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Autore: Akira14    22/07/2011    2 recensioni
E se il suggerimento di Logan di andarsi a farsi fottere fosse stato preso alla lettera? E se a lui, in fondo, non sarebbe dispiaciuto partecipare?
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Logan non può certo dirsi sorpreso del loro arrivo

Logan non può certo dirsi sorpreso del loro arrivo. O incuriosito dalle intenzioni che possono avere nei suoi confronti.
Si è sempre fatto vanto di saper annusare nell'aria le seccature con largo anticipo e diamine se sentiva già la puzza ancor prima che quei due mettessero piede nel bar.


Nemmeno dà loro il tempo di parlare, quindi, che già li ha mandati a farsi fottere. O fottersi vicendevolmente, se preferiscono. Pare di sì. Non che lui stia ancora ascoltando quel che si dicono dei tizi di cui giusto sa il nome, eh.

Manco li avesse osservati nello specchio dietro al bancone, avendo la vaga sensazione che lo sbarbatello dagli occhioni blu gli stesse scivolando dentro senza nemmeno avergli offerto un paio di whisky prima... Manco avesse notato il leggero sollievo del suo degno compare, l'inarcarsi delle sue sopracciglia in un 'Oh, be'. Passiamo al prossimo.' quasi lui non contasse nulla.


Assolutamente non ha sentito il beffardo “Okay. Nella mia camera o nella tua?” sussurrato da quello con la giacca di pelle ed la polo sbottonata su una serie di cicatrici che potrebbero, forse, raccontare una storia alquanto interessante se a Logan gliene fregasse qualcosa. (e no, non ha davvero sbirciato, ha solo una grande immaginazione).
Neppure ha udito l'altrettanto sardonica e telegrafica risposta dell'altro “Nella mia.”
Soprattutto non ha mai aggiunto, voltandosi appena ma fingendo di star il cestino delle arachidi – e com'è che non si trovavano mai, quando uno ne ha bisogno? - un asciutto e serissimo “Posso guardare?”

No, si è semplicemente assicurato che avessero sloggiato sul serio. Poi ha alzato il dito per ordinare un altro bicchiere ed è finita lì.


Logan, perciò, può dirsi piuttosto sorpreso di trovarsi nei corridoi di un hotel fatiscente a cercare la porta di una camera che apparentemente non esiste. D'altronde, quando uno va a dar retta alle vocine nella testa dopo essersi scolato ettolitri d'alcool un po' se la cerca la fregatura. Che le vocine abbiano un suadente accento britannico non è una giustificazione.

'James?' Parla del diavolo ed ecco che spuntano le corna e se finora non aveva una buona ragione per esser lì, spaccare la faccia al telepate per aver osato scavare tanto a fondo lo è appena diventata.
Quel nome non dev'essere pronunciato con tanta leggerezza. Anzi, dovrebbe essere proprio taciuto. Dimenticato. James Howlett non esiste più. Non è mai esistito.
'Logan, quindi? Dicevamo? Ah, camera 528. Sì, il numero è esatto. Prova a passare nuovo davanti alla 526. Dovresti trovarla ora. Scusami, Erik non desiderava essere disturbato quindi mi son trovato costretto...'
“Senti, Chucky, di certi dettagli ne faccio volentieri a meno.” Borbotta, incurante delle occhiate che riceve dai presenti. “... 'sta cazzo di camera 528 non l'ho vista e non son qui per farmi prendere per il culo.”
'
Strano, avrei detto il contrario. Ritenta e sarai più fortunato.' Mormora, ridendo. Se ce l'avesse di fronte già l'avrebbe strozzato, il che è soltanto un incentivo a trovarlo più in fretta.


Effettivamente, ora, al posto del muro di poco fa c'è davvero la porta della 528. L'ennesimo trucco

di un mutante con troppo potere e poco cervello che non lo lascia mica sbalordito. No, affatto.
Ha aperto le labbra per sbadigliare, ma nel frattempo ha avuto un crampo alla mandibola. Ecco. Ci starebbe bene un bel sigaro, adesso.
La porta si apre, rivelando una stanza piuttosto squallida ed anonima. Non fosse per una mappa piena di foto e nomi, tra cui il suo. Quasi vorrebbe far qualche domanda al riguardo, piuttosto incuriosito dalle intenzioni che 'sti due possono avere nei suoi confronti. Charles, però, interrompe immediatamente suoi pensieri.

Gradisci un bel toscano, Logan?” No, gradirebbe lui steso sul marciapiede sottostante. O sbattuto contro il muro. Può sempre rimediare.
Il professore fa in tempo a spostarsi per lasciarlo entrare che, in un lampo, viene afferrato per il colletto della camicia e sollevato a ridosso della prima parete disponibile. Una mano si stringe intorno al collo, strozzandolo. “Devi smetterla di entrarmi nella testa, bastardo.” Ringhia rabbioso, sollevando un pugno e preparandosi a colpirlo dritto sul volto.

Ad un soffio da quel naso che avrebbe così volentieri fatto a pezzi, tuttavia, il suo braccio viene bloccato dalla stretta di Lensherr.

Se sei venuto per unirti a noi o anche solo per stare a guardare, bene. Se no, quella è la porta.” Con un rapido movimento del polso gli avvicina una lama alla gola.
“Pensi di farmi paura, forse?” Sarebbe facile liberarsi e scaraventarlo dall'altro lato della stanza, eppure si limita ad usare un millesimo della sua forza e l'atterra con una gomitata. Sa di averli seguiti più che altro per noia, per rompere la monotonia delle sue giornate. Anche se, certo, non lo ammetterebbe mai. Quindi perché mettere subito fine ad una bella scazzottata?
Preferisce divertirsi un po' a spese di Erik, fargli credere di avere qualche chance contro di lui prima di metterlo fuori gioco. Peccato non abbia messo in conto che la caduta, inaspettatamente, non ha compromesso il controllo che l'uomo ha sul coltello e che perciò lui lo possa attaccare su più fronti. Logan è veloce ed agile quanto basta per evitare le sue nocche, i suoi fendenti, mentre rotola sul pavimento nel tentativo di sovrastarlo. Si strusciano l'uno contro l'altro molto più di quanto non sia necessario, avvicinandosi fino a quasi ad annusarsi... Mordendosi, graffiandosi... Per poi continuare imperterriti la loro lotta.

Charles li osserva affascinato, senza intervenire. Né fisicamente – ci tiene alla sua incolumità, evidentemente – né ricorrendo ai propri talenti naturali. A quanto pare il messaggio gli è arrivato comunque, sebbene il suo naso sia ancora intatto.
Dovrebbe esserne soddisfatto, ma non lo è. Non del tutto.
Dovrebbe slacciare i pantaloni del suo avversario, prenderlo per le palle fino a fargli dimenticare il proprio nome ma indugia. Specie nell'attimo in cui nota che il loro unico spettatore s'è già annoiato e sta tirando fuori un mazzo di carte dal cassetto del comodino.
“Logan, ti prego di perdonarmi. Non sono mai entrato nella tua testa, ma avrei dovuto ignorare ciò che la tua mente proiettava verso la mia invece di approfittarmene così biecamente.” Benché la formulazione della frase sia fosse delle migliori, il tono lo fa sembrare sinceramente dispiaciuto. Potrebbe quasi credergli. Accettare le sue scuse.

Erik, ti ringrazio di avermi difeso. Avrei potuto fermarlo io stesso” Aggiunge, portandosi due dita alla tempia per rendere l'idea “se avessi voluto, ma non posso certo dare per scontato che tu intuisca sempre i miei propositi.”

I due litiganti si bloccano. Improvvisamente si sentono come i due contendenti alla mano della gentil donzella che, dopo aver dato prova della loro maschia prestanza, vengono vergognosamente smontati dall'indifferenza – quando non dall'aperto disprezzo – di lei.

Il che è assurdo, almeno per quanto riguarda Logan: lui se ne strabatte il cazzo di Charles.


Se ne avete ancora per molto, comunque, vedrò d'intrattenermi con un solitario.” S'appresta a liberare il suo letto dagli scacchi, prima di venir prontamente fermato da Erik e dal suo tuffo acrobatico sul materasso. Tuffo che Charles, personalmente, non ha visto ma che dev'esserci senz'altro stato: non c'è altra spiegazione sul come sia potuto essere di fronte a lui nel giro di pochi secondi. Tuffo sicuramente aggraziato ed abilmente calcolato, come ogni movimento di Erik d'altronde, giacché i pezzi sulla scacchiera scivolano dalle loro posizioni senza però cadere rovinosamente a terra. Non che gli sarebbe dispiaciuto vederlo chinarsi a raccoglierli, in effetti.
“Non pensarci neanche. Ancora mi devi la rivincita, non dimenticartene.” Lo avverte, sorridendo.
“Credevo fossi tu ad essertene dimenticato, visto che sembravi divertiti tanto con il nostro nuovo amico.” Ribatte l'altro, ricambiando il sorriso.
“Ehi, io non sono il 'nuovo amico' di nessuno.” Borbotta Logan, accomodandosi sul letto accanto al loro. “Quindi vedete di dirmi che cazzo volete da me, che non ho in programma di farmi mandare a puttane l'intera giornata per sentire le vostre quattro stronzate.”

Nulla che non si possa discutere durante una partita di scacchi.” Risponde Charles, con estrema calma. “Sappiamo di cosa sei capace, Logan. Sappiamo che puoi essere molto più di ciò che sei ora, se soltanto lo volessi. Non migliore, per carità. Lungi da me giudicarti, conoscendoci appena. Credo, però, che sarebbe meraviglioso se mettessi il tuo talento al servizio di una giusta causa...”

Senza distrarsi per un attimo dalle proprie mosse, Charles gli svela il suo utopico disegno di creare una scuola dove i mutanti imparare ad accettarsi, a far tesoro della marcia in più che Madre Natura ha loro concesso e a vivere in pacifica coesistenza con il resto del mondo.

Che per questo nobile fine sia necessario che si nascondano è alquanto contraddittorio, ma Logan evita di farglielo notare. Ha come l'impressione che, ben presto, sarà la vita stessa a piegare l'idealismo del Prof e a mostrargli chiaramente i limiti del suo ragionamento.

Erik, invece, è più realista. O cinico. Apprezza il progetto a lungo termine di Charles, certo, ma crede che piuttosto dovrebbero dare ai mutanti le armi e la conoscenza per difendersi da chi li opprime. E si sa: qual miglior difesa dell'attacco?

Non fa segreto che, ad ogni modo, per lui la priorità sia liberarsi del Dr. Schmidt – Sebastian Shaw, lo corregge Charles, come se quel nome dovesse significare qualcosa per Logan - e dalla minaccia che egli costituisce. Certo, non si aspetta che debba fottergliene qualcosa della sua vendetta personale ma gradirebbe il suo aiuto.


Sono visioni contrastanti, che un giorno potrebbero dividerli, ma che per ora li completano a vicenda. Sono i due lati della medaglia. I due pezzi di un puzzle che s'incastrano a meraviglia l'uno contro l'altro e chiunque s'accorgerebbe che nessun altra combinazione sarebbe altrettanto perfetta.

Una combinazione in cui lui, chiaramente, è di troppo.

L'intruso in quel gioco di sguardi, di dita che accarezzano lascivamente cavalli ed alfieri e di torri che spazzano via ogni pezzo che incontrino sul loro cammino. Dire che Charles ha anche tentato di coinvolgerlo, lasciando aperto uno spiraglio nella propria mente. Cosicché, se solo lo avesse voluto, avrebbe potuto sbirciare e vedere ciò che stava realmente accadendo.
Mani che si aggrappano ai vestiti, cercando di strapparli letteralmente via. Labbra che s'inseguono, trovandosi in baci fugaci per poi perdersi a baciare ogni centimetro di pelle scoperta. Denti che si conficcano, famelici, nella carne fino a sentire il sapore metallico del sangue. Fino a lasciare il segno tangibile del possesso di quel corpo. Sul collo. Sulle spalle, buttando a terra camice e maglioni. Sui fianchi, mentre si liberano dei pantaloni. Sulla coscia, facendo scivolare via boxer e slip nell'attesa di una dimostrazione ben più concreta. A cui lui, però, non assisterà.

Si allontana, chiudendo la porta a quegli strascichi di piacere del telepate che minacciano di mozzargli il fiato.

Torna ad osservare, sbadigliando, un'interminabile partita di scacchi.


Sente salirgli un moto di nausea, ora, per l'aver anche solo concepito dei pensieri tanto contorti, melodrammatici e smielati.

Specie quando il nocciolo della situazione si può esprimere in due parole: deve sloggiare. Se non intende partecipare e nemmeno fare da spettatore, be', allora... Meglio che finisca di fumare il suo sigaro e se ne vada. Alla svelta.

Senza farsi disturbare troppo dall'inconcludenza e dall'insensatezza di questa giornata. Non è affar suo, in fondo.


Si rende conto di poter tornare utile sia a Charles sia ad Erik. Sa che magari potrebbe dare un senso non solo alla giornata ma alla sua stessa esistenza. Renderla qualcosa di più che non il trascinarsi da un bar all'altro. O che potrebbe evitare di finire per essere il soldato ideale di qualche esercito, comprato dai soldi necessari per accaparrarsi una riserva inesauribile d'alcool.
Sa che potrebbe trovare una famiglia, nei suoi futuri compagni.
Ciò nonostante, non può restare. Può giusto illuderli che li seguirà ancora per qualche ora, ma sanno tutti e tre che non accadrà.

Non qui. Non oggi.

Ci tiene troppo alla sua pellaccia.


Un domani? Chissà, per amore, potrebbe anche cambiare idea.
Sì, come no.

  
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