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Autore: Herm735    15/07/2011    5 recensioni
“Credo che sia il momento opportuno per parlare della profezia.” [...] "Il suo cuore è puro, incontaminato. Dovrà affrontare un lungo viaggio, e alla fine la metà del suo cuore sarà con lei per sempre.” Aveva scoperto che avevano due possibili ipotesi su cosa significasse quella frase.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Ginny Weasley, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Hermione, Luna/Ron
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Da Epilogo alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'WANTED'
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Ieri ho visto l'ultimo film di Harry Potter. È stato come se qualcosa fosse finito. Ma è stato anche come avere la certezza che non finirà mai.
Una dedica veloce alla saga che ci ha fatto sognare per tutti questi anni.


Buona lettura.





Solo un ragazzo


Era stato suo padre a volere che facesse il soldato.
Non gli era mai piaciuto tenere tra le mani un fucile. Non gli era mai piaciuto dover premere il grilletto.
Era solo un ragazzo, Sean. Aveva solo ventidue anni. Ma suo padre non sembrava essere in grado di vederlo.
Aveva tutta la vita davanti a sé. Avrebbe potuto fare l'architetto, o magari il dottore. Avere un futuro lontano dalla guerra.
Nel portafoglio che portava sempre con sé, all'interno della tasca destra sul retro dei suoi pantaloni, conservava una foto della ragazza che amava, Sheila. Aveva lunghi capelli biondi e gli occhi verde acqua che brillavano sotto la luce della luna.
In una lettera aveva saputo che la sua amata aspettava un bambino. L'avrebbe chiamato come suo nonno, se fosse tornato a casa vivo. Colin. Come il padre del padre di Sean.
Il pensiero di rivedere lei era l'unica cosa che lo faceva ancora andare avanti.
E suo figlio, suo figlio era il motivo per cui combatteva. Perché quel bambino potesse avere un futuro migliore.
Lontano dalla guerra.
Lontano dalla paura di uomini che possono strapparti la vita solo muovendo una mano.
Lontano da tutto il male che lui aveva visto e vissuto ogni giorno della sua vita negli ultimi undici mesi.
Ma adesso gli mancavano solo cinque giorni. E due ore alla fine di quel turno, quindi tra poco i giorni sarebbero diventati quattro. Faceva dodici ore di servizio al giorno, sul campo, e altre tre in ufficio di mattina presto.
Sessantadue ore. Tra sessantadue ore avrebbe finito il suo primo anno e sarebbe tornato a casa, almeno per qualche tempo.
Se fosse riuscito a convincere suo padre, Generale dell'esercito britannico, forse non sarebbe mai più dovuto tornare lì, in quell'edificio, nel bel mezzo del deserto del Sahara.
E era sicuro che suo padre lo avrebbe fatto restare a casa, una volta saputo che la sua fidanzata era incinta.
Si sarebbero sposati e avrebbero vissuto lontano dalla strage della guerra, per quanto gli fosse stato possibile.
Il suo sogno era sempre stato quello di fare il medico.
Voleva aiutare le persone, Sean. Non voleva ucciderle.
Un'ora e cinquantasei minuti e il suo turno sarebbe finito. Solo un'ora e cinquantasei minuti.
E dopo quel giorno, gli mancavano solo sessanta ore di servizio, per poter completare un anno e tornare a casa.
Era un ragazzo fortunato, Sean.
Lo aveva sempre pensato.
Aveva avuto una famiglia che lo amava e non si era mai ammalato, neanche da piccolo, era sempre stato sanissimo.
Andava bene a scuola, quando era alle superiori. Era sempre stato bravo, fin dalle elementari.
Voleva un futuro semplice. Se lo era immaginato miliardi di volte.
Era un bravo ragazzo, Sean.
Se non ci fosse mai stata la guerra, non avrebbe mai fatto del male a nessuno. Non avrebbe neanche mai fatto a pugni col bullo della sua classe, probabilmente. Si sarebbe fatto picchiare.
Sean era un pacifista. Ma è facile esserlo, in tempo di pace.
Mancava solo un'ora e quarantatré minuti. Poi sarebbe tornato alla base, il turno sarebbe finito e lui sarebbe andato a riposarsi, lasciando qualcun altro a custodire quel posto.
Un'ora e trentasette, e non capiva come mai si sentisse così nervoso, così desideroso di lasciare quel posto a qualcun altro.
In fondo, era stato lì migliaia di volte. Sarebbe stato di nuovo lì domani.
Sean era un ragazzo come tanti. Come migliaia di soldati che vanno in guerra perché hanno bisogno di soldi, o, nel suo caso, perché il padre, Generale dell'esercito, li obbliga.
Mancavano trentadue minuti, e sentì un rumore dalla stanza affianco. Impugnò il fucile e decise di andare a vedere cosa stava succedendo, anche se il suo istinto gli suggeriva di aspettare.
Arrivò nell'altra stanza.
“Andiamo. Il settimo piano ci aspetta.”
I due individui indossavano lunghi mantelli neri. I loro cappucci erano calati, a nascondere il loro viso. Senza esitare puntò il fucile contro i due maghi.
“Non muovetevi. Non muovetevi e nessuno si farà male. Se state fermi non vi ucciderò.”
“Tu non sparare e noi non uccideremo te” rispose una voce femminile.
Il giovane soldato, come unica risposta a quella frase, strinse ancora di più il fucile tra le mani.
Mancavano solo venticinque minuti, e poi sarebbe tornato a casa.
“Adesso chiamerò rinforzi. Se fate un movimento brusco o sospetto aprirò il fuoco, è chiaro?”
“Mi dispiace, ma temo che non potremo lasciartelo fare.”
“Non avete molta scelta, sapete? Sono io quello con il fucile.”
Era un giorno normale. Un giorno come tanti. Un giorno che in diciassette lenti minuti sarebbe finito.
“E noi siamo quelli con le bacchette, genio.”
Accadde tutto velocemente. Tutto in un secondo.
Sean sparò, ma i proiettili non arrivarono mai a colpire i due maghi.
“Era solo un ragazzo, Harry.”
Solo un ragazzo.
Un ragazzo come tanti.
Un ragazzo che non avrebbe mai fatto gli ultimi quattordici minuti che restavano alla fine del suo turno di guardia.
Quattordici minuti. Se i due maghi fossero arrivati solo quattordici minuti più tardi, Sean sarebbe potuto tornare a casa.
I suoi occhi azzurri erano ancora aperti, ma non vedevano più il mondo che vi era intorno.
Non avrebbero più visto quella grande casa bianca dove abitava da quando era piccolo. Non avrebbero rivisto i genitori, i fratelli, i nonni. Non avrebbero mai più rivisto Sheila. Non avrebbero mai visto il figlio a cui lei avrebbe dato il suo nome.
Era un giorno come tanti. Un soldato come tanti. Un ragazzo come gli altri. Un turno di guardia lungo quattordici minuti di troppo.
Una vita.
Sean era un ragazzo normale, prima che ci fosse la guerra.

“Quanti morti ci sono stati?” chiese il Tenente, entrando al primo piano dell'edificio.
“Diciannove soldati semplici e tre Ufficiali, signore.”
“Sappiamo chi è il responsabile di questa strage?”
“Non ancora, signore. Ma lo scopriremo presto, le telecamere all'ingresso hanno ripreso i volti dei due intrusi, e due cartelle sono sparite dall'archivio, insieme a due bacchette. Scopriremo presto di chi si trattava.”
“Quando potremo vedere le registrazioni?”
“Anche adesso se lo desidera. I nostri tecnici dovrebbero essere pronti.”
Il Tenente si limitò ad annuire, seguendo l'altro militare al terzo piano.
Uno dei tecnici li vide arrivare e si alzò dalla sedia, salutandoli ufficialmente.
“Riposo” comandò il tenente, curioso di scoprire chi fosse stato a far fuggire i due prigionieri più importanti e sorvegliati che avessero.
Il tecnico tornò a sedersi, prendendo il mouse del computer, fece riavvolgere le registrazioni delle ultime ore.
“Che avete scoperto fino ad adesso?” chiese in ansia il soldato.
Non voleva fare una brutta figura davanti ad un suo superiore, quindi si sforzò di tenere un'aria autoritaria.
“Purtroppo niente. Quasi subito dopo entrati i due individui si sono calati i cappucci sulla testa, e prima di quel momento, a causa di alcuni nostri soldati, la vista dei loro visi è sempre parzialmente o completamente oscurata. L'unica cosa che siamo riusciti a stabilire è che si tratta di un uomo ed una donna.”
“Questo ce lo avevano detto anche i soldati che sono stati storditi.”
“Già. Però al momento non siamo in grado di capire nient'altro.”
Uno degli altri tecnici si schiarì la voce.
“Purtroppo non avendo l'immagine completa del volto non possiamo effettuare una ricerca nei nostri archivi, quindi l'identificazione elettronica è esclusa.”
“Potremmo provare a vedere se qualcuno riesce a riconoscere i loro volti anche da una visuale parziale. A volte gli uomini sono più efficienti delle macchine, signore” suggerì uno dei soldati semplici nella stanza.
Il Tenente annuì.
“Suppongo che valga la pena provare.”
Passarono le seguenti ore a ricavare grazie a programmi appositi per la modifica delle immagini, una foto abbastanza chiara sul viso parziale dei due soggetti che avevano liberato i prigionieri.
Quando finalmente due foto appena decenti furono pronte vennero stampate e consegnate al Tenente.
“Cosa pensa di fare, signore?” chiese il soldato che lo aveva accompagnato.
“Per prima cosa voglio vedere il settimo piano. Poi deciderò come comportarmi” rispose l'uomo, eludendo la domanda del soldato.
Lui annuì e si incamminò verso l'ascensore.
Una volta al settimo piano, l'Ufficiale rimase molto sorpreso dalla forza dell'incantesimo che aveva distrutto la parete. Doveva essere stato uno dei maghi che avevano già inserito nella lista dei ricercati, era impossibile che un mago così potente gli fosse sfuggito.
“Questo tizio dev'essere una delle nostre più alte taglie.”
“A dire la verità, signore” iniziò il soldato con incertezza, “non è stato l'uomo a creare il varco attraverso il muro. È stata lei. La ragazza.”
Il Tenente lo guardò con stupore, prima di spostare nuovamente lo sguardo tra le foto che teneva tra le mani.
Fissò la foto molto attentamente e a lungo, ma non riuscì ad identificare la foto della donna.
“Al diavolo. Non è compito mio, infondo. Porterò queste foto al Generale dell'armata. Se ne va da questo Continente dimenticato da Dio tra quattro giorni. Doveva tornare a casa con suo figlio, ma a quanto pare il ragazzo non ce l'ha fatta.”
“Era tra di noi, signore?”
“Sì. Soldato semplice, quinto piano.”
“Oh, credo che stia parlando di Sean, signore” il soldato annuì con consapevolezza. “Tra quattro giorni sarebbe tornato a casa dalla sua fidanzata. Non vedeva l'ora di essere padre. Ormai era tutto ciò di cui parlava.”
Il Tenente annuì distrattamente, occhi ancora fissi sulle due fotografie.
“Comunque sia, il Generale torna a Londra. Farò il modo che identifichi le persone in queste foto e comunichi al Primo Ministro chi è il responsabile della fuga dei prigionieri. Sarà lui a dirci cosa dovremo fare dopo.”
Il soldato mormorò il suo assenso con un “Sissignore” stupito dall'insensibilità del Tenente difronte alla morte di un ragazzo.
“Credo che ci chiederà di trovarli, catturarli, torturarli, convincerli a dirci dove si trovano quei due figli di puttana che hanno liberato e poi ucciderli. A meno che non siano proprio loro che li stanno nascondendo. Ed in quel caso trovarli diventerà pressoché impossibile. E il Primo Ministro non è affatto contento di missioni pressoché impossibili.”
“Signore, vedrà che scopriremo chi sono e riusciremo a trovarli.”
“Oh, adesso prevedi il futuro, Smith? Attento, potrei pensare che sei uno di loro” rispose scherzando l'Ufficiale.
“Non sarei qui, se lo fossi, giusto, signore? Voglio dire, quanti maghi crede che ci siano tra i soldati umani?”
Il Tenente rise di gusto per un breve istante.
Ne saresti sorpreso” pensò.
“Cosa facciamo con il corpo di Sean, signore?”
“Chi?”
“Sean. Il figlio del Generale.”
“Oh. Quello che fate con tutti gli altri corpi” rispose come se fosse ovvio.
“Ma, signore, è il figlio di un Ufficiale.”
Il Tenente scosse la testa.
“È un soldato come tutti gli altri. Solo un morto come tanti. È solo un ragazzo.”




Un ringraziamento veloce, ma fatto con tutto il cuore, a tutti coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo.


Recensire richiede solo un minuto del vostro tempo. Ringrazio chiunque di voi si prenderà la briga di scrivermi due righe e farmi sapere la sua opinione. Grazie a tutti per aver letto il capitolo e un grazie particolare a chi segue la storia.




  
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