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Autore: Vekra    23/07/2011    0 recensioni
Sequel della one-shot "Voglia di pace".
E' cambiato tutto, o quasi. Ginny e Ron non fanno più parte della vita di Harry... altri amici e nuove conoscenze sono entrati nella routine dell'ultimo Potter. Ora non gli resta che difendere il suo diritto ad essere libero.
Dal capitolo 17: "... E questo è tutto. Non credo ti sarebbe piaciuta ma, sicuramente, le avresti saputo far abbassare la testa. Sì, ti saresti divertita. Anche con Dud, perché no. L’incolumità del tappeto ha la sua importanza...".
Dal capitolo 18 "... Vedere Andromeda in ogni suo gesto è piuttosto patetico, vero? In verità, vorrei solo che ci fosse lei e non questa quasi sconosciuta dall’aria simpatica...".
Dal capitolo 19 "... Non so se quella donna che cammina al suo fianco, e che spinge quella carrozzina nuova, sia la stessa che ha portato Jessica ad andarsene in Portogallo: lui non mi aveva mai fatto sospettare nulla e, dopo, sono stata ben felice di vederlo scomparire anche dalla mia vita...".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Harry Potter, Nuovo personaggio, Padma Patil, Teddy Lupin
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'La ricerca della libertà'
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Capitolo 19 - Nomi e memorie
Disclaimer: Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà di JK Rowling e di chiunque possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.

NdA: Ho scritto la seconda parte del capitolo subito dopo aver buttato giù “Voglia di pace”, quindi ormai diversi anni fa. Mi ha fatto piacere non doverla cambiare e inserirla esattamente come l’avevo pensata (anche se credevo che non l’avrei mai messa). La prima parte, invece, mi ha creato un sacco di problemi, perché alcuni pensieri di Jess m’inquietano parecchio e perché la signora Sloper è... spietata, per certi versi. A volte, mi piacerebbe gestire personaggi meno complicati.
Spero che questo capitolo vi possa piacere.


NOMI E MEMORIE

10 dicembre 2004
venerdì

Guardo Katie comportarsi come sempre... più simile a Karl di quanto tutti si rendano conto: è pragmatica, condiscendente e attenta a quello che dice e come lo fa. In generale si comporta come ci si aspetta da lei, eppure, ogni tanto, si nota che il corso dei suoi pensieri differisce da quello che mostra in quel momento. Col tempo imparerà a non rivelare più nemmeno quello.

Anche Harry mi ricorda Karl. E tutto questo m’inquieta e mi dice che, sì, avevo maledettamente ragione a volerlo vicino a Beth, più di quanto quella sciocca si sia mai immaginata.

Quando decisi di andarmene da Londra, lei non mi fermò. Protestò, gridò, pianse e m’implorò di restare anche solo per non lasciarla da sola. Lei, così orgogliosa... Ma il rispetto che aveva per me, e per ciò che provavo, era più grande di qualsiasi egocentrismo. Ho lasciato la mia migliore amica quando aveva bisogno di me, sono tornata e mi ha accolto in casa sua come se nulla fosse accaduto. Quasi.

E questo non mi permette di poterla disapprovare liberamente, non sulle scelte che ha deciso di prendere in piena coscienza.

Quando mi è parso chiaro che non pensasse a Harry in nessun modo utile, ho pensato che, forse, Neil non sarebbe stato male: in fondo, un uomo affascinante e pieno di denaro poteva darle quello di cui lei e Katie avessero bisogno. Ma non ho tenuto conto di alcuni particolari, accecata dal bisogno di... beh, di fare ammenda per essere stata via, quando sarei dovuta restare e affrontare tutte le pieghe che la mia vita mi offriva.

Innanzitutto, Beth... diciamo che, se la sua prima impressione può non essere molto precisa, quella successiva ha molte probabilità di essere quantomeno verosimile: Neil le era piaciuto e poi ne aveva intravisto qualcosa che non l’aveva convinta. Poco importa se, la maggior parte delle volte, le sue considerazioni sfiorano il limite dell’assurdo e dell’improbabile.

Poi, l’avevo già scartato anch’io, la sera che parlammo di tutti gli uomini che aveva conosciuto in mia assenza: perché qualcuno come Neil dovrebbe frequentare una come Beth? Qualsiasi motivo sia, non poteva essere nulla di relativo a bontà e romanticismo, che la mia migliore amica usa ancora come criteri di discernimento. E, se non andava bene per lei, perché insistere?

Perché ero, e sono, stufa di vederla portare ancora la fede di Karl. Perché Katie guardava Harry come se l’avesse tradita, o stesse per farlo da un momento all’altro. Perché, anche se non lo vuole ammettere, Beth ha bisogno di qualcuno che stia accanto a lei e a sua figlia, qualcuno cui affidarsi, qualcuno con cui confrontarsi, qualcuno con cui scambiare occhiate complici. Qualcuno che possa amare sua figlia quanto l’avrebbe amata Karl, se ne avesse avuta la possibilità. Perché vorrei vederla andare avanti, invece di osservarla bloccata nel ricordo di un uomo morto.

Non pensavo che mi avrebbe preso sul serio, anche perché la discussione su Neil non era andata a buon fine, per via della nostra attuale difficoltà a regalarci consigli. Il suo problema è che ama troppo sua figlia: quando ha smesso d’ignorare i bisogni di Katie (non che lo faccia consapevolmente, ma a volte pare dimenticarsi che una persona che non c’è non può sostituire il naturale bisogno di avere un genitore), non si è potuta impedire di tentare il tutto per tutto.

Credo che senta di non potersi innamorare di nuovo come con Karl... e, in fondo, non mi sento di darle torto. Ma, solo per questo, non deve... mettere da parte il suo maledetto orgoglio per qualcuno che è soltanto un grandissimo idiota. Maledizione, si sta sforzando di far funzionare tutto, passando sopra i suoi commenti sarcastici, le sue occhiate poco lusinghiere... gli regala continue possibilità, cercando di farlo avvicinare a sua figlia.

Però Katie, mocciosa intelligente, se può, si tiene alla larga da Neil. E, questo, insieme a quanto mi ha detto Harry ieri sera, non può che farmi pensare che la bambina abbia visto qualcosa che a noi è sfuggito... sempre che si tratti di Neil.

Al momento, mi pento soltanto di non aver insistito sul quattrocchi, che adora la mia figlioccia e che, alla fin fine, sarebbe un buon padre per lei. Che è qualcosa d’importante, più della sicurezza finanziaria, più del piacere della sua compagnia.

Ho sbagliato. E non posso dirlo a Beth, dato che devo farmi perdonare fin troppi errori. È già tanto che non mi rinfacci la mia fuga in ogni singolo momento... Ma, ora, si tratta di Katie e quella bambina non deve restare invischiata nei nostri problemi. Che, almeno, si goda la sua innocenza per un altro po’, senza essere costretta a crescere.

Almeno lei può ancora sperare in qualcosa di diverso e migliore.

***

12 dicembre 2004
domenica

Mentre sto uscendo sul pianerottolo, non mi stupisco di trovare la signora Sloper che viene fuori dalla porta di fronte. Ovviamente, come suo solito, non ha un capello fuori posto e sembra davvero che sia finita qui per puro caso o per un motivo che sicuramente non ha a che fare con me.

“Oh, cara Eliza! Che piacere vederti, tutto bene?” sospirare, a questo punto, credo sia rigorosamente d’obbligo.

“Signora Sloper. Sì, tutto bene. Lei come sta?” Karl? Se sei lì, sopprimila.

“Benissimo, Eliza” i suoi occhi scuri mi scrutano con attenzione, mentre mi si avvicina per sistemarmi la giacca sulle spalle. Posso dire a mio favore che sono rimasta calma e che non l’ho mandata a farsi un giro altrove.

“Stava uscendo, signora Sloper?” le chiedo mentre ora lei è passata a lisciarmi il collo della camicia con fare materno.

“Sì, devo passare giù dal signor Crockett, sai, gli avevo promesso una visita” devo ammettere che questa donna ha fatto dell’uso della noncuranza una vera arte.

“Io stavo andando in libreria, invece” e ho fatto bene a uscire prima, lo so che mi terrai inchiodata qui fin quando non avrai finito.

“Oh, certo cara. Sei davvero una gran lavoratrice” smette di mettermi in ordine come una bambina e, stringendo a sé la sua borsa nuova di zecca, sorride di quel sorriso sincero e distinto, così illusorio “Ma dato che sei qui, ne approfitto per dirti alcune cose, sei ancora in tempo, vero?” mi chiede, come se non lo sapesse già.

“Che cosa vorrebbe dirmi?” prima inizia, prima finisce. E... Karl? Me la pagherai, stanne certo.

“Nulla di che” si sminuisce, mentre gli occhi non riescono a nascondere una vaga sfumatura maliziosa, del tutto assente nella voce. Immagino che la vecchiaia stia iniziando a battere colpi “A proposito di quel tuo giovanotto... come si chiama... Neil, giusto?” dire che non me lo sarei aspettato sarebbe davvero ridicolo.

“Sì, è il suo nome. Spero che non sia stato irriguardoso nei suoi confronti... ”

“Oh, non preoccuparti Eliza, il tuo giovanotto è delizioso” sorride con gentilezza ipocrita “Sai, è davvero un sollievo vederti così spensierata in sua compagnia” il suo sorriso si allarga “Spero gli piacciano i bambini, perché siete davvero una coppia adorabile. Sarebbe un peccato se avesse problemi con la piccola Kathleen” perché questa donna non sa farsi gli affari suoi?

“Neil e Katie vanno molto d’accordo, signora Sloper”.

“Mi fa tanto piacere” il suo sorriso s’incrina appena, ma il risultato è solo un’espressione più neutra di prima “La signorina Murray, invece, sta per caso uscendo con qualcuno? Per caso, quel simpatico giovanotto con gli occhiali? Si chiama Harry, non mi ricordo male, vero? Viene spesso a portare il figlioccio qui e ho pensato... ma non li vedrei bene insieme” mi rivolge un aristocratico occhiolino, con fare complice. Mi sento libera di guardarla con scetticismo.

“Harry è fidanzato, signora Sloper. Accompagna Teddy solo perché è amico di mia figlia” e, invece di sembrare delusa come mi aspettavo, il suo sorriso si allarga e gli occhi si riempiono di soddisfazione.

“Deve volere molto bene a quel bambino per prendersene cura anche ora che la nonna non ne è in grado, vero? È molto attento ai suoi bisogni, proprio una cara persona. Mi è parso di vedere che abbia preso Kathleen in simpatia, giusto?” di nuovo mi guarda senza una sola smagliatura nel sorriso.

“Sì, certo, le vuole molto bene... ” una delle sue mani lascia la borsa per darmi colpetti gentili sulla spalla.

“Non è bello sapere che c’è ancora qualcuno che ha delle priorità, Eliza cara? Frequenti delle persone squisite” mi sorride come se non potesse essere più soddisfatta di così “Sarei davvero contenta se tu e il tuo giovanotto passaste da me per una tazza di the, una volta o l’altra. Promettimi che troverai il tempo” le sue ultime parole sono pronunciate in tono cordiale e affettuoso, come se davvero desiderasse la nostra compagnia.

“Vedrò cosa posso fare, sa, fra gli impegni comuni... magari ne riparleremo: ora devo proprio andare” accenno un sorriso e la saluto con un cenno del capo. Lei, si limita a sorridere con condiscendenza, lasciandomi la lucida consapevolezza che, d’ora in avanti, dovrò fare attenzione ai suoi agguati quando Neil passa a casa mia.

***

Non so se quella donna che cammina al suo fianco, e che spinge quella carrozzina nuova, sia la stessa che ha portato Jessica ad andarsene in Portogallo: lui non mi aveva mai fatto sospettare nulla e, dopo, sono stata ben felice di vederlo scomparire anche dalla mia vita.

Eppure non riesco a non osservarla, a non scrutarne ogni singolo tratto e ogni minuscolo gesto per vedere cos’abbia di tanto speciale. Non la conosco per nulla e già detesto quel bel viso sorridente e sereno, quelle lentiggini, quegli occhi marrone scuro e quei capelli lisci e nerissimi. Saprà, se è davvero lei, quanto male ha causato?

E lui cammina con delicata noncuranza, un ipocrita ritratto della buona fede. Con gli occhi scuri ridenti e i chiari capelli rossi, mossi e piuttosto lunghi, la pelle bianca e il viso dai lineamenti marcati e spigolosi... non è cambiato molto da allora, quando ancora credevo che nessuno lo conoscesse meglio di me. Anche in questo momento potrei disegnarlo a occhi chiusi... eppure non merita di essere ricordato così bene, non merita la considerazione e il dolore che mi causa la sua vista.

Quest’uomo, che mi è stato vicino per anni e che ora si china benevolmente sulla carrozzina, perché il suo bambino ha emesso un banale gorgoglio, non merita il mio perdono.

E quella donna ride, ignara di tutto questo, e lui alza il viso, sorridendole con condiscendenza. Infine quegli occhi, che mi hanno mentito consapevolmente per troppo tempo, si accorgono della mia presenza. La serenità lo abbandona, come ogni parvenza di rispettabilità: si mostra come un essere spaventato e meschino, lo sguardo che alterna me e la donna che lo affianca con fare nervoso.

O, forse, sono solo io che non riesco più a vederlo in modo diverso. O, forse, è sempre stato così e non me ne sono mai resa conto.

Lei osserva quello scambio d’occhiate con un vago allarme, dovuto più alla stranezza del gesto più che alla consapevolezza di chi io sia.

Devi averle nascosto quasi tutta la tua vita, vecchio mio.

E ora provo pena per lei, che si è lasciata ingannare, e per me, che gli ho permesso di farlo a suo tempo. E lui mi guarda bene in viso, consapevole di tutto ciò che penso, perché mi conosce perfino meglio di Karl.

“Beth” dice piano, con quella voce che un tempo era un suono confortante. Ma quell’unica parola, più che un saluto, è solo una pura constatazione. E gli occhi scuri della donna si allargano per la comprensione prima di farsi più guardinghi. Eppure le belle labbra sono piegate in un sorriso riparatore.

Se pensa davvero che possa bastare...

“Non... non dici nulla?” mi chiede lui, ineffabile codardo.

“C’è qualcosa che potrei dire?” gli rispondo, stupendomi di quanto calme suonino le mie parole.

“È passato più di un anno, non... non dovresti...” muove una mano nella mia direzione come a intendere una sorta di riavvicinamento. E ora non so più come deve sembrare il mio viso, se sconvolto per una simile insensata proposta o semplicemente impassibile. Lo vedo soltanto tacere, senza nemmeno il coraggio di continuare a guardarmi.

La donna gli lancia un’occhiata indecifrabile prima di tornare a sorridermi cortesemente.

“Ora dovremmo andare” si rivolge a me con la sicurezza di chi non ha rimorsi. Inizia a manovrare la carrozzina in modo da poter agevolmente uscire dal negozio. Per un attimo intravedo un bambino di pochi mesi, che pare non aver nulla dell’uomo che ho di fronte “Spero non le dispiaccia se passiamo ancora di qui una volta o l’altra” continua lei, prima di posare una mano su quella del marito, due anelli dorati ben visibili.

E quella vista mi fa più male di tutte le parole non dette.

***

Sto guardando i bambini giocare sulle altalene quando Elizabeth mi raggiunge, sedendosi compostamente sulla panchina e salutandomi solo con un sorriso forzato. Sotto la giacca scura indossa il completo grigio chiaro che di solito mette a lavoro, segno che non è passata a casa a cambiarsi come fa di solito. E, in genere, sono io che riporto Katie a casa, gli orari della libreria non le consentono di arrivare tanto presto. O ha chiuso prima, ma non penso, o ha dato il cambio a Jessica.

Le regalo un sorriso che, spero, sembri gentile e discreto, per poi provare a osservarla più attentamente. Il viso è teso e gli occhi, particolarmente lucidi, studiano il vuoto di fronte a sé come a cercare chissà quale risposta. Espressione che mi riporta alla mente quella con cui Jessica mi ha osservato più volte l'altra sera, ma mi sforzo d’ignorarla, provando a pensare a cose più confortanti, come la nascita di Marlene o il palese desiderio di Angelina di diventare madre. Torno a guardare Teddy e Katie, che fanno a gara a chi si spinge più in alto, consapevole di non poter fare molto per loro con quel poco che so.

“Mia figlia si è comportata bene oggi?” la sua voce suona un po’ stridula nel suo evidente bisogno di potersi distrarre.

“Katie non si comporta mai male” distolgo l’attenzione dai bambini per vedere se... no, non sta meglio. Potrei restare in silenzio e lasciar correre. O potrei mostrare di avere una profondità diversa da quella di un cucchiaino e cercare di tirarla su “Sei venuta direttamente dal negozio? Com’è andata?” domande più vaghe di quello che possa sembrare, non fate quella faccia. In questo modo può rispondermi come meglio crede e non avrò urtato troppo il suo orgoglio.

Ma, come sempre, non sono riuscito a farmi i fatti miei. E, intanto, non riesco a non guardare i bambini prima di tornare a prestare attenzione a Elizabeth.

“Stamattina... ” esita e il suo viso si contorce in un misto di disgusto e sofferenza. Si ricompone in fretta quando sua figlia la nota, agitando una manina per salutarla. Anche a lei mostra quel sorriso stiracchiato e per nulla convincente. Eppure la bambina non sembra farvi troppo caso “È entrato... è entrato un uomo in negozio. Era con sua moglie, ho visto le fedi” chiude gli occhi come a voler scacciare quell’immagine dalla testa, torturando l’anello che porta all’anulare sinistro “Quell’uomo è stato il mio migliore amico” le labbra si assottigliano “Era anche il ragazzo di Jessica” sebbene le sue parole siano calme, lasciano trasparire lo stesso il suo dolore “Si dovevano sposare, la data era già fissata. Stavano insieme da quando eravamo ragazzini... Jess ha sacrificato molto per stargli vicino” il suo sguardo torna a farsi vuoto e lontano “Quando Karl è morto... non so come avrei fatto senza di loro” si ferma ancora, in una pausa lunga e spiacevole, che non ho ritenuto opportuno interrompere. Il silenzio si dilata fra noi, interrotto solo dalle voci dei bambini.

“È anche il padrino di Katie, lei lo adorava” la rabbia, che le ha dato la forza per continuare a parlare, le sforma il viso in un’espressione sgradevole, quella di chi non riesce a perdonare – o a perdonarsi – tanto simile a quella che Snape mi rivolgeva fin troppo spesso “Katie era presente quando Jess se n’è andata... I bambini capiscono subito quando c’è qualcosa che non va... Ha smesso da tempo di chiedermi perché il suo padrino non la andava più a trovare” osservo il suo volto farsi più stanco, amareggiato, mentre rimugino sulle sue parole “Scusami per questo sfogo, non avrei dovuto” mormora dopo un po’, con tono ancora udibile, il volto perennemente puntato di fronte a sé.

“Non ti preoccupare...” le dico, sperando che capisca che lo penso davvero. E, intanto, cerco di non pensare a come questa donna si sia ritrovata sola, tento di scacciare la consapevolezza che, se suo marito fosse stato vivo, non avrebbe dovuto parlare di tutto ciò con un semplice conoscente. Cerco di pensare a Jessica e a quell’uomo che l’ha spinta ad andare via... e non riesco a fare a meno di pensare che, l'altra sera, fosse per lei uno di quei momenti in cui, a volte, si sente il bisogno di allontanarsi da ciò che ci fa male...

“Grazie” mormora Elizabeth, dopo un tempo che sembra troppo lungo. Distolgo lo sguardo da lei, quel tono di sincera gratitudine che fa più male di quanto pensassi. Mi concentro sulle risate dei bambini, provando a illudermi che non abbiano bisogno d’altro. “Hai mai... ” la sua voce non ha alcuna inflessione particolare ma non riesce lo stesso a ultimare la frase.

“Dimmi pure” sono un idiota. Questa è una tortura e mi ci sono messo con le mie mani.

“Hai mai incontrato qualcuno di cui ti fidavi ciecamente? Qualcuno di cui ti saresti aspettato niente di meno di quello che avrebbe potuto darti?” la veemenza delle sue parole mi forza quasi a voltarmi verso di lei “Qualcuno cui ti sei affidato...” la sua disillusione parla con tono amaro.

“Sì” mi sforzo di guardarla e di sorriderle senza mostrare rammarico “Albus Dumbledore” nei suoi occhi c’è una dolorosa complicità... “Il Preside della mia scuola era il ‘buono’ per eccellenza...” una risata mi risale la gola e non la trattengo. Suona stridula e fredda “Mi definivano il suo uomo... ne ero addirittura orgoglioso. Ma, alla fine, non ero altro che una pedina fra le sue mani, seppur senza di lui ora non sarei qui” ti sei rivelato simile a quel grosso ragno, Professore, più di quanto lo fosse il vecchio Slughorn...

“Che nome insolito... ” il suo sussurro suona come un pensiero espresso ad alta  voce.

“Indicativo, analizzandolo col senno di poi... ” quanto devi aver mormorato Professore, alle spalle di chiunque ti fosse vicino?

“Quell’uomo... ” riprende con voce misurata “... si chiama Morgan, Morgan Weber” mastica quel nome come se faticasse a pronunciarlo: il suo Voldemort personale.

“Che nome comune... ” mormoro soltanto, sentendomi svuotato, lontano da tutto. Come quando la guerra era finita da poco e avevamo appena iniziato a pensare a tutte le sue conseguenze.

“Ingannevole, analizzandolo col senno di poi” infine, le ho strappato un piccolo, cinico sorriso. E sono tanto sciocco a sperare che, per quel sorriso contorto, valga la pena affrontare tutto questo.

***

Harry ed io non ci siamo detti più nulla, per oggi abbiamo chiuso con le confidenze dolorose. O, almeno, lui l’ha fatto. Stasera, invece, dovrò parlarne con Jessica e, se potessi evitare, lo farei con tutto il cuore. Però non posso sottrarmi, lui sarebbe così sconsiderato da tornare davvero e Jess deve essere pronta... non voglio che vada via di nuovo.

“Katie!” mi alzo dalla panchina prendendo la borsa e mia figlia, dall’altalena, si volta verso di me continuando a dondolarsi “Scendi dai, è tardi, torniamo a casa!” fa segno di sì con la testa e, un po’ sconsolata, cerca di frenarsi.

E poi, non so come, perde la presa sulle catenelle ed è catapultata in aria dalla sua stessa spinta.





NdA: Dunque... qualcuno ha riconosciuto la moglie di Morgan? È un personaggio della cara zia Row e mi sono attenuta a quanto l’autrice ha detto (non scritto) a riguardo. Indizi: in generale, nessuno la sopporta fra i fan di HP e potrebbe sembrare strano che non sia scoppiata a piangere di fronte la rabbia di Beth.
Per quanto riguarda il finale di questo capitolo... ehm. Se vi può consolare, il prossimo è già in fase di scrittura.
  
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