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Autore: Usa_chan 10    15/07/2011    2 recensioni
Una full-immersion nella coscienza Gaara: se avete letto "Un altro cielo", questa ff riprende la storia per come la vive il kazekage senza sovrapporsi al racconto di Hinata...buona lettura!
"Scivolai fino a sedermi a terra e mi presi la testa tra le mani: più mi sforzavo di soffocare la voce del demone che insistentemente cercava di convincermi del fatto che ero nato per uccidere, che il grido acuto del mio stesso dolore, inudibile a tutti, non poteva essere placato che con il sangue altrui, che non ero altro che un mostro, infine, sempre e solo un mostro, più quella si faceva penetrante e convincente. "
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Capitolo 1: Me, the monster

Silenziosamente la sabbia inghiottiva i miei passi, restituendoli ad un modo inferiore, segreto e incandescente. Come una sterminata chioma dorata, il deserto si scioglieva davanti a me, sotto e dentro di me, assetato e polveroso. La grotta nella quale ero solito riposare durante le mie fughe si stagliava a pochi metri di me, sorta dalla sabbia come un fiore azzurro in quella marea calda e tutta uguale. Non esisteva un’acqua tale da far spuntare un germoglio nel deserto. Non esisteva un acqua capace di dissetare il cuore ardente della sabbia. Sospirando mi rimisi in cammino, contando i passi perché il respiro ronzante del demone che dormiva nella mia testa per qualche minuto potesse essere zittito. Mi passai una mano sul viso. O almeno attutito.

Chinandomi per entrare nella caverna fredda, un liquido miraggio sospeso a mezz’aria sul respiro ardente del deserto, subito ebbi un involontario sussulto alla vista di un corpo riverso su una roccia irregolare, abbandonato come un sacco vuoto dal volto incrostato di sangue. Avanzai cauto fino a che non potei distinguere chiaramente una massa di capelli sporchi, dalle sfumature bluastre, due mani piccole ripiegate su loro stesse come artigli, i dorsi color ruggine e le unghie coperte di sabbia raggranellata e non mi resi conto che la cosa, la donna, stava singhiozzando indistintamente. Mi chinai ancora un po’ per capire dove, sotto quella miriade di ciocche nere, fosse finito il viso insanguinato che avevo visto poco prima, ma lei cominciò a muovere le braccia davanti a sé, come alla cieca. Le afferrai gli avambracci e la scossi piano. Lei si svegliò di soprassalto, gemendo, e cercò di allontanarmi, evidentemente disorientata. “Stai buona.” Dissi tentando di rassicurarla. “Non ti faccio niente.” Lei si irrigidì, era chiaramente atterrita, e aprì e chiuse le mani, come per afferrarmi a sua volta. Mi mossi molto lentamente e allentai la presa sulle sue braccia, dicendo a voce bassa. Riesci ad aprire gli occhi?” Lei schiuse le labbra secche e screpolate come per parlare, ed emise un sospiro secco, a vuoto. Scosse la testa, non riusciva a parlare?, e rabbrividì vistosamente.

Perplesso, cercai comunque di non agitarla più del dovuto e dissi cauto. “È tutto questo sangue.”

Lasciai andare le maniche della sua giacca e pescai da una tasca un fazzoletto. Ancora spaventata, lei allungò le mani e riuscì a posarle sulle mie, cercando di intuire i miei movimenti. La sua pelle era granulosa a causa della sabbia e odorava di ferro e lacrime. Trasalii quando i suoi palmi piccoli e freddi si appoggiarono sulle mie dita e si strinsero, bisognosi d’appoggio, su di me. Il cuore, impietrito, mi sobbalzò nel petto e si fermò dolorosamente. Lei toccava me, la bestia, il demone, il mostro, l’assassino, me, e cercava sicurezza.

Ripresi a muovermi con dolente lentezza e portai le sue mani sulla mia borraccia, poi versai un po’ d’acqua sul fazzoletto e feci per accostarlo al suo viso. Lei si ritrasse precipitosamente, allontanandomi le mani dai suoi occhi e io quasi risi amaramente: probabilmente aveva riconosciuto la mia voce, aveva visto in me l’involucro del demone tasso, il volto del mostro e adesso fuggiva, disperata. Eppure … Voglio soltanto toglierti il sangue dal viso, così potrai aprire gli occhi.” Tentai. Forse temeva che le facessi ancora del male, forse non mi conosceva. “No …” Squittì spingendo le mani sulle mie. Io sospirai sconfitto. Se non voleva che la toccassi avrei mandato a chiamare qualcun altro che la portasse al villaggio.

La ragazza strinse la labbra e le leccò nel vago tentativo di inumidirle, ma quelle rimasero secche e assetate. Conoscendo il tormento della sete, inappagabile la mia, perché mi mangiava da dentro e non sapeva saziarsi di nulla, le chiesi speranzoso. Daccordo. Hai sete? Vuoi bere? Lei si tese di nuovo verso di me e io le accostai la borraccia alle labbra, incredulo di fronte alla presa salda delle sue dita sulle mie. Più la stringevo e più diventava calda, quasi che il sole del deserto che si era sciolto su di me, consumandomi fino alla fine, stesse filtrando anche in lei e la stesse contagiando. Quando smise di bere sorrise e un insolito calore mi si diffuse nel petto e sparì subito, come un barlume affogato nel buio. La stretta delle sue mani sulle mie si affievolì e io ne approfittai per cominciare a ripulirle gli occhi con il panno umido. Le sue palpebre lentamente si allentarono, le ciglia si staccarono le une dalle altre e lei bisbigliò flebile. Oh …”

Il suo viso, emergendo da quello spesso strato si sangue secco, assunse una tinta pallida e graziosa, ma dagli zigomi fino alle sopracciglia la pelle era lacerata da decine di ferite profonde e malfatte, dagli orli sciupati e infetti. Quando ebbi finito la voce morì in gola. Conoscevo il suo volto. Gli esami di selezione dei chunin mi tornarono dolorosamente alla memoria e così il suo volto, incorniciato da capelli scuri molto più corti di come non li avesse in quel momento, arrossato di timidezza. Era l’erede del clan Hyuuga, quella piccola Hinata con gli occhi grandi, spaventosi e profondi come pozzi. Di nuovo la risata amara mi tornò alle labbra. Uno Hyuuga senza il Byakugan era un pensiero innaturale e grottesco come quello di un uccello con le ali strappate. Inspiegabilmente, quando la vidi afflitta, schiacciata dalla consapevolezza, annientata dalla perdita della propria identità, non potei che deporre il fazzoletto ed estrarre delle bende da un’altra tasca. “Ah.” Riuscii a dire senza riconoscere la mia stessa voce. Sembra che ti serviranno degli occhi nuovi, vero?” Lei rimase ferma, perplessa, con le orribili cavità scarlatte socchiuse e stillanti piccole gocce di sangue. Quando cominciai a fasciarla lei si portò le mani al volto e la sua bocca si piegò all’ingiù per lo stupore, come se non credesse che fosse possibile che la vista le fosse restituita. O forse, pensai mentre la sollevavo e la conducevo fuori dalla grotta, verso il villaggio, forse credeva di non essere degna di una seconda possibilità.

Amareggiato, strinsi i pugni spostandomi velocemente attraverso le dune incandescenti, con il suo lieve peso come fardello e la sua testa sulla spalla.

 

IL MIO ANGOLINO <3: Hola lettorucci! Spero che siate tornati a con me in occasione della pubblicazione di questa cosina e che la apprezzerete! Mi sono davvero appassionata scrivendola, per cui non mi resta che augurarvi di fare altrettanto nella lettura u.u, fatemi sapere che cosa pensate di questo Gaara, ne sarei davvero felice J

 

  
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