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Autore: Joix    12/07/2011    3 recensioni
Un sogno, un passato da cancellare, una vita intera davanti ed un amore segreto. Questa è la sua storia, la storia di Julia Frost, ragazza statunitense che vuole solo una cosa: ballare. In qualunque luogo, in qualunque momento, in qualunque frangente della sua vita l'unica cosa che vuole è ballare. E ci riuscirà, sulle note della sua band preferita, sulle note dei Jonas Brothers.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno. Due. Tre. Quattro. Ripassavo mentalmente i passi, cercavo di non pensare a ciò che avrei dovuto affrontare, provavo a dimenticare chi mi aspettava nella stanza accanto, ma il tutto risultava piuttosto difficile. Non riuscivo a credere che a pochi metri da me c’era lui, il ragazzo che da quando l’avevo visto la prima volta occupava i miei sogni, giocava con i miei pensieri, mi lasciava senza respiro, il ragazzo dagli occhi ipnotici, che non riuscivi a smettere di fissare, occhi che ti incatenavano in una piacevole stretta, occhi capaci di farti sentire come se finalmente avessi trovato la serenità della quale una persona ha bisogno; gli occhi di Nick.
<< Julia Frost! >> Una donna di mezza età si era affacciata alla porta, ed ora urlava scocciata il mio nome. Mi alzai in piedi e con le gambe tremanti e la mia amica al seguito mi diressi dalla signora.
<< Sono io. >> Lei mi guardò poi mi condusse nella sala dove si svolgevano i provini.
<< Buona fortuna ragazza! >> Disse mentre si girava per andarsene. Guardai Mel, la quale, nervosa quanto me, mi abbracciò. Non c’era bisogno d’altro. Entrai. Era una sala prove. Una normalissima sala prove con uno specchio, il quale mi mostrava l’immagine di un’impacciata ragazza la quale camminava senza una meta precisa. Alzai lo sguardo ed incontrai il suo. Mi fece un mezzo sorriso d’incoraggiamento, sorrisi. Kevin e Joe stavano parlando tra di loro, ma si fermarono non appena la musica partì. Le mie gambe partirono che io quasi non me ne accorsi, il mio corpo si muoveva da una parte all’altra della sala con passi aggraziati, tutto intorno a me sparì. I ragazzi, lo specchio, la mia immagine riflessa, tutto, ma non lui. Nonostante mi girassi o il mio sguardo cadesse da un’altra parte della sala l’unica cosa che riuscivo a vedere era quel suo mezzo sorriso, quel sorriso che mi aveva rivolto pochi secondi prima, quel sorriso che mi aveva spinto a dare il meglio, quel sorriso che mi aveva fatto dimenticare ogni mia preoccupazione e pensare solo ad una cosa: ballare. La musica era ormai arrivata alla fine, e con lei io. Non guardai subito nella loro direzione, non ne avevo il coraggio. Dopo aver recuperato le forze provai a sbirciare nella loro direzione. Nick mi fissava ridendo, e Joe e Kevin facevano uguale. Tra le ristae Joe riuscì a pronunciare un “Le faremo sapere”.
Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male. Una coltellata alle spalle non mi avrebbe abbattuta quanto quelle sue tre parole riuscirono a fare. Le lacrime iniziarono a bruciarmi negli occhi, ed io corsi via, non potevo sopportare un’umiliazione simile. Li avevo fatti ridere. Ero stata talmente assurda da farli ridere. Fosse stato un altro provino con altre persone la cosa non mi avrebbe toccato più di tanto, ma così non era. Non erano persone a me sconosciute, ma le tre persone che più mi facevano sognare, le tre persone che in diciotto anni di vita erano riuscite con poche note a rallegrarmi nei momenti migliori, erano le tre persone che con un solo sorriso riuscivano a farmi star bene; perché io in quattro minuti di frenetici passi su giù per una stanza non ero riuscita a stupirli? Perché in quattro minuti per i quali c’erano voluti mesi e mesi di preparazione non ero riuscita a suscitare in loro quello che loro suscitavano in me? Avevo molte, troppe domande, alle quali nessuno avrebbe mai dato risposta. Raggiunsi lo spogliatoio di corsa con Mel che m’inseguiva per i corridoi di quell’imponente palazzo.
<< Si può sapere che hai?! >> Sbraitò quando mi raggiunse dentro. Solo dopo si accorse che stavo piangendo.
<< Oh cielo, che è successo!? >>
<< Niente, il solito, ho fatto schifo, pensa che hanno anche riso. Ora, per favore, andiamocene. >>
<< Schifo!? Ti stavo guardando, se tu hai fatto schifo le altre si devono davvero dare all’ippica! >> Le altre ragazze presenti nello spogliatoio fulminarono la mia amica con uno sguardo di fuoco, al quale lei non badò per niente. Non risposi, non ce n’era bisogno.
<< Ora, se permetti, finiscila di sparare fesserie, io ti aspetto fuori dal palazzo, ho bisogno di fumare. >> Tipico di Mel. Avevo tentato più volte di rimpiazzare quel suo vizio con uno più sano, ma mai ero riuscita nel mio intento, per quanto lei s’impegnasse non resisteva più di due giorni senza nicotina. Mi vestii ed uscii più in fretta che potessi da quella camera piena di musi lunghi e ragazze piangenti: l’ultima cosa di cui avevo bisogno era di avere tristezza attorno a me.

<< E così ti chiami Julia Frost? Bel nome, davvero. >> Non avevo fatto in tempo ad uscire dallo spogliatoio che avevo già Nick Jonas alle spalle, intento a riaprire una conversazione on me.
<< Grazie. >> Risposi più fredda che potessi, nonostante la sua voce avesse un effetto rilassante su di me, che tendeva a farmi sembrare sballata. Ma, per fortuna, riuscii nel mio intento.
<< Ehi, che hai?>>
<< Nulla, che dovrei avere?! >> Dissi facendo in modo che la rabbia non fosse evidente.
<< Io proprio non saprei. >>
<< Bravo.>> Deciso a scoprire cosa non andasse in me mi superò e mi bloccò l’uscita.
<< Risulti un po’ invadente così, sai? >>
<< Se tu non mi costringessi a farlo, magari. >> Lo guardai.
<< Nessuno ti costringe a fare niente. Sei libero di andare ovunque tu voglia. >> Solo in quel momento si accorse delle lacrime che mi rigavano il volto.
<< Non mi piace vedere le ragazze piangere. Specialmente se non ne hanno motivo. >> Non potevo reggere oltre. << Già, avete semplicemente riso della mia esibizione, quale motivo dovrei avere!? Avevo detto niente favoritismi, ma non intendevo “Umiliatemi che tanto io non me la prendo.” Sai, non mi piace essere derisa, tantomeno se a farlo sono persone che non conosco. >> Alzò un sopracciglio leggermente confuso.
<< Oh, no! Quelle risate non erano per te, davvero! E’ che Joe ha fatto una delle sue solite battute, e dopo se n’è venuto fuori con quel “Le faremo sapere” perché gli piace dirlo. E’ un po’ fissato sulle battute classiche da cinema. >>
<< Tu ti aspetti che io ti creda?! Non sai quanto ho sudato in questi mesi per questo provino, ho provato e riprovato, l’idea di poter partecipare a quel video, l’idea di avere anche una sola chance su un milione di poter ballare per voi e con voi aveva riacceso in me un barlume di speranza che si era spento ormai da anni, mi ha fatto credere che forse c’era un posto anche per me in questo mondo, e probabilmente avrei accettato una sconfitta se questa non mi fosse stata annunciata in quel modo. >> Non mi controllavo più ormai. Parlavo in preda a singulti continui e a lacrime che mi offuscavano la vista.
<< No, Julia, davvero, tu sei stata meravigliosa. Mentre ballavi nei tuoi occhi si vedeva la speranza, la pazienza e la determinazione di una persona che pur di avere questa vittoria, una sola, misera vittoria, è stata capace di allenarsi giorno e notte, una vittoria che, a quanto hai detto tu, ti avrebbe finalmente riportato il sorriso sulle labbra, uno splendido sorriso ad illuminarti il viso e, Jul, questa vittoria .. Beh, l’hai ottenuta. >> Le sue parole ebbero come un effetto nebbia su di me. Fu come nascere per una seconda volta, fu come per un cieco riavere la vista, fu come per un muto riavere la voce, fu come per un morto riavere la vita. Avevo mille frasi che avrei potuto dire, diecimila parole che mi premevano sulle labbra aspettando di essere liberate, ma stetti muta; a volte il silenzio può essere il discorso più bello.
<< Ah, e dato che , come hai detto tu prima, non ci conosciamo, ti va di rimediare? >>
Sorrisi, non poteva essere vero.
<< Immagino sia un sì.. Pizza? Conosco giusto un locale a Little Italy.. Insomma, se dobbiamo lavorare insieme bisogna sapere più cose l’uno dell’altra, non credi? >> Ammiccò un sorriso.
<< Sicuro! >>

Sto forse sognando? I suoi occhi, la sua voce, la sua pelle mi stanno portando alla conclusione che forse questo è solo un sogno, che lui è solo un sogno. Beh, se così è lasciatemi dormire, lasciate che Morfeo mi culli tra le sue braccia per il resto dell’eternità, facendomi così godere della sua perenne presenza.

Little Italy era ad appena tre isolati di distanza, e per questo li facemmo a piedi. Fu un viaggio troppo corto, avrei voluto durasse anni, secoli, avrei voluto perdermi nel suono delle sue risate, cristallizzarmi in un suo sguardo, ma dopo appena dieci minuti fummo arrivati. Pochi minuti e avrei pranzato con il ragazzo che da anni si era incatenato alla mia mente, costringendomi a pensarlo perennemente.
  
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