Disclaimer: i personaggi appartengono ad Akira Amano. Nulla di ciò che è scritto è ovviamente a scopo di lucro.
Cap II : Di una chimera che aveva paura dei temporali (59+27)
“È questa sera che
non posso
sopportare la solitudine”
Albert Camus
Doveva essersi soffermato troppo a lungo nei suoi occhi, perché dopo qualche attimo di silenzio Gokudera arricciò il naso:
“Ho qualcosa che non va? Sono spettinato, forse?”
Yamamoto si ridestò dai propri pensieri e scostò gli occhi dallo specchietto retrovisore. “Tranquillo” si affrettò ridacchiando quasi imbarazzato, “no, stavo solo meditando di mio.”
Spense il motore e scesero dalla vettura. Sì, si era decisamente fatto prendere dai ricordi e l’esperienza non era stata certo piacevole. Era come se non avesse mai visto realmente la strada, durante il tragitto, bensì la visione di quell’episodio
(pioggia, labbra, respiro)
a cui da anni fuggiva. Stava ancora digerendo "quel che fu”, intento a far scattare la sicura della macchina, quando Gokudera si allontanò a passo concitato. Solo alzando gli occhi si accorse che Tsuna era già lì.
Nemmeno lui era cambiato. O almeno, secondo il suo criterio di valutazione che prendeva in esame lo sguardo, forse Tsuna era l’unico fra tutti a non essere cambiato di una virgola, come se il tempo non fosse trascorso. Solo osservandogli l’anima attraverso le pupille si riusciva a vedere il ragazzino capriccioso che era stato. Se ne stava appoggiato al muro del cortile con un candido sorriso in volto e il colletto della camicia lasciato volutamente più largo a scudo dell’afa estiva. Salutò Yamamoto con un cenno del capo, poi si scostò dal muretto per ricevere Gokudera. Inspiegabilmente però il Guardiano si fermò a qualche metro da lui, con un palpito nello sguardo e un sorriso tremante appena abbozzato sulle labbra.
“Ju-Juudaime.”
“Gokudera-kun.”
Forse era la luce bianca del sole, eppure al Boss parve di indovinare un velo lucido negli occhi di chi aveva di fronte.
“Juudaime, non sono degno di essere il vostro braccio destro” concluse Gokudera in tono ora fermo, sebbene i suoi occhi sorridessero. “Sono stato assente così a lungo...”
“Ancora con questa storia?” si intromise Yamamoto, passando un braccio attorno alle spalle del Guardiano della Tempesta. Gli spettinò festosamente i capelli indirizzando a Tsuna un occhiolino: “Tsuna, è l’emozione, cerca di capirlo.”
“N-non sono emozionato, idiota!”
“Toh, sei arrossito!”
“Ta-Takeshi Yamamoto!”
Il Decimo scoppiò a ridere. La sua risata rapì l’attenzione di Gokudera, che si scrollò di dosso il braccio del compagno e azzardò un passo verso il Boss, grattandosi impacciato la nuca: “C-chiedo scusa per l’incompetenza del mio collega.”
Un lieve rossore gli coloriva il volto e un sorriso comicamente infantile gli allungava le labbra. Era un invito più che convincente. Tsunayoshi Sawada si avvicinò e lo strinse in un abbraccio fraterno.
Solo in quel momento, con il mento appoggiatto sulla spalla della persona cui teneva più al mondo, Hayato Gokudera chiuse gli occhi e si concesse una lacrima.
* * *
“Oh, sei tu, Gokudera-kun.”
“Signora Sawada.” Varco l’uscio sfilandomi il giubbotto rosso. “Come
sta il Decimo?”
“Voi ragazzi e i vostri soprannomi” mi risponde lei chiudendo la porta e
volgendomi un gran sorriso. “È già sotto le coperte.”
“Ma come si sente?”
“Oh mio caro.” Mi guarda con una mano sulla guancia. “Gokudera, sei tanto
gentile. Vorrei che si sentisse meglio, ma...”
“Nessun problema, signora Sawada. Mi prenderò io cura di lui mentre lei
è fuori di casa.”
“Non mi stupisce che tu sia il suo miglior amico.”
“Io...? Migliore amico?”
Forse sono stato colto impreparato perché la donna si lascia sfuggire
una risata intenerita. “Tsuna lo ripete spesso, mi parla così tanto di te.”
“Oh....” biascico, ma mi trovo vittima di un brivido bollente che mi
accende le guance. “I-io ne sono onorato, dico sul serio.”
“Posso andare tranquilla. Grazie ancora, fa’ come se fossi a casa tua!”
La signora Sawada pesca la borsetta ed esce. Adagio il giubbotto su una
cassapanca vicino alle scale e ne approfitto per sbirciare una finestra: il
cielo si è fatto ingombro e l’atmosfera è di uno sgradito ed acquoso color giallognolo.
La brezza della sera promette tempesta. Dopo aver buttato un’occhiata
all’esterno, salgo in silenzio al piano superiore.
È un bene che tutti quanti – Reborn, la stupida mucca, Fuuta e in
particolare quella sottospecie di donna di Bianchi – siano fuori, ognuno
impegnato in affar propri: il Decimo ha bisogno di riposare e una mandria di
creature rompiscatole non sarebbe il massimo per lui. Giunto davanti alla sua
camera, schiudo appena la porta e butto un occhio dentro.
L’intimità della stanza, sfumata delle delicate dita di una lampada da
tavolo, profuma del torpore del sonno. Sposto lo sguardo.
Il Decimo sta già dormendo. Sento il suo respiro regolare scandire
l’ansante scorrere del tempo. Mi infilo nella piccola lama d’ingresso che mi
sono permesso e mi accosto al letto chinandomi appena su di lui.
Il Boss è così angelico mentre dorme, nulla a che vedere con la potenza
di cui si serve in battaglia. Così ingenuo, tiepido, bambino. Gli passo una
mano sulla fronte facendo attenzione a non svegliarlo e avverto i frizzanti
brividi delle febbre. Il mio volto si accortoccia in un’espressione di disagio,
ma torna a sorridere quando rimbocco con premura le coperte.
“Sarò subito di ritorno, Juudaime.”
Mi imbuco nella doccia, complice l’invito della signora Sawada a fare
come se fossi a casa mia – ammesso e non concesso che un tetto io l’abbia mai
avuto -, e quando torno nella camera, con i capelli ancora umidi e la
canottiera infilata per metà, mi accorgo che il Decimo ha le sopracciglia
corrucciate e si agita nel sonno. Non posso vedere oltre: l’alta temperatura lo
sta torturando e un braccio destro che si rispetti farebbe di tutto per
sconfiggere anche quell’inanimato avversario che attenta alla salute del
superiore. Il nemico potrebbe persino essere una chimera, ma a mio avviso
l’uomo fedele deve sempre porre in primo piano le proprie mansioni. A costo
della vita.
Il letto è stretto per due persone, ma ciò non mi fa rinunciare al mio
proposito. Mi stendo al suo fianco e cerco la sua mano sotto alle coperte.
Forse non dovrei farlo, forse non è un comportamento molto professionale.
Eppure mi sento in dovere di condividere la malattia con chi per primo mi ha
curato dalla mia insaziabile solitudine. O forse ancora è solo il mio bisogno
di affetto dopo il pugno che ho assestato a quell’idiota?
Idiota. Yamamoto Takeshi.
Non voglio pensarci. Intreccio le dita nelle sue e ascolto il sorriso
che gli si stende sulle labbra.
Fuori, il guizzo del primo lampo annuncia il bussare della pioggia
sulla finestra.
“Gokudera-kun.”
“Juudaime. Non siete in condizione di parlare, pensate solo a
riposarvi.”
“Gokudera-kun... arigatou.”
Si addormenta sulla mia spalla senza tremare. Resto sveglio a lungo per vegliare su di lui. Mi sembra di avvertire i primi sintmi della febbre, il calore del suo corpo divenire i miei brividi.
Ma è giusto così.
* * *
Ho litigato parecchio con NVU per questo capitolo è_è Il codice html è bastardo, quando vuole. Tutta colpa della mia decisione di ingrandire i caratteri. Umpf è^é
Eccovi il secondo capitolo. Più breve del primo. Mi sono particolarmente affezionata a questa seconda parte dato che, almeno a parer mio, è quella uscita meglio - quella più fluffusa, ammettiamolo, forse è per questo che mi piace òWò Eccovi quindi la mia ideale 5927: dolce dolce, non yaoieggiante come l'8059. Ce li vedo proprio bene, io, questi due, bossU e right-hand man, poi ovviamente la parola va a chi si fermerà per un commentino.
Nel prossimo, my ladies, vi svelerò invece la mia concezione di 8027 *faccia poco rassicurante* °D ..no scherzo, niente yaoi, mi dispiace v_v
Alla prossima e grazie a chi è arrivato in fondo!