CAPITOLO X: FINAL FIGHT
Eccoci di fronte la porta di
casa Bianchi, aspettando che vengano ad aprirci, ma nessuno arriva.
È da quasi un’ora che siamo
qui ad aspettare!
“Forse non sono in casa”
concludo, facendo per andarmene.
“Forse non ha suonato, capo” si
affretta a dirmi Gino.
Non me n’ero accorto. Suono.
Dopo due minuti, vengono ad
aprirci.
“Oh, capitano! Che ci fa
qui?” chiede la signora Bianchi.
“Siamo stati qui ore!”
rispondo a gran voce.
“Non ho sentito suonare”
“Perché non l’ha fatto”
rivela Gino.
“Già, ho talmente tanti
pensieri in testa in questo momento… senta, c’è suo marito?”
“Francesco? No, è andato in
Russia, tornerà tra qualche giorno. Perché?”
Non mi va di dirglielo in
piedi di fronte alla porta, non è il luogo né il momento adatto.
“Possiamo accomodarci?”
chiedo.
La signora Bianchi ci fa
entrare nel salone e sedere su delle poltrone.
“Quindi?” chiede.
“Suo marito…” non so come
dirglielo, non è per niente facile! “Suo marito è indagato per omicidio”
Il volto della signora
impallidisce e assume un’espressione a dir poco sconvolta.
Solo part-time, però.
“E…” dice a fatica, a causa
della notizia “E chi è che l’ha accusato? Ci sono testimoni?”
“Sì, io e il mio sottoposto”
rispondo.
Non sa più come
controbattere, quindi resta in silenzio a guardare per terra, pensierosa.
“Crediamo che lei e suo
figlio possiate essere in pericolo” dico poi.
“Cosa? Credete che sia
impazzito e voglia ucciderci con un pugnale mentre facciamo la doccia?”
Ha visto troppi horror.
“No, crediamo che Robin Hood
sia sulle sue tracce e potrebbe tentare di uccidere anche voi”
Troppe brutte notizie in una
sola volta, la donna è visibilmente sconvolta e potrebbe svenire da un momento
all’altro.
In quel momento la finestra
viene rotta e una freccia si conficca sulla parete, sfiorandomi il viso.
La signora Bianchi sviene sul
colpo.
Probabilmente Hood vedendomi
attraverso la tenda ha pensato fossi il figlio del questore.
Cerchiamo immediatamente di
far rinvenire la donna e quando finalmente ci riusciamo, lei acconsente a farci
stare a casa sua finché la situazione non si risolverà.
Sono passati alcuni giorni e
Francesco non si è ancora fatto vivo, perciò io e Gino abbiamo preso la sua
stanza, al primo piano. La situazione è completamente ferma, a causa del fatto
che in Italia non esiste più neanche una multinazionale che maltratta gli
animali.
Forse Robin Hood ha vinto,
forse non lo troveremo mai, ma prenderemo di sicuro il figlio del questore. La
Giustizia non può perdere!
È l’unica agenzia di
assicurazioni sui criminali esistente!
Il capitano, cioè, il
questore, non si è fatto più vivo, cioè, morto, da quando siamo qui.
In questo momento è sera, io
sono seduto alla scrivania di Francesco, per riflettere, perché non riesco a
dormire. Non dormo da giorni, in effetti.
Gino invece è accanto a me,
addormentato.
Anche lui è stato sveglio per
tutto il tempo, poveraccio! Alla fine mi ha fatto pena, stava diventando una
creatura notturna, quindi gli ho dato un sonnifero.
Ora se ne sta appollaiato sul
davanzale della finestra, dormendo ad occhi aperti ed emettendo ogni tanto il
verso del gufo. Di giorno, invece, gufa tutto il tempo.
D’un tratto, sente dei rumori
nel giardino di sotto e vola via, verso l’infinito (e oltre).
Mi affaccio subito e noto
un’ombra sospetta che si aggira vicino alla casa. Ad essere sincero non è la
prima volta che la vedo, ma non so a chi appartenga.
All’inizio ho pensato fosse
quella di Peter Pan, ma credo se la sarebbe già presa, perciò stavolta voglio
dare un’occhiata da più vicino.
Prendo la pistola, non si sa
mai, e mi dirigo lentamente nel piano inferiore. Entro nel salone e mi affaccio
alla finestra, cercando di restare nascosto alla vista. Riesco a vedere
l’ombra, che sembra familiare, ma non il suo proprietario.
Ad un certo punto si avvicina
alla porta di ingresso, ma non credo che abbia la chiave… Come non detto, la
sta aprendo!
Corro a nascondermi dietro il
divano, pronto a prenderlo di sorpresa.
La porta si apre lentamente,
rivelando l’identità della persona: Francesco Bianchi.
Non esco subito, voglio
sapere cosa è venuto a fare.
Comincia a salire le scale,
io lo seguo silenziosamente, poi entra nella sua stanza e fruga in un cassetto.
In quel momento chiudo a
chiave la porta e gli punto la pistola urlando: “In nome della Legge, cioè
Ermenegilda, ti dichiaro in arresto per l’omicidio del signor Ivan Braginski!”
Lui prende subito una pistola
dal cassetto, spara contro di me, ma colpisce la serratura della porta, che si
rompe e si apre.
Provo a sparargli, ma lui schiva
il colpo, poi spara di nuovo, ma fa un altro errore e mi prende nella gamba.
Questo colpo non è ovviamente
letale, ma mi fa cadere all’indietro, verso le scale che portano al piano
inferiore, dove giungo rotolando.
Quando mi risveglio, sono
sdraiato sul letto e la signora Bianchi è sopra di me che mi poggia un panno
bagnato sulla fronte, mentre Gino è accanto a lei e gufa ripetendo: “Tanto
morirà, tanto morirà…”
“Che… è successo…?” chiedo
spaesato.
“Sei stato ferito” risponde
la donna “Gino è tornato appena in tempo dalla sua caccia notturna con un
grosso ratto in bocca, ma quando ha visto… Francesco… con una pistola in mano e
del sangue per terra l’ha lasciato cadere ed è volato dentro la stanza
mettendolo in fuga”
“Mi devi un topo” mi dice
Gino “Un grosso topo”
“E Francesco…?” chiedo.
“È fuggito” risponde la donna
“Gino ha preferito curarti che inseguirlo”
“Stupido Gino, non bisogna
pensare ai feriti, durante un inseguimento…!”
Gino abbassa lo sguardo,
triste.
Poi dice: “Sinceramente… dopo
la morte del questore e della mia Ferrari, non mi interessa solo prendere Robin
Hood. Voglio che nessun altro muoia”
Sorrido.
“Hai ragione, Gino” gli dico
alzandomi a fatica “Nessun altro deve morire”
Poi mi ricordo del cassetto
che Francesco stava frugando e corro alla scrivania.
Credo che il mio sottoposto
l’abbia messo in fuga al momento giusto, interrompendo le ricerche.
Cosa stava cercando qui
dentro?
Trovato! Un blocco appunti!
“Cos’è quello, capo?” mi
chiede Gino.
“Non lo so, ma è l’unica cosa
che Francesco poteva stare cercando qui dentro”
Lo apro rapidamente e gli do
un’occhiata, che tanto ce l’ho doppione.
Ma questa…? Questa è una
lista di multinazionali!
Dei nomi mi balzano agli
occhi.
‘Maltratta & Co.’
‘Esperimenti sugli animali
& AD’
‘Facciamo vestiti di
Carnevale e controlliamo se i CD sono digeribili’
‘In Soviet Russia the CDs digest the animals’
Sono le imprese su cui ho
indagato in prima persona e il primo nome è cerchiato in rosso. Ora che ci
penso, il rifugio di Hood era lì.
“Guarda, Gino” dico
mostrandogli il libretto.
“Forse sta davvero indagando
in proprio” commenta dopo aver notato anche lui quei nomi.
“Già…” rispondo esaminando
un’altra volta il tacquino “Ma aspetta! E perché voleva riprenderlo di
nascosto? Entrare in casa, sapendo che la polizia è sulle sue tracce e quindi
rischiando l’arresto, pur di riprenderlo?”
“È vero, è strano”
Do un’altra occhiata al
cassetto, però in cambio mi dà una carta rara.
“Non c’è nient’altro” penso
ad alta voce “Solo una vecchia rubrica telefonica”
“Una rubrica?” chiede la
signora Bianchi “Ma Francesco non ha mai usato rubriche telefoniche”
“Allora di chi è?” chiedo
prendendola.
Al suo interno ci sono pochi
nomi, forse è per questo che la usava raramente.
Di nuovo un nome mi balza
agli occhi.
‘Pippuzzo Impellizzeri’
Era un poliziotto della
nostra centrale.
Già… lo ERA.
“Gino” chiedo senza
distogliere lo sguardo da quel nome “Come mai Francesco ha nella rubrica il
nome del mostro del parco?”
Sia l’ispettore che la
signora Bianchi restano sbalorditi a quella domanda.
“Fa’ vedere?” dice subito
Gino.
Poi guarda il nome e resta in
silenzio.
“Cosa significa tutto
questo?” chiede spaesata la signora Bianchi.
“Non lo so… Potrebbe voler
dire due cose” rispondo “O Francesco ha fatto indagini perfette sul conto di
Robin Hood, oppure…” attimo di pausa per aumentare la suspense “… Francesco e
Hood sono la stessa persona”
La signora Bianchi sviene
un’altra volta e la soccorro immediatamente, mentre Gino ricomincia a gufare.
La facciamo sdraiare su di un
letto e le poggiamo in fronte un panno bagnato. Di lì a poco dà segni di essere
sul punto di svegliarsi, perciò dico a Gino di lasciare la casa. Restando lì
non risolveremo il caso.
Saliamo sulla macchina di
Francesco e facciamo un giro della città, alla ricerca di un posto dove andare,
ma con un’idea già in mente.
“In centrale?” chiede Gino.
“Ovvio, staranno sentendo la
nostra mancanza, lì” rispondo ridendo.
Quando raggiungiamo la piazza
della centrale, lo spettacolo a cui assistiamo è sconvolgente.
L’interno della centrale è
illuminato.
Dalle fiamme.
“Chi… chi ha dato fuoco alla
centrale?” esclamo saltando giù dall’auto.
Gino non riesce neanche a
rispondere, talmente è sconvolto da quella vista.
Io mi dirigo di corsa verso
la porta dell’edificio, cerco di aprirla, ma è chiusa.
Su di essa c’è un biglietto.
‘Questo era solo un
avvertimento, mio caro capitano’.
Sotto di esso c’è la firma:
Robin Hood.
“State tutti bene? C’è
qualcuno lì dentro?” urlo guardandomi intorno.
Mi risponde il custode: “No,
capitano, oggi è domenica, è il giorno libero! E per fortuna io ero al bar
quando è stato dato fuoco a tutto”
Già, è domenica. Quindi Hood
non voleva uccidere nessuno, ma solo avvertirci che sta dando il tutto per
tutto, adesso.
Mi volto verso la macchina e
vedo Gino col cellulare in mano. Deve aver chiamato i pompieri.
“Gino, hai chiamato i vigili
del fuoco?” gli chiedo avvicinandomi al finestrino del posto guida.
“No, ho chiamato il numero
verde del Paradiso”
“E perché?” chiedo
sbigottito.
“Per fare una preghiera”
“E cos’hai chiesto?”
“Che arrivino dei pompieri”
In quel momento arriva
un’autopompa che girava per la città controllando che tutto fosse in ordine e
si accorge dell’incendio, quindi i pompieri corrono giù dal mezzo e vanno a
spegnerlo.
“Non facevi prima a chiamare
la caserma dei vigili del fuoco?” chiedo a Gino.
“In questi momenti viene più
istintivo pregare, capo”
Che coraggio che dimostra il
mio sottoposto.
Alla sua età io correvo a
salvare chiunque fosse in pericolo, e qualunque fosse la minaccia!
E lui ha 45 anni!
Ora che ci penso io ne ho 34,
ma non è questo il punto!
“Andiamo, Gino, la centrale
non è più un luogo sicuro” gli dico salendo in macchina.
“E quale sarebbe il posto
sicuro, capo?” esclama Gino terrorizzato “Non capisce? Questo avvertimento era
indirizzato a noi! A noi! Crede che casa sua o casa mia siano più sicure? Crede
che qualcuno, dopo quello che è successo sarebbe disposto a ospitarci?”
A dire il vero sì, ma forse
ha ragione lui.
“Va bene, amico mio, allora
ci servirà un rifugio segreto”
“E quale?”
Recupero dalla mia fedele 24
ore il taccuino di Francesco Bianchi e lo mostro a Gino, indicando il cerchio
rosso.
“L’edificio della ‘Maltratta
& Co.’? Ma non è il rifugio di Robin Hood?”
“Credi che sia ancora quello
il suo rifugio? Dopo che l’abbiamo scoperto? Io credo di no. Per questo andremo
nell’edificio della ‘Esperimenti sugli animali & AD’”
“L’idea mi piace, sarà un
posto sicuro!” esclama Gino “Molto più di un edificio sicuramente disabitato!
Almeno se ci troviamo Robin Hood ci farà compagnia!”
“Esatto, Gino!”
E così si riparte, verso il
rifugio.
Durante la strada, compare
nuovamente lo spirito del mio mentore nel sedile posteriore.
Gino sta ascoltando musica
con delle cuffie integrali, quindi non dovrebbe sentirmi parlare con lui.
“Sono sulla pista giusta,
capitano?” chiedo.
“Sì, ma ora gira a destra e
immettiti nella tangenziale”
“Non intendo in quel senso”
“Gianni, non c’è bisogno che
chiedi sempre tutto a me” mi risponde con tono affettuoso “Sei tu il capitano,
adesso, non io. Io sono questore, ora, alla faccia tua!” ride.
“E allora perché è qui?”
“Dovevo andare in bagno”
“Vuole di nuovo bagnare il
sedile?”
“Be’, tanto Gino non se n’è
accorto, vedo” risponde ridendo.
“Tutto qui?”
“E va bene, se insisti ti
dico questo. Sei ad un passo dalla risoluzione del caso, ma fa’ attenzione e
guardati le spalle”
Dopodiché scompare, lasciando
un’altra pozza umida sul sedile.
“Quindi sono nella strada
giusta?” chiedo come ultima domanda.
Una voce lontana mi risponde:
“No, ti avevo detto di girare a destra e immetterti nella tangenziale!”
Restiamo di nuovo io e Gino
da soli.
D’un tratto il mio sottoposto
fa una strana espressione, abbassa le cuffie sul collo e mi chiede: “Cos’è
questa strana puzza di pipì?”
“Lascia stare, è solo
un’impressione” rispondo pensando alle parole del questore “Piuttosto, forse
dobbiamo immetterci nella tangenziale?”
“Uh? Sì, ha ragione” risponde
Gino.
Poi porta di nuovo le cuffie
alle orecchie e smette di ascoltarmi.
Eccoci qui, nella sede
cittadina della ex multinazionale ‘Esperimenti sugli animali & AD’.
Ovunque, nelle pareti
dell’edificio, ci sono manifesti con l’immagine del conte Vlad III von Helsing
che indica l’osservatore, con scritto sotto ‘I want you (and your animals)’.
Ricordo che pochissime persone lavoravano per lui.
Ora anche lui è morto e
nessuno ricorda i suoi soldi e i suoi ignobili esperimenti.
“Sei pronto, Gino?” chiedo
osservando l’entrata.
“Ad essere sincero sono un
po’ nervoso, capo” mi risponde “Ma sono pronto”
Anch’io sono nervoso, ma questo
è lo spirito giusto!
L’ispettore è il primo ad
entrare, io sono dietro di lui e prima di varcare la porta mi guardo intorno.
Del questore nessuna traccia.
Una volta dentro, vedo un
posto completamente in rovina, pieno di tavoli e sedie sparsi un po’ ovunque. I
cadaveri sono stati portati via da tempo, ormai, ma il resto dell’edificio non
è stato sistemato.
“Che posto lugubre” commenta
Gino, e non ha tutti i torti.
Il semplice fatto di essere
una specie di ‘edificio fantasma’ gli conferisce un aspetto spaventoso.
“Io sono già stato qui in
passato” rispondo “E, credimi, con migliaia di cadaveri sparsi in giro questo
posto era ancora più lugubre!”
Poi mi avvicino alle scale
che portano al piano seminterrato.
“Di qua ci sono… c’erano i
laboratori” spiego “Ed è lì che ho affrontato per la prima volta Robin Hood”
Il mio sottoposto a quelle
parole viene preso da una grande curiosità: non gli ho mai raccontato com’è
andata.
“E cos’è successo?” chiede
subito.
“Be’, sono stato costretto ad
andare via, perché liberò dei leoni che minacciavano la città”
“Ah, la faccenda dei leoni
inferociti… Ricordo che ne parlarono in TV”
“Già. Ora quei leoni sono al
sicuro nello zoo della città. Il lato positivo è che non dovranno ingerire CD musicali. Non più, almeno”
Faccio cenno di seguirmi al
mio collega e insieme scendiamo le scale.
Una volta di fronte
all’entrata dei laboratori faccio per aprire la porta, ma mi cade di mano una
penna.
Tutto accidentale,
ovviamente.
Avevo la penna in mano
perché… perché… ehm… per firmare autografi nel caso ce ne fosse stato bisogno.
“Gino, apriresti tu la porta
al mio posto, mentre raccolgo la penna?”
“Certamente, capo”
Il mio amico entra nel
laboratorio, ma appena lo fa una freccia si conficca nella mia gamba, dove già
ero stato ferito da Francesco, e cado a terra.
Subito dopo un meccanismo fa
scendere delle sbarre dall’arco della porta e divide da Gino.
Sfodero la pistola e faccio
per puntarla verso il laboratorio, ma un’altra freccia mi colpisce la mano
spaventando e mettendo in fuga l’arma.
Maledetta tecnologia!
Dopo le auto a locomozione di
sfiducia ci mancavano solo le pistole con l’intelligenza artificiale!
Il dolore alla gamba mi
impedisce di alzarmi, perciò sono costretto a osservare la scena passivamente.
Il mio sottoposto ha già la
pistola in mano e si guarda intorno con prudenza e circospezione.
Al primo rumore sospetto,
Circospezione scappa via, lasciando a Gino solo Prudenza.
Hood non è uno sprovveduto e
scocca subito una freccia in fronte a Prudenza, uccidendola.
Per fortuna il mio amico ha
coraggio da vendere!
Solo che è esposto nel
negozio di suo zio.
A Madrid.
Il mio collega comincia a
correre di qua e di là per il laboratorio, fin quando un’ombra non si erge di
fronte a lui.
“Benvenuti nella mia umile
dimora”
È Hood.
“La tua dimora?” chiede Gino.
“Già. La tana della Morte!”
esclama Robin con una risata malvagia.
“La tana della Morte, eh?”
chiede Gino con tono di sfida.
“So cosa stai pensando”
risponde subito l’arciere “Ma ho già ucciso la Morte prima di entrare qua. Non
potete chiamarla per farvi aiutare”
Il mio collega ci pensa un
attimo, poi risponde: “Non era quella la mia intenzione! Ora hai sulle spalle
un nuovo omicidio e anche un’accusa di violazione di domicilio!”
“E credi che questo mi
spaventi?”
“Be’, non lo so…”
Hood punta l’arco verso il
mio sottoposto, che ricomincia a correre in tondo urlando a squarcia gola.
Ma Robin Hood ha una mira
perfetta, la sua fuga non lo spaventa.
Il buio nel quale è immersa
la stanza mi impedisce di vedere cosa accade.
Robin Hood dev’essere
abituato al buio, credo facesse parte del suo piano.
Gino ormai è per metà un
gufo, perciò ci vede benissimo anche in assenza di luce.
D’un tratto sento l’arco
scoccare una freccia.
Poi un’altra volta.
La luce si accende.
Gino mi volta le spalle (che
maleducato!) e guarda il suo nemico.
Poi barcolla un attimo e vedo
il sangue colare per terra.
Poi cade all’indietro, con
una freccia dritta in gola.
A quella vista vengo accecato
dalla rabbia.
Prima il capitano, poi lui!
Non posso sopportarlo!
Mosso da una nuova forza di
volontà, mi alzo, chiamo la mia fedele pistola, che, anche lei mossa da
desiderio di vendetta, era uscita dal suo nascondiglio, e sparo in direzione di
Robin Hood.
Lo colpisco alla mano destra,
facendogli cadere l’arco.
“Tsk, stupidi poliziotti”
commenta con tono sprezzante “Non puoi uccidermi, vero? Perché è contro la
legge”
Lo guardo impassibile,
muovendomi verso le sbarre.
“Ho solo sbagliato mira”
rispondo “La prossima volta non succederà”
Sparo verso il soffitto,
colpendo la corda a cui sono state legate le sbarre che mi bloccano la strada e
facendole cadere a terra con un rumore metallico.
A quel punto, per la prima
volta, il mio nemico vede nei miei occhi la rabbia e la determinazione.
A quel punto, per la prima
volta, io vedo negli occhi del mio nemico occhi la paura e il terrore.
Un altro colpo.
Sbaglio ancora.
Prendo la gamba.
“Sei impazzito, ispettore!”
urla Robin Hood assumendo un sorriso disperato.
“Sono un capitano” rispondo
senza battere ciglio.
Altro sparo.
Altro sangue.
“Verrai messo in prigione! E
per cosa?” urla Hood cercando in tutti i modi di convincermi a non ucciderlo.
“Dirò che c’è stata una
sparatoria e non mi accadrà nulla”
“Ormai ho finito il mio
lavoro! Non esiste più una sola multinazionale che maltratta gli animali! La
mia morte a chi o cosa gioverebbe?”
“A me”
Altro sparo.
Colpisco di nuovo le gambe.
“Intendo vendicare tutte le
persone morte a causa tua” rispondo “Dato che in Italia non c’è la pena
capitale”
“Non è colpa mia se Roma non
ha voluto essere una pena!” esclama sofferente la mia nemesi.
“Ma è colpa tua se ora Gino e
il questore Bianchi sono morti!”
Al nome del questore, Hood ha
un sussulto.
“Dimmi una cosa, Robin Hood”
comincio a chiedere, “perché? Perché hai ucciso il questore Bianchi? Perché lo
hai ucciso? Perché hai ucciso tuo padre?”
L’assassino abbassa la testa,
tornando serio: “E così l’hai capito, infine. Ti ho sottovalutato”
Poi si toglie la maschera
sporca di sangue, rivelando il volto di Francesco Bianchi.
“L’ho ucciso perché sapeva
troppo. Mio padre era un genio e non potevo lasciarlo in vita” spiega “Non
avrei mai voluto arrivare a tanto, ma mi ha costretto a farlo. Lui… lo sapeva”
“Cosa sapeva?”
“Sapeva la mia identità
segreta!”
Mi sconvolgo a quelle parole.
Sapeva tutto…?
“Non mi ha detto nulla… Ha
fatto protrarre questo caso… fino alla sua morte? Perché?” chiedo atterrito.
“Lui sapeva. Ma non credeva.
Non voleva credere”
“Era ateo?”
“Non solo in Dio. Non voleva
credere che io, suo figlio, fossi un serial killer”
“Ma perché? Perché ucciderlo?!
Era pur sempre tuo padre!”
“Per un fine superiore spesso
i sacrifici sono necessari” risponde cercando invano di ricomporsi “E il suo
non è stato vano”
Resto sconvolto ancora un po’
di tempo, poi mi ricompongo e dico: “Il mio mentore… non è ancora morto!”
Adesso è il mio nemico quello
atterrito.
“C-come?” chiede.
“È stato lui a guidarmi,
finora” continuo sorridendo “Fino a te”
“Dov’è?”
“Per ucciderlo? Se veramente
vuoi farlo…” indico il mio petto “dovrai uccidere ME!”
“Capisco, è vivo come spirito
nel tuo cuore”
È veramente il degno figlio
di suo padre.
Punto la pistola contro di
lui, per un ultimo colpo.
“Sono armato di un arco,
capitano” esclama Hood sorridendo di nuovo “La storia di una sparatoria non
sarebbe credibile!”
“A quello penserò io”
rispondo.
Altro sparo.
Altro sangue.
L’ultimo sangue.
Dritto dal suo cuore.
Robin Hood si accascia per
terra, nel luogo in cui ha ucciso.
Nel luogo in cui lo affrontai
per la prima volta faccia a faccia.
Nel luogo in cui l’ho
affrontato per l’ultima volta.
Rinfodero la pistola e chiamo
una squadra che venga a sistemare tutto.
Poi prendo un fazzoletto, di
quelli che si usano per prendere le prove, prendo la pistola di Gino e la metto
nelle mani di Hood, facendo attenzione che restino bene le impronte.
Poi esco fuori dall’edificio.
Appena fuori vedo il questore
che urina nella macchina che io e il mio sottoposto abbiamo rubato a suo figlio
in Russia.
“Lo faceva anche in vita?” lo
interrompo.
“Sicuro, è troppo divertente”
risponde, ma senza ridere.
“Missione compiuta. È fiero
di me, adesso?”
“Hmm… no”
“C-cosa?”
“Ricordi cosa ti ho detto
proprio dopo la vicenda dei leoni usciti da qui dentro, Gianni? Robin Hood
perseguiva la giustizia come fine, ma nel modo sbagliato. Ti sei abbassato al
suo livello, amico mio” risponde chiudendosi la zip dei pantaloni.
Resto sbigottito a quelle
parole.
“L’ho fatto per vendicarla!”
“Avrei preferito che non lo
facessi!” dice, sparendo per l’ultima volta.
Ha ragione? Cosa ho fatto?
I miei occhi cominciano a
lacrimare.
Gino è morto, il questore è
morto… Hood è morto! Ma il mio mentore non ha mai potuto essere veramente fiero
di me! Era tutto ciò che volevo e me lo sono giocato!
C’è solo una cosa che posso
fare…
Torno nell’edificio, nei
sotterranei e prendo il taccuino di Hood.
Comincio a scrivere il
rapporto: “C’è stata una colluttazione dopo la morte dell’ispettore. Hood ha
preso la sua pistola e mi ha minacciato. Ho dovuto ucciderlo”
Poi lo lascio sul corpo del
mio sottoposto e mi sdraio accanto a loro.
Poi prendo la pistola di Gino
con il fazzoletto di prima e la punto verso l’ultima persona viva lì dentro.
In quel momento arriva la
squadra che ho chiamato, che subito irrompe nell’edificio.
Appena si trova sopra le
scale.
Altro sparo.
Stavolta, davvero l’ultimo.
L’ultima voce che sento è
quella del mio mentore, Giacomo Bianchi.
“Credi davvero che il
suicidio sia la soluzione al tuo errore, Gianni? Mi deludi profondamente…”
Così il caso fu risolto,
grazie a quel taccuino e i cadaveri e venne archiviato.
Ma nessuno, dopo
quell’episodio, volle aprire una multinazionale di esperimenti sugli animali.
Scopriremo mai se i CD musicali sono digeribili?
FINE
Ringraziamenti e altra roba varia
Ebbene
sì: la storia è finita e il caso risolto. Ho deciso di attendere l’ultimo
capitolo, prima di spendere qualche parola personale. Non voglio annoiarvi,
quindi sarò concisa, ma cercherò di dire tutto. Diciamo che sarò veloce, ma non
quanto Gino.
Intanto
vorrei ringraziare il mio beta-reader Genkaku Shi, che grazie al suo
aiuto mi ha fatto evitare errori di distrazione, forme dialettali e altri
problemi di forma dalla mia storia.
Poi
vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto, recensito e seguito la mia storia,
che non credevo avrebbe avuto tutto questo successo: più di 100 visite totali.
Davvero, non me l’aspettavo. Spero di essere riuscita a rendere questa storia
divertente e avvincente al tempo stesso, com’era mia intenzione.
Il
finale potrà sembrarvi un po’ strano in contrapposizione all’atmosfera
demenziale della storia, ma voglio stupirvi: i primi due capitoli che mi sono
venuti in mente sono stati il numero 7, quello della morte del capitano
Bianchi, e l’ultimo, in cui già sapevo sarebbero morti Robin Hood, Gianni e il
suo assistente, di cui però non conoscevo ancora il nome. Il resto della
storia, ogni piccola mossa dei personaggi, serviva a portarli a quegli
avvenimenti chiave, di cui ho pensato battute divertenti fin dalla loro
origine.
Non
ho altro da dire, adesso, spero che la mia storia vi sia piaciuta e vi abbia
divertito, credo che in futuro farò ancora racconti demenziali e avvincenti al
tempo stesso. Alla prossima!
Xecestel