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Autore: Irine    13/07/2011    2 recensioni
La mia vita scorreva tranquilla, era semplice, normale, a volte anche un po’ noiosa, ma mi piaceva, mi lasciavo condurre da essa.
Finché non è arrivato lui. Quel ragazzo. Il ragazzo con gli occhi del mare, colui che mi ha fatto tornare indietro, in un mondo sconosciuto, nel quale avevo vissuto in passato.
Non ricordavo niente del mio passato, della mia vita prima di compiere sei anni.
Più cercavo di far luce su quel periodo, più la mia mente si confondeva.
Non avrei mai immaginato che fosse tanto cruento, tanto orribile.
Ma d’altronde, non avrei neanche mai immaginato che dopo dieci anni, il mio passato sarebbe tornato a cercarmi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fu come se la terra mi cascasse da sotto i piedi, tutto ciò in cui credevo, tutte le mie convinzioni, tutti i miei sogni sprofondarono nella voragine più buia del mio dolore. Sarei voluta sprofondare anch’io, avrei voluto non dover più ascoltare ciò che i miei genitori mi stavano dicendo, anzi quasi genitori; non ero loro figlia. Al solo pensiero mi girò la testa, non riuscivo a guardarli negli occhi, non riuscivo a credere a quello che avevano fatto. Come avevano potuto? Anzi dove avevano trovato la forza di mentirmi, di tenermi nascosta una cosa simile per tutti quegli anni? Dove avevano trovato la forza per rispondermi ogni volta che li chiamavo “mamma” o “papà”? Non ero mai stata sicura di nulla nella mia vita, né convinta di qualcosa. C’era solo una cosa che mi dava sicurezza: la mia famiglia. Avevo sempre creduto che mi sarei potuta fidare di loro, che non mi avrebbero mai tradito, che mi sarebbero stati accanto in ogni momento. Ma mi sbagliavo, ora che la verità mi si poneva davanti, ogni tessera del puzzle tornava al suo posto, tutto mi era chiaro. Alcuni comportamenti dei miei genitori che fino ad allora mi erano sembrati normali adesso mi erano chiari come l’acqua del mare. Una volta mio padre si fece male ad una gamba e dovettero portarlo in ospedale per ingessarla, avrò avuto 12 anni. Chiesi a mia madre se potevo fare il giro dell’ospedale e chiedere ai dottori a che ora ero nata di preciso, per gioco. Ma mia madre mi rispose che non c’era tempo e che dovevamo andarcene. Avrei potuto scoprire la verità.
 Oppure un’altra volta, molto tempo prima, quando ero ancora piccola. Avevo circa sei anni e mezzo. Passeggiavo lungo la strada, con la mano saldamente stretta a quella di mia madre, per paura che mi lasciasse andare. Mia madre si era fermata davanti ad un’edicola a leggere il giornale. Odiavo quando lo faceva, mi annoiavo sempre. Quindi avevo lasciato la sua mano e avevo cominciato a girare intorno all’edicola, per muovere i piedi. Stavo per cominciare il terzo giro, quando davanti a me si era parata una figura; ancora oggi non saprei dire se era un uomo o una donna. Una cosa era certa: quella persona, chiunque fosse, era ubriaca. Non avevo fatto in tempo a scansarla e ci avevo sbattuto addosso.
- Scusi. – avevo mormorato frastornata.
- Hei, stai attenta. – aveva esclamato, incespicando con le parole. Non c’era dubbio, era ubriaco.
- Aspetta. – aveva detto. – Ma io ti conosco, tu sei quella bambina che hanno adottato. – quelle parole mi avevano ferito, e avevo trattenuto a stento le lacrime.
- Cosa? – avevo domandato tremolante, sperando di aver sentito male.
- Ma sì, sei tu.
- Grace. Grace, dove sei? – sentivo mia madre chiamare.
- Credo che si stia sbagliando. –  Avevo risposto gentilmente. Avrei voluto andarmene, avrei voluto allontanarmi da quella persona ubriaca.
- No, no sono sicuro. Tu sei quella dell’incidente, vero? – quelle parole erano arrivate nella mia mente, stravolgendola. Non volevo crederci, ma cosa diceva?
- Grace! Vieni subito qui! – continuava a urlare mia madre.
- Devo andare da mia madre. – avevo sussurrato debolmente.
- Certo, come se fosse tua madre. – a quelle parole ero scoppiata a piangere, nello stesso momento in cui mia madre mi afferrava per un braccio, e mi trascinava via.
- Ti ho detto un mucchio di volte che non devi allontanarti! – mi brontolò. – E soprattutto non devi parlare con gli sconosciuti! Quante volte devo ripetertelo?
Appena si accorse delle mie lacrime, si fermò e mi accarezzò i capelli.
- Grace che hai?
Le raccontai le parole della persona ubriaca, sempre piangendo, e mia madre mi aveva ascoltata attentamente, aspettando che mi calmassi.
- Stai calma, non è successo nulla.
- Ma perché ha detto quelle cose? – chiesi io, dando per scontato che fossero false.
- Quella persona era ubriaca. Non devi dargli ascolto, mai. Le persone quando sono sotto l’effetto dell’alcool dicono cose senza senso, ma non devi darci peso. – concluse mia madre. Mia madre mi fece promettere di non avvicinarmi più a una persona di tal genere. In fondo non era una promessa difficile da mantenere, anzi, ero sollevata.
Però avevo sempre creduto che mia madre mi avesse vietato di rincontrarlo perché si preoccupava per me, e invece no. Non si preoccupava per me, si preoccupava di non far scoprire il suo segreto.
Alzai il viso sui miei genitori, avevano un volto supplichevole e angosciato, i loro occhi erano maschere di dolore ma riuscii anche a scorgere una punta di sollievo e di liberazione di non dover più nascondere un segreto tanto grande.
- Tesoro ci dispiace tanto, noi volevamo dirtelo ma ci è mancato il coraggio. - disse mia madre piangendo.
- Vi dispiace? Vi dispiace? Dopo quello che avete fatto è tutto ciò che avete da dire?- urlai in preda alla rabbia. – Non avete avuto il coraggio? Mi sembra che invece ne avete avuto fin troppo! Dove avete trovato il coraggio di fare una cosa simile? Dove avete trovato il coraggio per credere che io non scoprissi la verità? DOVE AVETE TROVATO IL CORAGGIO PER GUARDARMI NEGLI OCCHI IN TUTTO QUESTO TEMPO E NON PROVARE NEANCHE UN BRICIOLO DI VERGOGNA? - urlai con tutto il fiato che avevo in gola. I miei genitori non si meritavano quelle parole tanto crudeli, ma la rabbia aveva preso il sopravvento.
- Ci dispiace.
- Quando avevate intenzione di dirmelo? Probabilmente se non vi avessi sentiti non mi avreste detto nulla!
- Più tardi l’avresti saputo, più al sicuro saresti stata. - disse mio padre.
- Al sicuro da cosa? Da cosa?
- Non lo sappiamo.
- Come sarebbe a dire che non lo sapete?
- Ora ti farò vedere una cosa, ma non è nulla di buono.
Mio padre scomparve dietro la porta e rimasi sola con mia madre.
- Non devi prendertela con tuo padre, sono io che non ti ho mai voluto dire nulla, lui avrebbe voluto dirti tutto fin dal primo giorno. - sentenziò mia madre.
La guardai con occhi di ghiaccio, del tutto inespressivi e risposi acidamente:
- Credi che faccia qualche differenza?
- Lo so che sei sconvolta e ti senti delusa ma. . .
- Delusa? Tu credi che io sia delusa? Anche, ma non è quella la parte più importante. Il punto è che mi avete mentito per metà della vostra vita, io mi fidavo di voi e invece . . - la mia voce mi morì in gola, non riuscivo a continuare, le parole mi strozzavano e mi facevano mancare l’aria e un solo pensiero era presente nella mia mente; erano tutte bugie. Mi avevano sempre raccontato solo bugie.
– Perché non me l’avete detto subito? - provai a dire, anche se la mia voce era poco più di un sussurro.
- Lui ci ha fatto giurare di non dirti niente!
- Lui? Lui chi?- Iniziavo a comprendere che molte persone erano coinvolte in questa faccenda, forse troppe.
- Colui che ti ha lasciato sotto la nostra protezione, ha lasciato una lettera, dove diceva espressamente di non dirti nulla di questa storia, non sappiamo perché.
In quel momento mio padre tornò con una busta in mano.
- Leggi questa Grace, è tutto ciò che possiamo fornirti, non abbiamo nient’altro.
Afferrai la busta e me la rigirai tra le mani, non ero sicura di volerla leggere, avrei potuto trovare cose peggiori di quelle che avevo appena sentito. Guardai entrambi i miei genitori; mia madre mi guardava cercando di prevedere le mie reazioni, mio padre cercava di restare indifferente senza riuscirci. Sbaglio o anche i suoi occhi erano lucidi? Incredibile! Non avevo mai visto l’ombra di una lacrima sul suo viso, neanche quando era morta la nonna in un tragico incidente. Forse darmi questa lettera gli era costato più di quanto volesse far vedere. Alla fine aprii la busta e lessi:
 
 
Non vi conosco ma vi ho osservato e so che siete persone sincere e gentili e spero che vi occuperete di questa bambina, vi assicuro che non vi causerà alcun problema.
È una bambina speciale, diversa dagli altri, ma di questo vi accorgerete nel corso degli anni.
Spero che cresca nell’innocenza e nell’ignoranza del pericolo almeno per qualche tempo.
Se non vorrete tenerla vi prego di affidarla ad un'altra famiglia e di non lasciarla sola, se deciderete di tenerla con voi, vi chiedo per favore di non rivelarle per alcun motivo che non siete i suoi veri genitori.  Se solo lo scoprisse sarebbe in un grande pericolo, è importante che nessuno venga a sapere del mio legame con lei, tantomeno la bambina che potrebbe essere uccisa da un momento all’altro. Arriverà un giorno in cui scoprirà da sola la sua esistenza, ma dovrà farlo da sola e senza l’aiuto di nessuno. 
Non rivelate a nessun altro l’esistenza di questa lettera.
 
P.S:Mi raccomando fate attenzione!
 
 
Rilessi la lettera due volte, tre volte, quattro volte, tutte le volte che mi servivano per assorbire quelle parole scritte di fretta su un pezzo di carta spiegazzato. Quelle parole mandavano un chiaro messaggio: pericolo, un grosso pericolo, un pericolo sempre più vicino che presto mi avrebbe trovato, un pericolo che non conoscevo ed era questa la cosa che più mi spaventava. L’ignoranza del pericolo, l’ignoranza di un ignoto destino che mi stava soffocando, l’incapacità di scoprire il pericolo che era presente, avevo paura di qualcosa che non potevo controllare, qualcosa più grande di me, qualcosa che forse mi avrebbe ucciso.
Chiusi la lettera e me la infilai in tasca, avevo bisogno di risposte.
- Qualcun altro sa di questa lettera? - domandai.
- No, nessuno, solo noi.
- Non ho mai avuto un incidente vero?
- No, quando ti abbiamo trovato non ricordavi nulla, probabilmente avevi perso la memoria. Abbiamo deciso di dirti che avevi fatto un incidente per farti credere di essere nostra figlia, ma la verità è che neanche noi sappiamo a cosa è dovuta la tua amnesia.
- Siete sicuri? Non mi state mentendo, vero? – chiesi quasi supplicando.
- No, tranquilla, questa è la verità, te lo assicuriamo.
- Perché nella lettera dice che per me potrebbe essere pericoloso sapere chi sono davvero?
I miei genitori si guardarono di sfuggita, e nei loro sguardi riuscii a cogliere un segno di sconfitta, molto vecchio.
- Non lo sappiamo. Credici, abbiamo passato intere giornate a riflettere sul significato di quelle parole, e non siamo mai riusciti a dar loro un senso.
- Io . . . io non riesco a capire. Voi non sapete davvero chi sono i miei genitori? – chi potevano essere?
- No non lo sappiamo, tutto ciò che potevamo dirti te l’abbiamo già detto. - rispose mia madre.
- Anche se . . . anche se non sei nostra figlia noi ti continueremo a voler bene come te ne abbiamo sempre voluto, e ti aiuteremo quando avrai bisogno di aiuto. - Mia madre parlava a tentoni come se le mancasse l’aria, quell’espressione: - Anche se non sei nostra figlia . . . - capii che quelle parole le erano costate care. Forse in un altro momento avrei apprezzato ciò che mi aveva detto, sarei stata contenta di averli accanto. Ma stavolta no, le parole di mia madre mi infastidivano, mi irritavano, come poteva pensare di cavarsela così?
Non dissi niente, mi limitai a guardarli. Sembravano reduci di una tortura, talmente sfiniti che se non ce l’avessi avuta con loro, mi sarei preoccupata se stessero bene.
Me ne andai in camera in silenzio, non avevo più voglia di ascoltare nulla, ero arrivata al limite e non avrei sopportato un’altra rivelazione. Guardai la camera, non era cambiata di una virgola, era sempre disordinata e incasinata come sempre, ma c’era qualcosa di diverso, avevo una strana sensazione: questo non era il mio posto.
Non era possibile, due giorni fa avevo una vita normale e adesso era successo questo disastro. Quante cose possono cambiare in un solo giorno, in un minuto, in un attimo. Il tempo mi stava giocando un brutto scherzo dal quale non riuscivo più a uscire e nel quale sprofondavo sempre più. Perché il tempo mi aveva tradito? Perché lo vedevo sempre più lontano e inafferrabile?
In un momento era riuscito a spazzare via tutto, tutto quello in cui avevo creduto finora, tutto quello per cui avevo riso e pianto. Mi aveva portato via la vita, e la paura mi stava opprimendo, schiacciandomi i pensieri. Mi raggomitolai nel letto e iniziai a piangere sperando che le lacrime mi aiutassero a buttare fuori il dolore che in quel momento era dentro me, sperando che riuscissero a prosciugarmi la sofferenza che si espandeva nel mio corpo. Ma le mie lacrime erano troppo deboli per aiutarmi.



Lo so: questo capitolo non è un granché, ma non ho avuto il tempo di riguardarlo.
Ringrazio sempre tutti quelli che seguono la mia storia e un grazie speciale a Nedynadietta che ha recensito tutti i miei capitoli. Grazie mille!!!!
  
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