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Autore: Herzschlag    04/07/2011    5 recensioni
Questa è la storia di un Bill insicuro ed introverso, che cerca di scoprire se stesso tra mille paure ed ostacoli, passando per l'amore vero. Un Bill spaventato da ciò che si accorge di desiderare, ma determinato ad ottenerlo.
«La pianti di chiamarli così? Si dice “gay”».
«Da quando sei così pignolo sull'argomento?».
«Da quando sono...».
Panico. Sono...? Che cazzo stavo per dire?
«Sei?».
«Da quando sono... più sensibile riguardo il problema dell'omofobia! È la stessa cosa per il maltrattamento degli animali. È anche per questo che siamo vegetariani, no? Beh, qui si parla di persone che è ancora peggio, quindi un minimo di rispetto».
Parlo velocemente, meccanicamente. Non so nemmeno cosa sto dicendo. Spero abbia un senso. So solo che sto dicendo tutto tranne le parole che avevo realmente in bocca. Ho il cuore che mi pulsa nelle orecchie, il sudore sulla fronte e mi tremano le gambe. Che cazzo mi è preso? Sono... cosa sono?
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faccio scorrere l'inchiostro del mio pennarello nero in modo frenetico. È un movimento deciso del polso, ormai automatico. Non faccio neanche più attenzione a dove poso la punta. Scarabocchio la mia firma e passo alla prossima, in modo continuo. Una ragazza si sofferma davanti a me qualche secondo più del dovuto, io la guardo e le sorrido. Lei fa altrettanto, mi mormora un “sei bellissimo” in tedesco strascicante e poi fugge via rossa in viso. Io la guardo andare via, poi mi volto per indirizzare un sorriso alla ragazza dopo di lei che attende con impazienza che firmi anche la sua copia del cd. La accontento, e passo ancora alla prossima. Solo oggi credo di aver ripetuto quest'operazione almeno trecento volte. Dovrei avere i crampi alla mano, ma ormai sono talmente abituato a scarabocchiare firme sbilenche, che non ci faccio più caso. A volte può essere noioso, ma fa sempre piacere vedere come quelle ragazze che sfilano una dopo l'altra davanti a te, ti siano riconoscenti, e ti guardino con occhi luccicanti, piene d'ammirazione. Non sono tutte uguali come si potrebbe pensare. Ognuna di loro ha il suo modo di dimostrarti affetto, ognuna di loro prova un amore da fan, diverso dalle altre. Ciò che le accomuna, è che loro sono sempre qui per me, per noi.
La cosa a volte mi spaventa. Dico sempre di cercare la ragazza giusta, il vero amore. Diciamo che più che altro è ciò che mi dicono di dire, ma un fondo di verità c'è. Non mi farebbe per nulla male avere una ragazza al mio fianco con cui condividere tutto, con cui parlare di tutto. Una ragazza che diventi parte di me. E penso che ognuna di queste ragazze sarebbe estremamente felice di ricoprire questo ruolo. La scelta sta a me.
Il problema è che non ci riesco. Il problema è che di tutte le ragazze che ho visto, non mi sono mai innamorato di nessuna. Alcune mi attraevano, all'inizio. Ora nemmeno più questo. Una volta mentre le vedevo scorrere davanti a me per gli autografi, le osservavo una ad una e nella mia mente giudicavo quanto una fosse più carina o scopabile dell'altra, mentre adesso sotto questo punto di vista mi sembrano tutte allo stesso livello. Forse è la routine, mi convinco. Sì, dev'essere questo.
Mentre penso a ciò, mi trovo davanti un ragazzo, il che è parecchio insolito. Ha i capelli neri liscissimi, gli occhi azzurri e un piercing al sopracciglio uguale al mio. Mi sta davanti sorridendomi e attendendo che anche la sua copia venga firmata. Gli rivolgo un sorriso e poi poggio il pennarello sulla copertina, sfoderando una firma più leggibile del solito. Quando gli riconsegno l'album mi dice “Grazie” e poi il mio sguardo lo segue mentre se ne va. Mi piace il colore dei suoi occhi. E anche lui è carino.
Blocco immediatamente quel pensiero, quasi spaventandomi. No, non l'ho pensato davvero. Era una constatazione oggettiva.
Scrollo la testa e mi concentro su altro.
«Hey Bill, quanto manca?».
Fortunatamente Tom interrompe quei pensieri. Si volta verso di me attendendo una risposta, mentre continua a firmare copertine del nostro nuovo album.
Guardo l'orologio di sfuggita. «Dieci minuti», gli rispondo. «Oh bene. Non ce la faccio più, devo pisciare».
«Non essere troppo fine, Tom», lo rimprovero ironicamente.
Lui alza un sopracciglio ghignando e torna al suo lavoro.
Finita la signing session ce ne torniamo in albergo stanchi morti, nonostante fossimo stati seduti tutto il tempo. Sembra assurdo, ma rispondere per l'ennesima volta alle domande che ti pongono alle interviste e firmare copertine di album per tutto il pomeriggio, può essere molto stancante.
Attraverso il corridoio con la borsa in spalla desideroso di piombare nella mia stanza per una bella doccia rilassante. Sto per far passare la carta magnetica per aprire la porta quando sento chiamarmi.
«Hey Bill, aspetta».
È David.
Lo guardo con espressione interrogativa.
«Scusami, lo so che sei stanco. Ci sarebbe un'ultima intervista al telefono con la Finlandia. Potresti occupartene tu?».
Alzo gli occhi al cielo. Davvero non mi va stasera. Sono stanco, voglio lavarmi e poi riposare.
«Certo», gli rispondo.
«Perfetto. Tieni», mi dice porgendomi un cellulare ultimo modello, «Sono già in linea. Ho detto loro di attendere qualche minuto, così se vuoi puoi farti una doccia intanto».
«No, non importa. Me ne occupo subito. Prima finisco e meglio è». Prendo il cellulare e mi rifugio in camera, chiudendo la porta alle mie spalle.
Ancora non ho avuto modo di vedere la mia stanza. Entrando, scorgo subito un salotto davvero spazioso con un divanetto, due poltrone ai lati e un televisore al plasma fissato al muro. Proseguo e aprendo una doppia porta giungo in camera da letto. Il letto è rotondo con il copriletto e le fodere bianche. A sinistra, dopo tre gradini c'è il bagno dotato di due lavandini, doccia e vasca idromassaggio a due posti. Questo sì che è lusso. Mi sento già un po' risollevato. Butto per terra la borsa, mi siedo sul letto e attivo la chiamata in sospeso.
«Pronto?», chiedo dall'altro capo del telefono.
“Pronto? È il Signor Kaulitz?”, mi chiede gentilmente una voce femminile.
«Sì, sono Bill», rispondo.
“Avrei qualche domanda per lei”.
«Sì certo, sono qui per questo», le rispondo gentile.
“Dunque, può dirci come sono nati i Tokio Hotel?”
«Inizialmente, la band era composta solo da me e Tom e ci chiamavamo i 'Black Questionmark', che è un nome un po' ridicolo, ma eravamo solo dei bambini all'epoca! Poi abbiamo conosciuto Georg e Gustav, che si sono aggiunti alla band, che abbiamo rinominato 'Devilish'. Infine, nel 2005 con l'arrivo del nostro successo il gruppo ha cambiato nome in 'Tokio Hotel'».
“E come mai avete scelto questo nome?”
«Perché volevamo una città frenetica e moderna come Tokyo che ci rappresentasse. Hotel invece è dovuto al fatto che siamo sempre in giro per gli hotel!»
“Va bene. Ora una domanda personale. Lei dice sempre di essere alla ricerca del vero amore. Come mai finora ancora non l'ha trovato? Lei è amato da così tante ragazze!”
Proprio oggi questa domanda? Mi sale un groppo in gola, e non so perché. Mi sento il respiro che si blocca e non ne capisco il motivo. Ho l'istinto di chiudere la chiamata, e gettare lontano il telefono. Invece sono immobile con il telefono stretto fortissimo nella mano destra. Chiudo gli occhi, li strizzo. Ma che mi succede? È una domanda che mi hanno fatto tante, troppe volte. Risponderò anche questa volta, senza problemi.
“Signor Kaulitz? È ancora lì?”.
«Sì scusi, non prendeva bene la linea. Dicevamo... Beh sì, la risposta credo sia che viaggiamo talmente tanto e stiamo in un posto così poco tempo che non ho la possibilità di conoscere a fondo una ragazza per potermene innamorare!», rispondo come se nulla fosse. “Okay. Grazie mille per il suo tempo! Arrivederci.”
«Grazie a lei, arrivederci!», dico con finto entusiasmo.
Digito il tasto rosso e lascio cadere il cellulare sul materasso. Sto per qualche secondo seduto con le ginocchia rannicchiate a fissare il vuoto. Poi mi alzo di scatto e mi fiondo in bagno. Apro il rubinetto della vasca idromassaggio al massimo e inizio a spogliarmi gettando i vestiti per terra. Mi guardo allo specchio mentre il mio corpo si scopre. Quando sono nudo mi osservo più attentamente. Ho la pelle d'oca. Fa freddo, nonostante il vapore dell'acqua calda inizi a scaldare la stanza. Mi avvicino allo specchio e mi guardo il viso scavato. Il trucco è un po' sbavato e le occhiaie sono più pronunciate di quanto fossero la mattina. I capelli sono scomposti. Quando ero uscito per la signing session erano perfettamente tirati all'indietro, un po' cotonati. Ora sono tutti spettinati, e un ciuffo mi ricade davanti l'occhio sinistro. Allungo una mano, e sfioro lo specchio. La manicure è perfetta. Lo smalto nero che mi dipinge le unghie è perfetto. Ma la mia mano è così magra, lo è sempre stata. Come il resto del corpo. Mi hanno sempre dato dell'anoressico, ma non lo sono mai stato. L'anoressia è una malattia mentale. Io invece mangio regolarmente, a volte mi dimentico di farlo, ma è solo perché sono troppo impegnato, non perché voglio diventare uno scheletro che, tra l'altro, sono già. Mi si vede perfettamente ogni costola e le linee dell'inguine sono ben pronunciate.
Mi fisso ancora una volta allo specchio con gli occhi spenti e l'espressione sbattuta. Poi mi volto, e chiudo l'acqua del rubinetto. La vasca è quasi piena. Immergo una gamba nell'acqua bollente, poi l'altra, finché non mi inserisco completamente fino a spingere il livello al limite della vasca.
Poggio la testa contro il bordo, mi lascio scivolare in quel liquido caldo e trasparente. Chiudo gli occhi. Sento il vapore caldo che mi accarezza il viso. E il gusto salato che mi raggiunge le labbra. Non è vapore, sono lacrime.
  
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