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Autore: Bikachu    21/07/2011    4 recensioni
Essere l'unica persona su cui possono fare affidamento.
L'unica che possa nasconderli e tenerli al sicuro dalle telecamere.
Un'amica, una persona importante capace di far tornare il sorriso a chi davanti alla propria vita ha trovato il buio tutto d'un fiato.
Tom ha bisogno di lei e Bill ora più che mai teme di non riuscire a controllare se stesso.
Ma quando il sostenere un amico diventa un qualcosa di più, ecco riaffiorare i ricordi passati che metteranno a dura prova una storia d'amore tenuta sospesa fra il presente, il passato e il futuro di due gemelli che vedranno in pericolo la loro notorietà e di una ragazza che, offuscata dall'amore ma per niente ingenua, tenterà di non fare l'ennesima scelta sbagliata.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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In giro per Berlino
22 Ottobre
Ore 10:00
 
Arrivati al negozio cominciammo a spulciare uno ad uno tutti i vinili e di tanto in tanto scappava una battuta o un leggero tocco delle nostre mani, alternati a sguardi veloci dall’uno all’altro per poi distogliere l’attenzione e ritornare a cercare nei vecchi singoli passati che avevano fatto la storia della musica.
L’atmosfera del negozio era calda e accogliente, quasi familiare, Bill mano a mano che passavamo in rassegna ad ulteriori band e cantanti, si avvicinava a me sempre più finché il suo braccio praticamente non si attaccò al mio.
Sotto lo sguardo divertito della cassiera, che aveva capito l’intesa che c’era fra noi, io cercavo di fare finta di niente ma dovevo ammettere che malgrado tutto quella vicinanza era tutt’altro che fastidiosa.
Non devi cascarci, non devi cascarci… di nuovo!
La mia coscienza faceva presto a parlare, ma quello che provavo dentro era una tempesta di emozioni incontrollabili.
- Allora? L’hai trovato? – mi chiese Bill tutto d’un tratto.
- No, ancora niente. Tu hai trovato qualcosa che ti interessa? – le sue lunghe dita spostavano le custodie dei vinili una per una come stesse cercando una parola in un vocabolario.
- Aspetta un attimo… oh, eccolo qui! – da tutta quella mischia estrasse un vinile color panna ma non capii bene di chi fosse perché era girato al contrario. – Questo è seriamente un pezzo di storia: Aladdin Sane di David Bowie è un pezzo da avere assolutamente! L’avevo intravisto prima, scorrendo gli altri vinili, ma non mi sembrava vero e invece… guarda qua! Ha anche l’inserto con il testo originale! Me lo prendo! – la copertina a libro era in condizioni discrete, un po’ rovinata ai lati e qualche angolo sembrava essere stato smangiucchiato però nel complesso i colori erano ancora abbastanza accesi e il vinile pareva nuovo di zecca.
- Wow! David Bowie andava alla grandissima ma in casa mia si sentivano un sacco… ecco, loro! – tenendolo stretto in mano come fosse un oracolo mostrai a Bill la coloratissima copertina del vinile dei Queen “A Kind of Magic”. – Neanche a farlo apposta, parli del diavolo e spuntano le corna! –
- Oh Kim, forse ho trovato qualcosa che potrebbe piacere a Kate. – con fare superficiale estrasse da un gruppo di vinili impolverati e riviste anni ’70 un qualcosa delle Runaways. 
- L’hai trovato! Oddio ti ringrazio, stavo diventando matta e cominciavo a dubitare di riuscire a pescarlo da qualche parte! – “Little Lost Girls” era nelle sue mani e quando mi vide così euforica non poté fare a meno di ridere.
- Che fai prendi in giro? – gli diedi una pacca sulla pancia con il dorso della mano, lui incassò facendo una smorfia di finto dolore.
- No non è vero, non ti prendevo in giro! Però mi è piaciuta la luce negli occhi che avevi, della serie “Dio Kaulitz grazie infinite per avermi salvata da un regalo di compleanno altamente improbabile da trovare”. –
- Il vinile era qua, non te la tirare troppo Kaulitz perché sarei riuscita a trovarlo lo stesso… magari con un po’ più di tempo ma stai sicuro che l’avrei trovato! – feci la linguaccia.
- Bhè, ringraziami lo stesso per aver ottimizzato i tempi. – mi sventolò davanti al naso il vinile.
Presi al volo l’oggetto dalle sue mani e mi diressi alla cassa senza degnarlo di uno sguardo, un po’ stizzita un po’ divertita da quel suo repentino cambiamento di personalità.
Usciti dal negozio erano le 11:00 passate, salimmo in macchina e tornammo verso la parte della città che conoscevo meglio: Unter den Linden e dintorni.
Il traffico era quasi a zero e Bill tutt’un tratto parcheggiò in uno spiazzo vicino ad un distributore.
- Ehm, Bill… ma che ci facciamo qua? – gli chiesi ignara di quello che stava accadendo.
Bill fece spallucce e si tolse gli occhiali.
- Avendo più tempo da passare insieme ho pensato di portarti a fare un giretto in centro, ti va? – tutto il potere del suo sguardo si scaraventò su di me ma, poverino, non sapeva che ormai c’ero abituata e quindi poco mi importava se le sue capacità ipnotiche si fossero spinte fino all’estremo per potermi convincere perché non attaccavano più quei giochetti con me… forse. Comunque eravamo già lì, era tanto che non facevo una camminata sulla Unter quindi perché non approfittarne!?
Feci finta di pensarci sopra portandomi una mano sotto il mento e corrugando le sopracciglia.
- Mhh… si. Per oggi passi Kaulitz hai avuto una bella idea, anche se mi ci hai tratta con l’inganno, però accetto la tua proposta. – dissi gesticolando come una signora aristocratica e facendo una voce sensuale.
Sensuale? Ma tu ti sei fritta il cervello!
Già, problemi? Mi sentivo di nuovo all’altezza di esprimermi in una certa maniera dopo un sacco di tempo e la mia coscienza aveva pure da ridire? Ma roba da matti! Dovresti essere contenta per me… pfui.
Il moretto scese dall’Audi senza staccarmi gli occhi di dosso neanche quando passò davanti al muso della macchina, finché non mi aprì la portiera e mi offrì la mano per scendere.
- Madame. – porsi la mia mano e lui l’afferrò delicatamente.
- Monsieur. – non appena scesi dall’auto Bill, inaspettatamente, si esibì in un impeccabile baciamano e io rimasi lì come annullata, mentre le sue labbra sfioravano la mia pelle e i suoi occhi si incatenavano ai miei.
La nostra passeggiata proseguì serenamente: i tigli che costeggiavano la strada davano al paesaggio un non so che di magico con le loro foglie che sembravano dipinte dai colori del tramonto e il leggero vento che le faceva danzare in aria attorno a noi.
Bill si muoveva affianco a me cauto e premuroso come quando la sciarpa stava per cadermi dalle spalle e non feci in tempo ad afferrarla che subito la riavvolse intorno al mio collo come fosse il più prezioso gioiello che avesse mai fatto indossare ad una donna.
Camminavamo tra la folla berlinese non curanti della gente che sembrava riconoscere Bill: quelli che lo guardavano in viso certe volte si fermavano come avessero avuto un’apparizione, poi scrollavano la testa e si incamminavano per chissà dove mentre altre, ragazze giovanissime soprattutto, vedendoci passare davanti a loro sgranavano gli occhi allibite.
Una fra queste rimarrà impressa nei miei ricordi per sempre: era seduta fuori ad un bar con una cioccolata e dei waffeln sul tavolo, le passai a pochi metri di distanza e non accadde nulla quasi non mi avesse neanche vista, poi passò Bill e quella sorsata di cioccolata che aveva appena ingurgitato le andò di traverso. Risi fra me e me a quella scena perché era tutto diverso, in passato se passeggiavo mano nella mano con Bill nessuno ci guardava o sgranava gli occhi mentre ora…
- Faresti meglio a rimetterti gli occhiali. – puntualizzai.
- Tu dici? – chiese facendosi serio avvicinandosi frettolosamente a me e guardandosi furtivamente dietro le spalle.
- Guarda che non ci segue nessuno, è solo il fatto che a meno che tu non voglia uccidere qualcuno facendolo soffocare con un pezzo di pizza, faresti bene a tirarli fuori e alla svelta pure! Troppa gente credo ti abbia riconosciuto, meglio prevenire. –
Frugò nella sua Gucci nera grande come l’hangar di un Boeing 747 e ne tirò fuori gli ormai famosi Dior, neri anch’essi.
- Ti sembrerà stupido ma ora sono più tranquilla. – mi sentivo seriamente più sollevata anche se Bill Kaulitz non sarebbe mai passato del tutto inosservato, diciamocelo.
Si riconosceva a chilometri anche con una busta in testa!
- Secondo te che succederebbe se la gente mi riconoscesse? Ti darebbe fastidio avere i paparazzi alle calcagna? O magari qualche ragazzina che ti si avvinghia alla gamba per chiedermi di farle un autografo? – lo guardai un po’ attonita.
- Bhè… no, non credo che mi darebbe fastidio avere quel genere di attenzioni, tu ci sei abituato quindi può essere stressante sotto il tuo punto di vista, è vero… -
- Ma perché mi hai fatto notare che la gente mi aveva riconosciuto? Potevi benissimo lasciarli fare a questo punto, no? – continuavo a non capirlo ma non mi piaceva affatto come stava proseguendo la discussione.
- Senti, io te l’ho detto perché non volevo che ti riconoscessero in quanto sarebbe stata come un’esplosione a catena: la gente capisce, la gente parla, voi traslocate! Ecco il fatto! – mi stavo alterando.
- Quindi tu lo avresti fatto per non farmi allontanare da te? – che brutto figlio di…
Simone non c’entra niente, Simone non c’entra niente.
- C’è… aspetta un attimo. – mi fermai e lo bloccai con una mano facendolo voltare verso di me e costringendolo a guardarmi. – Non metterti in testa strane idee perché la giornata di oggi non significa proprio un bel niente! I tuoi sbalzi di umore non cambiano quello che provo per te e non cancellano il passato! Ti ho “protetto” solo perché sono onesta e quando faccio una promessa la mantengo! Tuo fratello aveva bisogno di un posto tranquillo dove stare, mi sta bene e sono felicissima che stia da me, ma non provare minimamente a trarre certe conclusioni! Non dovrebbero passarti neanche per l’anticamera del cervello! – mollai la presa dal suo giacchetto e ripresi a camminare con passi decisi e rabbiosi via da lui, lasciandolo là. Se mi avesse seguito, bene, altrimenti la strada per tornare a casa la conoscevo anche senza aver bisogno di un suo passaggio in macchina.
- Kim… Kim aspetta… - lo sentii in lontananza.
- Kim un cavolo! – i suoi passi veloci si trasformarono in una corsetta per raggiungermi.
Mi prese per una manica e mi fermò.
- Cosa vuoi? Voglio tornare a casa, quindi se non ti dispiace… - stavo per andarmene nuovamente ma lui mi trattenne.
- Hey, hey… calma, aspetta. Ti ci porto io a casa e su questo non voglio più tornarci. – disse quelle parole con così tanta autorità che non mi sarei azzardata a dire il contrario. – Poi, mi dispiace ok? Non volevo che la prendessi così… -
- E come avrei dovuto prenderla? Spiegami. – incrociai le braccia al petto e mi tolsi dagli occhi una ciocca di capelli. Il vento li aveva elettrizzati tutti e dopo tre secondi tornavano ad appiccicarsi al volto!
- Sono stato scortese e maleducato me ne rendo conto, ma certe volte dimentico le buone maniere quando voglio ottenere o sapere una cosa e… dovevo sapere. –
- Sapere, sapere , sapere. Ottenere, ottenere, ottenere! Ma chi credi di essere DIO IN TERRA? E poi scusami tanto ma da me non devi sapere proprio nulla, forse dovrebbe essere il contrario se dobbiamo andare ad analizzare i fatti! Pensavi forse che se fossi tornato ti avrei accolto come il figliol prodigo? Svegliati bellezza, questa è la vita reale! – le nuvole torreggiavano impetuose, probabilmente un altro temporale stava per incombere sulla città.
Dopo pochi secondi una goccia d’acqua mi bagnò una guancia ma quella non arrivava dal cielo, bensì dai miei occhi gonfi di lacrime.
Prima che Bill potesse accorgersene la scacciai via con la mano e voltai il mio sguardo dall’altra parte della strada dandogli le spalle.
Per i momenti che seguirono, l’unica cosa che si poteva udire era il rumore delle auto che percorrevano la Unter den Linden e il parlottio delle persone che camminavano sui marciapiedi.
Io e lui, in questo mondo, nel nostro mondo sembravamo parte del nulla.
Vere gocce di pioggia cominciavano a bagnare la strada, l’odore dell’asfalto e della terra umida cominciava a salire alle narici e sopra di noi alcuni tuoni facevano sentire la loro presenza.
Respirai profondamente quell’aria afosa carica di acqua.
Bill sospirò.
- Kim… sta per piovere, se vuoi ti porto a mangiare qualcosa oppure torniamo a casa… come vuoi tu…  – il suo stato d’animo era evidentemente a tappeto ma sforzandosi di portarmi a pranzo non avrebbe risolto questo problema. Non mi ero accorta di quanto tempo
fosse passato ed effettivamente avevo non poca fame. Era giunto il tempo di mettere da parte la morale e mandare giù qualcosa nello stomaco, almeno avrei ragionato a pancia piena!
- Si… mangiamo qualcosa al volo e poi torniamo a casa, Tom avrà finito i controlli starà tornando. –
- Mi aveva detto che mi chiamava quando stava per tornare a casa e ancora non ho ricevuto una sola chiamata da parte sua. –
- E quando te l’ha detto? Stamattina siamo stati tutto il tempo insieme da quando ti sei svegliato in poi… - ricominciammo a camminare.
Bill si era fatto teso, forse aveva detto una parola più del dovuto.
- Me lo ha detto ieri sera, si, ieri sera. –
- Ok. – non ero sicura che quella era la verità ma dopotutto non mi importava un granché.
- Andiamo qua dai, prima hai nominato pizza e mi hai acceso una lampadina! –
- Casa Italia? – più che una domanda, la mia era un’espressione di sorpresa. Era tantissimo tempo che non tornavo là eppure era uno dei miei ristoranti preferiti! Ristorante italiano gestito da italiani: la pizza doveva essere ottima per forza!
Entrammo e un cameriere ci fece accomodare verso un corridoio a destra del locale che circondava un piano bar. Il tavolino era in plexiglass con il logo satinato del ristorante inciso sopra.
Mi piaceva stare lì perché si respirava un’atmosfera diversa, si stava in pace e di quella non ce n’era mai abbastanza.
Sulle pareti c’erano stampe di alcuni luoghi famosi italiani: dalla Torre di Pisa al Colosseo erano tutte in bianco e nero, contornate da cornici fucsia e da neon dai colori accesi.
Togliemmo i soprabiti e li appoggiamo sulla parte posteriore della sedia, Bill fu costretto a piegare in due il suo giacchetto perché altrimenti avrebbe toccato per terra.
Tolse gli occhiali scrutando nel locale se ci fosse stato qualcuno di sospetto ma vedendo calma piatta li posò sul tavolo e poi si rivolse a me con un mite sorriso.
- Seriamente Kim, scusami. –
- Devi darmi tempo Bill, non è stato facile accettare tutto questo e dire sì a David. – cercai di guardarlo ma non ce la facevo. Cominciai a giocare con uno stuzzicadenti picchiettandolo sul plexiglass.
- E’ stato difficile per tutti e due, Tom in questo caso non c’entra niente. –
- Ma come non c’entra niente? Siete venuti qui per scappare da Los Angeles e da tutti i paparazzi che vi assillavano per questa strana sindrome che lo ha affetto. Se non fosse stato per lui, anche se pare brutto dirlo in questo modo ma non riesco ad esprimermi meglio, non ci saremmo mai più rivisti. – era una confessione la mia?
Lo sguardo di Bill si fece quasi colpevole, sembrava nascondermi qualcosa.
- Signori cosa volete ordinare? – il cameriere che ci aveva accolto all’entrata adesso era di fronte a noi e nemmeno ce ne eravamo accorti, eravamo troppo immersi nella nostra conversazione.
- Per me una Margherita, vado sul sicuro. – dissi con un sorriso porgendo il menù.
- E per lei signore? – Bill diede una rapida occhiata ai nomi delle pizze, poi chiuse il menù e lo porse al cameriere.
- Anche io lo stesso della signorina, così non ha la scusa del “fammi assaggiare un pezzo della tua”. – mi guardò e fece l’occhiolino.
La sua personalità era cambiata per l’ennesima volta.
Una specie di Donnie Darko, il silenzio degli innocenti… o ero io che non capivo che strategia stava usando, o lui aveva davvero qualche problema psicologico.
Passammo il resto del pranzo senza più toccare il tasto dolente del nostro allontanamento e parlammo di tantissime cose: dalle sue stravaganti pose che faceva per i photoshoot, alla sfilata di Dsquared2, per non parlare di quando hanno cercato di disegnare il palco dell’Humanoid City Tour da soli!
- Sembrava un uovo strapazzato con due trampolini! Avevamo creato una cosa orrenda, non si poteva vedere! Infatti non per niente facciamo i musicisti e non gli architetti… saremmo stati senza lavoro! – mentre lo diceva faceva la faccia schifata ripensando al disegno che avevano messo su loro quattro insieme.
Io invece, parlai della mia università, della mia famiglia e delle mie ipotesi per il futuro.
- E quella chitarra che tieni lì in salone la fai solo impolverare o la usi per creare qualcosa in particolare? –
- Quella è per un progetto che sto portando avanti con delle amiche da quando mi sono trasferita a Berlino. Niente di che. – sorvolai.
- Mi piacerebbe sentirti suonare. – disse mettendo in bocca un bello spicchio di pizza.
- Se è per questo canto pure. – ops!
La pizza di Bill si fermò a mezz’aria e lui rimase a bocca aperta.
Poi si riprese, mandò giù il boccone e bevve un sorso di Coca-Cola.
- E tu da quando canti? – era estasiato ma preferivo non dirglielo, mannaggia alla mia boccaccia!
Non per niente ma quello poteva essere lo spunto per un ulteriore “pensare a lui” che nella sua testolina poteva passare come buono! In quel caso ci avrebbe preso ed era proprio questo il motivo per cui dovevo tenermi alla larga il più possibile.
- Mhà… non da tanto, lo faccio per hobby con loro e non ho mai preso lezioni. –
- Guarda che ti si potrebbe rovinare la voce. –
- Che me la stai tirando? –
- No, ti sto salvando le corde vocali visto che io ci sono già passato e non è una bella cosa rimanere in silenzio per un lasso di tempo che ti sembra interminabile, con un fratello che per farti capire non gli bastano neanche i segnali di fumo! –
- Ahaha, certo che in quel caso una ragazza ti avrebbe fatto comodo… - ma zitta! ZITTA!
Bill mi fissò profondamente e sporse il corpo fino a far arrivare il suo viso a pochi centimetri dal mio.
- In quel caso mi sono accorto di quanto io possa essere stato stupido a lasciarti… - la sua mano sfiorò la mia e fu come se una scintilla mi fulminò perché la ritrassi in un lampo.
Dopo una mezz’ora Bill chiese il conto e uscimmo sotto il diluvio.
Tom era a casa con Kate e i controlli erano andati bene, almeno quello era ciò  che diceva lui.
Mentre tornavamo verso la Q7, Bill si avvicinò e con il suo cappotto extra-large mi abbracciò facendomi attaccare al suo corpo con tutte e due le braccia. Sentivo il battito del suo cuore e la pioggia che cadeva su di noi. I capelli di Bill erano totalmente bagnati fradici e gli cadevano sul viso come piccoli rivoli di inchiostro.
Io, Kimberly Keller, che ero sempre stata la ragazza forte che non aveva bisogno di nessuno per fare ciò che si metteva in testa di fare, coperta per metà dal suo braccio che si era trasformato in un’ala protettrice, mi sentivo completa.
Avevo bisogno di calore umano ma non di un calore umano qualunque, avevo bisogno del suo.
 
NOTE: non smetterò mai di ringraziare le persone che seguono "THE LAST TRACK" perché grazie a voi la FF ha raggiunto, in meno di 25 giorni (più o meno), 960 visite *.*
GRAZIE MILLE :D
E mille e mille e mille e mille e mille... ect... ect...  
   
 
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