Twenty-One.
Ciao, Tom, mi chiamo Jacqueline e sono americana. Non hai mai fatto caso a me, ma io ti ho visto tante di quelle volte, che ormai ho perso il conto. Non riesco ad addormentarmi la sera, senza che il tuo pensiero faccia capolino nella mia mente. Più passa il tempo e più sento il bisogno di conoscerti. Qui sotto ti lascio il mio numero di telefono ed il mio indirizzo, sperando che tu possa farti sentire e conoscermi. Un bacio, J.
Sbatté
le palpebre più e più volte.
Era
lei la cretina che non riusciva a comprendere l'utilità di quella
lettera o era effettivamente così? Non che questa l'avesse sconvolta
più delle precedenti, ma spesso si domandava cosa passasse per la
testa delle ragazze, nel momento in cui la penna veniva afferrata
dalle loro dita. Sul serio era convinta che il chitarrista, il quale
non conosceva nemmeno la sua faccia, l'avrebbe chiamata?
«
Signore, aiuta queste poverine, ti prego. » mormorò Monique,
seriamente preoccupata per la loro sanità mentale.
«
Sono i miei occhi che fanno cilecca o stai sul serio parlando con
Dio? »
Non
appena sollevò lo sguardo, notò proprio il diretto interessato
della lettera sulla soglia della porta dell'ufficio di Monique.
Quest'ultima sventolò la lettera, facendogli segno di avvicinarsi.
Tom ubbidì ed afferrò il figlio di carta, leggendone poi il
contenuto.
«
Mmm, interessante. » commentò sarcastico, una volta che ebbe
finito.
«
Tom. » borbottò la mora.
«
Stavi pregando perché io non mi segnassi il numero? » domandò il
ragazzo, malizioso, mentre si avvicinava a lei, dopo aver posato
nuovamente la lettera sul tavolo.
«
No, pregavo perché questa povera ragazza non passi le sue giornate
ad attenderti alla porta di casa, speranzosa, fino a star male. »
rispose Monique, mentre il chitarrista la stringeva da dietro, fino a
darle un bacio sulla testa. Quest'ultimo ridacchiò appena.
«
E sei io decidessi di far diventare il suo sogno realtà? » Monique
si voltò verso di lui, con espressione indagatrice. « Scherzavo. »
aggiunse Tom, così che Monique si voltasse nuovamente verso il
tavolo, sempre stretta dalle sue braccia.
«
Potrei essere gelosa. »
«
Potresti? »
«
Potrei. »
«
Anch'io potrei essere geloso del fatto che oggi ti vedi con
Christian. »
Monique
si voltò nuovamente verso di lui, mentre lui si staccava da lei per
fare il giro del tavolo e tornarle di fronte.
«
Mi vedo con Christian? Gli faccio conoscere la bambina, non mi
vedo con Christian. » precisò, un po' risentita di
quell'affermazione.
«
Beh, passerete una giornata al parco, insieme. » continuò il
chitarrista, senza guardarla negli occhi, con apparente calma.
«
Questo perché non voglio lasciare Eveline da sola con lui. Almeno
non la prima volta. » Tom si limitò ad annuire, continuando a non
guardarla. Forse, se l'avesse guardata, le avrebbe spiattellato in
faccia tutta la verità. Le avrebbe detto che era geloso marcio; le
avrebbe detto che non voleva assolutamente che si incontrasse con
Christian e che Eveline lo conoscesse. Ma doveva essere comprensivo.
D'altronde era stato proprio lui ad incoraggiarla, poiché gli
sembrava la cosa più giusta da fare, ma ora si stava pentendo
spudoratamente di tutto ciò. « Vieni con me. » propose
all'improvviso Monique. Tom sollevò lo sguardo corrucciato su di
lei.
«
Cosa? » domandò, credendo di non aver capito bene.
«
Vieni con me. Stai al parco con noi. Tanto il servizio fotografico è
alle due, no? L'appuntamento è alle cinque. D'altronde, sei il mio
ragazzo, non vedo perché non dovresti esserci. »
«
Non riuscirei a sostenere di nuovo la sua presenza, lo prenderei a
pugni. »
«
Ci sarò io ad evitare che questo accada. Te lo leggo negli occhi che
vuoi venire a marcare il tuo territorio. »
Tom
la guardò ridacchiare e riuscì ad ammorbidire i muscoli,
lasciandosi andare in un lieve sorriso.
«
Posso stuzzicarlo? » chiese, eccitato al solo pensiero.
«
Dipende in che modo. »
«
Potresti strusciarti addosso a me per tutto il tempo? Godrei come un
cane nel vedere la sua faccia. Anzi, facciamo direttamente l'amore su
una panchina, davanti a lui? »
Monique
scoppiò a ridere, decisamente colpita dalla fantasia del
chitarrista.
«
Ti devo ricordare che ci sarà anche Eveline? » domandò divertita.
«
Ah, giusto. » la sua euforia si spense all'improvviso. « Beh, vorrà
dire che gli daremo fastidio in altri modi. » concluse, per poi
incamminarsi verso la porta dell'ufficio, per uscire. Proprio qualche
secondo prima però si fermò e si voltò nella direzione della mora,
con un sorriso furbo in volto. « Avresti fatto sul serio l'amore con
me sulla panchina, se non ci fosse stata Eveline? » le domandò
interessato.
La
mora sollevò lo sguardo sul suo e sorrise maliziosa.
«
Può darsi. » rispose. Il chitarrista sollevò le sopracciglia
compiaciuto.
«
Bene, la prossima volta, so dove portarti. »
«
Sicura che sia una buona idea far venire anche Tom con te? » domandò
Jessica, piuttosto preoccupata.
Monique
sospirò appena. Sapeva di aver azzardato e non poco con quella
proposta al chitarrista, ma gli era venuta talmente spontanea, che
non era riuscita a controllarsi.
«
Sto cercando di auto convincermi di aver fatto la cosa giusta. Per
favore, non farmi venire ancora più dubbi di quelli che già ho. »
mormorò la mora, decisamente poco incoraggiata da quella domanda.
«
Sai com'è fatto Tom e sai anche com'è fatto Christian. Pensi che
riuscirebbero a passare un pomeriggio assieme senza mettersi le mani
addosso? »
«
Confido nel buon senso di Tom. »
«
Allora siamo rovinati. »
«
Jess! »
«
Scusami ma, sinceramente, riesci ad accostare la parola “buon
senso” al nome “Tom”? Ti prego, sii oggettiva. »
«
Okay, sposta un po' la testa a sinistra. Così, perfetto. »
Gustav
Shäfer odiava terribilmente posare per un servizio fotografico. Più
il tempo passava, più si domandava cosa ciò potesse c'entrare con
il reale lavoro che aveva scelto di fare: il musicista. Che bisogno
c'era di farsi scattare tutte quelle foto?
Nel
frattempo, dall'altra parte della stanza, Tom Kaulitz fremeva
dall'agitazione per tutto un altro motivo.
«
Bill, non sono sicuro di riuscire a trattenermi. Oggi, quello, lo
stendo. » borbottò, continuando ad osservare le mosse del
batterista, a qualche metro da lui.
«
Tomi, non fare cazzate. » ribatté tranquillamente il vocalist,
senza nemmeno guardarlo negli occhi.
«
Certo, è facile, per te, dirlo. »
«
Beh, allora, sappi che se esce un solo giornale con le foto di te e
Christian che vi prendete a botte, non ti lascerò nemmeno il tempo
di guardarle e darti del coglione da solo. »
«
Sai, non è con le minacce che mi aiuti. »
«
Oh, ma io non ti ucciderò se anche tu terrai le tue manine a posto.
»
Il
chitarrista scoccò una veloce occhiata in direzione del moro e poi
tornò a concentrarsi su Gustav. Prevedeva una giornata decisamente
lunga e faticosa.
Non
appena il campanello trillò, Monique si precipitò alla porta, ad
aprire. Il chitarrista comparve da dietro essa e le sorrise
amorevolmente, prima di schioccarle un bacio sulle labbra.
«
Pronta? » le domandò, dopo aver richiuso la porta.
«
Sì. Aspetta, che mi metto la giacca. Tu intanto prendi Eveline. »
Tom
obbedì e si avvicinò al divano, dove sedeva la bambina, intenta a
giocare con il proprio pupazzo.
«
Hey, piccina. » le sorrise, chinandosi appena, per guardarla negli
occhi. Eveline sorrise contenta.
«
Tao. » rispose.
«
Vieni in braccio a Tom, così andiamo al parco? » le domandò con
dolcezza. La morettina annuì entusiasta ed allungò le braccia verso
di lui, il quale la prese da sotto le ascelle e se la poggiò su un
fianco. Sorrise non appena la bambina gli circondò il collo,
stringendosi a lui.
Il
suo cuore sembrava impazzito. Era sempre un'emozione unica vedere
come Eveline si era affezionata a lui.
«
Andiamo? » fece Monique, per poi uscire di casa sorridente, assieme
alla sua... Famiglia.
Tom
guidava con apparente tranquillità. Affianco a lui, Monique
osservava distrattamente il paesaggio che sfrecciava veloce accanto a
lei, mentre Eveline, sul seggiolino dei sedili posteriori, faceva uno
dei suoi soliti discorsi senza senso, ma divertenti.
«
Mi sento un padre che porta la sua famiglia al parco. » disse
all'improvviso Tom in un lieve sussurro, così che lo sentisse solo
Monique, mentre un sereno sorriso era dipinto sulle sue labbra. « E
ti dirò di più: mi piace. » ridacchiò successivamente, smuovendo
anche la mora.
«
Anche a me piace. » mormorò lei, per poi sentire la propria mano
venire racchiusa nella stretta dolce e protettiva di quella di Tom.
«
Arrivati. » annunciò all'improvviso lui, accostando e spegnendo poi
il motore. « Forza e coraggio. » aggiunse prima di infilarsi gli
occhiali da sole, il cappellino di lana e la sciarpa, per evitare che
qualche fan impazzita o paparazzi vari lo riconoscessero. Fece il
giro dell'auto per prendere in braccio Eveline e poi, assieme a
Monique, si incamminò all'interno di quell'enorme ed affollato
parco.
Bambini
di ogni età correvano da una parte all'altra, sperimentando tutti i
tipi di giochi che trovavano a disposizione, mentre i genitori
sedevano alle panchine, intenti a chiacchierare e fare conoscenza.
«
Dovrebbe essere qui, da qualche parte. » borbottò Monique,
guardandosi attorno.
«
Beh, noi intanto rilassiamoci e godiamoci questa giornata. Quando
arriva, arriva. »
«
Chi alliva? Tia Gege? » domandò all'improvviso la bambina, con le
braccia strette al collo di Tom.
«
No, tesoro, Jessica ha da fare. » rispose la madre.
«
Arriva un... Vecchio amico della mamma. » intervenne Tom. Come scusa
sembrò bastare, perché la piccola non disse altro. Semplicemente
tornò ad osservare il parco in silenzio. « Vuoi camminare un po'? »
le chiese all'improvviso il ragazzo.
«
Tì. » rispose la morettina, prima di essere posata gentilmente a
terra. Tom le prese la piccola manina e tornò a camminare con lei al
seguito, mentre Monique sorrideva intenerita.
«
Sei tremendamente bello e dolce da vedere. » mormorò rossa in viso.
Tom si voltò verso di lei e le sorrise teneramente; allungò un
braccio e le circondò le spalle, avvicinandola a sé. Le schioccò
un bacio sulla tempia e continuò a camminare senza lasciarla andare.
«
Io sono sempre bello e dolce da vedere. » le sussurrò all'orecchio,
causando una leggera risata nella mora.
«
Ma che allegra famigliola. »
A
quell'affermazione, entrambi si voltarono, come scottati. A Tom venne
spontaneo riprendere in braccio Eveline, la quale si strinse a lui
più forte del solito.
Christian
sostava di fronte a loro, con le mani in tasca ed uno strano ghigno
sulle labbra.
«
Ciao. » cercò di risultare civile Monique.
«
Non mi avevi detto che sarebbe venuto anche lui. » commentò
sprezzante il biondo.
«
Sai, è il mio ragazzo e può venire ovunque egli voglia. » ribatté
Monique, senza apparentemente scomporsi.
«
Oh, certo, certo. Il tuo nuovo ragazzo. »
«
Beh, se hai finito, ti faccio conoscere mia figlia. »
Christian non rispose, quindi Monique afferrò Eveline dalle braccia
di Tom. « Amore, lui è il mio amico di cui ti parlavamo prima.
Christian. »
Tom
sentì una tremenda fitta di gelosia, solamente nell'istante in cui
quelle due paia di occhi blu, identici entrarono in contatto. Ci fu
un attimo di silenzio, da parte di tutti, in cui si poteva udire
solamente lo schiamazzare degli altri bambini, attorno a loro.
«
Ciao. » salutò il ragazzo in direzione della piccola. Non un
sorriso, non un sguardo affettuoso. Semplicemente freddezza, come
stesse parlando con una sua coetanea che non aveva niente a che fare
con lui.
L'espressione
di Eveline immediatamente mutò e si strinse maggiormente alla mamma,
nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
Per
forza, pensò Tom, una freddezza del genere può solo
spaventarli, i bambini.
«
Su, Eve, saluta. » la incoraggiò Monique.
«
Sa parlare questa bambina? » chiese scocciato il ragazzo.
«
Non ti permettere. » intervenne Tom.
«
Nessuno ti ha interpellato. »
«
Ci calmiamo, per favore? La bambina è già agitata. » disse
Monique, mentre carezzava la schiena della piccola, la quale si
stringeva a lei sempre più forte. « Dai, Eve, tranquilla, non ti
mangia mica. » cercò poi di calmarla.
La
morettina, con sguardo quasi spaventato, si voltò verso Christian.
Sembrava stesse per piangere.
«
Tao. » sussurrò, impercettibilmente.
«
Posso metterti giù? » le domandò quindi Monique, con dolcezza.
Eveline non disse nulla, perciò la mora la poggiò piano a terra.
«
Quanti anni hai? » le domandò privo di interesse Christian,
nonostante lo sapesse perfettamente. Eveline sollevò due dita. «
Hai già due anni e non parli? »
Eveline
aggrottò le sopracciglia e si strinse alla gamba di Monique.
«
Ma lo fai apposta a farla sentire a disagio? » gli domandò la mora,
decisamente scocciata.
«
Cosa le avrò mai detto? » ribatté Christian.
La
giornata andò avanti allo stesso modo e sembrava la situazione
volesse addirittura peggiorare ogni secondo di più. Monique vedeva
perfettamente quanto Christian non piacesse a sua figlia e un po' la
cosa, egoisticamente parlando, la risollevava. Era tremendamente
gelosa di un loro possibile rapporto e sapeva che anche a Tom dava
fastidio l'idea.
Aveva
persino provato a lasciare Eveline un po' da sola con il padre,
ovviamente a pochi metri di distanza, ma subito la piccola l'aveva di
nuovo cercata.
Intanto
non era passato attimo in cui il chitarrista non avesse provato
soddisfazione nell'infastidire Christian, schioccando qualche bacio a
Monique, tenendola per mano o abbracciandola di tanto in tanto.
Voleva ad ogni costo farlo sentire inappropriato. Voleva ribadire in
ogni maniera che loro due, anzi tre, avevano già trovato un proprio
equilibrio, che stavano bene così e che non c'era assolutamente
bisogno che lui arrivasse a guastare quella quiete.
Apparentemente
stava funzionando perché il ragazzo era sempre più scocciato della
presenza di Eveline e soprattutto di quella di Tom. Si vedeva
benissimo che moriva dalla voglia di scollarsi di dosso la bambina,
nonostante fosse proprio quest'ultima a sentirne particolarmente il
bisogno, e di prendere il chitarrista a botte, o semplicemente
andarsene.
Non
appena il sole calò e giunse l'ora di cena, finalmente Christian
ritenne opportuno finire lì quella messa in scena.
«
Io me ne vado. » esortò all'improvviso, tanto che Monique e Tom si
scrutarono allibiti. « Direi che ho perso fin troppo tempo. »
«
Sei stato tu a darmi appuntamento qui. » precisò Monique, piuttosto
scocciata.
«
Sì e preferirei non averlo fatto. »
«
Se non ti piacciono i bambini, avresti dovuto metterlo in conto,
prima di venire a fare casino a casa mia. »
«
Pensavo fosse meno pesante il lavoro di genitore. »
«
Meno pesante? Ma in che razza di mondo vivi? »
«
In uno in cui i bambini non esistono e si sta a meraviglia. Avrei
fatto meglio a non tornare. Avevo fatto bene ad andarmene, due anni
fa. »
«
Benissimo, allora vedi di non farti mai più rivedere! »
«
Non sarà un problema. »
Detto
questo, le diede le spalle e se ne andò. Monique strinse i pugni e
cercò di reprimere il pericoloso istinto omicida che ormai aveva
preso piede nel suo corpo.
«
Ma tu guarda che razza di... Animale. Ha anche provato a dare
la colpa a me. Come se avessi voluto io fargli conoscere
Eveline. » mormorò la mora, mentre Eveline si era ormai
addormentata in braccio a Tom, il quale le si avvicinò appena.
«
Hey, non ci pensare. L'importante è che ce lo siamo tolti di mezzo.
» la incoraggiò con voce calda e dolce, per poi darle un tenero
bacio sulla tempia. « Hai visto che il mio piano ha funzionato? »
si vantò poi fiero, facendo scoppiare a ridere finalmente Monique.
Quando
entrarono allo studio di registrazione, poiché David aveva pregato
Monique di fermarsi con Eveline, visto che non vedeva la bambina da
un bel po' di giorni, sentirono un tonfo improvviso, un rumore di
vetri in frantumi e dei passi affrettati. Fecero appena in tempo a
notare una Jessica mezza nuda affrettarsi a chiudersi in bagno,
proprio dopo essere uscita dalla stanza di Bill. Monique e Tom si
scambiarono un'occhiata perplessa e poi il ragazzo le fece segno di
aspettare, mentre lui raggiungeva la camera di suo fratello.
«
Bill? » domandò una volta affacciatosi all'interno, dove notò il
vocalist tirarsi velocemente su i pantaloni. « Che diamine stai
facendo? » chiese di nuovo, questa volta con un sorrisetto malizioso
sul volto.
«
Ehm, io – vedi, io... » balbettò il ragazzo ma, prima che potesse
completare la frase, Tom scoppiò a ridere e si fiondò su di lui per
abbracciarlo e saltellare.
«
Finalmente l'abbiamo fatto uscire dalla tana, fratellino! Gli abbiamo
fatto prendere un po' d'aria! » esclamò, decisamente divertito.
Bill, invece, era sempre più imbarazzato e combatteva con tutte le
sue forze per farsi lasciare.
«
Smettila! Ti sentono, cretino! »
Dopo
aver poggiato Eveline ancora dormiente sul divano, Monique corse in
bagno, dove si era chiusa precedentemente la rossa. Entrò in fretta
e furia, senza bussare, per poi richiudersi la porta alle spalle ed
osservare la sua amica con espressione maliziosa e curiosa al
contempo.
«
Voglio tutti i particolari più sconci che tu possa trovare! »
A
tavola, Jessica e Bill erano seduti uno accanto all'altra ma muti
come due tombe. Completamente imbarazzati, non si decidevano a
sollevare lo sguardo dal proprio piatto o semplicemente intrattenersi
in una conversazione con gli altri componenti della tavolata.
La
felicità di Monique non era quantificabile; il suo sorriso partiva
da un orecchio e le arrivava all'altro, ripensando al racconto della
rossa, di qualche istanti prima.
Bill
e Jessica avevano finalmente trovato l'occasione di dichiararsi l'un
l'altra e, presi da una violenta scarica di eccitazione, si erano
gettati fra le coperte, pronti a cominciare una lunga e passionale
danza carnale.
Monique
era semplicemente sorpresa dalla velocità con la quale si erano
messi insieme quei due, se paragonata alla lentezza madornale che
invece avevano impiegato lei e Tom, solo per capire di piacersi.
«
Allora, Eve, ti sei divertita oggi al parco con mamma e Tom? »
domandò all'improvviso David, mentre si portava alla bocca un po' di
pasta.
«
Clitan cattivo. » borbottò la piccola, gonfiando le guanciotte.
«
Clitan? » domandò David corrugando la fronte, mentre si voltava a
guardare Monique e Tom, come alla ricerca di una spiegazione.
«
Christian. » gli venne in contro Monique. « Non le ha fatto un buon
effetto. Ancora una volta si è rivelato per quello che è. »
«
Beh, meglio così, no? Meno problemi. » ridacchiò Georg.
«
Quello sicuro. » intervenne Tom, piuttosto convinto, mentre Monique
gli posava una mano sulla sua.
«
Amore. » sorrise teneramente.
«
Quindi, stavolta, se n'è andato definitivamente? » si informò
Gustav.
«
Così sembrerebbe. » rispose la mora, tornando poi a mangiare.
«
Tom e Bill tono flatelli, mami? » domandò all'improvviso la
morettina, tirando appena la maglia della madre. Monique si voltò
verso di lei e sorrise.
«
Sì, tesoro, perché? »
«
Io ho flatelli? »
Monique
si scambiò una veloce occhiata con Tom, il quale aveva
un'espressione perplessa in volto, e poi tornò a concentrarsi sulla
bambina.
«
Ehm, no... » rispose, non ben sicura di ciò che avrebbe potuto
dirle.
«
Allola lo voio acchìo. » concluse decisa la piccola, prima di
spalancare nuovamente la bocca, in attesa di un nuovo boccone che
Monique le avrebbe dato. Quest'ultima restò qualche istante con la
forchetta a mezz'aria e gli occhi semi-sgranati, mentre le guance
avevano preso ad imporporarsi violentemente.
«
Hai capito, Tom? Mettiti al lavoro. » disse Georg con malizia,
ricevendo in cambio un potente calcio allo stinco, che lo fece
letteralmente piegare su se stesso, reprimendo una bestemmia.
«
Pecché Tom? » domandò ingenuamente la bambina, dopo aver ingoiato.
«
Perché dipende solo da lui l'arrivo del tuo fratellino. » sorrise
amabilmente il bassista, beccandosi un ulteriore calcio, che lo fece
piegare una seconda volta, con le lacrime agli occhi. Eveline,
completamente ignara della lieve tensione che si era venuta a creare
attorno, si voltò alla sua destra, buttando lo sguardo oltre la sua
mamma, per arrivare a Tom.
«
Tom, mi dai un flatellino? » domandò, con sguardo languido. Tom fu
semplicemente ipnotizzato da quegli occhioni blu, così teneri, così
pieni di speranza che lo scrutavano interamente. Si ritrovò a
balbettare, non sapendo cosa rispondere, così si affrettò a
venirgli in contro David.
«
Beh, in attesa del fratello, magari Bill e Jessica ti fanno un amico.
»
Questa
volta la pedata partì da Bill e l'obiettivo, finalmente, non fu
Georg.
Tom
osservava Monique fare avanti e indietro per la stanza, intenta a
prepararsi per infilarsi nel letto assieme a lui e dormire
serenamente. La osservava rapito, mentre si spalmava la crema in
faccia, mentre tornava in bagno per lavarsi i denti, mentre si
spogliava per rimanere in intimo. Amava ogni cosa di lei, anche la
più piccola. Era lentamente diventata come una droga, non avrebbe
più potuto farne a meno.
«
Ti amo. » soffiò timidamente. Ancora non si era abituato a
pronunciare quelle due paroline così semplici all'apparenza, ma così
difficili se pesate. Monique si voltò verso di lui sorpresa,
trovandolo già sotto le coperte con la testa poggiata alla mano,
intento ad osservarla con un tenero sorriso sul volto.
«
Anch'io, amore. » rispose, rossa in viso. Nemmeno lei si era ancora
abituata a quel particolare scambio di affetto.
«
Vieni qui. » le disse poi lui, battendo appena una mano sul
materasso, proprio accanto a sé. Monique, intenerita, sorrise e si
avvicinò, fino a salire sul letto, nascondersi sotto le coperte e
stringendosi poi al corpo piacevolmente caldo del chitarrista, il
quale la avvolse con le proprie braccia, avvicinandosela il più
possibile, mentre le baciava la fronte più volte, delicatamente e
lentamente. « Pensavo... »
«
Ahia. »
«
Cosa? »
«
Quando pensi, sei pericoloso. » Tom, senza dirle niente, con un
tenero sorriso, le morse appena una spalla nuda, facendola sobbalzare
fra le sue braccia. « Ecco, appunto. » ridacchiò la ragazza, dopo
un gemito contrariato. « A che pensavi? » si informò quindi,
incuriosita.
«
Alla richiesta di Eveline. » ammise Tom. Monique corrugò la fronte
e voltò il viso verso di lui, senza staccarsi dalla sua presa.
«
L'ho detto io che pensare ti fa male. » commentò la mora, tornando
a rilassarsi con la testa sul cuscino, mentre il chitarrista
continuava a stringerla da dietro.
«
Guarda che sono serio. » borbottò lui. « Amore, hai visto con che
occhi me l'ha chiesto? »
«
Sì ed erano gli stessi che usa quando siamo in un negozio e vuole
che le compro qualcosa. »
«
Ma un bambino è diverso. »
«
Ed è proprio per questo che non ci devi pensare. È troppo piccola
per capire quanto serio possa essere decidere di far nascere un altro
essere umano. È ovvio che per lei è semplice; lei pensa sia come,
appunto, un pupazzo: arriva appena lo vuole, ma non è così. » Si
prese qualche momento di pausa, per poi voltarsi completamente verso
di lui. « Tom, stai pensando ad un figlio? » domandò sconcertata.
«
No. Cioè... Non lo so. » mormorò imbarazzato.
«
Oh mio Dio. »
«
In tutta onestà... Non mi darebbe fastidio. »
Monique
lo osservò con occhi sgranati per qualche istante.
«
Tom, il fatto non è non darebbe fastidio, è ricominciare
da capo con pannolini ed una nuova vita da crescere, assieme ad
un'altra bambina piccola. E poi, tu hai il tuo lavoro, te lo devo
ricordare? »
«
Che c'entra ora il mio lavoro? Come riesco a stare dietro ad Eveline,
riuscirei a stare dietro ad un altro bambino. »
Monique
sospirò e si alzò appena, per scrutarlo bene in faccia.
«
Tom, tu mi stai seriamente dicendo che vorresti un bambino? » gli
domandò, decisamente incredula, ma con la giusta serietà. Voleva
capire alla perfezione cosa stesse passando per la testa del moro.
«
Beh, mi piacerebbe averne uno nostro. Che assomigli a me e a
te. » rispose, carezzandole appena la pancia.
«
Ma c'è già Eve. »
«
E le voglio un gran bene, ma non è nostra. È tua e di
Christian; io sto solo facendo quello che dovrebbe fare lui, ma non
mi chiamerà mai papà, capisci? »
«
Ma lei è affezionata come se lo fossi. »
«
Ed io sono felicissimo per questo, credimi, ma... Perché non averne
anche uno nostro? Non ti piacerebbe? »
Monique
si prese ancora qualche attimo, per poi sospirare e rimettersi giù,
stringendosi nuovamente a lui, mentre le loro gambe si intrecciavano
sotto alle lenzuola.
«
Ma certo, certo che mi piacerebbe, Tom. Però, voglio dire, è una
cosa seria. Ne sei davvero sicuro? Riusciresti a stare dietro a due
bambini, con il tuo lavoro? » mormorò contro la pelle nuda del suo
petto.
«
Vi porterei ovunque, sempre con me. E comunque non è una cosa che
dobbiamo decidere ora. Non ho detto che voglio questo bambino domani,
anche perché sarebbe tecnicamente impossibile. » riuscì a far
ridacchiare la mora. « Però, insomma, se devo guardarci insieme, un
domani, ci vedo con Eveline ed un bimbo o una bimba nostri. Insomma,
mi piacerebbe. »
Monique
era semplicemente spiazzata da quel discorso. Non si sarebbe mai
aspettata di sentire il suo ragazzo fare discorsi del genere. Non
poteva credere che un tipo come Tom potesse già pensare ad un
bambino tutto loro, ma non poteva nascondere che la cosa la riempiva
di gioia, perché era l'ennesima conferma di quanto tenesse a lei.
«
D'accordo, Tom. Avremo anche un bambino tutto nostro. » sussurrò
serenamente, prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi fra le sue
braccia.