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Autore: Stephanie86    05/07/2011    12 recensioni
Come dice il titolo, è il monologo di una ragazza che ha vissuto un'esperienza estremamente dolorosa...
Dal testo:
Credete che sia vero quando dicono che c’è un limite al dolore?
Credete che sia vero quando la gente dice che, se precipiti in un incubo, poi puoi sempre uscirne, per quanto possa sembrare impossibile?
Beh, no. Non è vero niente!
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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MONOLOGO DI UNA RAGAZZA SPEZZATA

 

 

Credete che sia vero quando dicono che c’è un limite al dolore?

Credete che sia vero quando la gente dice che, se precipiti in un incubo, poi puoi sempre uscirne, per quanto possa sembrare impossibile?

Beh, no. Non è vero niente!

Io so che dal dolore viene generato altro dolore. Io so che l’orrore genera altro orrore e che il male genera altro male e che una vita che va in pezzi non può essere ricostruita. A meno che non si possegga la forza necessaria per farlo. Io non ce l’ho. Non ce l’ho quella forza, cazzo. Non più. Non sono come pensavo.

Ho abortito.

Non ricordo molto di quel giorno. Solo che sono stata trasportata in ospedale e che qualche tempo dopo ne sono uscita. Vuota.

E urlante.

E vuota. E urlante.

Urlavo e urlavo e urlavo e urlavo e urlavo e nessuno diceva niente perché credevano che avrei smesso prima o poi. Poi qualcuno mi ha iniettato qualcosa e allora... ho smesso. E non ho più urlato. Non ho più aperto la bocca. Ho urlato dentro di me. Ho urlato nel baratro nero che si era aperto sotto i miei piedi. Ho urlato alla voragine che si era aperta nel mio ventre. Ho urlato al dolore. Ho urlato alla notte che si chiudeva su di me. Ho urlato, sì. E basta. E nessuno mi sentiva.

Un sacco di gente è venuta da me.

Mia madre.

Oh, mia madre è dolce e gentile e pacata... è stata lei a consigliarmi (ordinarmi, pregarmi) di abortire, perché tanto cosa avrei potuto dare io a quel bambino? Non ho nemmeno diciotto anni... non ho un lavoro ed è già tanto se so badare a me stessa. Sì, sono state queste le parole. Proprio queste. Mi ha detto che questo... non è stato altro che un rimandare. Ho mandato il bambino in sala d’attesa e quando sarò pronta ne avrò uno.

In una sala d’attesa! Capite? Sala d’attesa!

Mio padre.

Oh, no, lui non ha saputo niente. Che cazzo, mi divorava viva... mi avrebbe picchiata. Certo. Lui, il padre sempre orgoglioso delle scelte di sua figlia...

I miei amici. La mia migliore amica.

Anche lei, con un sacco di belle parole. Con un sacco di parole inutili!

È arrivato lui. Il mio ragazzo.

Ma io l’ho guardato senza vederlo. Come se si trattasse di un estraneo piombato in casa mia senza permesso.

Sorrideva. Sorrideva quando è venuto perché forse crede di poter capire l’orrore che si prova. Pensa di poter capire quello che si prova. Invece no! Non capisce! Perché a lui non è mai fregato un cazzo del bambino! Lo odio! Stupido! Porco e maiale! E sul diario avevo pure scritto che lo amavo, che lo desideravo, che era stato bello fare l’amore con lui... stronzate. Ho strappato le pagine e non so più dove le ho buttate.

E poi...

Ah, i sogni. Poi sono arrivati i sogni.

Io nella camera coperta da un lenzuolo sporco di sangue. Rumore di carne che si lacera. Una risata. Una risata demoniaca. Una risata stridula. Accuse. Voci che sono come echi che si spezzano e riecheggiano. Pianti. Lacrime sprecate. Dolore. E rabbia. E senso di colpa. E un lago rosso in cui vorrei annegare. E un deserto di ricordi. E occhi che mi guardano. E mani che mi toccano. E ancora echi... parole... aborto, bambino, figlio, anima, Dio, aborto, vita, morte, vuoto, cuore, ragione, cervello, battito, madre, padre, colpa. Buio.

ODIO. Odio verso di lui, che non mi ha aiutata. Né amata. Né protetta.

ODIO. Odio verso me stessa.

Credete ci sia un limite anche all’odio?

Non c’è. Non c’è come non c’è limite al dolore.

L’orologio ha smesso di funzionare. Le lancette sono ferme, aghi rossi morti, rossi come il sangue, rossi come l’odio, rossi come la colpa. Rossi...

Basta.

Devo andare, adesso. È molto tardi.

Non ho lasciato foglietti. Non ho lasciato messaggi. Non devo dire niente a nessuno. A nessuno, capito? A nessuno, mai.

Voglio volare. Perché io so volare, sapete? Adesso andrò di sopra, sul tetto. E volerò. Vi assicuro che volerò. Volerò in alto e giù in picchiata e di nuovo in alto.

Volerò e forse tutti mi guarderanno... tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti...

 

_______________________

 

 

Angolo autrice:

In questo monologo ci sono evidenti ripetizioni, “errori di punteggiatura”, frasi spezzate. È tutto voluto. Essendo un flusso di coscienza, mi sembrava innaturale scrivere un testo che fosse completamente corretto. Quindi se notate strafalcioni nella punteggiatura si tratta semplicemente di una scelta personale.

   
 
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