pochi passi dal negozio di accessori per il Quidditch.
All’improvviso dei passi ruppero il silenzio, una camminata piuttosto veloce e irrequieta, interrotta qua e là da un colpo di tosse e qualche sputacchio per terra. Un mago comparve da dietro l’angolo che introduceva al viottolo di Nocturn Alley, era tutto vestito di nero, per quel che si poteva vedere con la scarsa luce dei lampioncini ad olio. Indossava un lungo abito che gli ricadeva fino ai piedi, nascondendo la fattezza e le dimensioni del corpo, non che fosse alto… al massimo intorno al metro e cinquanta, ma c’era qualcosa in lui che gli conferiva autorità … segretezza… e terrore. L’uomo superò il Paiolo Magico, indugiò un momento di fronte al nuovissimo negozio di Pozioni ed Erbe, e tirò dritto qualche metro più avanti, lungo il viale principale della cittadina. Si fermò un istante di fronte a un portone. Una vecchia scritta logora in lettere d’oro era intarsiata sopra la spessa porta di legno nero e a leggerla bene si poteva ancora intravedere uno sbiadito “Produttori di finissime bacchette sin dal 382 a.C.”
Il mago frugò un momento nella tasca dei pantaloni. Ne estrasse una vecchia chiave arrugginita dalle ragguardevoli dimensioni e la infilò nella toppa che ebbe persino da ridire borbottando su una tanto sospirata razione d’olio. Girò per tre volte in senso orario la chiave ed aprì la porta, dette una sbirciata dentro: una stanza dove ardeva un focherello con sopra un calderone fumante.
“Dove sarà finita?!” – gracchiò stizzito.
Il signor Olivander era un ometto piuttosto spettrale, i lunghi capelli argentei gli ricadevano fino all’altezza delle spalle tutti spettinati e aveva sempre quel ghigno sulla faccia e un so che di perfido negli occhi… quegli occhi così vuoti e cerulei che sembravano quasi senza vita. Ma era un tipo buono e gentile, a quel che si diceva di lui.. un ometto a posto, insomma.
Girò nuovamente la chiave, questa volta per tre volte in senso antiorario. Aprì la porta e comparve il buon vecchio negozio di bacchette magiche, metà delle quali erano accatastate disordinatamente sulla vecchia scrivania, accanto alla lampada accesa e un ingiallito registro per le vendite aperto con ancora una striminzita penna d’oca che scarabocchiava velocemente qualcosa sopra. Olivander richiuse la porta, questa volta un po’ più spazientito.
Girò per altre cinque volte la chiave nella toppa, per due volte consecutive in senso orario e le restanti in senso antiorario: i tre piccoli clac della serratura che scattava aprendosi si udirono distintamente nella notte. 
Uno sbiadito sorriso comparve sul volto del mago che strinse con forza il batocco di ottone bussando… come una specie di segnale... 
Questa volta la porta si aprì da sé, cigolando lentamente, era buio non si poteva veder un granché, a parte la scura ombra del mago proiettata dalla luce della luna che si era per un momento liberata dalle nuvole e… degli scalini che scendevano… giù… sempre più giù … sotto il negozio di Bacchette Magiche. 
Olivander si guardò un po’ intorno con circospezione, poi si gettò nelle tenebre più fitte. La porta si richiuse dietro di lui inghiottendolo.
“Inflamare!” – gracchiò ancora una volta toccando con la punta della sua bacchetta una torcia infilzata al muro. Questa si accese, rendendogli più agevole il cammino. Giunse infondo agli scalini ed oltrepassò un piccolo tunnel, lungo e stretto, sbucando fuori dall’altra parte con una mano saldamente stretta attorno al naso, per impedire al puzzo nauseante di penetrargli fin dentro alla testa. 
“Lumus!” – bofonchiò, con la voce che sembrava buffamente raffreddata.
Era giunto in qualche modo fin nel cuore della città, nelle fogne… ma che ci faceva lì un ometto rispettabile come lui?
“Un bisbetico vecchietto troppo affezionato al suo lavoro, che diavoleria è mai questa?!” – avrebbe borbottato Hagrid a sentire una storia del genere.
Il mago procedette con la bacchetta alzata per farsi luce, lungo il serpeggiante sentiero di mattoncini onde evitare di mettere il piede in quell’ammasso di topi aggrovigliati e mescolati assieme ad altre schifezze in quell’putridume d’acqua e sporcizia. Dopo pochi metri svoltò a sinistra e salì tre piccoli gradini: era giunto a quella che sembrava l’entrata di una sorta di abitazione, seppur insolita e soprattutto misteriosa. Chi avrebbe mai abitato in un posto come quello?!
Una piccola grata di metallo slittò aprendosi, e comparvero due occhi rossi come il fuoco che lo fissarono per qualche minuto. Olivander non disse niente, sebbene deglutì abbastanza preoccupato e a disagio. Non battè ciglio. In quell’infinito momento l’unico rumore che poteva sentire era il sibilo del suo respiro affannato e ormai stracolmo del tanfo della fogna, che gli saliva sempre più intensamente al cervello. 
D’improvviso la grata si richiuse e subito la porta scattò indietro, mostrandogli la via. Si ritrovò in una vasta anticamera a forma esagonale. Le pareti erano lisce e nere, e il soffitto tappezzato di simboli indecifrabili. Su ciascun angolo della sala era sistemato un candelabro d’oro, con tredici candele accese dalle quali ardevano fiamme verdi e scarlatte. Sul pavimento, sopra un tappeto rosso vivo erano incise in oro e argento strane forme geometriche: la più grande, al centro, formata da una serie di cerchi concentrici incastonati in una stella a sei punte, da ognuna delle quali si dipanava una intreccio di raggi e fili sottilissimi che raggiungevano un secondo cerchio più grande, costituito da altrettante stelle. Sulle punte di ciascuna di esse erano incise delle parole in una lingua molto antica che, probabilmente, sarebbero parse prive di senso per un malcapitato visitatore. Olivander si strinse le mani al petto incurvandosi un poco, quasi percepisse il timore di un pericolo, poi timidamente si avviò alla porta, dall’altro capo della sala. Alzò lo sguardo per leggere le incisioni sull’architrave sovrastante l’apertura e lesse parole incise a fuoco: 

“VITA MORS EXANIMIS”

Rabbrividì impercettibilmente ma non indugiò oltre. La stanza in cui si ritrovò assomigliava incredibilmente a un bizzarro laboratorio di qualche genere, e per giunta in piena attività. Non sembrava ci fosse nessun’altro a parte lui, nemmeno il sinistro padrone di casa che l’aveva misteriosamente invitato ad entrare poco prima. La stanza era sommessamente illuminata da un lampadario appeso al soffitto dalla sinuosa forma di sei serpenti intrecciati, dalle cui spire irradiava una intensa luce azzurro – violacea, che faceva assumere a tutto un so che ti sinistro e spettrale. Sulla parete accanto alla porta erano appesi diversi strumenti: piccole bilance in ottone di varie forme e misure, una pila di carte dei tarocchi ingiallite e consumate dal passare degli anni, e sotto, su una rientranza nella roccia della parete, una scatola con tante piccole sfere colorate e luminescenti dalla funzione sconosciuta. Più in alto, sopra la porta, era fissata al muro una mensola molto lunga, sopra la quale primeggiavano una serie mortai e più in là, ordinate in ordine di grandezza, ampolle di tutte le dimensioni, alcune vuote e trasparenti, altre ricolme di ignote sostanze dai colori tetri e neri. Sull’angolo a sinistra si intravedeva in penombra la sagoma di una piccola pressa alla base della quale era sistemata una giara, probabilmente destinata a raccoglierne il contenuto una volta lavorato a dovere. Di seguito una sporgenza rocciosa e cava all’interno fungeva da lavandino, con acqua limpida e fresca che zampillava allegramente, non curante dell’oscurità che la attorniava. Dal lato opposto del laboratorio spiccava una torreggiante libreria con decine di volumi antichi contrassegnati ciascuno da un simbolo alchemico, e una infinità di vecchie pergamente ammuffite e pallide arrotolate con cura in un angolino. Lì accanto poi, ardeva il fuoco rosso di un camino e un paiolo, adagiato e vuoto, era appoggiato per terra: al suo interno erano rimasti dei rimasugli di un pasto forse o di chissà quale orrido esperimento. Al centro infine, era sistemato un tavolo scheletrico e disadorno. Sopra a questo, alambicchi e sinuosi filtri tubiformi ribollivano a volontà al tenue focherello dei fornelletti accesi sotto di essi, diffondendo un odore acre e indefinibile tutto intorno. Da uno di questi si dipanava un sottile pennacchio di fumo verde, che sebbene apparisse del tutto innocuo, fu abbastanza terrificante da procurare al signor Olivander un attacco d’asma.
“Amico mio sei infine tornato a farmi visita?” – sibilò una voce rauca e stridente alle sue spalle.
“P-padrone! E’ lei?”
“E chi altri pensavi che fosse? Sciocco… hai già trovato ciò che ti ho ordinato?”
“Ci sono stati dei problemi… Signore ..” – balbettò Olivander, asciugandosi la fronte con un fazzoletto striminzito.
“Problemi?” – gli occhi rossi avvamparono un momento nella semi oscurità.
Olivander poteva sentire distintamente il suo sguardo trapassarlo da parte a parte: rimase immobile impietrito.
L’Alchimista lo superò e si mise seduto dall’altro capo del tavolo, il suo manto nero lo avvolgeva completamente aveva al polso dei bracciali dorati dalle forme geometriche e all’altezza del torace, tra le pieghe sinuose della veste, si scorgeva il disegno di uno strano animale .. un serpente alato con la testa di aquila. Un cappuccio viola scuro gli ricopriva il capo rendendo praticamente invisibile il suo volto, nascosto nell’ombra. L’unica cosa che risplendeva, di una luce arcana e indecifrabile, era il rosso vivo dei suoi occhi.
“Siediti! E non abbassare lo sguardo! Non mi sono mai andati a genio i vermi come te… potrei ucciderti subito e liberare il mondo dalla tua stupida presenza… ma.. mi servi ancora per ultimare il mio piano.”
“Mio Signore, avremo.. ancora tempo prima che i nove siano in posizione?”
“Non è del tempo che dobbiamo curarci – disse con voce quasi metallica l’Alchimista – è di vitale importanza ottenere quel libro. Cosa combina fa il tuo infiltrato al ministero?! Se proprio dovevi far svolgere a qualcun altro questo compito .. potevi almeno sceglierne uno un po’ meno inetto di te!”
L’Alchimista rise freddamente, constatando evidentemente compiaciuto il terrore nello sguardo di Olivander.
“Non è così semplice entrare in quella stanza del Ministero .. avremmo bisogno del suo …”
“Quell’oggetto è troppo delicato.. per essere affidato a mani così maldestre! Ti conviene trovare presto un modo per portare a termine la tua missione Olivander, o qualcuno di nostra conoscenza non sarà affatto contento.”
“Mio S-Signore voi parlate di …”
“Sei solo una insulsa pedina, non certo a te svelerò i dettagli del suo piano!”
“Ma.. non … lui è stato eliminato! Era su tutti i giornali, l’ultima edizione di giugno della Gazzetta del Profeta ha venduto più di undicimila copie!!” – borbottò Olivander, tappandosi la bocca istintivamente, dopo essersi reso conto che il suo tono di voce si era alzato oltre il limite consentito.
“La tua …. Ah… mente ….. – indugiò disgustato l’Alchimista forse dubbioso sulle capacità intellettuali del suo infido interlocutore – è troppo piccola per comprendere. Era tutto parte del suo piano … fin dall’inizio .. era necessario finire intrappolato in quel posto orribile, rompere il Fiore magico di Cristallo, per poter raggiungere …” – l’Alchimista si interruppe bruscamente.
“Che succede mio Signore?” – squittì Olivander incupito.
“Qualcosa si avvicina …. Qualcosa di molto prezioso… va! Trova ciò di cui ho bisogno e portalo da me!.. oppure… sarai così deliziato dall’assaggiare una delle mie pozioni, ne ho .. alcune molto fantasiose da qualche parte… curioso sarebbe vederne gli effetti su una piccola stupida mente come la tua!” 
“S-sarò di ritorno non oltre la prossima Luna nuova…” – bofonchiò rabbrividendo il mago, si alzò e fuggì lesto, richiudendo dietro di se la porta.

  
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