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Autore: Sybeoil    09/07/2011    1 recensioni
Come dovrebbe essere una ragazza? Dolce, aggrazziata, sensibile e schiva. Beh, io sono l'esatto opposto. Il mio nome è Amalia e faccio parte della Gilda, la più grande congrega di assassini di tutto il regno. Vivo in questo modo da quando ho quattro anni, vale a dire, dal momento in cui Shiack mi trovò per le vie della capitale a chiedere l'elemosima. Sono stata cresciuta da una banda di uomini che di mestiere fanno gli assassini, perciò fossi in voi non mi stupirei se vedeste in me una specie di maschiaccio imprigionato nel corpo di una donna.Quando voglio so essere piuttosto spietata e crudele e decisamente non assomiglio a quelle oche giulive che fanno da protagoniste nelle favole per bambini. Io, al contrario loro, non ho bisogno di essere salvata, anzi forse dovrei salvare gli altri, ma da me stessa. Ah,e per finire. Ho diciotto anni, capelli biondo lucente, occhi azzurro lapislazzuli e questa è la mia storia.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

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 " Dal libro della Gilda: quando uccidi
non pensare, farai meno male a te
e alla tua vittima"

 

 

Gli occhi lapislazzuli della ragazza scrutarono l’oscurità cercando di trovare la via di accesso migliore. Quella sera il vento soffiava più forte scuotendo le fronde degli alberi carichi di frutti. Il quartiere in cui si trovava era uno dei più ricchi della città e vantava abitanti decisamente importanti. Le famiglie più nobili della contea si erano stabilite in quel pezzetto di mondo circa cinque secoli prima cacciando dal quartiere le famiglie di contadini che lo abitavano. Ad Amalia non stavano particolarmente simpatici, possedeva una sorta di ripudio innato verso tutti coloro che vivevano negli agi e negli eccessi più sfrenati. Non c’era nulla che quegli stupidi ragazzetti viziati non potessero permettersi, persino la morte arrivava a loro comando e in quel caso sotto forma di ragazza seducente. Il tetto del palazzo sul quale si era appollaiata era pieno di casse di legno; sarebbero state un ottimo nascondiglio nel caso qualcuno l’avesse scoperta. Facendo attenzione a dove metteva i piedi scavalcò il cornicione e cominciò a scendere verso le finestre più in basso fino ad arrivare al primo piano. Nella stanza a sud ovest della casa, dormiva inconsapevole, un ragazzo che sarebbe diventato la sua prossima vittima. Ci sarebbero voluti pochi minuti e poi finalmente sarebbe potuta tornare a casa nel suo letto. Il suo caldo, accogliente e morbido letto che aveva dovuto abbandonare per finire il lavoro che le era stato commissionato. La pagavano ben seicento dobloni solo per uccidere uno stupido ragazzo di appena diciassette anni che, a detta della famiglia mandante dell’omicidio, aveva profanato le floride doti della figlia. Ad Amanda pareva una cosa stupida, ma se la pagavano così tanto, lo avrebbe fatto senza stare a discutere. La stanza nella quale entrò era piccola e stretta piena di cianfrusaglie dimenticate e impolverate. L’aria era viziata e sapeva di muffa, segno che lì dentro non doveva entrarci nessuno da un bel po’. Cercando di non inciampare su una sedia rovesciata andò alla porta che riuscì ad aprire solo dopo qualche sforzo. La serratura doveva essersi arrugginita formando una patina che con l’umidità aveva bloccato la porta. Una volta uscita da quella specie di sgabuzzino si ritrovò su un corridoio semi illuminato con il pavimento il legno lucido e le pareti di un verdino muffa, davvero vomitevole. Mentre camminava alla ricerca della stanza nella quale ronfava tranquilla la sua vittima pensò che quei ricchi avevano dei gusti proprio di merda. Cavolo con tutti i soldi che avevano dipingevano le pareti di verde muffa? Nemmeno un pazzo lo avrebbe fatto. Finalmente, dopo aver attraversato tutto il corridoio silenziosa come un gatto, trovò la stanza che le interessava. Da dentro si sentiva provenire il respiro lento e regolare di un ragazzo. Decisa a chiudere quella storia il più in fretta possibile, girò lentamente il pomello della porta, sperando che non fosse chiusa e chiave e spinse. L’uscio si aprì cigolando appena e permettendo alla ragazza di entrare indisturbata nella stanza buia. Due pesanti tendoni coprivano le finestre a lato della stanza mentre un letto piuttosto grande occupava l’intero lato est. L’arredamento era piuttosto spartano, composto da un semplice armadio e un tavolino. Nulla di eccessivo. Per Amalia fu facile quindi, arrivare fino al letto, non c’erano ostacoli. Il respiro lento e regolare del giovane formava un soffice eco all’interno della stanza, creando una dolce melodia. I suoi capelli spettinati andavano a tempo con il ritmo del suo respiro, sollevandosi e abbassandosi ogni volta che ispirava ed inspirava. Purtroppo per lui quegli sarebbero stati gli ultimi respiri della sua vita.

Come per ogni omicidio, prima di procedere Amalia, rivolse un piccola preghiera agli Dei chiedendo che proteggessero l’anima che stava per consegnare loro.

< Vi prego Dei di accettare l’anima che sto per consegnarvi e di condurla alla pace >

Terminata la sua preghiera, estrasse il pugnale a lama lunga che Shiack le aveva regalato per il suo decimo compleanno, e dopo aver pronunciato il nome del ragazzo con un filo di voce gli lacerò la trachea.

Il sangue uscì a fiotti dalla gola del ragazzo macchiando le coperte candide e il pavimento in legno lucido. Amalia era stata più che silenziosa nel suo lavoro, ma comunque era meglio non rischiare, così tagliò la corda il più in fretta possibile senza però dimenticarsi di incidere lo stemma della gilda sulla fronte della sua vittima. Erano dodici anni che faceva quel lavoro e ancora non era riuscita a capire perché Shiack ci tenesse tanto che il simbolo della gilda comparisse in ogni omicidio che compivano. Amalia stava cominciando a credere che il suo capo avesse manie di protagonismo. La notte la accolse tra le sue ombre proteggendola dallo sguardo di una coppia di giovani amanti che si dava da fare davanti al caminetto della loro camera da letto. Rapida come un felino scalò il palazzo tornando sul cornicione del tetto dove aveva lasciato la sua borsa e il corpetto di pelle. Quella sera le aveva dato fastidio sul seno così aveva deciso di toglierlo per lavorare meglio. Ora finalmente poteva tornarsene a casa e dormire.

 

Le vie della città erano silenziose e deserte a parte qualche ubriaco che giaceva con la faccia riversa al suolo all’uscita di qualche locanda. Provava una pena incredibile per quelle persone, ridotte ad uno straccio, a causa del sistema di governo che si era installato nel paese. Camminò svelta cercando di non pensare a quell’insetto che sedeva sul trono e che governava come se tutto gli appartenesse, opprimendo e schiavizzando donne e bambini. Lei di certo non era migliore di lui dato che era un’assassina di professione, ma per lo meno non si divertiva a vedere le persone soffrire. Quando doveva uccidere lo faceva in fretta e senza procurare dolore. Il palazzo nel quale viveva da quando aveva quattro miseri anni si stagliò in tutta la sua bellezza. Le guglie alte e imponenti, e le finestre decorate, lo facevano assomigliare molto di più ad una cattedrale che al nascondiglio di una gilda di assassini. I suoi predecessori avevano scelto quel posto perché nascosto dalla fitta vegetazione del bosco che cresceva tutto intorno alla città; in quel modo sarebbe stato difficile individuarli da parte dei soldati, ma sarebbe stato facile per loro arrivare in città e muoversi circospetti. I cespugli di more che segnavano l’inizio del bosco l’accolsero graffiandole le gambe fasciate nei pantaloni di pelle della divisa, mentre le foglie secche scricchiolavano sotto il peso dei suoi passi. La strada per raggiungere il nascondiglio era la prima cosa che Shiack le aveva insegnato. Diceva sempre che nel caso fosse stata scoperta avrebbe dovuto correre come il vento e rifugiarsi nel palazzo, in modo da poter essere aiutata e soccorsa se ce ne fosse stato bisogno. Ogni albero ormai lo ricordava a memoria, non c’era nulla di quel posto che non conoscesse nei minimi particolari, persino ogni rametto era impresso nella sua memoria.

Il grande portone in legno nero le si presentò in tutta la sue bellezza ricordandole la prima volta che lo aveva visto.

Aveva appena quattro anni quando Shiack l’aveva raccolta dalla strada portandola con se. Per lei quella era stata la notte più brutta della sua vita, ricordava solo il fuoco e la voce del suo capo che le assicurava che tutto sarebbe andato bene, poi il buio l’aveva presa facendole chiudere gli occhi. Li aveva riaperti solo quando ormai erano a pochi passi dall’imponente palazzo. Le forti braccia di Shiack la cullavano teneramente mentre gridava ordini a uomini invisibili. Come mosso dal vento il grande portone si era aperto al loro passaggio rivelando delle incisioni che l’avevano incuriosita e dalle quali era sempre stata affascinata. Purtroppo la vista appannata non le aveva permesso di capire di cosa si trattasse, così si era ripromessa che lo avrebbe scoperto il giorno dopo. Ed una volta sveglia fu proprio quello che fece. Quando i suoi occhietti di bambina si aprirono sul mondo riuscì a pensare ad una sola cosa. Scoprire cosa c’era inciso sul portone di legno. Così scese silenziosa i gradini fino al pian terreno dove trovò degli uomini armati di spada. Non le sembrarono pericolosi, ma era comunque meglio aspettare che se andassero. Rimase acquattata nell’ombra di una colonna per tre ore di fila ma quegli non sembravano volersene andare così si era fatta coraggio ed era uscita dal suo nascondiglio. I due non la notarono fino a quando non gli fu davanti.

< Che ci fai qui piccolina? > aveva domandato quello più alto. < Voglio sapere cosa c’è disegnato sul portone > rispose con la sua vocetta squillante. L’uomo allora, intenerito da quella piccina, la prese in braccio accompagnandola fino al portone su cui lei poggiò la mano.

Riemerse bruscamente dai suoi ricordi accorgendosi di aver poggiato la mano sulle sagome intagliate nel legno che decoravano il portone, proprio come aveva fatto la prima volta. Cercando di eliminare il groppo che le si era formato in gola bussò tre volte, come di rito, rispondendo alla domanda che le guardie le posero per verificare se si trattasse in effetti della vera Amalia. Lei rispose esausta e attese che Horbe, dall’altra parte del portone, le aprisse. Quando finalmente fu dentro il palazzo imboccò le scale sulla destra salendo fino al secondo piano dove trovò la sua amata camera. Sulla porta l’aspettava Shiack nel suo completo da combattimento, anche se non usciva più, da almeno tre anni.

- Allora, come è andata? -domandò l’uomo con voce seria. - Bene -rispose asciutta la ragazza aprendo la porta e lasciandosi cadere sul letto.

- Hai fatto tutto secondo le regole?- chiese ancora l’uomo. Amalia lo guardò esasperata. Quante volte ancora avrebbe dovuto fare così? Non era mica una pivella; erano anni ormai che usciva ma Shiack sembrava non ricordarlo. - Si, ho fatto tutto secondo le regole - rispose.

- Perfetto, allora ci vediamo domani - L’uomo la salutò e poi uscì chiudendosi la porta alle spalle. Amalia, rimasta finalmente sola, si tolse gli abiti da missione e poi si abbandonò sul letto crollando vittima del sonno.

Le coperte formavano un intricato nodo al fondo del letto di Amalia e la sensazione di oppressione che sentiva provenire dal petto, non l’abbandonò nemmeno un istante nell’arco della nottata. Nonostante fossero solo in primavera, il caldo torrido delle terre del centro, non le diede un solo attimo di tregua, insediandosi viscido sulla pelle candida della ragazza. Un tremendo incubo scuoteva la tranquillità della sua mente. Il ricordo della notte in cui Shiack l’aveva trovata non faceva altro che ripetersi all’interno della sua mente, quando questa riposava. Quando era più piccola, quel sogno, rischiò di farla impazzire; non tanto per il fatto di vedere fuoco e sangue, quanto per l’incapacità di ricordare cosa davvero fosse successo. Negli anni successivi aveva cercato in tutti i modi di riportare a galla quei ricordi, per quanto dolorosi potessero essere, ma qualcosa all’interno della sua testa sembrava impedirglielo. Quasi volesse proteggerla da se stessa e dal suo passato. Ansimante e sudata si sollevò a sedere cercando di riprendere il controllo delle mani che, come impazzite, avevano preso a tremare. Era stanca di quella situazione, voleva dormire e basta, senza dover stare a contorcersi e urlare ogni santa notte. Decisa a scuotersi via quell’orribile sensazione di vuoto e impotenza, che le lasciavano quel tipo di sogni, si alzò dal letto cominciando a camminare in cerchio. I piedi scalzi accarezzavano soffici il pavimento in legno della stanza accompagnati dalle agili mani che si aprivano e si chiudevano a pugno. A chiunque non la conoscesse, sarebbe sembrata una squinternata che girava in tondo per una stanza, ma a chiunque avesse un minimo di confidenza con lei - non che fosse facile ottenerla - sarebbe semplicemente sembrata Amalia che cercava di tranquillizzarsi.

Timidi raggi di sole fecero il loro ingresso dalla piccola finestra di fronte al letto illuminando la figura snella e agile della ragazza. Lunghe gambe, sottili e potenti, reggevano un corpo da mozzare il fiato. Ventre piatto e seno prosperoso la rendevano il sogno proibito di molti uomini, che avrebbero pagato qualunque cifra per trovarsi quella Dea nordica nel letto. I suoi capelli infatti, erano talmente chiari, da sembrare bianchi se esposti alla luce e gli occhi erano così azzurri da risultare ipnotici se osservati troppo a lungo. Tutto di lei sembrava essere stato costruito su misura per combaciare in modo perfetto con il resto del suo corpo. Nervosa, scostò una ciocca ribelle che proprio non voleva saperne di starsene al suo posto. L’alba era arrivata e con lei l’obbligo di alzare le chiappette dal letto e portarle di sotto nella grande cucina. Purtroppo non poteva dire di essersi riposata, ma per lo meno, aveva disteso muscoli e nervi. Prima di scendere e incontrare gli altri della Gilda si lavò energicamente il viso con l’acqua fredda che trovò nella bacinella sul tavolo. Il completo in pelle di Rockon rossa, l’aspettava sulla sedia ansioso di essere indossato. Infilò per primi i pantaloni che le calzavano come una seconda pelle, il corsetto e infine l’aderente maglia. L’intero completo era stato studiato per vestire come fosse una seconda pelle e seguire i movimenti dell’assassino senza intralciare. Il colore scelto dai primi membri della Gilda era il rosso cremisi, per ricordare al mondo intero che tipo di lavoro svolgessero. Lo stesso colore del sangue che versavano su pagamento. Amalia l’aveva giudicata una scelta interessante e condivisa, anche lei avrebbe scelto un colore che rappresentasse il suo lavoro e il rosso cremisi era il più adatto. La parte difficile del rito mattutino sarebbe arrivata ora, con il dover sistemare i capelli. Armandosi di pazienza e buona volontà si posizionò davanti al piccolo specchio e cominciò a spazzolare energicamente la folta massa di capelli biondi, che le incorniciavano il viso come un’aura. Dopo una decina di minuti passati a spazzolare quella massa infernale, abbandonò speranze e spazzola sul bordo del tavolo e tornò vicino al letto. Prese le armi e uscì dalla camera.


 

Angolo autrice:

Per prima cosa vorrei ringraziare S_Anonima_E, Squall99 e Alaire94 per le loro critiche e i loro consigli, spero che continuerete ad aiutarmi. Secondo, vorrei dire a tutti che l'immagine riportata all'inizio del capitolo rappresenta solo l'ideale di abito che ho deciso di far indossare ad Amalia, mentre qui http://weheartit.com/entry/3802952 potrete trovare l'Amalia che mi sono immaginata io.
In questo rpimo capitolo, troverete un piccolo assaggio della nostra protagonista e del suo carattere. Mi auguro fortemente che questa storia possa riscuotere successo tra i lettori di EFP e che in qualche modo, emozioni anche. Non vedo l'ora di tornare da voi con un altro avvincente capitolo!
Baci a tutti, Sybeoil!


 



 

  
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