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Autore: Usa_chan 10    16/07/2011    2 recensioni
Una full-immersion nella coscienza Gaara: se avete letto "Un altro cielo", questa ff riprende la storia per come la vive il kazekage senza sovrapporsi al racconto di Hinata...buona lettura!
"Scivolai fino a sedermi a terra e mi presi la testa tra le mani: più mi sforzavo di soffocare la voce del demone che insistentemente cercava di convincermi del fatto che ero nato per uccidere, che il grido acuto del mio stesso dolore, inudibile a tutti, non poteva essere placato che con il sangue altrui, che non ero altro che un mostro, infine, sempre e solo un mostro, più quella si faceva penetrante e convincente. "
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Capitolo 2: me, in your hands

Alle tue mani avrei lasciato il pugnale

affinché tu colpissi e annientassi la bestia;

alla tua volontà avrei lasciato il potere di decidere,

per me, per te, per quello che io non sono grado di fare;

al tuo amore che brucia come il sole,

avrei lasciato il compito d’incendiarmi il destino.

Sulle soglie della luce ti guardo ridere

e consolare e carezzare il mostro che ringhia e si dimena.

La strada taceva, addormentata sotto il respiro costante del villaggio immerso nell’oscurità fresca e piacevole della notte. Tirai un calcetto ad un sasso dalla forma irregolare, che filò via, rimbalzò e si fermò, incuneandosi in un angolo buio. Alzai lo sguardo sulla finestra dell’ospedale e mi guardai intorno, ostentando una disinvoltura che non sentivo mia, lanciando occhiate indifferenti alla tenebra gommosa che si accostava con impertinenza alle macchie gialle di luce artificiale ai piedi dei lampioni. Più lontano, anche il deserto, immerso nel tepore del proprio immane sospiro, scintillava con minor vigore, appisolato contro gli orli del villaggio.

Mi appoggiai con la schiena al muro caldo di una casa e alzai gli occhi fino a poter incontrare lo sguardo scintillante e indiscreto di una solitaria stella, sfuggita non so come alla ricciuta mano delle nuvole grigie e sospirai. Avevo tentato per tutto il giorno di occuparmi dei miei impegni di Kazekage con la massima concentrazione, eppure un rivoletto d’ attenzione continuava a sfuggirmi dalle mani e a correre lungo i muri della camera di Hinata, ad immaginarla sola e impaurita, circondata da mura sconosciute e da ombre altrettanto ignote per lei.

Scivolai fino a sedermi a terra e mi presi la testa tra le mani: più mi sforzavo di soffocare la voce del demone che insistentemente cercava di convincermi del fatto che ero nato per uccidere, che il grido acuto del mio stesso dolore, inudibile a tutti, non poteva essere placato che con il sangue altrui, che non ero altro che un mostro, infine, sempre e solo un mostro, più quella si faceva penetrante e convincente.

Affondai entrambe le mani nella consistenza granulosa della terra e strinsi le dita con forza, ma mi resi conto di essermi tagliato solo quando avvertii il bruciore provocato dalla polvere che penetrava nella ferita. Mi guardai il palmo della mano destra, pieno di sangue, e rintracciai un grosso pezzo di vetro rotto, dai bordi irregolari e seghettati. Il mostro sogghignava, divertito dal mio dolore e dalla mia sorpresa e il senso d’impotenza e di frustrazione in me cresceva. Era lui, il demone, il mio padrone e io non potevo che obbedirgli, non ero che una sciocca marionetta tra i suoi artigli, con le braccia e le gambe vuote di volontà come un bambola di pezza vecchia e senza cuciture. Strinsi le palpebre con gli occhi annebbiati dal pianto e da un dolore incomprensibile, incommensurabile, invincibile e la mia mano si serrò attorno all’angolo liscio del pezzo di vetro. Con dita tremanti mi sollevai la manica, tirandola verso l’alto fino a quando non l’ebbi fermata sulla spalla, graffiandomi con le unghie nella frenesia di sollevarla di più, poi strinsi con forza l’angolo di vetro e lo spinsi a fondo contro la pelle del mio braccio. Trascinai il lato tagliente dal polso all‘incavo del gomito, premendo con forza sempre maggiore, poi lo lasciai cadere a terra e guardai nauseato gli slabbri della ferita che come argini sfatti e mortalmente pallidi si allontanavano uno dall’altro e si colmavano di sangue, prima in minuscole gocce scintillanti, poi in una sottile linea scarlatta. Per un solo istante le labbra della ferita rimasero collegate da quel rivoletto color rubino, poi il sangue debordò a destra e a sinistra della ferita e cominciò a rotolare lungo il mio braccio, rompendosi in piccole perle leggermente ovali. Appoggiai il pollice e l’indice sui lati del taglio e lo richiusi: altre gocce stillarono dall’apertura sanguinante e colarono velocemente verso il basso. Allontanai le dita una dall’altra e la ferita si allargò e si riempì ancora di sangue. C’infilai l’indice dell’altra mano e poi me lo passai sull’avambraccio, sporcandomi di rosso. Asciugai una fila di goccioline dal gomito e mi guardai il polpastrello per un momento prima di schiacciarlo contro la guancia dipingendo una linea spessa e irregolare. Continuai ad intingere il dito nella ferita fino a quando non fu asciutta ed ebbe smesso di sanguinare, poi, esausto, lasciai andare la testa in basso. L’euforia e la folle adrenalina di sentirmi finalmente padrone del mio destino, consapevole, vivo, mi avevano reso sordo al dolore provocato dalla ferita che solo ora iniziava a bruciare come accesa.

Seppellii lo sguardo nella sabbia della strada per nascondere una lacrima incandescente che rotolandomi sul viso sembrava scorticarmi e consumarmi la carne, e mi affondai le dita tra i capelli. Per un momento, quel che bastava per rivedere quel curioso bagliore che si era liberato dal sorriso di Hinata, per un momento solo avevo creduto veramente che avrei saputo fare altro che ferirla, che avrei potuto in qualche modo salvarla, che io, la bestia, il demone, il mostro, lassassino, che io avrei saputo cosa fare perché lei avesse una seconda possibilità. L’ombra insonne che ribolliva in me sogghignò beffarda e sputando il suo veleno denso e invincibile sulla mia coscienza già annerita dai suoi stessi lacci, lo disse ancora e ancora e ancora.

Mostro.

Un’altra lacrima scaturì bruciando dai miei occhi e rotolò giù, fino al centro della terra.

 

Spostai il peso della giara che portavo sulla schiena e le diedi un colpetto con l’indice. La sabbia al suo interno mulinò e gorgogliò e rispose al mio chakra scivolando fuori dall’apertura sulla sommità del contenitore per solidificarsi in una scaletta che mi condusse fino a quella finestra. Erano cinque giorni che continuavo a tornare davanti all’ospedale senza avere la forza, il coraggio, la crudeltà di entrare e vedere Hinata. Tanto meglio per lei, mi dissi esitando un’ultima volta prima di entrare, dalla mia vicinanza non poteva venirle che male.

Entrai infine senza difficoltà e soprattutto senza far rumore e mi accostai al letto. Hinata dormiva con i capelli disposti attorno alla testa come una pozza scura e lucida, le bende strette attorno alle palpebre non più bianche della sua pelle e le labbra violacee nella poca luce che riusciva a filtrare dalla finestra. Rimasi immobile per diversi minuti, cercando di non respirare, con gli occhi socchiusi e il silenzio della camera che mi premeva contro le orecchie, poi mi accucciai vicino a lei, sul pavimento, e allungai leggerissimamente un dito contro il dorso della sua mano. Prima di toccarla la guardai per accertarmi che stesse dormendo, e visto che non si muoveva e respirava con regolarità appoggiai l’indice sulla sua pelle caldissima. Mi avevano detto che aveva ancora la febbre quella mattina, nonostante mi fossi preoccupato che avesse le cure migliori in assoluto, ma anche così non potei fare a meno di trasalire. A mente fredda mi sarei reso conto che era il contatto con lei addormentata ad avermi fatto sussultare, ma in quel momento lo attribuii alla sorpresa e alla preoccupazione per averla sentita ancora così calda.

Mi occorse qualche secondo per riuscire a toccarla ancora, ma quando lo feci, quando appoggiai di nuovo la punta delle dita sul suo polso solcato da lievi venature azzurre, mi accorsi di quanto stupida fosse stata la mia paura di ferirla: mai, in nessun modo io avrei saputo farlo. Ascoltavo il mio cuore gridare, affondato da qualche parte dalle parti della giara sotto un mare ardente di sabbia, al solo pensiero. Strinsi pian piano tutte le dita attorno alla sua mano e il dolce calore della sua pelle sembrò riuscire a sciogliere il macigno che mi oscillava nel petto, schiacciando il mio cuore e incastrandosi in ogni respiro. “Hinata.” Dissi a voce bassissima, solo per sentire come il suo nome suonasse nella camera silenziosa. Mi sembrò quasi che uno spiraglio di sole avesse stracciato l’oscurità e fosse rotolato nella stanza e mi venne da sorridere.

Un respiro più profondo mi avvertì che Hinata si era svegliata, così lasciai la sua mano e rimasi in silenzio. “Gaara?”Disse però lei sorprendendomi. Si tese verso di me e allungò le mani per cercarmi, così io mi sporsi e mi lasciai prendere. “Come sapevi che ero io?” Le chiesi appoggiando il viso alle sue mani. Lei sorrise dolcemente accarezzandomi le guance. “Profumi di buono.” Rispose mettendosi a quattro zampe e venendo più vicino. “È già mattina?” Mi chiese accoccolandosi contro di me. Io la strinsi di riflesso, come avevo imparato a fare quando mi veniva vicina e sospirai “No.” Dissi semplicemente cercando di farla tornare a letto.

Hinata si rannicchiò, da brava, sotto le coperte, ma continuò a tenermi la mano. “Non riuscivi a dormire?”Mi chiese ancora, tirandomi verso di sé. Io mi inginocchiai e appoggiai la guancia contro il suo petto. “Lo sai che il demone m’impedisce di dormire.” Le risposi amaro, passandomi involontariamente la mano sulla ferita al braccio, che lentamente si cicatrizzava sotto la fasciatura. Hinata si spostò verso il bordo del letto e io pensai che volesse allontanarsi da me, invece mi sentii trascinare verso di lei e mi sorpresi. “Se resti con me ti veglierò io.” Disse con voce dolce, scostando le coperte.

Senza sapere come, qualche secondo dopo ero sdraiato vicino a lei, la testa appoggiata al suo seno caldo e gli occhi che si chiudevano.

Per la prima volta dopo anni, pensai mentre scivolavo nel sonno, il demone dormiva silenzioso e nelle orecchie e fino in fondo all’anima non sentivo che il battito del cuore di Hinata e il suo respiro che mi cullava conducendomi in un luogo sicuro e senza incubi. Le sue mani stringevano il mio destino con tenerezza e il mio cuore, lo avevo trovato appoggiato vicino al suo qualche giorno prima, canticchiava quieto tra le sue dita calde e non gridava più.

 

 

IL MIO ANGOLINO <3: Hola lettorucci! Allora, cosa pensate del nuovo capitolo? La parte in cui Gaara si taglia è stata molto difficile da scrivere per me, perché volevo che fosse abbastanza intensa da coinvolgere chi legge e da farlo entrare fino in fondo nella sofferenza di Gaara. Lo so che c’è una certa inesattezza, teoricamente tra la pelle del Kazekage e il resto del mondo ci sarebbe quel dettagliuccio della custodia di sabbia … spero mi concederete la licenza poetica! Grazie a tutti quelli che sono venuti a leggere e a chi ha recensito, spero che mi darete un parere in molti, al prossimo capitolo, ciao!!

 

 

  

  
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