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Autore: BigMistake    10/07/2011    1 recensioni
2026 - Il futuro rispecchiato nelle due versioni, il buono ed il malvagio. Eileen è una ragazza particolare che cresce in un ambiente diverso da quello in cui tutti conosciamo dove la magia viene condannata. Il suo destino verrà intrecciato a quello della speciale famiglia Halliwell in due modi diversi. Come i salti temporali hanno cambiato le cose, così la sua vita muterà.
[Ambientata in parte durante la sesta stagione, in parte dopo l'ottava]
Dal primo cap.: Io l'ho amato, ma lui?
No. Forse mi ha amata in un primo momento.
Poi il suo amore si è trasformato in qualcosa di diverso: necessità, morbosità, senso di possessione.
Sono diventata il suo giocattolo, nient’altro. la sua bella finestra nella mente altrui con la mia potente telepatia e la mia capacità di plasmare i sogni.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Chris Halliwell, Wyatt Matthew Halliwell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell'autrice:  Salve  ... benvenuti nel mio nuovo parto malato.
Adoro Streghe ed è ovviamente la prima volta che scrivo su questo fandom. C'è da dire ben poco su questa  fic (tranne che è quasi completamente scritta) spero che parli da sola. Comunque è ambientata in parte nella sesta stagione (nel futuro più esattamente) ed in parte dopo l'ottava. E' rivolta alla generazione futura di streghe, perchè la storia di Prue, Piper, Phoebe e Paige è perfetta così com'è. Come al solito ci sarà una nuova protagonista (come ogni mia personaggia nuovo ha capelli castani e occhi scuri, io purtroppo ho un debole per la tipica fisionomia rinascimentale). Non sarà divisa in capitoli ma in parti che non saranno molte e sarà una sorta di diario scritto in prima persona (escluso questo ed un altro capitolo).

Per ogni domanda sono qui. Spero che  vi piaccia e che sia "incantato" proprio come la serie.  Aspetto con ansia la vostra opinione .
Buona lettura ^^.
La vostra Mally.


 

Mirror|rorriM

She was a little girl … and now?

 

Era stata una bambina un tempo.

Un tempo che sembrava così lontano.

Sua madre le raccontava di quanto lei fosse speciale.

Proprio come il suo papà: un padre che l’amava tanto, talmente tanto che non voleva fosse libera di scegliere con il rischio che sbagliasse, che s’allontanasse da quelli che potevano essere i suoi insegnamenti.

Le voleva scrollare l’ingrato compito di accettare il suo destino come un dono o una condanna, un fato che aveva ereditato da lui e che lui soltanto avrebbe potuto toglierglielo.

Ricordava poco di lui, qualche piccolo flash di quando aveva quattro forse cinque anni,prima che sua madre la portasse via.

Lei era una donna particolare, con quei suoi abiti colorati e sgargianti da figlia dei fiori e nata con un senso di libertà che trasmise a sua figlia in ogni azione, prima fra tutti quella notte quando la prelevò dal suo letto in segreto, nel silenzio omertoso di una casa che fingeva di dormire e di occhi che decisero di accettare l’evidenza senza potersi opporre.

Non si parlava mai del perché avesse compiuto un tale gesto, una bambina cresciuta nell’inconsapevolezza, una colpa inespressa.

Voleva salvarla senza sacrificare il suo dono.

Sapeva quanto fosse pericoloso lasciarla libera di agire, ancora troppo piccola, instabile e lei una guida insicura.

Un compito troppo arduo per una semplice umana, così tanto da renderla quasi disperata.

Rinnegò persino i suoi principi.

La costrinse a dimenticare, o meglio ad ignorare, chi e cosa fosse.

Doveva scordare i bellissimi giochi con suo padre, voleva allontanarla da un mondo magico e fatato, avrebbe voluto vederla attiva e sorridente con gli altri bambini.

La spinse involontariamente a rintanarsi invece in quel mondo, l’unico in cui lei si sentiva a suo agio e, nel timore che gli altri si accorgessero di quanto fosse diversa, era divenuta chiusa, isolata, poco socievole.

Eppure era una bambina che sapeva illuminare con il suo sorriso.

Tutti i giorni provava a portarla al parco. Gente nuova, diversa, con cui magari fare amicizia. Non voleva che fosse vittima dei pregiudizi per il suo modo strano di comportarsi.

Come se non si avvertisse quanto lei fosse speciale.

Ricordava di Mandy, l’unica bambina che aveva osato avvicinarsi. Era una di quelle bamboline con i lunghi boccoli biondi, occhi di un azzurro intenso e pelle candida di fine porcellana, la tipica bambina americana di buona famiglia.

Le aveva chiesto se le andasse di giocare insieme. Sua madre avvolta in un caftano variopinto le guardava con un sorriso estatico, soddisfatta che la sua speranza di una vita normale non fosse del tutto solo un’illusione.

Fu costretta a ricredersi, in realtà, l’avrebbe solo presa in giro.

Umiliata e derisa quando l’aveva spinta nel fango.

Si sa i bambini sanno essere crudeli, innocentemente crudeli. E lei prevedeva le loro mosse, vinceva facilmente ogni partita, ogni gioco prevaleva, sembrava leggesse nel pensiero.

Non aveva amici. Nessuno aveva voglia di giocare con la piccola Lee la strana.

Lee sapeva essere amabile, mansueta, tranquilla, spensierata, un po’ testarda, anche allegra nei suoi giochi con bamboline e folletti quando in casa stava con la sua mamma.

Ma sapeva anche essere terrificante.

Non che fosse un mostro, o uno strano essere dal corpo per metà animale.

Lei era una bella bambina dai capelli castani e grandi, dolci occhi scuri.

Era la sua mente il suo più grande segreto. La sua giovane mente che sapeva leggere ciò di non detto, che poteva parlare e mostrare tante cose come vere. Anche quelle spaventose.

Entrava senza chiedere il permesso a suo piacimento nell’universo privato e personale di adulti e piccini. Li sentiva e poteva camminare con loro in un mondo che poteva diventare suo. Li creava addirittura, piccoli scenari costruiti dalla sua fantasia, storie, vissuti, da interfacciare con le vite degl’altri, nuvole rosa che inebriavano i sensi di una persona dormiente.

Ma aveva anche il potere di trasformare il suo mondo in un incubo e Mandy l’aveva fatta tanto arrabbiare con il suo stupido scherzo.

La bambina il giorno dopo non venne al parco.

«Non devi fare del male, hai capito … non devi giocare mai più come facevi con tuo padre!»

Lei era cattiva, era diversa.

Crebbe con la consapevolezza di essere sola.

Il passo dal diventare una giovane donna divenne breve e lento. Appassiva apatica, rinchiusa nella tremenda solitudine edificata attorno alla sua vita. Una muraglia che la schermava dalla derisione e dalla crudeltà di chi non riusciva a capirla. O dal suo saper fare del male.

Si nascondeva.

A casa, in biblioteca, nell’aula d’arte della sua scuola ovunque dove potesse chiudersi al resto del mondo.

Doveva far tacere le voci.

Far tacere i suoi sogni, quelli che penetravano nelle teste sbagliate.

Alcune volte non riusciva a trattenersi, nel sonno quando ogni freno inibitore viene disattivato.

Spiava la vita che non avrebbe mai avuto.

Una notte però venne scoperta.

Niente di nuovo.

Sapeva come si strutturavano i sogni, da quelli più articolati a quelli meno.

Era la padrona indiscussa di quel mondo parallelo fatto d’incertezze, desideri, paure.

Ed erano quelli da sfruttare per uscirne.

La mattina seguente camminava per i corridoi della sua scuola. Ormai era all’ultimo anno, finalmente avrebbe smesso di girovagare fra la moltitudine di persone che la denigravano.

Disprezzo.

Lo sentiva anche se non le parlavano direttamente.

Mille pensieri con la stessa cantilena:

È così strana ...

Mi spaventa …

Sarai mia …

Si era voltata in quel corridoio cercando la provenienza di quell’ultima scia captata per caso.

Stupida, è nella tua testa!

Si ripeteva, eppure non poteva fare a meno di cercarla attraverso i volti e le espressioni dei suoi colleghi di scuola.

Quel pomeriggio era rimasta a dipingere nell’aula d’arte. Viveva dei lavori saltuari di sua madre, a casa poteva permettersi al massimo matite, qualche blocco per schizzi, nulla di più. Ogni qual volta poteva quindi approfittava delle strutture scolastiche.

La sua insegnante voleva che intraprendesse la carriera d’artista.

Le ripeteva quanto fosse brava.

Non voleva esserlo. Non voleva spiccare. Non voleva essere diversa.

Voleva solo essere normale, confondersi tra la gente, la stessa che la disprezzava.

Essere anonima. Invisibile.

Non voleva avere una voce.

Il concentrarsi nel creare la isolava, riempiva la sua mente con altro.

Le serviva solo chiudere gli occhi ed abbandonarsi alla fantasia. Quel pomeriggio aveva una voce in più da cancellare.

Chi sei? Perché sei entrato nella mia testa? Perché non vuoi più uscirne?

«Potrei porti le stesse domande …»

Lei aveva tentato di fuggire raccattando in fretta e furia le sue cose tutte sporche di vernice, provato a sviare quello sguardo che l’aveva terrorizzata la notte precedente.

Non poteva.

Il ragazzo del sogno, quello che l’aveva scoperta si trovava proprio davanti alla piccola porta che dava accesso all’aula.

Aveva la sua età. Diciotto o poco più.

Era alto, atletico, occhi penetranti e sconvolgenti, occhi che la stavano scrutando, manipolando, che la stavano incatenando. La tratteneva per il polso, lo stringeva e lei non riusciva a liberarsi della sua morsa.

La lasciò andare, ma era troppo tardi.

Era entrato in lei assumendo la connotazione di un’ossessione. Qualcosa d’indescrivibilmente attraente come la lanterna per la falena, emersa senza un apparente motivo. Era stata percossa dalla sua forza, dal suo mero significato oscuro e tenebroso. Quella voce, minacciosa ma calda, quasi rassicurante, in una triste mattinata di liceo bigia come il suo umore, l’aveva in qualche modo colpita.

La notte volle lei stessa andare da lui.

Voleva scusarsi per essere scappata senza alcuna spiegazione.

Trovò il suo sogno tra tanti altri nella città di San Francisco.

Parlarono.

Dissero di rivedersi.

Iniziarono a frequentarsi.

Non aveva amato nessuno come aveva amato sua madre.

Il suo gioco era appena iniziato.

Lei scoprì di non essere sola, molti altri con poteri come i suoi si trovavano per le strade dove la gente normale camminava tranquilla ignara di un mondo parallelo. Lui le rimase accanto, la strinse nelle notti in cui gli faceva visita in sogno. La capiva, la faceva sentire importante.

Lei lo aiutava, pensava di fare del bene.

S’innamorarono.

Si baciarono.

Divennero una cosa sola.

Era una strega.

Era una strega e sapeva manipolare il pensiero, sapeva manipolare i sogni delle persone. Un grande potere, che lui rese ancor più vigoroso attraverso allenamento e costanza. L’avrebbe trasformata in qualcosa di più se solo l’avesse voluto.

E lei voleva.

Da quelle rivelazioni sua madre fu costretta a confessare.

Era sempre stata una strega, anche molto brava.

Aveva ereditato i poteri da suo padre, uno stregone. In una notte lontana era scappata perché lui voleva togliere la magia dal suo mondo, ma poi si era scontrata con la corruzione della paura.

Fu costretta a farle dimenticare chi e cosa fosse.

Le notizie volavano veloci e chi sapeva era terrorizzato.

Avrebbe voluto per lei solo una vita normale, non voleva che fosse rincorsa e condannata a morte come durante la Santa Inquisizione. Aveva visto Liam troppe volte rincasare sudato, sporco e ferito perché qualcuno minacciava la sua vita e quella della sua famiglia. Lei non aveva avuta altra scelta.

Era tutto a fin di bene, per proteggerla. Se non avesse saputo, non l’avrebbero cercata.

Come se fosse possibile fingere di non sapere ciò per cui si è nati, sottovalutare un istinto.

Lei era una semplice mortale, sua figlia no ed i demoni, il male stesso, non erano meramente angosce fittizie.

Ogni pezzo ha un suo posto predisposto sulla scacchiera, così che la sua natura non tardava mai a farsi sentire, urlava indignata alla sua porta di permettergli d’uscire.

Non fu un demone ad allontanare sua figlia, ma la paura, o l’amore, o qualcosa di più che l’attirava dalla sua parte e la faceva sua senza che lei se ne accorgesse: Lee le disse che l’odiava, che aveva pensato per una vita di essere pazza a causa delle sue omissioni.

Era solo per proteggerti. Perdonami bambina mia, perdonami.

Le aveva detto.

Fu uccisa quella notte stessa da un pazzo criminale.

Almeno così le disse la polizia mentre stava a scuola.

Un pazzo criminale. Ormai sapeva con certezza che fosse opera di un essere magico.

La lasciò sola, non sapeva nemmeno chi fosse suo padre, dove cercarlo.

No, non sola. C’era lui, il ragazzo che amava, che l’aveva chiamata a sé e che la voleva accanto come una regina.

I tempi stavano cambiando.

Il confine fra il bene e male si assottigliava sempre più prepotentemente, fino a divenire un unico e solo marasma.

I buoni diventavano cattivi.

I cattivi restavano cattivi.

Persino lui.

Presto si accorse che nulla fosse come pensava, lui era bravo a manipolare gli altri almeno quanto lei a governare i sogni.

Il suo volto trasfigurava, diveniva crudele spesso e le sue azioni erano del tutto prive di ogni senso logico.

«Sei diverso, non ti riconosco più!»

Sei con me o contro di me …

Eppure in lui c’era ancora un briciolo di bontà, qualcosa lo aveva fatto divenire la persona spietata che aveva di fronte.

Aveva rinnegato tutto e tutti.

La sua famiglia, i suoi amici, i suoi alleati ed ora anche lei, la sua piccola Lee, la timida ragazza che gli faceva visita nei sogni, che amava nonostante lo stesse ripudiando.

Addio  …

L’ultima parola che riuscì a pronunciare sussurrata nel silenzio prima di scomparire dalla sua vita, prima di andarsene per sempre. Le sembrò di sentire l’esplosione provocata dalla sua rabbia scagliata contro uno di quei demoni con cui piaceva adornare il suo salotto.

Per proteggerci …

Non l’avrebbe lasciata andare così facilmente.

No.

E lei lo sapeva mentre qualcun altro l’aiutava a scappare, sparendo in una nuvola di luci bianche lontana da San Francisco, lontana da quella casa, lontana da lui.

«Ci dovremo nascondere per sempre?»

Si fidava di lui. Si fidava anche di lei. Erano due bravi ragazzi.

«Forse no, Lee, forse no …»

   
 
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