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Autore: Minako_86    20/03/2006    1 recensioni
Everwood, Colorado. Ogni cosa è iniziata lì ed ogni cosa finirà lì. Perchè Everwood non è solo una cittadina di qualche migliaio di abitanti... Everwood è l'eterna partenza, Everwood è terra di arrivi, Everwood è una storia che si intreccia e si scioglie infinite volte. Everwood è mille vite, una dentro l'altra. La terza serie, vista da me, con un personaggio nuovo... leggete anche la premessa, per favore! ^^
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo I -

 

Everwood, Colorado. Ogni cosa è iniziata lì ed ogni cosa finirà lì.

Perchè Everwood non è solo una cittadina di qualche migliaio di abitanti...

Everwood è l'eterna partenza, Everwood è terra di arrivi, Everwood è una storia che si intreccia e si scioglie infinite volte. Everwood è mille vite, una dentro l'altra.

 

Ephram Brown gettò uno sguardo annoiato al di là del vetro. La finestra grondava d'acqua. Quel maledetto temporale era riuscito a schiacciare con la sua sorda violenza perfino la leggera delicatezza dei ricami che le gocce di pioggia avevano tessuto sulla superficie trasparente. Un foglio bianco piegato in quattro occhieggiava pericolosamente dal bordo del cassetto in cui era stato malamente infilato. Sbuffò sonoramente, afferrandolo e gettandolo sulla scrivania con un gesto svogliato. Lui si sentiva esattamente così: schiacciato, annientato, distrutto dall'insensata cattiveria della vita. Eh sì, perchè qualcuno o qualcosa doveva pur esserci. Qualcuno che ce l'aveva a morte con lui o qualcosa che aveva fatto sì che il suo sogno gli crollasse davanti agli occhi. La Juilliard... che ora poteva essere solo un'utopia. Otto settimane passate a New York per prepararsi ad un'audizione che come unico risultato aveva avuto quello di riportarlo con i piedi per terra; per Everwood poteva essere un genio, ma per la dura e sprezzante realtà della Grande Mela rimaneva solo un mediocre. Bell'affare, davvero. L'unica cosa che gli era rimasta di quella scuola era un foglio intestato con su scritto che i suoi risultati non erano sufficienti per essere ammesso. E come se non bastasse dover sopportare il peso di quella umiliazione, appena tornato Andy gli aveva manifestato, con tutto il trasporto che un padre può avere per suo figlio, la sua gioia per questo suo primo progetto di un futuro tutto 'in musica'... Un pianoforte nuovo, scuro e lucido come piaceva a lui, un computer portatile ed uno spazio tutto suo. Uno studio fantastico, attrezzato nel garage ormai vuoto. Vuoto perchè il grosso fuoristrada nero della famiglia Brown era stato venduto, per permettere che potesse godere di tutto quello di cui chiunque studiasse alla Juilliard avesse bisogno. Con che coraggio avrebbe potuto confessare che era stato rifiutato? No, meglio un comodo sorriso di circostanza e un entusiasmo forzato. Così, almeno in apparenza, sarebbero stati tutti felici.

Il boato di un tuono particolarmente potente lo riscosse dai suoi pensieri appena in tempo, perchè potesse sentire il suono insistente del campanello. Il dottor Brown era ancora in studio e Delia era a casa di qualcuna delle sue amichette di cui lui nemmeno ricordava il nome. Scese le scale e attraversò di corsa il salotto della casa deserta per andare ad aprire la porta.

- Va bene, eccomi. Eccomi! - Rimase bloccato, con le dita ancora strette intorno alla maniglia e lo sguardo fisso sulla figura che gli stava davanti. Una ragazza completamente fradicia lo fissò di rimando con gli occhi verdissimi seminascosti da lunghe ciocche ramate.

- Non ho intenzione di restare qua fuori un minuto di più, Brown! - Il suo viso accigliato venne illuminato per un attimo dal bagliore di un lampo e lui avrebbe potuto giurare che sotto quella smorfia si nascondeva un sorriso.

- Maria? - La voce gli uscì leggermente strozzata per l'emozione. Se quella che aveva davanti non era un'allucinazione, voleva dire che forse c'era ancora un raggio di sole, oltre la tempesta che l'aveva investito.

- Ciao, Ephram. - Si sciolse in un sorriso radioso, intenerita dalla sua reazione. Si scostò un ricciolo ribelle dal viso, mentre lui le si avvicinava. Fece per abbracciarla, ma lei si tirò indietro. - Aspetta, così ti bagnerai tutto! - Fu il suo turno di sorridere. Le circondò le spalle e la strinse a sè, incurante dell'acqua che gocciolava tutto intorno a loro. Lei ricambiò il suo gesto, passandogli una mano fra i capelli. - Ehi... se vogliamo prenderci una polmonite, siamo sulla strada buona! - Dopo qualche secondo, la sensazione dei vestiti freddi e bagnati sulla pelle cominciava ad essere un po' fastidiosa. Ephram la lasciò andare un po' a malincuore e dopo aver sollevato una valigia enorme, la invitò ad entrare.

- Che cosa ci fai in quest'angolo di mondo? Insomma, Everwood è un posto dimenticato da tutti, fuorchè da coloro che ci abitano! - La borsa e il cappotto zuppo di Maria erano stati abbandonati nell'ingresso. La ragazza si stava asciugando i capelli, frizionandoli energicamente con un asciugamano di spugna rosa.

- E' una storia lunga. Piuttosto, sono due anni che non mi vedi e questo è tutto quello che ti viene in mente di dirmi? - New York. Maria faceva parte di quella che era la 'vecchia vita' di Ephram e dei Brown. Si erano visti per l'ultima volta al funerale di Julia, ma lui era troppo scosso e troppo preso dal suo dolore per accorgersi che lei gli stava soltanto chiedendo di potergli stare vicino. Da quando si erano trasferiti in Colorado, si sentivano ogni tanto via e-mail, ma non era certo come essere ancora insieme. Diede un ultima scossa e poi appoggiò l'asciugamano umido sul bracciolo del divano. Si accomodò e allungò la mano per prendere la tazza che Ephram le stava porgendo.

- In certi casi, nulla è meglio di un buon caffè! - Le si sedette accanto e lei si appoggiò alla sua spalla.

- Questo non è caffè! Questa è acqua scura riscaldata... solo in America si ha il coraggio di chiamarlo caffè!

- Dimenticavo la tua venerazione per l'espresso italiano! Da quando hai fatto quel viaggio di studio a Firenze, non sei più la stessa. - Ridacchiò, sorseggiando il suo caffè.

- Se l'avessi provato, mi daresti ragione! - Appoggiò la tazza sul tavolino e sfilò anche quella di lui dalla sua mano, ancora prima che avesse finito di bere. - La prossima volta te ne preparo uno io, come si deve.

- Adesso mi dici che ci fai qui? - Riprese, accarezzandole il braccio per poi affondare la mano nell'intreccio dei suoi riccioli rossi.

- Non demordi mai, eh? - Lui alzò le spalle, sorridendo divertito. - E va bene. Mio padre è partito per l'ennesimo meeting internazionale; Spagna, Francia... la solita storia. E la nonna, che di solito mi prendeva in custodia, è decisamente troppo vecchia e troppo stanca per avere ancora a che fare con me. Perciò eccomi qua!

- E tua madre? - Maria sospirò profondamente e prese a torturarsi le mani, mentre cominciava la parte più dolorosa del suo racconto. Le faceva male tornare su certi argomenti, ma non si sentiva di nascondergli qualcosa di così importante.

- Mia madre... beh, mia madre al momento sta in una clinica, a Denver. Neanche troppo lontano, tutto sommato. - Sorrise amaramente, cercando di rivalutare i lati meno tristi della faccenda. Ephram si fece improvvisamente più attento... sembrava esserci dietro qualcosa di più serio del previsto.

- Una clinica? E' malata? - Come domanda suonava straordinariamente stupida, ma non era riuscito a trattenersi dal fargliela.

- In un certo senso... Si può forse definire sana una persona che, nonostante sappia di essere predisposta a sviluppare linfomi al fegato, ritiene divertente imbottirsi di superalcolici? - Ci vollero un paio di minuti, prima che lui si rendesse conto dell'effettiva entità di quella rivelazione. - Mia madre è un'alcolizzata, questa è la verità. - Riprese, prima che potesse venire interrotta.

- Accidenti, mi dispiace... - La strinse leggermente, cercando di farle capire che le era vicino, sempre.

- Oh, non serve, credimi! Questa storia va avanti da troppo tempo... è quasi un anno e mezzo, ormai. L'ho sentita promettermi che avrebbe smesso almeno un milione di volte, prima che papà si decidesse a farla ritirare dove avrebbero potuto aiutarla. O almeno così crede lui. L'ultima volta che sono andata a trovarla, nascondeva una bottiglia di scotch nell'armadietto del bagno... è sempre così. Ci ricade puntualmente, è più forte di lei! Ma adesso basta. Io non ne voglio più sapere di lei, ho chiuso. - Agitò le mani davanti a sè per rafforzare il concetto.

- Non dire cose di cui potresti pentirti. - Lei si alzò in piedi, scuotendo energicamente la testa.

- Sono stufa di soffrire a causa sua! Mi sono illusa troppe volte che tutto potesse tornare come prima. Quello che mi sembra chiaro è che non avrò mai più una vera famiglia e devo rassegnarmi. - Ephram la seguì e si fermò esattamente difronte a lei.

- Tu almeno hai ancora una madre. - Concluse tristemente, non potendo impedire che il sorriso di Julia Brown si affacciasse in mezzo al caos dei suoi pensieri.

- Oh Dio! Ephram... scusami, scusami... - Gli prese le mani e le strinse appena.

- Non parliamone più. - Sorrise lui, abituato ormai al sopportare accenni più o meno velati alla madre morta. - Piuttosto ancora non mi hai detto perchè sei venuta proprio qui.

- Avevo voglia di vederti... e anche di vedere questa famosissima Everwood di persona. Ho colto l'occasione al volo! L'unico problema sarà convincere il dottor Brown ad avermi fra i piedi per un po'! - Un guizzo divertito attraversò i suoi occhi color smeraldo.

- Considerala già cosa fatta! - La sollevò di peso e la prese in braccio, mentre lei scoppiava a ridere. - Benvenuta ad Everwood, Maria.

  
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