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SOUND OF SILENCE
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Mona
Hello darkness my old friend,
I've come to talk with you again
Simon & Garfunkel-Sound of
Silence
Devo
scrivere. Devo scrivere qualcosa.
Cazzo.
Che
cosa devo scrivere?
Quella
notte la passò così.
Davanti
a una fottuta macchina da scrivere, illuminata a malapena da un
abat-jour messo in un angolo della piccola stanza, e un
caffè in
mano.
Doveva
scrivere un articolo per il giornale per cui lavorava.. Ma la sua
testa era rimasta ferma da più o meno ventiquattro ore.
Ancora
riusciva a sentire lo squillo del telefono, che alle cinque di quella
mattina la svegliò.
Non
sapeva dire se fosse stata la casualità o quel che
chiamavano
destino o fosse semplicemente la vita.
Ma
in quel momento pensò soltanto "Perchè
a me?"
Pensò
anche che fosse ingiusto come le persone se ne andavano per sempre.
Di come venivano trascinate via. Per sempre.
-Pronto!?-
Ma
dall'altra parte non si sentiva niente. Ripeté ancora una
volta quel
"pronto" ancora mezza addormentata.
Poi
riuscì a sentire qualcosa... Sì, sentiva
decisamente qualcosa.
Qualcosa che non avrebbe dimenticato, insieme al rumore dello
squillare del telefono.
Riuscì
a distinguere la voce di sua madre... piangeva.
-M-mona!-
Sentiva i suoi
singhiozzi, coperti da qualche
rumore, come se la cornetta del telefono fosse coperta dalla mano.
Come
se sua madre non volesse parlare, come se non volesse farsi sentire
piangere.
Non
c'è niente di più triste nel sentir piangere la
donna che ha sempre
cercato di darti forza.
-Mamma,
cosa succede?-
E
mentre lo chiedeva, aveva quella
sensazione. Quella
sensazione di vuoto. Quella
sensazione in cui non avverti
più il peso delle
braccia, ma le senti tremare.
-Mona...
Edan... lui è...-
Era
morto.
La
morte si era trascinata via Edan. E lui l'aveva lasciata
così. Un
po' morta anche lei. E non pensava a nient'altro. Quella mattina si
alzò e pianse...
Dio
se pianse, pianse silenziosamente e poi si alzò, si
infilò nelle
ciabatte e uscì dal suo appartamento, senza nemmeno chiudere
a
chiave la porta.
Vagabondò
in quella città con l'aria pesante, si sentiva
così debole, che
pensava che quel aria l'avrebbe schiacciata a terra.
Guardava
le strade ma non vedeva dove andava.
Poi
si schiantò contro qualcosa e il suo corpo decise che si
doveva
fermare.
Mentre
ascoltava un lamento che nemmeno sentiva, constatò che aveva
davanti
agli occhi un corpo, un corpo maschile.
Decise
di alzare gli occhi fino a incontrare quelli dell'uomo contro il
quale si era schiantata.
Rimase
un attimo persa in quegli occhi, così profondi, sembravano
aver
visto tutto.
-Hey,
che hai?- Aveva una
voce infastidita.
E
a lei le luccicarono gli occhi e voleva piangere ancora. Poi,
così
come una bambina che dice a uno sconosciuto di aver perso i genitori
al supermercato, gli disse:
-Edan
è morto- Sentì
ancora quella voce chiederle
chi cazzo era Edan. Una lacrima le rigò una guancia, non
sopportava
quella voce così dura.
Così
gli rispose.
-Mio
fratello-
E
poi passò la mattina con quel tipo. Forse si
rammaricò per averle
parlato così duramente. Forse si sentiva colpevole per
averla fatta
piangere.
O
forse non aveva niente di meglio da fare.. Parlarono.. o almeno
parlò
lui, mentre lei pronunciava qualche parola, piano, perchè
all'improvviso le sembrava che la sua voce fosse troppo alta. Forse
una parte del suo cervello le stava dicendo di andare via, che non
era sicuro farsi portare in giro da uno sconosciuto in una
città
come Los Angeles.
Per
di più Mona riuscì a sentire il forte odore di
sudore che emanava
quel ragazzo.
Notò
anche che al polso aveva una fila di braccialetti troppo da rocker e
indossava una maglia nera smanicata, con su scritto "Thin
Lizzy".
I
suoi capelli lunghi non erano affatto un incoraggiamento a restare in
sua compagnia... Ma al diavaolo. Non aveva nessuna voglia di
andarsene.
Non
voleva fare altro che stare seduta al bar, a guardare gli occhi del
ragazzo che aveva incontrato. La consolavano, ci vedeva dentro il
dispiacere.
Quello
che c'era nei suoi occhi andava sicuramente ben oltre a quel che le
stava dicendo. Erano più dolci, erano l'opposto della voce
seccata
che le ronzava in testa.
Per
un momento sentì qualcosa di caldo sulle sue mani, che
giacevano
sulle ginocchia, così abbassò lo sguardo. Vide le
mani del ragazzo
intrecciarsi alle sue. Erano così calde e grandi.
E
dopo i suoi occhi sparirono e lei rimase al bar da sola.
Quando
si ritrovò a casa, non ricordava nemmeno di essersi
incamminata, di
aver lasciato lo sgabello del bar.
Si
sedette davanti alla macchina da scrivere e ogni volta volta che
guardava l'orologio, le sue lancette erano sempre troppo diverse da
come le aveva viste la volta prima. Sapeva
che doveva scrivere qualcosa... ma non ricordava.
Non
voleva e non riusciva a pensare al lavoro.
Cazzo...
devo scrivere.
Così
scrisse.
22nd September, 1986
Caro
Edan,
Hey,
fratellone.
Ti
ricordi, quando eravamo piccoli? Giocavamo insieme... tu eri
più
grande di me di quattro anni e non sembravi divertito a giocare con
una mocciosa.
Ma
mi proteggevi sempre. Da tutto. Grazie. Mi insegnavi a salire sugli
alberi. Grazie. A costruire case col lego. Grazie.
Io
invece certe volte cercavo di convincerti di giocare con me alle
Barbie e tu dicevi:
"Gioco
mezz'ora con te e tu devi promettermi che poi giocherai a cinque
giochi che decido io!" Allora giocavi con me, annoiato, per soli
cinque minuti e poi volevi deciderlo tu il gioco.
E
io non volevo. Così ogni volta ogni volta litigavamo. Scusa.
Ma che
cazzo sto facendo? Sto scrivendo una lettera a un morto.
Hey, fratellone.. Riposa in pace.
Ti
voglio bene,
Pianse,
mentre scriveva quella lettera che non avrebbe mai spedito.
Pianse
quando si sdraiò sul letto. E passò la notte a
piangere..
Poi
arrivò l'alba e con essa finirono le sue lacrime, si
addormentò e
dormì, dormì così tanto.. Quando si
svegliò sembrava aver ripreso
i sensi dopo un coma.
Si
rammentò di quello che era successo. Si sentì
vuota. Si ricordò di
quegli occhi azzurri così scuri e profondi.
Pensò
a quel che le aveva detto quel ragazzo che aveva incontrato il giorno
prima.
-Chiamami,
se hai bisogno-
Non
si ricordava il nome... Anzi forse non gliela aveva proprio detto.
Aveva
come la sensazione che quel ragazzo avrebbe potuto aiutarla,
comprenderla. Ed era l'unica persona che voleva vedere in quel
momento.
Così
lo fece. Lo chiamò.