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Autore: Herzschlag    23/07/2011    1 recensioni
Questa è la storia di un Bill insicuro ed introverso, che cerca di scoprire se stesso tra mille paure ed ostacoli, passando per l'amore vero. Un Bill spaventato da ciò che si accorge di desiderare, ma determinato ad ottenerlo.
«La pianti di chiamarli così? Si dice “gay”».
«Da quando sei così pignolo sull'argomento?».
«Da quando sono...».
Panico. Sono...? Che cazzo stavo per dire?
«Sei?».
«Da quando sono... più sensibile riguardo il problema dell'omofobia! È la stessa cosa per il maltrattamento degli animali. È anche per questo che siamo vegetariani, no? Beh, qui si parla di persone che è ancora peggio, quindi un minimo di rispetto».
Parlo velocemente, meccanicamente. Non so nemmeno cosa sto dicendo. Spero abbia un senso. So solo che sto dicendo tutto tranne le parole che avevo realmente in bocca. Ho il cuore che mi pulsa nelle orecchie, il sudore sulla fronte e mi tremano le gambe. Che cazzo mi è preso? Sono... cosa sono?
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brrr, fa freddo fuori. Nascondo il viso nel cappotto e mi incammino in centro. Mentre ero in ascensore ho pensato già a una lista di cose da fare. Innanzitutto, una tappa da Dior è d'obbligo. Non c'è Tobias che mi può portare le borse, ma pazienza, oggi sono indipendente e farò da solo. Dopodiché credo farò anche un salto da Gucci. E Chanel. E anche da Louis Vuitton. Un po' di sano shopping non ha mai fatto male a nessuno. Ma non posso stare in giro troppo oppure si accorgeranno della mia assenza, inizieranno a cercarmi come cercano un carcerato evaso e sarà la fine della pacchia. Specie se lo scopre David. Devo darmi una mossa e tra due ore devo essere di nuovo in Hotel.
Giungo per le vie del centro e procedo a passo deciso in mezzo alla folla. Mi guardo intorno, osservo la gente, ma sembra che nessuno badi a me. Oggi, sono solo uno dei tanti. Quelli che passano inosservati. Quelli normali. Scorgo la vetrina di Chanel in lontananza, con le due grandi C del logo incrociate che luccicano nell'insegna. Mi dirigo a destra della via e do un'occhiata veloce ai negozi. Swarovski. Troppo luccicante. Rolex. Hey, quello in vetrina è l'orologio di mio fraltello! 5.480 euro? Cavolo, notevole. Non sapevo avesse speso tanto, perchè non me lo ha... beh, fa niente. Zara. Decisamente non il mio posto. Chanel. Eccolo! Una scintilla mi illumina gli occhi. Guardo sognante il negozio, che considero uno dei più chic in assoluto. Due bodyguard vestiti completamente di nero, muniti di occhiali da sole e auricolare mi squadrano dall'alto in basso. Osservo la vetrina alle loro spalle, dove troneggiano lussuose due borse in pelle con il logo del marchio in metallo in bella vista, due manici e una tasca laterale. Una nera e l'altra bianca. Sudano soldi solo a guardarle. Accanto, un portafoglio abbinato alla borsa nera e un ciondolo classico con il marchio. Faccio per salire il primo gradino per accedere al negozio ma vengo fermato da uno dei bodyguard. Mi blocco indispettito.
«Posso vedere un documento?», mi chiede freddo.
«Certo», rispondo con una certa stizza.
Frugo nella borsa in cerca del portafoglio e quando lo trovo sfilo il mio passaporto. Glielo mostro e noto un cenno di sorpresa nell'espressione dell'uomo.
«Bill Kaulitz?», domanda retorico il bodyguard.
«Così dicono», rispondo io indifferente.
«Prego signore, da questa parte», dice l'uomo con un'improvvisa cortesia. Percorre la scalinata e mi apre la porta di vetro.
«Grazie», rispondo io seguendo il suo invito.
Attraverso l'entrata e la porta si chiude alle mie spalle. C'è un'atmosfera ovattata qui, un profumo di lavanda misto a Chanel n°5. E c'è una temperatura così accogliente che finalmente il mio naso può scongelarsi. Percorro a passi lenti la moquette beige, osservando tutto ciò che mi circonda: eleganti scaffali su cui sono esposte comodamente borse dal valore inestimabile. Portafogli ingabbiati in vetrine cubiche; gioielli accuratamente sistemati in vetrine splendenti di sicurezza. Tutto perfettamente tirato a lucido e che odora di lusso.
«Buongiorno, posso aiutarla?».
Mi volto, abbandonando con lo sguardo il portafoglio nero con il logo Chanel pitonato che aveva attirato la mia attenzione. Una commessa mi sorride raggiante mostrando disponibilità. Anche lei si abbina allo stile del negozio. Perfettamente truccata, con il caschetto platinato e un tubino nero, si regge su un tacco 12. Sembra che ce l'abbiamo messa dentro incorporata al negozio. Come Barbie e la casa delle bambole.
«Sì, potrei vedere la borsa nera in vetrina per favore?», le dico.
«Certamente. Quella in pelle o quella di paillettes?», mi chiede lei.
«Quella in pelle», rispondo indicandogliela.
«Gliela mostro subito, è l'ultima rimasta», mi informa. Chissà perchè è una frase che sento spesso.
Procede a passi veloci verso la vetrina, si abbassa ed estrae il pezzo dalla vetrina.
«Ecco a lei», me la porge.
Io la prendo in mano delicatamente e l'accarezzo. È un tuffo al cuore ogni volta che sfioro un pezzo Chanel. Ogni borsa sembra abbia un proprio carattere, completamente diverso dalle altre. Mentre la osservo nei minimi dettagli, la commessa si accinge a descrivermela diligentemente: «E’ realizzata in pelle matellassè nera con doppi manici e logo metallico. Una borsa classica nel colore più classico, elegante e perfetta sempre, la definirei immortale».
«Un vero splendore», affermo, «la prendo», aggiungo con uno sguardo adorante verso quella che sta per diventare la mia Chanel.
«Le preparo subito una confezione», mi sorride la commessa compiaciuta del suo lavoro. Mi prende la borsa dalle mani e giunge al bancone. Mentre la infila in una borsa protettiva di tessuto e in un'altra borsa di carta e plastica rigorosamente firmata Chanel, io mi guardo ancora intorno. Sono davvero tentato dal comprare il portafoglio abbinato, ma appena una settimana fa ne ho acquistato uno di Calvin Klein. Magari la prossima settimana ci ritorno. «Sono 2.050 euro», mi annuncia la commessa.
Tiro fuori giust'appunto il portafoglio Calvin Klein e sfilo la carta di credito. La commessa la fa passare nel nastro e compie le opportune procedure. Mi porge i due scontrini da firmare ed io così faccio. Le restituisco uno dei due pezzi di carta e prendo in mano la borsa con il mio nuovo acquisto. Lei spalanca la bocca leggendo il mio nome sullo scontrino.
«Grazie mille, arrivederci!», le dico cortese.
«Grazie a lei! Torni a trovarci signor Kaulitz!», dice la commessa con una voce un po' troppo stridula.
Apro lentamente la porta di vetro, facendomi travolgere mio malgrado da una ventata di aria gelida.
«Ti dico che è lui!».
«Figurati, sarebbe troppo bello».
«Sì invece, ho sentito prima il suo nome».
«Te lo sei sognato, dai andiamo, sono stufa di aspettare qui inutilmente. Fa un freddo cane».
«No aspetta, guarda sta uscendo!».
Scendo velocemente le scale con lo sguardo basso. Spero di aver sentito male.
Arrivato in fondo alla gradinata vedo due figure che mi osservano quasi spaventate.
«Arrivederci signor Kaulitz e buona giornata!».
Mi volto, ed è il bodyguard alle mie spalle a salutarmi, quello che prima mi aveva richiesto i documenti. Ed ho come un brutto presentimento.
«Ehm sì, arrivederci!», mormoro cercando di non dare nell'occhio.
Accelero il passo, imboccando una direzione qualunque.
«Bill? Sei Bill Kaulitz?».
Merda.
Le due figure spaventate ore mi appaiono due ragazze ben visibili, che mi bloccano il passaggio. Una ha i capelli lunghi e biondi, con gli occhi castani, l'altra ha il caschetto nero e gli occhi verdi con un piercing al labbro. Mi fermo non sapendo bene cosa fare, se fuggire via oppure accontentarle per togliermele dai piedi. Maledetto bodyguard.
Pur non rispondendo alla loro domanda, loro mi chiedono «Possiamo farci una foto?».
«Certo», rispondo io con un sorriso. Un finto sorriso. Loro tirano fuori una macchina fotografica, si sistemano di fianco a me, una da una parte e una dall'altra. La ragazza con il caschetto scatta una foto allungando il braccio con l'obiettivo rivolto verso di noi. Ritrae poi il braccio verificando come sia venuta la foto.
«Ops. Caroline tu sei tagliata a metà.», dice guardando perplessa la foto e rivolgendosi alla sua amica, «un secondo Bill!», dice rivolgendosi a me e correndo poi a fermare una passante.
«Scusi! Ci può fare una foto?».
«Certo», risponde la passante, «devo schiacciare qui?», chiede rigirandosi tra i guanti la macchina fotografica.
«Sì, il tasto argentato».
Mi rimetto in posa con un sorriso, mentre la passante ci scatta due foto. Restituisce poi la macchina fotografica alla mora che la ringrazia. Lei a sua volta ringrazia me: «Danke Bill!».
«Bill? Sei quello dei Tokio Hotel?», si blocca la passante, studiandomi.
«Tokio Hotel?!», urla una ragazza che stava passando affianco a noi.
«Cosa? C'è Bill?», domanda la sua amica.
Si fermano tutte e due davanti a me, sorridendo estasiate.
«Bill Kaulitz?!», ne vedo correre una verso di me.
«Oddio, Clara, c'è Bill!».
Bill, Bill, Bill, Bill.
In meno di dieci minuti sono soffocato da mani che tentano di afferrarmi, flash che mi accecano e videocamere che studiano ogni mio inutile movimento.
Sono decisamente nella merda.
«Piano ragazze non mi spingete», riesco a mormorare.
Forse se le accontento tutte, se ne andranno.
Allora inizio a prendere in mano il pennarello che mi offrono e a scarabocchiare firme sbilenche sui pezzi di carta che ho davanti. Ma più ne accontento, più ne arrivano di nuove correndo e urlando “è Bill Kaulitz!” attirando ancora più gente.
Provo a spingerle e a sgusciare via dalla calca ma sono più forti di me e non mi lasciano via di fuga.
Bravo Bill, sei un emerito coglione. E adesso?
Cerco di mantenere la calma cercando una soluzione mentre ancora firmo freneticamente della roba. Forse...
«Bill, ehi Bill!», sento quasi sussurrare.
Non ci bado molto, in quel caos tutti urlano il mio nome. «Pss, Bill, quaggiù!». Ma questa non urla e non è nemmeno una voce femminile.
Abbasso lo sguardo.
«Kevin?», dico strabuzzando gli occhi, «che ci fai lì sotto?».
  
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