Altrove
~ three times goodbye
Confess to me every secret moment, every stolen
promise you believed.
Non accadeva spesso che Ozma lasciasse il palazzo reale della Città di
Smeraldo. Quando accadeva, di solito c’era di mezzo un convegno da tenere
con Glinda la Buona, sua fidata consigliera; allora
la si poteva vedere percorrere le ampie strade del Paese sul suo carro dorato,
a volte assistita dal Leone e dalla Tigre, diretta a sud, e ovunque al suo
passaggio tutti cantavano e danzavano e si prostravano a salutare la sua
venuta, tessendo le lodi della Principessa ritrovata. I tempi in cui la
fanciulla poteva semplicemente uscire dai cancelli in groppa al suo Cavalletto
e andare a fare un giro per i suoi domini, magari assieme a Jack, erano ormai
finiti. La vita di corte, con tutti i suoi impegni, l’aveva ghermita:
ormai il destino di una terra intera gravava sulle sue giovani spalle; e lo
Spaventapasseri sapeva bene quanto quel compito potesse essere gravoso, poiché
per qualche tempo era stato il suo. Pertanto era piuttosto confuso il modo in
cui la guardava, ora, seduta lì al tavolo da pranzo di Nick, vestita di
un leggero abito da viaggio e con le mani delicatamente giunte sulla tazzina dalla
quale di tanto in tanto sorseggiava il tè fatto preparare appositamente
per lei.
Era arrivata da sola,
nel tardo pomeriggio, quando il sole aveva già iniziato a stendere raggi
di fuoco sul paese degli Winkie. Il Boscaiolo di
Latta l’aveva accolta con molta gentilezza, poiché il piacere di
rivederla superava qualunque sorpresa; non le aveva neppure posto domande sull’assenza
del suo carro, del suo seguito, o finanche sul contenuto di quello strano pacchetto
dalla forma cilindrica che aveva portato con sé. Con delicatezza
infinita aveva poi accettato il fatto che fosse venuta « per parlare con
lo Spaventapasseri », e non si era opposto alla sua richiesta di lasciarla
sola con lui mentre le veniva servita la cena.
Ma se il cuore del
Boscaiolo aveva un battito più forte della sua curiosità, il
cervello fino dello Spaventapasseri lavorava febbrilmente. Non era mai successo
che Ozma venisse a cercarlo piuttosto che inviargli
un messo, cosa che avveniva per tutte le occasioni importanti – come il
recente, temporaneo ritorno di Dorothy a Oz, di certo
ciò che di più bello fosse accaduto nel Paese da molto tempo. Tantomeno
era mai successo che Ozma affrontasse un simile
viaggio fin dalla Città di Smeraldo da sola, sul fido Cavalletto, e con
un non meglio identificato oggetto da consegnargli personalmente. Invero la
Principessa oggi gli sembrava molto più simile al ragazzino con la
pepiera che ricordava di aver conosciuto, impulsivo e libero, che non alla
dignitosa legittima erede al trono di Oz.
Aveva lasciato
trascorrere molto tempo, e la fanciulla aveva gustato con calma le vivande con
cui il suo inaspettato arrivo era stato accolto, certa della discrezione del
suo vecchio amico, pari a quella del caro Nick. Era pertanto da svariati minuti
che lo Spaventapasseri se ne stava immobile a fissarla, il cervello all’opera,
dondolando un po’ soltanto le braccia molli, in piedi, perché lui
non aveva alcun bisogno di stare seduto come lei.
Ozma parlò solo dopo
aver finito anche il suo tè, sfiorandosi le labbra con una salvietta
dorata e sollevando su di lui uno sguardo e un sorriso.
« Certo ti starai
chiedendo il motivo della mia presenza qui, Spaventapasseri. »
« Oh, sono molte le
cose che mi chiedo » le rispose lui, poiché era troppo sincero e
anche troppo curioso. « Non ci siamo più visti da quando hai
mandato di nuovo a casa la piccola Dorothy, e poi il giovane Zeb. Da allora non è venuto nessuno a farci riunire
ancora. »
Dovette tacere, confuso;
il pensiero di Dorothy era sempre un pochino doloroso, e non era mai piacevole
evocare i momenti dei loro tanti addii. Gli piaceva molto di più
ricordarla felice a Oz – anche se il dolore c’era
lo stesso, sempre nello stesso punto, da qualche parte sulla sinistra del suo
petto impagliato.
« La piccola
Dorothy, sì. » Ozma annuì pensosa,
giocherellando con il coperchio di una zuccheriera intarsiata d’oro. « Vedi,
è proprio lei, in un certo senso, che mi ha portata qui. »
Alzò di nuovo gli occhi, e il suo viso candido si fece stranamente
serio. « Ti manca molto, non è vero? »
Lo Spaventapasseri si
strinse nelle spalle, in un fruscio di paglia fresca. « Manca a tutti, Principessa. »
« Ma a te manca
più che a tutti. Lo so. Ho visto il modo in cui l’hai abbracciata,
quel giorno, quando vi mandai a chiamare e tu arrivasti per primo. » Ozma sospirò. « Vorrei che qualcuno mi
abbracciasse così, qualche volta. »
Lo Spaventapasseri non
disse nulla. Era ragionevolmente convinto che Ozma
ricevesse molti abbracci, da Glinda, da Jack, forse
anche dalla dolce Jellia che si occupava
personalmente della fanciulla. Ma magari non era la stessa cosa, per lei; e
dopotutto era troppo intelligente per trascinarla in una discussione che
rischiasse di metterla a disagio in qualunque modo. E poi, anche lui non
riusciva a parlare con tanta facilità di Dorothy, o del momento in cui
aveva dovuto – di nuovo – salutarla. Forse la Principessa aveva
ragione: forse a lui mancava
più che a tutti. Sospettava che gli ci volesse un cuore per esserne sicuro;
ma dopotutto un cuore non gli era mai servito, non finché Dorothy era
stata a Oz.
Il dolore sconosciuto si
acuì a quelle riflessioni; ma Ozma ora si era
alzata in piedi, sollevando anche il lungo pacchetto che aveva lasciato sul
tavolo della cena, non permettendo a nessuno di spostarlo dalla sala. La ragazza
era tornata a sorridere.
« Vorrei che mi
indicassi una stanza di questo castello in cui entri solo tu, un posto in
qualche modo speciale per te. Esiste una stanza così? »
Fu felice di risponderle
e di allontanarsi dai suoi tristi pensieri, sebbene quella strana richiesta l’avesse
sorpreso.
Ci pensò su per
un lungo istante. « C’è la torre orientale » disse
infine; « a volte salgo lassù per guardare la Città di
Smeraldo. Nick non lo fa mai. Dice che non gli servono i ricordi del passato, perché
ama con tutto il cuore il suo presente. »
Ozma annuì di nuovo. « Non
mi sarei aspettata nulla di diverso » disse, e poi si avvicinò e
gli chiese di guidarla.
Di norma lo
Spaventapasseri ci teneva ad avere sempre chiara in mente qualsiasi situazione
gli si profilasse dinanzi; in questo modo era sicuro di poterla valutare con la
dovuta obiettività, prima di affrontarla e di correre gli eventuali
rischi. Ma si fidava della Principessa, e non aveva bisogno di spiegazioni per
obbedirle.
La portò con
sé fuori dalla sala di ricevimento, oltre una porticina di legno laccato
in oro e su per una lunga scala a chiocciola. Si offrì di portare al suo
posto il pacchetto, ma Ozma non volle lasciarglielo. Disse
che era una sorpresa. Di nuovo lo Spaventapasseri non fece domande.
Arrivarono in una
stanzetta spoglia, un po’ polverosa, perché davvero nessuno a
parte lui vi entrava mai. Ozma la trovò
perfetta. Una sola finestra guardava a est, dove all’orizzonte,
già quasi buio, si profilavano le guglie verdi della Città di Smeraldo
– e più in là, invisibile allo sguardo, c’era il
paese dei Munchkin, che gli ricordava tante cose, delle
quali alcune erano molto tristi e altre sapevano di Dorothy.
Stettero là in
silenzio per un po’, e Ozma gli voltava le
spalle quando riprese a parlare, in tono sommesso e partecipe.
« È al Mago
che dobbiamo quella città, lo sapevi? È stato lui, molti anni fa,
a ordinare che venisse costruita e diventasse il punto d’incontro delle
quattro regioni del Paese di Oz. » Senza
attendere una risposta, iniziò ad aprire il pacchetto quasi senza
guardarlo. « Quell’uomo si è macchiato di colpe riprovevoli,
ma non posso negare che abbia un grande cervello, un grande cuore e un grande
coraggio. »
Lo Spaventapasseri
sorrise, sentendo tendersi i punti di cucitura agli angoli della bocca, senza
dire nulla.
Il pacchetto ora era
quasi aperto. Ozma si voltò, mostrandogli un
sorriso molto simile al suo.
« Da quando
è tornato, la sua magia si è molto rafforzata. Penso che l’aria
di Oz gli faccia bene... O forse la buona Glinda l’ha aiutato a mia insaputa, non saprei. Ad ogni
modo, questo è un suo regalo: io ho semplicemente pensato che dovessi
averlo tu. »
Quando il cilindro fu
svolto, lo Spaventapasseri vide che si trattava di un foglio di carta all’apparenza
assolutamente comune, ma la cui immagine ritratta vorticava senza sosta. Ozma si avvicinò alla parete nuda e tese il foglio;
quello, come animato di una propria volontà, si adagiò piano
contro il muro, come i cerotti sulle ferite che aveva visto una volta sui
fianchi di Jim il cavallo.
Perplesso, lo
Spaventapasseri guardò la Principessa, e si vide rivolgere da lei il
più bel sorriso che le avesse mai visto in volto.
« Ora, amico mio,
vorrei che tu impegnassi il tuo straordinario cervello nel pensiero della
persona che più ti piacerebbe vedere in questo momento. Poi guarda il
foglio, e dimmi cosa vedi. »
Era sempre più
confuso, ma ancora una volta non poté non obbedire. Rivolse di nuovo gli
occhi dipinti al disegno indistinto nel quadrato di carta – e fu uno solo,
quello di sempre, il viso che si
delineò minuzioso e vivido nei suoi pensieri.
Un istante dopo, il
disegno si produsse in un ultimo vortice prima di focalizzarsi sull’immagine
di una ragazzina dai capelli biondi, che giocava con una gatta e un cane, e
parlava con un uomo e una donna, e sorrideva al sole di un mondo in cui non c’erano
quadri magici a mostrare persone care, né polveri magiche a dare vita
agli oggetti, né case a cadere in testa alle streghe.
Passò molto tempo
prima che lo Spaventapasseri si ricordasse del quadro nella stanza di Ozma, quello che legava Oz e il
lontano Kansas, e che il Mago doveva aver preso da esempio per questo dono
straordinario alla terra che l’aveva riaccolto perdonandogli tutto. Ma tutto
ciò non aveva davvero alcuna importanza. A stento percepiva la presenza
della Principessa, ancora accanto a lui, e non riuscì a distinguere le
parole che lei sussurrò tra sé e sé.
C’era solo il viso
di Dorothy, che da qualche parte viveva serena, con una famiglia di carne e
sangue, in una terra che non aveva mai salvato. E chissà se lei sapeva,
in quel momento, che altrove c’era uno Spaventapasseri che la guardava e
si sentiva morire – pur non potendo sapere cosa fosse la morte.
Ma il dolore era
più forte che mai, e all’improvviso seppe di cosa si trattasse, anche senza quel cuore che forse gli
serviva.
Alla fine il Mago era
davvero un Mago, dopotutto; e sentiva di doverlo ringraziare di questo prodigio
ancor più che del cervello che gli aveva donato.
Avrebbe voluto
ringraziare anche Ozma, ma era già vuota la
stanzetta in cui si ritrovò, in piedi, a guardare il sorriso di quei
ricordi che gli facevano male e che erano per lui la cosa più preziosa. E
quando scese la notte sul castello di Nick Chopper, il Boscaiolo di Latta,
Imperatore degli Winkie, lo Spaventapasseri fu felice
di essere, invece, solo un pupazzo di paglia e stracci che per vivere il
presente aveva bisogno del passato.
Nel quadro incantato,
Dorothy sembrava sorridere proprio a lui. Sì; gli mancava più che
a tutti.
Pictures of you, pictures of me, remind us all of what
we could have been.
Spazio dell’autrice
Ho letto Dorothy and the Wizard in Oz. E ho capito perché
non è mai stato tradotto in italiano [prima di oggi, edit agosto 2011]. Se i precedenti volumi sono
racconti fantasy molto vicini al canone fiabesco, in questo quarto romanzo c’è
una componente dark non indifferente, che in certi punti sfiora il macabro. Immagino
che nel primo Novecento letture di questo tipo – per quanto normalissime –
non fossero particolarmente apprezzate dai genitori che si sedessero a leggere
favole ai bambini...
Ciò non toglie che anche questo quarto volume mi sia
entrato nel cuore, facendomi innamorare di Zeb, rivalutare
il Mago e trovare ancora altri indizi dello Spaventapasseri/Dorothy – alt!;
non è detto che questa sia una buona cosa. xD
Ad ogni modo, essendo questa storia uno spoiler totale, mi vedo quantomeno obbligata a fornirvi qualche
spiegazione.
Nel quarto romanzo del ciclo di Oz,
Dorothy Gale, che alla fine del terzo avevamo lasciato in visita in Australia
con lo zio Henry, si ritrova a doverlo raggiungere al Ranch Hugson
in California. Ad aspettarla in stazione c’è il lontano (adorabile♥) cugino Zeb, sul calesse trainato dal
cavallo Jim. Ora, come saprete, la California è un Paese sismico, dove i
terremoti sono all’ordine del giorno; tuttavia accade l’inaspettato
quando, sulla strada per il ranch, il calesse con Dorothy, Zeb,
Jim e la gattina Eureka precipitano in una crepa apertasi nel terreno proprio
per via di un forte terremoto e finiscono in un magico mondo sotterraneo –
dove più tardi si ritroverà anche Oz,
il Mago già conosciuto da Dorothy all’epoca in cui l’ometto
governava il Paese suo omonimo. Non vi racconterò tutte le loro
avventure: vi basti sapere che alla fine, grazie al dipinto magico custodito
nella sua stanza, la Principessa Ozma di Oz salverà Dorothy e i suoi compagni da un brutto
guaio, facendoli ritrovare sani e salvi alla Città di Smeraldo.
Ecco, è da qui che parte il mio vaneggiamento. Tanto per
cominciare, Ozma afferma, nel quindicesimo capitolo,
di aver inviato messaggeri a tutti i vecchi amici di Dorothy per avvertirli del
suo ritorno: e anche se viene detto espressamente che ora lo Spaventapasseri e
il Boscaiolo di Latta vivono insieme
alla corte degli Winkie, lo Spaventapasseri arriva molto prima del Boscaiolo – e si precipita ad abbracciare la
ragazzina e a dirle quanto gli è mancata, aww.
Ciò dimostra un affiatamento ancora vivissimo tra i due. E poi mi sono
affidata al fatto che una creatura dolce come lo Spaventapasseri deve essere
rimasta devastata dal dover dire addio
a Dorothy per nientemeno che la terza volta, alla fine di questo quarto
romanzo. Allora mi sono detta: ma quel quadro che ha Ozma,
non potrebbe averlo anche lui? Forse soffrirebbe meno se potesse almeno vederla,
povero piccolo. ♥ Da lì, ta-dan, ecco la shot. Be’,
le fanfiction esistono per questo, giusto? xP
Piccole note su dettagli inutili ma doverosi: l’insistenza
sul color oro nel palazzo del Boscaiolo di Latta è dovuta al fatto che a
Oz ogni regione ha un colore caratteristico, e l’ovest
è appunto rappresentato dall’oro; la cena viene servita ‘appositamente’
per Ozma perché il Boscaiolo e lo
Spaventapasseri, com’è ovvio, non mangiano mai; il ‘mancare
più che a tutti’
è un palese rimando alla frase storica ‘mancare più di tutti’ del film del 1939.
I versi in incipit e chiusura sono tratti da Pictures of you, The
Last Goodnight. ‘Altrove’ è un
voluto omaggio a Morgan.
Cosa aggiungere? Ah, sì. Perdonatemi! :D
Aya ~