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Autore: Tomma    24/07/2011    2 recensioni
-Non andartene- Gli disse con quella sua voce così dolce.
-Resta qui con me, almeno stanotte-
Axl si sdraiò accanto a lei e la guardò negli occhi, quegli occhi che lo rapivano sempre e che facevano fermare il tempo.
Mona gli prese le mani e se le porto vicino al viso. Le piacevano quelle mani, grosse e sempre calde. Le davano sicurezza, quelle mani erano il ramo su cui ci si aggrappa per non cadere nel burrone..
L' abbigliamento in pelle e l'aspetto da rocker si contraddicevano alla profondità di Axl. Mona l'aveva già capito, dai suoi occhi.
-Tu non credi che destino e casualità siano la stessa cosa? In ogni caso non sei tu a decidere.-
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Axl Rose, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOUND OF SILENCE

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Mona



Hello darkness my old friend,
I've come to talk with you again

Simon & Garfunkel-Sound of Silence



Devo scrivere. Devo scrivere qualcosa.
Cazzo.
Che cosa devo scrivere?

Quella notte la passò così.
Davanti a una fottuta macchina da scrivere, illuminata a malapena da un abat-jour messo in un angolo della piccola stanza, e un caffè in mano.
Doveva scrivere un articolo per il giornale per cui lavorava.. Ma la sua testa era rimasta ferma da più o meno ventiquattro ore.
Ancora riusciva a sentire lo squillo del telefono, che alle cinque di quella mattina la svegliò.
Non sapeva dire se fosse stata la casualità o quel che chiamavano destino o fosse semplicemente la vita.
Ma in quel momento pensò soltanto
"Perchè a me?"
Pensò anche che fosse ingiusto come le persone se ne andavano per sempre. Di come venivano trascinate via. Per sempre.

-Pronto!?-
Ma dall'altra parte non si sentiva niente. Ripeté ancora una volta quel "pronto" ancora mezza addormentata.
Poi riuscì a sentire qualcosa... Sì, sentiva decisamente qualcosa. Qualcosa che non avrebbe dimenticato, insieme al rumore dello squillare del telefono.
Riuscì a distinguere la voce di sua madre... piangeva.
-M-mona!-
Sentiva i suoi singhiozzi, coperti da qualche rumore, come se la cornetta del telefono fosse coperta dalla mano.
Come se sua madre non volesse parlare, come se non volesse farsi sentire piangere.
Non c'è niente di più triste nel sentir piangere la donna che ha sempre cercato di darti forza.
-Mamma, cosa succede?-
E mentre lo chiedeva, aveva
quella sensazione. Quella sensazione di vuoto. Quella sensazione in cui non avverti più il peso delle braccia, ma le senti tremare.
-Mona... Edan... lui è...-

Era morto.
La morte si era trascinata via Edan. E lui l'aveva lasciata così. Un po' morta anche lei. E non pensava a nient'altro. Quella mattina si alzò e pianse...
Dio se pianse, pianse silenziosamente e poi si alzò, si infilò nelle ciabatte e uscì dal suo appartamento, senza nemmeno chiudere a chiave la porta.
Vagabondò in quella città con l'aria pesante, si sentiva così debole, che pensava che quel aria l'avrebbe schiacciata a terra.
Guardava le strade ma non vedeva dove andava.
Poi si schiantò contro qualcosa e il suo corpo decise che si doveva fermare.
Mentre ascoltava un lamento che nemmeno sentiva, constatò che aveva davanti agli occhi un corpo, un corpo maschile.
Decise di alzare gli occhi fino a incontrare quelli dell'uomo contro il quale si era schiantata.
Rimase un attimo persa in quegli occhi, così profondi, sembravano aver visto tutto.
-Hey, che hai?-
Aveva una voce infastidita.
E a lei le luccicarono gli occhi e voleva piangere ancora. Poi, così come una bambina che dice a uno sconosciuto di aver perso i genitori al supermercato, gli disse:
-Edan è morto-
Sentì ancora quella voce chiederle chi cazzo era Edan. Una lacrima le rigò una guancia, non sopportava quella voce così dura.
Così gli rispose.
-Mio fratello-

E poi passò la mattina con quel tipo. Forse si rammaricò per averle parlato così duramente. Forse si sentiva colpevole per averla fatta piangere.
O forse non aveva niente di meglio da fare.. Parlarono.. o almeno parlò lui, mentre lei pronunciava qualche parola, piano, perchè all'improvviso le sembrava che la sua voce fosse troppo alta. Forse una parte del suo cervello le stava dicendo di andare via, che non era sicuro farsi portare in giro da uno sconosciuto in una città come Los Angeles.
Per di più Mona riuscì a sentire il forte odore di sudore che emanava quel ragazzo.
Notò anche che al polso aveva una fila di braccialetti troppo da rocker e indossava una maglia nera smanicata, con su scritto "Thin Lizzy".
I suoi capelli lunghi non erano affatto un incoraggiamento a restare in sua compagnia... Ma al diavaolo. Non aveva nessuna voglia di andarsene.
Non voleva fare altro che stare seduta al bar, a guardare gli occhi del ragazzo che aveva incontrato. La consolavano, ci vedeva dentro il dispiacere.
Quello che c'era nei suoi occhi andava sicuramente ben oltre a quel che le stava dicendo. Erano più dolci, erano l'opposto della voce seccata che le ronzava in testa.
Per un momento sentì qualcosa di caldo sulle sue mani, che giacevano sulle ginocchia, così abbassò lo sguardo. Vide le mani del ragazzo intrecciarsi alle sue. Erano così calde e grandi.
E dopo i suoi occhi sparirono e lei rimase al bar da sola.
Quando si ritrovò a casa, non ricordava nemmeno di essersi incamminata, di aver lasciato lo sgabello del bar.
Si sedette davanti alla macchina da scrivere e ogni volta volta che guardava l'orologio, le sue lancette erano sempre troppo diverse da come le aveva viste la volta prima. Sapeva che doveva scrivere qualcosa... ma non ricordava.
Non voleva e non riusciva a pensare al lavoro.

Cazzo... devo scrivere.
Così scrisse.


22nd September, 1986

Caro Edan,
Hey, fratellone.
Ti ricordi, quando eravamo piccoli? Giocavamo insieme... tu eri più grande di me di quattro anni e non sembravi divertito a giocare con una mocciosa.
Ma mi proteggevi sempre. Da tutto. Grazie. Mi insegnavi a salire sugli alberi. Grazie. A costruire case col lego. Grazie.
Io invece certe volte cercavo di convincerti di giocare con me alle Barbie e tu dicevi:
"Gioco mezz'ora con te e tu devi promettermi che poi giocherai a cinque giochi che decido io!" Allora giocavi con me, annoiato, per soli cinque minuti e poi volevi deciderlo tu il gioco.
E io non volevo. Così ogni volta ogni volta litigavamo. Scusa. Ma che cazzo sto facendo? Sto scrivendo una lettera a un morto.


Hey, fratellone.. Riposa in pace.
Ti voglio bene,

La tua sorellina.


Pianse, mentre scriveva quella lettera che non avrebbe mai spedito.
Pianse quando si sdraiò sul letto. E passò la notte a piangere..
Poi arrivò l'alba e con essa finirono le sue lacrime, si addormentò e dormì, dormì così tanto.. Quando si svegliò sembrava aver ripreso i sensi dopo un coma.
Si rammentò di quello che era successo. Si sentì vuota. Si ricordò di quegli occhi azzurri così scuri e profondi.
Pensò a quel che le aveva detto quel ragazzo che aveva incontrato il giorno prima.
-Chiamami, se hai bisogno-
Non si ricordava il nome... Anzi forse non gliela aveva proprio detto.
Aveva come la sensazione che quel ragazzo avrebbe potuto aiutarla, comprenderla. Ed era l'unica persona che voleva vedere in quel momento.
Così lo fece. Lo chiamò.





  
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