Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: Bikachu    15/07/2011    2 recensioni
Essere l'unica persona su cui possono fare affidamento.
L'unica che possa nasconderli e tenerli al sicuro dalle telecamere.
Un'amica, una persona importante capace di far tornare il sorriso a chi davanti alla propria vita ha trovato il buio tutto d'un fiato.
Tom ha bisogno di lei e Bill ora più che mai teme di non riuscire a controllare se stesso.
Ma quando il sostenere un amico diventa un qualcosa di più, ecco riaffiorare i ricordi passati che metteranno a dura prova una storia d'amore tenuta sospesa fra il presente, il passato e il futuro di due gemelli che vedranno in pericolo la loro notorietà e di una ragazza che, offuscata dall'amore ma per niente ingenua, tenterà di non fare l'ennesima scelta sbagliata.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Casa Keller
22 Ottobre
Ore 5:30
 
Mancava poco al compleanno di Kate e sapevo già cosa regalarle, il fatto era che dovevo accompagnare Tom all’ospedale per gli accertamenti e il negozio dove dovevo andare era da tutt’altra parte. A meno che non mi fossi clonata, era difficile che riuscissi a fare entrambe le cose in tempo.
La colazione era già pronta sul tavolo: il caffè fumante, i cornetti del bar che avevo comprato poco prima e le finestre aperte nella speranza che un qualche lieve fascio di luce penetrasse attraverso le tende ma le mie speranze erano vane e la mattina sembrava essersi scambiata di posto con la notte.
Aprii la porta-finestra che dava in balcone e una ventata di aria pungente mi investì il viso. Uscii fuori stringendomi addosso la mia solita coperta di pile, appoggiai i gomiti sulla ringhiera e respirai profondamente.
La quiete dopo la tempesta.
Il fruscio del vento fra gli alberi e le loro foglie ormai ingiallite, rossastre, che cadevano a poco a poco lungo le strade creando un uniforme tappeto multicolore. In lontananza si cominciavano a vedere le prime persone uscire di casa per andare a lavorare, gli spazzini che erano all’opera da un bel pezzo e le luci che illuminavano le strade notturne si spensero all’improvviso, segno che una nuova giornata stava per iniziare nella torbida Berlino.
Torbida, forse non era la mia città ad essere così, forse ero solamente io che dentro di me avevo qualcosa che non andava e di riflesso ogni cosa che mi circondava prendeva queste sembianze, le mie sembianze.
 
- Buong-g-g-iorno. – mi voltai e vidi un Tom insonnolito sfregarsi le braccia velocemente per compensare al freddo mattutino – F-forse potremmo chiud-d-ere la fines-s-tra, ti s-s-piace? -.
Corsi dentro chiudendo al volo i vetri – Ops, scusa. –
- Non ti preoccupare, figurati, per così poco… stai già facendo tanto per noi. – centocinquanta? Si, forse questa frase l’avrò sentita più o meno centocinquanta volte, se non di più.
- Dai Tom, siediti e bevi un cappuccino bello caldo è appena fatto. –
Tom si sedette a tavola e prese fra le mani la tazza ancora fumante. Una volta che la sua pelle entrò in contatto con il calore della ceramica, tutto il suo corpo si rilassò e anche l’espressione del suo viso divenne più morbida.
- E questi? – chiese indicando i cornetti.
- Un piccolo regalino… non ti ci abituare. – rise e afferrò il fagottino al cioccolato.
- Tu non fai colazione? – la sua bocca si era magicamente riempita di cioccolata e le parole uscivano come soffocate dalla pasta del cornetto.
- No, la mattina generalmente la faccio al bar dell’Università con Kate, oggi però mi avete dato l’opportunità di riutilizzare la moca dopo una vita! –
- Sono contento di ciò, a proposito il caffè è ottimo! –
- Sono contenta di ciò – risposi con la sua stessa intonazione facendogli l’occhiolino.
- Ehm ehm, mi faresti un favore? –
- Dimmi, però che sia una cosa veloce. Dobbiamo essere all’ospedale per le 6:30 oppure rimaniamo lì dentro per tutta la giornata. –
- Si si è una cosa velocissima… - disse mentre fissava le ondine del caffè che si formavano quando girava il cucchiaino.
- Allora dimmi. – lo incitai a continuare.
- Mi sveglieresti Bill? – chiese con una semplicità estrema.  Per lui era la cosa più cretina del mondo ma per me era una missione ardua da portare a termine.
Sbuffai. Guardai a terra con le mani posate sui fianchi come se non credessi che lui mi avesse chiesto di fare una cosa del genere. Alzai gli occhi e incrociai i suoi che mi fissavano con aria di sfida.
Tom alzò una mano e con l’indice mi suggerì di andare verso il corridoio, lo guardai per altri secondi senza dire nulla rimanendo saldamente nella mia posizione e la sua mano cominciò a fare avanti e indietro da me verso il corridoio. Pareva una specie di segnale stradale squilibrato.
- Ok ok, va bene ci vado. – mi incamminai con passo deciso senza voltarmi a guardare la faccia di Tom che di sicuro, mi ci sarei giocata le mutande, aveva stampato in faccia un sorriso da gongolone.
“Ma guarda te, mi tocca fare pure da balia a dei ventun’enni. Devo pure svegliarlo adesso! Cos’altro vuole che faccia, che gli porti la colazione a letto?”
Arrivai davanti alla porta e mentre stavo per aprire la maniglia ed entrare dentro la stanza a passo di carica per svegliarlo con un urlo agghiacciante in “sergente Snorkel style”, mi fermai e capii che non sarebbe stato da ragazza matura fare una cosa del genere. Accoglierli in casa propria e poi svegliarli come se fossero in caserma, era un po’ un controsenso.
Bussai dolcemente sperando che all’interno una qualche voce parlasse così io potevo tornarmene in salone con la consapevolezza che era già sveglio, invece no, nessuno rispose dall’altra parte.
Sfiorai la maniglia e abbassandola cominciai a respirare lentamente chiudendo gli occhi.
 Spinsi la porta di poco, quel poco che mi bastava per vedere dentro: il mio letto era nella penombra e l’alba stava sorgendo fuori dalla finestra. La parte dove aveva dormito Tom era vuota e disfatta mentre affianco c’era un cumulo di coperte che si gonfiavano e si sgonfiavano in maniera impercettibile.
Entrai chiudendo alla spalle la porta e un aroma dolciastro mi invase le narici. Sembrava una specie di deodorante, o un qualche dopobarba… mi piaceva.
Cercai di girare intorno al mio letto a baldacchino per raggiungere Bill facendo attenzione a non inciampare nelle loro valige che erano disseminate disordinatamente sul pavimento.
“Mio Dio che caos!”
Poi lo vidi, vidi quella specie di creatura fantastica che aveva riempito la mia vita passata: Bill assolutamente senza un filo di trucco, con i capelli sbarazzini sparsi un po’ ovunque sul suo viso e le coperte tirate fin sotto al mento. Era davvero fantastico e non potei fare a meno di guardarlo per una manciata di secondi. In quei pochi attimi ero riuscita a rivedere in lui il vero Bill Kaulitz.
Scossi la testa e mi inginocchiai vicino al letto, davanti al suo splendido viso.
“Non mi ricordavo che fossi così bello. Dietro a tutto quel trucco, in fondo, si nasconde sempre il solito ragazzino che mi riempiva di fiori la cassetta della posta… ma sei cambiato. Pure se all’esterno mi ricordi quel bambino, al tuo interno non trovo nulla che mi ricolleghi al vecchio Bill. Eppure c’è qualcosa che non riesco a capire… qualcosa di te… qualcosa che credo non capirò mai a questo punto.”
Sospirai. La tentazione di sfiorare quel viso era effettivamente tanta ma sollevata la mano verso un suo ciuffo corvino mi resi conto che non potevo farlo: qualcun’altra avrebbe avuto il compito di stargli accanto e di aiutarlo nei momenti bui, qualcun’altra lo avrebbe tirato su di morale quando era triste, qualcun’altra sarebbe stata la sua lei, non io. Io non lo ero più da un pezzo e non volevo commettere lo stesso errore.
Non volevo più soffrire.
Ma allora… perché quella qualcun’altra che lo stava svegliando ero io?
Puro e semplice altruismo.
Parlò la mia coscienza che in fondo non aveva tutti i torti.
Sovrappensiero non mi resi subito conto che Bill aveva cominciato a muoversi. Scattai in piedi come una saetta e tornai dalla parte del letto disfatta.
Bill si stiracchiò.
- Tom, sei sveglio? – la voce era leggermente cavernosa e la sua mano tastò il cuscino in cerca del fratello ma non trovandolo aprì bruscamente gli occhi guardandosi intorno.
Parla, cavolo, parla. Dì qualcosa!
- Ehm, no Bill… Tom è a fare colazione io sono venuta qui perché… ecco, perché… - cosa mi inventavo? Non potevo dirgli che ero là perché dovevo svegliarlo e che ho passato la maggior parte del tempo a guardarlo lottando contro me stessa per non farli una carezza, sarebbe stato troppo imbarazzante! – Ecco, sono qui perché Tom mi ha chiesto di portargli il cellulare e… oh, eccolo qua, meno male! – afferrai un oggetto dal comodino di Tom ma nel buio non avevo proprio la minima idea di cosa avessi preso. – Adesso ti lascio solo così ti vesti, scusa ancora se ti ho svegliato… ci vediamo dillà. – uscii di fretta dalla stanza, lasciando Bill seduto sul materasso.
Ti sei pure scusata?
Ah, lascia stare.
Andai in salone e trovai Tom che inzuppava un secondo cornetto nel suo cappuccino.
Mi sedetti a tavola e il suo sguardo allibito si posò su di me.
- Tutto ok? – chiese moderando le parole.
- Ehhh si. – feci spallucce e gli sorrisi come un’ ebete schizzata. Sembravo appena uscita da un ricovero per  ipertesi!
- Ah, capisco. Allora, scusa la domanda, ma… perché vai in giro con un telecomando in mano? –
Rimasi lì senza dire nulla, a pensare a cosa aveva appena detto, poi mi guardai fra le mani e il telecomando della TV che era in camera mia mi si parò davanti agli occhi.
- BENISSIMO! – dissi ironicamente.
Poco dopo Bill ci raggiunse in salone.
- Ciao brò. – salutò Tom.
- Buongiorno. Ho bisogno di caffè, tanto caffè… - sbadigliò.
- Prendo una tazza e te lo verso subito, cappuccino o solo caffè? - chiesi a Bill con nonchalance facendo finta di niente riguardo a quello che era accaduto poco prima e frugando dentro lo scolapiatti una tazza pulita.
- Cappuccino, grazie. –
- Zucchero? –
- Un cucchiaino mi basta per carburare, almeno credo. – si passò una mano sulla spalla e fece una mezza smorfia di dolore.
- Io stanotte ho dormito da re! Seriamente Kim, il tuo letto è una favola! – mi voltai per squadrarlo e non capivo se in quella sua affermazione c’era un doppio senso voluto o era più un volermi ricordare la discussione della sera precedente davanti al caminetto.
Portai il cappuccino a Bill che era ancora in piedi con le mani appoggiate allo schienale della sedia.
- Ah Tom, prima che mi ci sieda sopra… - disse, attirando sia la mia attenzione che quella del fratello – Tieni. – tirò fuori un IPhone da una tasca dei suoi jeans e lo posò affianco al braccio del treccioluto. – Credo che Kim si sia dimenticata a cosa serva un telecomando... – disse con un sorrisetto beffardo girandomi intorno.
Io rimasi immobile, paralizzata dalla paura che Bill aveva intuito il mio stato d’animo.
Oh ma al diavolo tutti questi trip mentali! Vivi come capita!
Giusto.
- Si, ho sbagliato lo so, ma una volta uscita dalla stanza non ho voluto rimetterci piede perché sapevo che ti stavi cambiando. – risposi stizzita.
Bill si sedette tranquillamente e cominciò a mangiare.
- Come vuoi, ma non ti inquietare perché non sto pensando a nulla… comunque grazie per i cornetti. – lo disse sorridendo quasi mi stesse prendendo per i fondelli.
- Prego. – alzai gli occhi al cielo e feci per andare in bagno.
- Kim ma… -
- Si? – mi girai nuovamente verso Tom. Se continuava di questo passo a chiamarmi ogni tre secondi, avrei rischiato di lì a poco un micidiale colpo della strega!
- Ecco… dicevo, quella tua amica… -
- Kate? –
- Eh, si lei. Non è che mi accompagnerebbe a fare le analisi? –
- E perché mai dovrebbe? Hai il tuo taxi personale, cos’è, non ti fidi? – a che vantaggio far andare Tom con Kate, perché mai? Non aveva senso.
- Non capire male, è solo che… sai… ieri quando è stata con me mentre tu e Bill stavate sistemando le macchine con David, parlando… mi aveva dato la sua disponibilità per accompagnarmi stamattina. –
Non potevo crederci.
- Mi stai dicendo che hai bisogno che qualcuno anzi qualcuna, una a caso, ti accompagni all’ospedale e rimanga con te tutto il tempo per poi riportarti a casa? Ma quanti anni hai, due? Scusami ma le cose non mi quadrano eh! Io pensavo che… vabè, tanto che penso a fare, conoscendo Kate se adesso la chiamo ci sono l’80% di probabilità che sia già qua fuori la porta. – presi il cellulare.
- No dai non chiamarla, se poi dorme? –
- Si sveglia, non è un problema quello… siamo abituate a chiamarci presto per le cose dell’Università. –
Composi il numero e portai il BB all’orecchio.
- A che ora le avevi detto di stare qua? No, scusa, riformulo la domanda: a che ora le hai detto che partivamo da casa? –
- Alle 6:00. – diedi una rapida occhiata all’orologio: le 5:50. Kate era di sicuro fuori casa mia.
- Comunque non capisco, potevi benissimo dirmelo che volevi andare con lei Tom, lo sai che non ho di questi problemi. Però detto così non mi dai neanche il tempo di organizzarmi la giornata. –
- Scusa… - fece una faccetta triste e mi sentii quasi in colpa per averlo “sgridato”.
- Fa niente… oh ciao Kate, scusa se ti chiamo a quest’ora, so che oggi non abbiamo i corsi ma per caso… non è che stai venendo qua? – sorrisi sorniona quando disse che era ad aspettare Tom vicino la mia macchina. – Si si, me l’aveva detto tranquilla, me l’ero solo dimenticato non importa… ok, quindi andate voi due io farò altri giri in centro. Ci vediamo dopo a casa mia, rimani per cena? Perfetto. Un bacione tesoro. – chiusi la telefonata.
- Sbrigati che ti sta già aspettando nel parcheggio. – Tom si alzò facendo muovere tutto il tavolo e il cappuccino di Bill cadde sulla tovaglia pulita.
- TOM! – Bill alzò le braccia in aria infuriato.
- Scusa, scappo, ciao ragazzi divertitevi qualunque cosa vogliate fare oggi! –
“Divertitevi? Ma che pensava dovessi fare?”
- Ciao. – la porta d’ingresso si chiuse e Tom se ne andò portando via con sé anche quel poco chiasso che c’era in casa. In salone scese il silenzio.
Bill tamponò con della carta da cucina il latte versato, e vedendolo sclerare mentre non riusciva a ripulirsi la maglia mi avvicinai e lo aiutai senza pensarci due volte.
- Lascia stare, tanto questa ormai la dovrò lavare. E’ zuppa di caffè! – presi dalle sue mani la carta intrisa di latte e la gettai nella spazzatura. – Aspetta qua, vediamo se riesco a fare un miracolo… -
Con una spugnetta bagnata tornai da Bill che non si mosse di un centimetro e cominciai a strofinargliela delicatamente sulla macchia che lo aveva segnato proprio in mezzo al petto. Feci dei movimenti rotatori per togliere le sfumature del caffè ma se continuavo solo a trattarla dall’esterno, non sarebbe mai andata via.
Il suo petto si alzava e si abbassava sotto la mia mano e il suo respiro mi accarezzava i capelli.
Una strana sensazione mi percosse e quella voglia matta di accarezzarlo tornò a farsi più viva che mai.
- Bill, se continuo a strofinarla mentre la stoffa è attaccata alla tua pelle, non penso che andrà via facilmente. – precisai.
Il fatto era un altro: non stavo solamente cercando di spiegare a Bill “qual’era la drastica situazione della sua maglietta”, ma in verità facevo tutto quello solo per poterlo sfiorare, solo per sentire il suo contatto con la mia mano… dopo così tanto tempo….
- Devo toglierla? – mi chiese ingenuamente.
- No, tienila ma basta che rimani fermo. –
- Ok. – presi un bel respiro senza che se ne accorgesse.
Scesi molto lentamente con la mano libera fino ad afferrare la parte bassa della sua maglietta e sempre molto lentamente la portai sotto la stoffa.
Bill rimase muto e immobile come una statua.
La sua pelle pareva andare a fuoco sotto la mia mano e il suo addome era piatto, liscio, ovviamente tutto questo doveva sembrare un caso quindi non potevo soffermarmi tanto. Salii con la mano fino al suo petto e la poggiai proprio dov’era la corrispondenza della macchia sulla maglia, così il tessuto si sarebbe tirato e sarebbe svanito tutto.
La stoffa della maglietta si era talmente tirata su che Bill era coperto solo sulle braccia e sulle spalle.
Ero distratta, il calore che sprigionava era paragonabile ad un termosifone, era caldissimo e il suo respiro continuava ad avvolgermi. Inconsciamente stavo chiudendo gli occhi e la spugnetta cadde dalla mano.
- Kim… ti senti bene? – mi prese tra le sue braccia e io rinsavii.
- Si scusami, forse non fare colazione non è stata una grande idea. – buttai lì una scusa.
- Non hai ancora mangiato? –
- No… ma non importa, ora esco e mi prendo qualcosa al bar, tu oggi hai tutta casa per te quindi vedi di non fare danni! – ero tornata quella di sempre. Presi la borsa, misi dentro il cellulare e cercai le chiavi della macchina.
Bill abbozzò un sorriso sbieco e poi tornò di nuovo serio.
- E se ti accompagnassi? –
Lo guardai sorpresa con le chiavi sospese a mezz’aria.
- Vorresti accompagnarmi? –
- Perché no, dai, aspettami un secondo che prendo il giacchetto. Dove andiamo? – continuavo a seguirlo con lo sguardo finché non sparì in camera per poi riuscire dopo pochi minuti con una maglietta pulita, un cappotto nero lungo a ¾, una sciarpa grigia e un berretto  scuro. Che fantasia!
- Un paio d’occhiali a mosca e sei pronto per entrare nei M.I.B.! – gli dissi scherzando.
- Io farò pure parte dei Men In Black ma tu che vai in giro quasi senza nulla che ti protegge, bhè… sei incosciente, ecco perché te ne metti una anche tu. – Inaspettatamente una sciarpa di lana bianca e nera mi si attorcigliò intorno al collo.
- Ma è più grande di me! – era una cosa immensa, sembrava un paracadute arrotolato. I pelucchi della lana mi entrarono in bocca e fui costretta a sputacchiarli via ma si erano appiccicati alle labbra e alla lingua, impossibile levarli tutti.
- Forza, forza usciamo! – Bill mi spinse oltre la porta d’ingresso e una volta chiusa a chiave, mise le chiavi nella tasca del mio cappotto.
Da dove usciva tutta quell’euforia!?
Rideva, era felice.
Tom era in ospedale e lui era felice?
Ma che COSA CONTORTA erano i Kaulitz?
- Comunque ancora non mi hai detto dove andiamo. – domandò mentre scendeva i gradini a due a due.
- Se proprio lo vuoi sapere, devo andare a fare compere nel tuo settore. – mi guardò incuriosito. – Niente di che Bill, devo comprare un regalo per Kate e avrei in mente di regalarle un disco in vinile delle Runaways. –
- Particolare, sempre se ti piace lo stile della Jett e il “ch-ch-ch-ch-ch-ch-ch” di Cherry Bomb! – mimò quella frase mettendo la mano come a formare un becco e picchiettando sul mio naso ad ogni “ch-ch” che diceva.
- Bill ma che erba fumi? –
- Marlboro light o rosse, dipende dai periodi. – lo guardai con aria demoralizzata, per me certe volte non ci arrivava proprio!
- Sei veramente strano! Fattelo dire! –
Arrivati nel parcheggio cercai di mettere in moto Skids ma qualsiasi mio tentativo di accensione, la piccola Chevrolet non rispondeva.
- Ecco, adesso ci mancava anche questa! –
- Aspetta, vediamo se riesco io a fare un miracolo adesso… - Bill uscì dalla macchina e aprì il cofano, disse di mettere in moto ma la vettura non voleva proprio dare una mano.
- Coraggio piccoletta parti, dai ti prego parti… niente. BENE! – sbattei le mani sul volante e mi lasciai cadere sul sedile.
Bill si avvicinò al finestrino, lo abbassai molto apaticamente.
- La batteria è andata. Un classico. – la fortuna continuava a perseguitarmi.
- Quindi? –
- Quindi abbiamo due opzioni per oggi: o torniamo a casa e non facciamo nulla fino a questa sera, oppure prendiamo la mia, anzi se esci mi dai una mano a togliere il telo. – diede due colpetti con la mano sulla mia portiera per incitarmi a scendere e io, ovviamente, lo seguii.
- Come si fa qua? –
- Basta che slacci i fiocchi in basso, il telo si allarga e noi lo tiriamo via. – sembrava facile.
Slacciai due fiocchi e l’elastico si allargò in un attimo. Poi Bill si mise davanti al muso della macchina che sembrava un immenso pacco regalo, le mancava solo il fiocco rosso sopra e sarebbe stata perfetta.
- Mettiti dall’altra parte e alza il telo, così lo portiamo via insieme senza rischiare di farlo impigliare da qualche parte. – tirammo via il telo e quella meraviglia di macchina venne scoperta. Era splendida!
Prese una busta di plastica, di quelle grandi, ci infilò il telo reduce dell’acquazzone della serata passata e gettò tutto nel portabagagli della sua Q7.
Rimasi a guardarla a bocca aperta, era divina! Ed era enormemente enorme!
- Bhè, che fai non sali? – chiese Bill da dentro l’auto.
- Si arrivo, stavo pensando… ero su un altro mondo. – per salire dovetti tirarmi su la gonna altrimenti sarei rimasta a terra. Oltre che bellissima, quell’auto era anche alta!
La megalomania di Bill Kaulitz non aveva limiti!
Chiusi la pesante portiera che fece un suono pieno e al tempo stesso “protettivo” che a confronto quella della mia macchina sembrava era un insulto alla sua.
- Quindi… direzione? – chiese mentre metteva in moto.
- Bülowstrasse, andiamo al Mr Dead and Mrs Free, forse lì hanno quello che cerco. -
Bill era fantastico dentro quell’automobile, poi da un cassettino tirò fuori un paio di Dior mise su anche quelli e si voltò verso di me.
- Trasformazione M.I.B. completa! -
 


NOTE: volevo ringraziare 
Morgue.Tomsa per avremi aggiunta fra i suoi autori preferiti :)
Grazie mille a te e a tutti i lettori che seguono la mia storia :D

Bìkachu.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Bikachu