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Autore: Beatrix Bonnie    12/07/2011    2 recensioni
Extraiures, fuorilegge... o meglio, fuori dagli schemi. Questo è il racconto della vita e dell'amicizia di Reammon e Septimius, due maghi irlandesi che hanno imparato ad andare oltre i pregiudizi del loro tempo e a vivere fuori dagli schemi.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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Preparativi

Giugno 1978, la Tana

Mary osservò la sua figura allo specchio. Erano passati quasi due anni da quando Reammon le aveva fatto la fatidica domanda, ma anche lì, in piedi sulla pedana a provare il suo abito da sposa, ancora non riusciva a crederci.
«Sei incantevole» esclamò Molly, in tono zuccheroso, puntando uno spillo sulla gonna. L'abito che indossava apparteneva alla famiglia Weasley da secoli, ma Mary aveva dovuto farlo sistemare perché lei era mediamente più alta e magra delle altre Weasley che l'avevano indossato. Inoltre, vi aveva fatto delle aggiunte personali, come il fiocco sul retro che sosteneva un lungo strascico o l'eliminazione delle maniche a palloncino che avevano un gusto vagamente retrò.
«La cugina Mary si sposa, la cugina Mary si sposa!» cantilenò il piccolo Charlie, catapultandosi nella stanza dove la ragazza stava provando l'abito.
Molly non fece a tempo a sgridarlo per la sua intromissione, che arrivò Bill, con in braccio il fratellino Percy, di due anni, che scalciava non poco per essere rimesso a terra.
«Mamma!» si lagnò Bill, scaricando il suo fardello tra le braccia di un'arrabbiatissima Molly. «L'ho trovato che strappava le pagine del giornale del signor Boenisolius».
«Io leggeva!» protestò il piccolo Percy, aggrappandosi alle gonne della madre che lo aveva prontamente rimesso a terra.
«E il signor Boenisolius? L'ha sgridato?» si informò la donna, in tono preoccupato.
«No. Se la rideva» rispose Bill, stringendosi nelle spalle e trascinando fuori Charlie per andare a giocare in giardino.
Mary lanciò un'occhiata divertita a Joey, immaginandosi Aaron che rideva del suo giornale fatto a pezzi dal piccolo Percy. Dopodiché tornò a guardare Molly, che stava sgridando il figlioletto per il disastro combinato. C'era qualcosa di assolutamente ammaliante in quella donna paffuta con una zazzera di capelli rossi. Mary l'aveva scelta come sua testimone di nozze non solo perché era la moglie di suo cugino, ma anche perché nutriva una profonda stima nei suoi confronti: era una donna che sapeva il fatto suo, mandava avanti la casa amorevolmente, ma anche con un pizzico di fermezza e, sebbene non fosse nulla più che una casalinga, pareva appagata e realizzata.
«Adesso che ho cacciato via i marmocchi, passiamo a cose più importanti: dobbiamo scegliere la tua acconciatura per le nozze» sentenziò Molly, dopo aver spedito Percy al piano di sotto a fare le scuse ad Aaron. «Potrei chiedere a zia Muriel di prestarti la sua tiara... opera di folletti, sai, è un cimelio di famiglia niente male» cominciò a dire Molly, ma proprio in quel momento un pianto scoppiato al piano di sotto richiamò la sua attenzione: uno dei due gemelli doveva esseri svegliato e reclamava la pappa. Poco dopo, un secondo grido si unì al primo. Molly sbuffò sonoramente, poi si affrettò a raggiungere i due gemelli, che avevano da poco compiuto due mesi.
Quando Mary la vide allontanarsi, pensò che i bambini erano una benedizione, ma lei non avrebbe mai avuto così tanti figli come sua cugina.
«Niente contro 'sta zia Muriel, ma ho io qualcosa per te» decretò Joey, alzandosi dal letto e avvicinandosi a lei. Dopodiché estrasse dalla borsetta un portagioie in legno intagliato. «Ecco, tieni» sussurrò con dolcezza, porgendo la scatola a Mary.
La ragazza la aprì titubante, certa che qualsiasi cosa contenesse, doveva essere di grande valore.
Il tesoro del portagioie era una tiara di magnifica fattura, talmente luminosa e splendente che sembrava emanare luce propria. «È di proprietà degli O'Brian di Mael Duib da secoli: l'hanno indossata tutte le donne della famiglia al loro matrimonio e ora vorrei che passasse a te» spiegò Joey sorridendo.
Mary, che era rimasta incantata dal gioiello, scosse lentamente la testa. «Non posso accettare, davvero».
«Scherzi? L'ho protetta apposta da quell'avvoltoio di mio cugino Childerich O'Brian, che voleva darla a sua figlia Grainne per il matrimonio, solo perché sognavo di regalarla alla futura moglie di mio figlio. Voglio che sia tua e che tu, a tua volta, la consegni alle tue figlie o nuore che siano» sentenziò Joey in un tono che non ammetteva repliche.
Mary tornò ad osservare la tiara. «Io... non so che dire» sussurrò a disagio.
Joey le rivolse un sorriso incoraggiante. «Di' che la indosserai volentieri e che ti piace un sacco! Guarda, questo al centro è uno smeraldo (verde, come verdi sono gli occhi di tutti gli O'Brian), il giro è di diamanti e l'intarsio di oro bianco».
«Grazie» mormorò alla fine Mary, a disagio, pesando che quella tiara valeva probabilmente più di tutta la sua nuova casa. «La mia casa!» esclamò poi, ricordandosi improvvisamente che quel giorno lei e Reammon avevano appuntamento con i maghi che dovevano portare loro i mobili della camera da letto.
«Come, cara?» domandò Joey, che non aveva potuto seguire tutto il suo ragionamento.
«Devo andare!» esclamò Mary, ponendo in mano il portagioie a Joey e gettandosi verso la porta.
Proprio in quel momento, comparve Molly sull'uscio che le sbarrò la strada.
Mary fece per uscire lo stesso, ma Molly e Joey la bloccarono, urlando all'unisono: «L'abito!»
La ragazza notò che indossava ancora il vestito bianco ed esclamò: «L'abito!»
Tutti quei preparativi per il matrimonio la stavano letteralmente facendo impazzire: presto o tardi, sarebbe diventata smemorata almeno quanto Reammon. Si fece aiutare a levare il vestito senza che subisse danni, infilò alla svelta un abitino estivo e corse giù dalle scale per raggiungere il suo promesso sposo.
Lo trovò in cucina, chino su una lunga lettera. In un angolo della stanza, i due gemelli Fred e George gorgogliavano e agitavano le braccia dalle rispettive culle. Seduto al tavolo stava anche Aaron, intento a leggere il giornale, con in braccio il piccolo Percy, a cui indicava le foto curiose e raccontava buffi aneddoti che aveva letto, tanto per farlo divertire un po'. Fuori dalla finestra, si intravedevano Bill e Charlie che stavano giocando a tirarsi una vecchia Pluffa.
«Oh, Mary cara» esclamò Aaron quando la vide entrare in cucina. «È fantastico vedere una casa piena di marmocchi. Non vedo l'ora di avere tanti nipotini!»
«Già» commentò la ragazza con aria un po' perplessa, sedendosi al fianco di Reammon. Lei non era affatto dell'idea di avere tanti figli, o almeno, non tanti quanti ne avevano i suoi cugini. «A chi scrivi, amore?» domandò, tanto per distogliere l'argomento dalla questione figli.
Reammon alzò gli occhi dal foglio di pergamena: stranamente, aveva un'espressione affranta, quasi dolente. «A Septimius» rivelò infine, con un sorriso amaro. «Sai, ho sempre pensato che sarebbe stato lui il mio testimone di nozze. Non ho niente contro Arthur, anzi, l'ho scelto volentieri, ma...» la voce gli morì in gola.
Mary non aveva più rivisto il fratello di Priscilla da quella fatidica sera di maggio di tanti anni fa, ma capiva che cosa significasse per Reammon la fine di quell'amicizia. Era stato il suo inseparabile compagno per i sei anni del Trinity e certo non doveva essere facile accettare che tutto si fosse infranto a quel modo.
«Pensavo di mandargli un invito per il matrimonio, ma, in realtà, è solo una scusa per riallacciare i rapporti: dubito che venga alla cerimonia con un bel regalo di nozze come se nulla fosse successo, ma magari questa lettera servirà a smuovere un po' le acque» spiegò Reammon, annuendo dolorosamente.
Mary allora gli diede un veloce bacio sulla guancia. «È un'ottima idea, tesoro» gli rivelò, nel tentativo di incoraggiarlo.
«Quanti inviti vi mancano ancora?» domandò allora Aaron, abbandonando il suo giornale tra le manine di Percy, perché lo distruggesse una seconda volta nel tentativo di fingere di leggerlo.
Reammon controllò la busta che aveva accanto a sé per vedere quali nomi erano stati spuntati. Buona parte degli invitati era rappresentata dalla numerosa famiglia Weasely, che contava più cugini e zii di quanti Reammon pensasse fosse possibile possedere. I parenti di Reammon invece erano molto limitati: oltre ai genitori e al fratello Babbano di Aaron, che non si era mai sposato, Reammon aveva invitato solo sua nonna Alba McTrust, vedova O'Brian. Tanto per importunarli, aveva spedito l'invito anche a sua zia Evangeline con il marito Cassian Deamundi e al suo cugino Meccorin, con la moglie e i sette figli, sebbene fosse certo non solo che non sarebbero venuti, ma anche che la lettera si sarebbe rivelata sgradita. O forse, fu proprio questo il motivo per cui li invitò.
Un altro gruppo di invitati era rappresentato dagli archeologi colleghi di Reammon, tra i quali spiccavano ovviamente Lorenzo, Chris e Gustav, complici e artefici del suo piano per chiedere la mano di Mary.
Ricontrollando la lista, Reammon elencò i nomi che mancavano all'appello: «Be', a Septmius spedisco l'invito via gufo perché dubito che voglia ricevermi; poi ci sarebbe il mio amico Sebastian, ma lui è Babbano e anche se è avvezzo alla magia, sconsiglierei di materializzarci proprio nel suo salotto. Infine ci sarebbe da andare al seminario per consegnare l'invito a Rafael, sperando che riesca ad ottenere il permesso per venire».
«E poi dobbiamo ricordarci di andare dallo zio Bilius, anche se preferirei non invitarlo, visto che al matrimonio di Arthur e Molly si ubriacò di Whisky Incendiario e cominciò a cavarsi mazzi di fiori dal didietro nel mezzo della pista da ballo» commentò preoccupata Mary.
Sia Reammon che Aaron scoppiarono a ridere alla descrizione delle prodezze di zio Bilius. «Lui sì che sa come animare le feste» ridacchiò Aaron, immaginando la scena.
«Comunque sia, ora è meglio se ci muoviamo» sentenziò Mary, per chiudere la questione sui fiori di zio Bilius.
«Perché?» domandò innocentemente Reammon, leccando la busta per chiudere la lettera indirizzata a Septimius.
«Mon, l'appuntamento con i maghi che ci portano i mobili è esattamente fra tre minuti» rispose Mary, ancora troppo ingenua nello sperare che il futuro marito potesse realmente ricordarsi un appuntamento.
Reammon, colto di sorpresa, consegnò la lettera al padre perché la portasse all'ufficio postale e si affrettò a seguire Mary fuori dalla Tana per smaterialzzarsi.
La casetta che avevano acquistato i futuri coniugi Boenisolius si trovava a Boyle, un pittoresco paesino irlandese, poco distante dal Lago Key. Era abitato quasi esclusivamente da Babbani, ma non lontano dal lago si trovava un famoso pub per maghi e quindi il posto era considerato meta turistica. Inoltre, la casa che Mary e Reammon avevano comprato, era stata abitata per tanti anni da un membro di spicco del Parlamento (che, una volta in pensione, si era ritirato in campagna), il quale era riuscito a far aprire un metrombino collegato con il sistema nazionale proprio in un vicoletto dietro la piazza di Boyle. La casa si trovava poco lontana dai ruderi della Boyle Abbey, la principale attrazione turistica del paese. Era un quartiere tranquillo, con una serie di villette a schiera: un posto perfetto per far crescere una nuova famiglia.
I due ragazzi si materializzarono proprio davanti alla porta di casa, dove poco dopo li raggiunse un furgoncino bianco che portava la scritta “Magicamente Trasporti” e poco sotto “Ciò che è venduto, è a casa vostra in un minuto”. Alla guida del camioncino c'era un mago raggrinzito, con un paio di spessi occhiali che gli ingrandivano gli occhi a dismisura; al suo fianco, un giovanotto ipermuscoloso e con la carnagione piuttosto abbronzata.
Il vecchietto scese dal camion e si avvicinò ai due ragazzi. «Buongiorno. Sono Mohamed Aldin» li salutò allegramente, con un leggero accento straniero. «Dove vi portiamo i mobili?» chiese allegro, mentre il suo compagno controllava con aria circospetta che non ci fossero Babbani in giro.
Mary aprì la porta e mostrò l'interno a Mohamed, spiegando dove andavano posizionati i vari mobili. Aveva progettato lei stessa la camera da letto: il mobilio di legno chiaro, le pareti azzurre, il letto al centro sormontato da una zanzariera di tulle e le tendine di pizzo bianche. Il tutto dava l'impressione di entrare in una corolla di un fiore delicato.
Mohamed e il suo giovane compagno aprirono il portellone del furgoncino, rivelando uno spazio immenso che era stato ricavato senza dubbio con la magia. Attraverso semplici incantesimi di levitazione, i due maghi trasportarono i mobili al proprio posto, sotto la attenta direzione di Mary.
Reammon, nel frattempo osservava con interesse una credenza di gusto orientale che si trovava sul retro del furgone. Tirò qualche cassetto del mobile per osservare l'interno, quando la maniglia si staccò e gli rimase in mano. Proprio in quel momento, arrivò il ragazzo più giovane a prendere il divano e Reammon fu costretto a mettersi il pomolo in tasca con aria innocente. «Simpatico il nome della vostra ditta» disse rivolto al giovanotto, tanto per sviare l'attenzione dalla credenza.
L'altro si strinse nelle spalle. «La rima lascia un po' a desiderare, ma Mohamed è convinto di essere un gran poeta» rispose poco dopo, facendo levitare il divano giù dal furgone.
«Achmed!» lo chiamò Mohamed, aggiungendo qualche parola in arabo.
«Arrivo, arrivo» replicò Achmed, con uno sbuffo.
Non appena Reammon fu nuovamente solo, si ficcò la mano in tasca per estrarre il pomolo, ma ovviamente quello era finito chissà dove, sepolto da anni di cianfrusaglie accatastate lì dentro.
«Accio manopola» provò a dire, puntando la bacchetta alla sua tasca. Ma l'incantesimo di appello non era mai stato il suo forte, tanto che il pomolo schizzò fuori e gli si piantò dritto nell'occhio destro.
«Santa Morgana e tutti i cori angelici riuniti!» esclamò Reammon, portandosi la mano all'occhio dolorante che aveva cominciato a lacrimare e pulsare. Dopo una manciata di secondi in cui il dolore era talmente acuto da aver accecato Reammon, il ragazzo riuscì a riaprire l'occhio, ma vedeva ancora tutto sfuocato. Cercò in qualche modo di rinfilare il pomolo al suo posto sulla credenza, poi si affrettò a scendere dal furgone.
«Mon, tesoro, che hai fatto all'occhio? È rosso e gonfio come una Pluffa» esclamò Mary, quando se lo vide comparire in ingresso.
«Niente, niente» rispose sbrigativo Reammon, con un sorriso innocente.
Per fortuna Mary lasciò cadere la cosa perché proprio in quel momento Mohamed la avvisò che avevano finito.
«Grazie mille, signor Aldin» gli disse Mary, stringendo la mano ossuta dell'uomo.
«Vi manderò un gufo con il conto. Potere anche pagarci a cammelli e tappeti volanti, se volete!» esclamò il maghetto, con un sorriso allegro. «Ah-ah! Scherzavo, ovviamente!» ridacchiò poco dopo, strizzando loro l'occhio.
Mary e Reammon si scambiarono uno sguardo perplesso.
«Ovviamente» gli fece eco Reammon.
Quando i due uomini se ne furono andati, Mary condusse il suo futuro sposo a vedere la stanza da letto che aveva progettato. «Guarda, non è meravigliosa?» gli domandò con tenerezza.
Reammon le sorrise, poi si avvicinò al comodino dalla parte dove avrebbe dormito lei.
«Manca solo una cosa» disse, e con un veloce gesto della bacchetta, fece apparire un vaso di fiori con tre camelie bianche, i fiori preferiti di Mary. «Ecco, così è perfetto».
La ragazza osservò la stanza e poi tornò a fissare Reammon: aveva ancora un occhio gonfio e rosso ma il suo sorriso era talmente luminoso che lo faceva apparire più bello che mai.
«Ti amo, Reammon» gli sussurrò con dolcezza.
Lui le venne vicino e la cinse per i fianchi con l'intenzione di baciarla. «Anche io ti amo, Mary. E non vedo l'ora che tu diventi mia moglie». E con quelle parole la baciò.





Questo è un capitolo di passaggio: non avevo voglia di imbarcarmi nella difficile impresa della descrizione del matrimonio, ma volevo comunque dare un assaggio dei preparativi per le nozze. Qui, infatti, un immagine di Mary che prova l'abito, qui, invece, la tiara degli O'Brian.
Quanto alla comparsa di buona parte dei figli Weasley, ho controllato le date: siamo nel 1978, quindi Bill ha 9 anni, Charlie 5, Percy 2 e i gemelli Fred e George due mesi (essendo nati il 1 aprile 1978). I sette figli del conte Deamundi, invece, sono tutti già nati visto che Eibhean, il più giovane, è del 1977. Il cugino che nomina Joey, Childerich O'Brian, è il padre di Teudilascius (e di Grainne, che però non è mai comparsa personalmente). Come cugino diretto di Joey, è un O'Brian a pieno titolo e avrebbe tutto il diritto di far indossare alla figlia la tiara, ma si sa com'è fatta Joey...! ;-)
Invece, lo zio Bilius che nomino è un personaggio della Rowling: è quello che morì dopo aver visto un gramo e le cui prodezze alle feste sono descritte dai gemelli Weasley ne “I Doni della Morte” (capitolo 8, pag 137).
Infine, era previsto in questo capitolo che Reammon combinasse qualche disastro sulla Ford volante di Arthur, ma rileggendo il secondo libro di HP mi sono accorta che, da come la Rowling lo descrive, pare proprio che la macchina sia stata ultimata da Arthur in quel periodo e che non l'abbia mai usata prima (infatti, chiede ai figli come sia andata, prima di sgridarli). Ergo, il tutto diventava incompatibile con le date, visto che qui siamo quasi 15 anni prima dell'episodio narrato dalla Rowling. Quindi, il finale di questo capitolo è stato cambiato un po' all'improvviso e spero comunque che vi sia piaciuto.

Dopo queste precisazioni al capitolo, alcuni annunci sulle date:
-)venerdì pomeriggio (15/07) dovrei pubblicare l'ultimo capitolo della storia. Seguirà, molto probabilmente martedì pomeriggio (19/07), l'epilogo della storia.
-)Nuntio vobis che da lunedì 18/07 pubblicherò il primo capitolo di “Il torneo Trecolonie”, con aggiornamenti settimanali (se tutto procede per il verso giusto!).

Grazie mille della vostra attenzione! A presto,
Beatrix


EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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