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Autore: Tharon    19/07/2011    1 recensioni
(469 d.C)
Tavor, giovane ragazzo, vive con la sorella Tania, in un piccolo villaggio celtico tra le montagne della Valle d'Aosta. Per molte lune, con il viso fisso verso il cielo notturno, cercò di comprendere quale fosse la propria strada, una strada che gli avesse permesso di slanciarsi verso il futuro con un occhio sempre fisso verso il passato, verso la proprio tradizione, verso la propria origine; ma più cercava di capire, meno riusciva a raggiungere la propria meta. Anche grazie all'aiuto del pantheon di divinità celtiche, Tavor riuscirà a prendere la strada giusta e dopo numerose avventure e numerose battaglie combattute contro l'esercito di Teodorico, re degli Ostrogoti, il ragazzo meditando nel bosco di Faur, il bosco degli dei, capirà ciò per cui è veramente fatto.
Sono davvero gradite anche piccole recensioni :) potete inserire critiche, consigli e qualunque cosa pensiate dei capitoli. Possono essere un valido aiuto per la mia scrittura. grazie mille :)
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Terzo capitolo; piccola digressione sulla festa in onore di Aegir, dio della birra e gli effetti che questa ricorrenza crea nei due fratelli, anime divise ma effettivamente complementari.(Prego i lettori di piccoli commenti, dubbi, domande e consigli per questo e per i capitoli successivi).

Tania, notando l’espressione di dubbio apparsa sul volto del giovane, sospirando disse: « Ma come, te lo sei già dimenticato? Che giorno è oggi? ». Il giovane ci pensò bene; era sicuro che non fosse il compleanno della sorella, dato che era passato da poco. Ma allora di che cosa si trattava?

« Non ne ho idea Tania » disse con tono umile e colpevole arroccando leggermente la testa tra le spalle. « Oggi è il 24 marzo! » sbottò lei.

Ora ricordava! Come ogni anno in questo periodo ricorreva la festa del luppolo, in cui tutti gli abitanti erano soliti festeggiare nell’arco di tre giorni Aegir, il dio della birra, per propiziare la crescita della pianta, e avere così un buon raccolto l’anno successivo. Si trattava di una delle festività più importanti del villaggio; gli abitanti erano soliti vestirsi con abiti contadini, ricavati dalle pelli di animali selvatici e le donne si addobbavano i capelli con piante rupestri. Per tutto il giorno percorrevano i limiti dei campi cantando e seguendo i passi delle principali danze locali, al suono del flauto di Pan. I preparativi della festa duravano mesi: i musicisti dovevano comporre e imparare le fluenti melodie, le donne del villaggio si organizzavano circa la preparazione dei cibi, gli uomini costruivano panche, tavoli e banchi che addobbavano le vie principali della piccola cittadina e i cacciatori percorrevano boschi e foreste per cacciare cervi e cinghiali che sarebbero arrostiti per tutta la notte prima di essere mangiati al chiaro di luna. Ed erano proprio le musiche che risuonavano per giorni per le piccole stradine ad appassionare maggiormente il giovane; spesso gli capitava di trovarsi sdraiato sotto enormi querce, di chiudere gli occhi e di farsi trasportare dai suoni. Gli anziani erano soliti affermare che le le melodie del flauto di Pan erano il miglior veicolo per il contatto con il divino, legame tra il mondo degli uomini e il mondo naturale. E Tavor era sicuro di poter confermare questi racconti; si creava un mistico legame tra il suo corpo e la flora circostante, come se tutto facesse parte del medesimo assoluto, come se la natura potesse avvertire i desideri e le speranze degli uomini, come se, quasi per magia, i due mondi potessero fondersi.

Durante il giorno la birra scorreva a fiumi, per la gioia dei buongustai di questo liquido paradisiaco; durante la sera i bardi e i cantori si trovavano attorno al fuoco e raccontavano ciascuno delle storie circa le antiche e meravigliose origini del loro popolo. Spesso i bambini raccolti attorno ai focolari, ascoltavano a bocca aperta le storie per poi sognare durante le notti più fredde di vestire i panni di antichi eroi del passato alle prese con bestie feroci. Erano questi i racconti che affascinavano maggiormente Tavor, desideroso di avventure al di fuori della vallata.

« Come ho fatto a dimenticarlo? Dopotutto è una delle festività che preferisco!». Tania annuì; anche a lei piaceva molto. Era una delle occasioni in cui era possibile stare tutti assieme e in cui poteva passare un po’ di tempo con gli amici senza troppe preoccupazioni. Dopotutto era chiaro che avesse il diritto di concedersi un minimo di riposo. Era solita sedersi sempre sulla medesima panca attorniata dalle sue amiche, sotto l'abete più vecchio della vallata, e per tutta la notte discutevano, chiacchieravano e ridevano parlando di qualsiasi cosa capitasse loro per la mente. Era anche l'occasione in cui Tania poteva dimenticarsi, come per incanto di essere la sola padrona di casa, di avere sulle spalle un carico indescrivibile; e così poteva sentirsi ancora ragazza, e fulminei sguardi e timidi sorrisi, venivano lanciati ai ragazzi più carini.

La ragazza si girò verso il fratello con un’aria severa e disse aggrottando lievemente la fronte: « Adesso che hai capito, ti decidi o no ad andare a controllare il fuoco? Oramai il maiale sarà completamente affumicato ». In realtà non era per niente arrabbiata, faceva solo finta; infatti, vedendo che il giovane si avviava verso la porta con espressione triste, corse verso di lui, lo abbracciò con forza, come solo lei sapeva fare, e, mentre lui cercava di divincolarsi dalla presa, gli diede un grosso bacio sulla guancia, dicendo con tono affettuoso: « Non ti preoccupare che non sono arrabbiata! ». E sorridendo lo accompagnò alla porta di casa.

  
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