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L’aria
fresca di primavera avvolgeva le foglie degli alberi ed i fiori appena
sbocciati del giardino, trasportando i profumi e le carezze del vento
lontano, fino alle finestre della casa, fino alle persone annoiate ed
apparentemente felici che vi abitavano.
Un
ricciolo d’aria passò tra i capelli tinti di
Fiordaliso, ma lei non ci badò: era troppo
intenta ad ascoltare l’uomo (o la sua essenza) seduto di fronte a lei.
Stavano
parlando di cose serie, come sempre: mai una volta che si raccontassero
qualche barzelletta!
“Come
ti ho già spiegato, la situazione è molto
complicata: se non troviamo quella piccola peste immediatamente
il mondo sarà in pericolo!”
“Ciò
non ti impedisce di dire cavolate, Michael: mia nipote
rimarrà dov’è, e nessuno, neanche te, potrà portarla via
da qui!”
“Ma
tu non capisci, Fiordaliso, che se non troviamo l’angelo
mancante e lo riportiamo sulla retta via noi tutti saremmo spacciati?
Dovrebbe interessarti la sorte del tuo pianeta!”
“Sì,
mi interessa, ma la vita di mia nipote è più
importante”
“Oh
cavolo… E’ davvero difficile farti cambiare idea”
Michael
si asciugò la fronte dal sudore, esausto per tutte le parole
sprecate con Fiordaliso, parole che non avevano portato ad alcuna
soluzione. Quella donna era davvero testarda!
Ritenere
sua nipote ancora una bambina incapace di badare a se stessa lo faceva
veramente innervosire, ma purtroppo non poteva riprendere in
continuazione il comportamento della donna: era pur sempre sua amica!
Sospirò
sommessamente, voltandosi verso di lei.
“E
non guardarmi con quella faccia da finta offesa!”
Lei
sbuffò, decisamente scocciata, ed alzò gli occhi
al cielo.
“Senti
chi parla”
Lui si
limitò a guardarla rassegnato: avrebbe
voluto scomparire di nuovo, ma il tempo che si era preso
per parlare con Fiordaliso non era ancora scaduto.
Si
allontanò da lei, dal porticato, fino ad arrivare ad un
cespuglio di rose piccolissime non ancora sbocciate: le
ammirò per un attimo, poi si chinò per annusarne
il profumo… Ma non scorse altro odore se non quello delle
foglie ancora intrise d’acqua per la doccia mattutina.
Alzò
il volto, sconsolato: in quella forma poteva approfittare di piaceri
umani davvero effimeri paragonati ad una bella dormita o ad una abbuffata, e sembrava
addirittura che la natura stessa gli negasse l’essenza di un
fiore, o la gioia alla vista dei delicati petali abbandonati nei loro
letti verdi e rigogliosi.
Scacciò
il dispiacere e puntò il suo sguardo su altre piante, alcune
dai fiori già schiusi, altre dall’intenso odore
aromatico, che di certo non guastavano al suo povero naso.
Passeggiò
per il giardino per circa un quarto d’ora, il tempo di
riprendersi dalla piccola litigata e prepararsi a ciò che
sarebbe accaduto successivamente: pensava spesso all’angelo
perduto, ed alla promessa fatta alle due bambine:“Lo troveremo, e lì ci
occuperemo di lui. A quanto pare il suo protettore non è in
grado di seguirlo”.
Il
pensiero di quel bambino (o di quella bambina) che trascorreva una esistenza misera, circondata
da persone che non conoscevano il suo valore, lo faceva rabbrividire:
come si poteva essere così crudeli con un angelo?
Oh non
voleva più pensarci. Il dolore era troppo…
Inoltre
doveva continuare le ricerche; doveva
assolutamente trovarlo.
Sospirò,
e si diresse verso il portone: Mike ed Isabel erano dentro a giocare, e
voleva che Fiordaliso non si impicciasse tanto di una faccenda per lui
molto delicata.
Quando
oltrepassò la
porte ed ebbe messo piede sul primo scalino, scoprì che i
pochi minuti che si era preso per apparire di fronte a Fiordaliso erano
terminati: qualcosa si mutò in lui, ma dopo fu come se non
fosse cambiato nulla.
Non
badò neanche ad uno sbigottito Fernando che lo vedeva
scomparire mentre trasportava una grande cesta del bucato (pericolante,
per giunta) e continuò a salire le scale.
Stava
per bussare alla porta della cameretta di Mike quando la mano si
fermò a mezz’aria: come l’avrebbe presa?
Aspettava da tanto tempo quell’occasione per dimostrare le
sue doti di piccolo angelo: per molti mesi si era esercitata insieme
alla sua amichetta, che ne sapeva di certo più di lei, ed
ora era sicurissima di poter affrontare un’impresa tanto
grande come quella di
trovare un angelo perduto e donargli l’educazione necessaria
alla sua natura.
Ma
Fiordaliso era stata categorica: era ancora troppo piccola per badare a
se stessa.
Ma in
fondo…Se non avesse mai scoperto di essere un angelo, le
cose non sarebbero cambiate molto!
Il
problema perciò, in qualunque modo si girasse, era sempre lei, la famigerata nonnina.
Piuttosto
rincuorato da queste riflessioni, finalmente si decise a bussare e ad
aprirgli gli apparve proprio Mike: aveva gli occhi luminosi come il
cielo ed a quanto pare non vedeva l’ora di vederlo.
“Ciao,
Michael! Hai finito di parlare con la
nonna?”
A
quella domanda i pensieri di Michael si gelarono: doveva
aspettarselo…
Ed ora
cosa le avrebbe detto? Non voleva raccontarle altre bugie.
“Oh…Sì,
appena qualche minuto fa!”
“E
cosa ti ha detto riguardo…Tu lo sai”
“Beh,
non che si fosse espressa molto: era confusa, e preoccupata, e stava
anche mangiando, e sai come può essere irritante la nonna se
la disturbi nel bel mezzo di un’abbuffata…”
“E
perciò?”
“E
perciò…Mi ha detto…”
“Cosa?”
“Ehm…”
Era
difficile parlare con gli occhi di Mike fissi nei suoi, quegli occhi
che da sparuti stavano diventando pian piano più
consapevoli, più belli. Erano proprio quegli occhi che gli
impedivano di mentire.
Sospirò
togliendosi dal cuore l’affanno, ed acquisendo la forza per
dirle la verità.
“Tua
nonna non vuole che tu vada via da casa, Mike. Per lei sei ancora
troppo piccola, e sai quanto tiene a te, quanto ti vuole
bene…”
“Non
mi vuole bene: non vuole che io salvi l’angelo!”
“Ma
cerca di capirla: lei è sola, e sta attraversando un periodo
difficilissimo. Per favore, non
essere così egoista”
A quel
punto lo sguardo della bambina si ghiacciò: si sentiva
accusata di un male che non aveva commesso.
Lei
non era egoista, pensava a sua nonna… Ma i suoi
comportamenti venivano sempre fraintesi.
Possibile
che nessuno la capisse veramente?
Neanche
Michael, il suo protettore, la difendeva. Avrebbe sempre potuto
chiedere aiuto ai suoi compari e manipolare i pensieri della nonna,
proprio come faceva Isabel. Sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi
problemi.
Purtroppo
neanche un angelo era perfetto.
“Pensi
che io non la capisca? Che sia così menefreghista da
lasciarla sola? No, non l’ho mai fatto, neanche con la mamma!
So che loro hanno bisogno di me, ma questo non giustifica la loro
risposta”
Aveva
le labbra contratte nello sforzo di non piangere, e gli occhi gonfi;
pronunciava ogni parola come se avesse sputato una pietra conficcata in
gola.
Michael
la stava a guardare, ormai impotente: voleva avvicinarsi, ma allo
stesso tempo voleva darle il tempo per sfogarsi ed urlare quanto voleva.
Intanto
i suoi lamenti continuavano, e vide spuntare dalla porta socchiusa uno visino preoccupato: era
Isabel, che aveva avvertito la tristezza dell’amica ed era
venuta a consolarla.
Dopo
un attimo di esitazione passata ad osservare Mike ed il vuoto davanti a
lei (dove si trovava lui) le si avvicinò e la
abbracciò senza emettere alcuna parola.
I loro
corpi uniti formavano una colonna informe, abbastanza forte da
sorreggerle entrambe ma troppo debole per contrastare gli attacchi che
avrebbero potuto distruggerla.
Michael
si ritrovò a pensare, inerte, all’oscuro destino
che aspettava le due ragazzine: ora che una piccola anima aveva osato
sfidare le leggi del Signore, nulla era più così
definito e roseo, ed il compito principale era mantenere una
stabilità decente per andare avanti e riportare tutto al suo
ordine originario.
Da
quanto tempo stavano setacciando il mondo nel tentativo di trovare
quell’angelo? Sei mesi? Otto? Un
anno?
Ormai
aveva perso il conto dei minuti passati ad osservare le varie cartine
dei continenti con la speranza che uscisse da quelle
pagine stanche qualche misero indizio.
E quel
poco che sapevano, derivato ormai dall’esperienza, era tutto
inutile…
Passò
del tempo prima che le acque si calmassero: Mike continuava ad avere le
sue crisi di pianto isterico, e sembrava che nulla potesse calmarla.
Isabel
diventava ogni giorno più silenziosa; e Michael,
l’unico che avrebbe dovuto portare avanti il
“progetto”, era sull’orlo del precipizio:
naturalmente le bambine non conoscevano i problemi che un angelo
protettore doveva affrontare tutti i giorni.
Nella
speranza di trovare qualche indizio importante rimaneva tutta la notte sveglio, seduto
sul tetto della casa, ad osservare il paesaggio di fronte a lui,
interpretando i vari segni che gli si mostravano lentamente davanti
agli occhi.
Non
sapeva neanche lui come avesse acquisito questi poteri: di solito i
protettori non hanno altre qualità se non quelle per cui
sono nati, e trovarsi improvvisamente provvisto di nuove
capacità lo rendeva piuttosto dubbioso.
Tuttavia,
parlando con il protettore di Isabel, aveva scoperto che anche lui era
stato fornito di nuovi poteri, proprio per rendere più
rapida la ricerca del “furbacchione”, come ormai
veniva chiamato da tutti.
Naturalmente,
se avessero ritrovato l’angelo, quei poteri sarebbero
scomparsi.
Era
una strana sensazione, e si stava lentamente abituando; non
l’aveva detto neanche a Mike, per paura di una possibile
reazione da mamma iperprotettiva quale si stava dimostrando di essere:
ogni volta che lo vedeva allontanarsi le sue lacrime avrebbero inondato
di certo tutto il piano superiore se Michael non si fosse avvicinato di
nuovo a lei, abbracciandola ed accarezzandole i capelli.
C’era
da dire che preferiva la bambina sola ma felice di prima, che la
piagnucolona e premurosa di adesso! Ma purtroppo, finché le
cose non si sarebbero sistemate, neanche il carattere di Mike si
sarebbe stabilizzato.
Ad
aggravare la situazione della bambina, però, era il peso
della famiglia: sua madre stava malissimo, e lei non sapeva cosa aveva.
Lei,
la nonna e Fernando le stavano sempre vicino, la curavano e la
rallegravano con le loro battute, ma notare i suoi miglioramenti non la
aiutava affatto.
Era
come se si fosse chiusa in una bolla d’aria impenetrabile,
nella quale anche i suoi sentimenti venivano offuscati dal dolore.
Michael,
nella sua veste di protettore, purtroppo non poteva caricarsi tutte le
ansie di Mike sulla schiena, e provvedeva soltanto (anche se di
malavoglia) alla sua educazione angelica: avrebbe voluto far di
più, ma il Capo non voleva.
Era
stato categorico in questo:
“Nonostante
il peso della responsabilità sia grave da portare per un
piccolo angelo, l’angelo protettore non dovrà
assolutamente aiutarlo né prendere il suo posto. Questo
equivale ad una insensata
paura del proprio compito, pertanto l’angelo in questione
verrà subitaneamente sostituito da un altro più
capace e soprattutto meno incline a cadere nella prodigalità
di sentimenti.”
Parole
dure, che il buon Michael non riusciva più a sopportare: da
sempre si era prefisso il compito di aiutare i più deboli,
regalandogli tutto ciò che poteva, e privarsi del grande
potere che generosamente gli era
stato offerto con la sua piccola amica, lo infastidiva moltissimo.
Stanco
di farsi del male pensando solo ed esclusivamente a Mike, decise di
svagarsi un po’ disegnando forme indefinite
nell’aria muovendo le gambe a ritmo di una musica
sconosciuta: la danza lo rilassava moltissimo, anche per poco tempo, e sentire il
sudore scorrere lungo il profilo del viso per lui era una sensazione
stupenda.
Volteggiava
sulle tegole rosse, e quando incontrava un ostacolo non esitava a
schivarlo con maestria, atterrando delicatamente sul tetto e
continuando il suo gioco con il vento.
Non si
fermò se non quando fu sicurissimo di essere stanco e di
avere il cuore (od un suo simile) pulsante come un motore.
Guardò
un attimo le ville di fronte a lui, il limpido luccichio della rugiada
mattutina sulle foglie degli alberi, i lampioni che se ne andavano a
dormire lasciando al Sole il compito di illuminare la strada e chi vi
passava.
Tutto
era così maledettamente tranquillo paragonato ai suoi
sentimenti che dopo due secondi non ebbe più la forza di
guardare niente e decise di ritornare da Mike a farle compagnia mentre
dormiva.
“Sei
sicura di volerlo fare?”
“Mi
sembra l’unica soluzione…Se non osiamo, in qualche
modo, non ne ricaveremo niente”
“Lo
so, ma è rischioso. Potrebbero accorgersene, Isabel! E poi,
cosa farai? Dove andrai?”
“Ancora
non l’ho deciso”
I bei
capelli di Isabel ondeggiavano alla luce del sole, come lingue di fuoco
nero, mentre raccoglieva alcune pietruzze dal terreno e le sistemava
nella sua grande borsa.
Chissà
a cosa le sarebbero servite, nel suo lungo viaggio alla ricerca della
verità…
Al
contrario di me, lei era molto coraggiosa e non le importava cosa
avrebbero potuto pensare i suoi genitori quando si sarebbero accorti
della sua scomparsa. D’altronde la sua famiglia ha sempre
visto il suo come un ruolo nobile, per il quale sacrificare la vita era
un vero onore.
Mia
nonna non mi ha lasciato uscire di casa per sette anni, temendo il
peggio.
Ed ora
riesco a riconoscerne le conseguenze.
“Se
avrai bisogno di me, ti basterà chiamarmi, ed io
arriverò”
Riemersi
dai miei pensieri: Isabel mi sorrideva enigmatica, come sempre. Ma
avvertivo il suo affetto per me, e questo mi rassicurava.
Le
sorrisi e le lanciai uno sguardo di raccomandazione: se avessi perso
anche lei ingiustamente, non avrei più potuto vivere
serenamente.
Lei…
era la mia unica amica…
Quei
pensieri tristi mi uscirono dagli occhi, dove tutti potevano ammirarli;
non era esattamente quello che volevo, ma ormai il danno era fatto.
Mi
asciugai il viso con le mani, e nell’alzare la testa vidi che
lei si era avvicinata a me, e se ne stava immobile a fissarmi.
Tirai
su col naso: ero davvero tanto interessante per lei?
La
risposta non si fece attendere, poiché Isabel
abbassò lo sguardo e mi lasciò cadere in grembo
un oggetto leggero e scivoloso.
Io
stupita lo presi tra le
mani, cercando intanto di capire perché Isabel aveva
compiuto una simile azione ed a cosa mi sarebbe servito quel che tenevo
in mano.
Lasciai
scivolare le perline del braccialetto tra le dita, ma non arrivava
nessuna risposta da loro: erano mute come bolle di sapone.
Poi ad
un certo punto Isabel parlò…
“Questo
braccialetto l’ho fatto con le perline della mia collana:
è un modo per ricordarti sempre di me”
Mi
guardava e guardava il braccialetto come per invitarmi ad indossarlo;
io ero completamente paralizzata dalla felicità!
Non
sentivo più le gambe sotto di me, e le mani erano diventate
due sculture di ghiaccio, che sorreggevano il gioiello per miracolo, e
la bocca tremava come intirizzita dal freddo, anche se il sole ci stava
ancora guardando dal cielo azzurro, divertendosi a creare ombre
colorate sull’asfalto, riflessi dei miei pensieri che la
lingua non aveva la forza di esprimere.
Tentai
più volte di ringraziare Isabel, ma quel che uscì
dalla bocca fu soltanto un rantolo insignificante. Facevo fatica
persino a tenere la bocca aperta.
Notando
i miei sforzi, Isabel non disse nulla e mi prese le mani, racchiudendo
perciò il braccialetto in un groviglio di mani
inestricabile. Non so cosa mi fece comprendere il significato del suo
gesto, ma mi calmai anch’io, mentre un fuoco lento saliva in
me proprio partendo dalle mie mani.
E lei
le guardava, come se ci fosse racchiuso il mondo.
Non
passarono molti giorni da quando Isabel mi inviò una
lettera.
Mi ero
svegliata turbata, i frammenti dei sogni ancora vividi davanti ai miei
occhi, e mi apprestavo a scendere dal letto quando Fernando
aprì la porta tutto trafelato.
“Mike…Mike,
ho qui una lettera per te…Non so di chi sia, non
c’è scritto niente. Ci sono solo due disegni sopra
la busta ed il nome del destinatario…”
“Ehi,
calmo! Siediti e dammi la lettera,
per favore”
“Okay”
Fernando mi porse la lettera mentre si accomodava sul letto disfatto,
ansimando come un cammello: gli anni cominciavano a farsi sentire anche
per lui!
Osservai
per bene la busta: c’erano davvero due disegni sopra, ed il
tratto mi ricordava molto quello di Isabel. Molto chiaro ed attento ai
particolari più insignificanti.
La
aprii con cautela e presi il foglio all’interno,
così emozionata che mi tremavano le mani, e stavo per
iniziare a leggere quando Fernando iniziò.
“Non
è che potrei sentire anch’io cosa dice? In fondo
mi sono fatto due rampe di scale a piedi per portartela!”
Sospirai
e acconsentii; in fondo Fernando era uno di famiglia!
Mi
schiarii la voce solennemente ed iniziai a leggere:
“Cara Mike,
sono in viaggio da parecchie
settimane ma ancora non sono riuscita a trovare alcun indizio. Spero
che da te vada meglio! Come stai?
Purtroppo
prima non ho potuto scriverti perché ero troppo impegnata
nella ricerca dell’angelo, e non avevo neanche un
po’ di carta a disposizione. Io sto bene, non ti preoccupare.
“Oh
almeno lei sta bene!”
“Cosa
significa? Anche noi stiamo
benissimo!”
“Ti
stai forse dimenticando di una cosa, Mike?”
“Ehm…Veramente…La
lettera non è ancora finita!”
“Ultimamente penso spesso a noi due,
ed a quanto stavamo bene insieme: chissà per quanto tempo
rimarremo divise…
Il compito
che ci è stato affidato è sì
onorevole, ma molte volte abbiamo bisogno di riposo e di affetto.
E’ così per noi come per tutti gli altri esseri
umani”
“Ha
perfettamente ragione!”
“Ma
scusami, tu che cavolo
centri?”
“Volevo
intervenire, tranquilla!”
“Ma
non è rispettoso nei miei confronti!”
“E
dai, non fare l’esagerata e continua”
“Uff,
va bene...E’
quasi finita”
“Ora ti lascio, devo continuare a
camminare per raggiungere il Nord!
Ricordati
sempre che io ti sono vicina, e che se ci saranno novità te
le farò sapere in tempo, sempre scrivendoti.
A presto, mia
cara amica
Isabel”
“E’
finita così?”
“Credo
proprio di sì, Fernando”
Stringevo
la lettera tra le mani, gli occhi vuoti e confusi.
Avrei
voluto leggere di più, seguire con attenzione la grafia
delicata di Isabel, le sue vocali allungate e gli svolazzi ad ogni fine
di parola, le sue scoperte, i suoi pensieri, emozioni e nostalgie; ed
infine piangere al momento dei saluti, davanti ad un modesto
“A presto” …ed invece mi dovevo
accontentare di poche parole scritte con snervante
tranquillità e impercettibile rassegnazione.
Non mi
aspettavo una missiva così povera da parte di un fenomeno
come lei, ma sicuramente la vergogna aveva frenato il suo desiderio di
raccontare: prima non si fermava mai davanti ad un ostacolo,
schivandolo come un ciottolo sul marciapiede, proseguendo trionfante il
suo cammino.
È
come se il suo fallimento l’avesse privata di quella
silenziosa energia che sentivo ardere in lei ogni volta che mi stava
vicino, un’energia che per me sembrava infinita…
Ma non lo era.
Ogni
cosa aveva un limite, purtroppo.
Ed io,
stupida ragazzina, mi ero aggrappata sin troppo a questa energia, senza
neanche chiedermi cosa provasse Isabel, cosa sentisse ogni volta che le
chiedevo aiuto, rendendola schiava della mia debolezza…
Il
foglio che avevo tra le mani iniziò ad inzupparsi di lacrime
anormali, gelide: solo ora riuscivo a comprendere il mio errore, e me
ne vergognavo profondamente.
Ero
sicurissima che non sarei
più riuscita a guardare in faccia Isabel da
quel momento. Rimediare ormai era troppo
tardi, ed una persona come me non ne era capace.
Non
avevo di certo torto a considerarmi una nullità…
Fumi e
vapori di fine giornata si riversavano dalle finestre di casa Villa
quando gli abitanti le aprivano per prendere un po’
d’aria.
Certo,
l’aria di Los Angeles era quel che era, ma a Katie non dava
fastidio più nulla, neanche i gas di scarico delle
automobili. Anzi, c’era da dire che la eccitavano.
Da
quando aveva ricevuto una bella mazzata riguardo il
prezzo della merce, aveva deciso di comprare soltanto nei giorni
festivi, quando tutto costava meno, e godersi quegli attimi di
felicità offerti dalla sua amica in modo breve ma intenso.
Capitava
spesso di vederla intenta ad armeggiare con una siringa nei vicoli bui
delle periferie, luoghi proibiti e deliziosi.
Lì
aveva conosciuto molta gente come lei: ci aveva scambiato qualche
parola, ed anche qualche spinello.
Erano
di certo
quei tipi che sua madre avrebbe massacrato a padellate e
gettati vivi in una fossa, ma lei ci stava bene, e sinceramente non
gliene importava molto dei
giudizio della madre.
Ormai
quella signora di mezza età doveva pensare alla sua
nipotina, e non aveva più tempo per la figlia…
Nonostante
l’affetto che nutriva per la madre, a Katie non era mai
andata a genio l’idea che Mike dovesse vivere nella bambagia
come una principessina, senza neanche scoprire i segreti che quella
città sapeva nascondere.
Naturalmente,
questa idea era stata di sua madre.
Quella
donna che l’aveva educata all’amore ed alla
speranza, facendole credere che il mondo fosse tutta
un’illusione e che le disgrazie accadano per volere del
destino, e che solo i più buoni si potevano salvare da
un’esistenza dura ed eterna.
Lei
era di altre opinioni, ma
Fiordaliso non l’ha mai ascoltata così a fondo da
capire quel che veramente la ragazza provava: per lei erano i tipici
problemi dell’adolescenza, sarebbe passato tutto.
Ed infatti era tutto andato liscio.
Aveva
avuto una figlia dal suo professore di matematica, conosciuto il
piacere del proibito prima ancora di compiere la maggiore
età e speso centinaia di dollari guadagnati degnamente per
il più sporco degli affari.
Sì,
era andato tutto bene. C’era gente che se la passava molto
peggio di lei, ed al solo pensarci il suo cervello si dilatava fino a
creare una voragine di tristezza e solitudine, che inghiottiva tutti i
pensieri belli e non la faceva più respirare.
Certo,
aveva imparato a sopportare la vita, ma non era ancora riuscita a
sopprimere il dolore. Dolore.
Tanta
gente non sa cosa significhi dolore…
E tanta lo sa fin troppo bene.
Anche
le finestre sanno cosa sia il dolore: in un certo senso assistono a
ciò che accade in una stanza, e se vogliono
lo condividono con altri, come per dire; “Ehi, guardate un
po’: c’è gente che soffre dentro questa
casa! Perché non fate nulla per aiutarla invece di stare
impalati a guardarmi? Io sono solo una finestra e non posso fare un
cazzo per loro!”
Benedette
finestre, come sono modeste!
Katie
rimuginò sulle sue idee per un po’: non erano poi
così male, anche se maledettamente insensate.
Stette
ancora un po’ a guardare il paesaggio, prima di chiudere le
imposte di legno della finestra e sprofondare nel buio più
assoluto.
Salve gente! Scusate
davvero per il ritardo D: stavolta ho proprio esagerato! Pensavo che
non avrei più avuto problemi nell’aggiornare la
mia storia, ma adesso mi rendo conto di quanto mi sono sbagliata.
Purtroppo ho
avuto dei problemi in questi mesi, sia a livello fisico che mentale,
che non mi hanno permesso di continuare a scrivere come volevo.
Per settimane
intere non ho praticamente scritto nulla!
Ho riniziato circa un mese fa, e
fortunatamente ho quasi finito xD devo solo aggiungere il titolo ai
capitoli, ma non sarà un problema, fidatevi!
Vi chiedo
infinitamente scusa per questo mio errore, poiché in fondo
siete voi, lettori, a darmi ancora la voglia di scrivere: forse in
questo periodo riuscirò ad assorbire la vostra forza ed a
continuare decentemente il mio lavoro.
Pensando ad
altro, vi ricordo che sto correggendo la prima serie di “Will
you be there”,
quindi, chiunque voglia leggere, si ricordi che i primi capitoli sono
ancora in fase di correzione, pertanto il livello di scrittura
è ancora basso come la mia voglia di alzarmi da questa sedia
maledetta .__.
Inoltre, ho
notato che ci sono delle incoerenze tra ciò che scrissi
molto tempo fa e quello che sto scrivendo adesso: se per caso vi
rendeste conto di errori o distrazioni, non esitate a dirmelo! Sarei
molto felice di questo, anzi xD (con questo, non voglio dire che non
ricontrollo quello che ho scritto: ho la memoria a breve termine, tutto
qui xD)
Per ultimo, vorrei ringraziare chi ha
letto, e soprattutto chi ha recensito! Come natalia, della quale
apprezzo le recensioni ed i complimenti alla storia. Grazie mille, mi servono proprio
incoraggiamenti del genere!xD
Se recensirai
anche questo capitolo, ti prometto di illustrarti ancora meglio la
trama della storia :D
Ringrazio
inoltre la cara GioTanner per il
titolo *_* mi sei sempre d’aiuto, Rò, grazie mille
<3
Bene, adesso
posso anche andare via D:
Grazie per
aver letto questo capitolo, alla prossima! (non vi preoccupate,
sarò puntuale u.u)
Looney**