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Autore: Mark MacKinnon    29/07/2011    5 recensioni
Questa non è casa tua.
Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino.
Non puoi stare qui.

Il capolavoro di Mark MacKinnon tradotto da Il Corra Productions, una delle ff più sconvolgenti mai scritte, torna riveduto e corretto.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".

ULTIMO CAPITOLO ON LINE.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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A mio parere, questo è il capitolo più bello della ff, per quel che ricordo dei seguenti. In ogni caso, preparate i fazzoletti, sta per arrivare un bel pugno nello stomaco. La bravura di questo autore non smetterà mai di stupirmi.







CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




IV

Un riflesso oscuro e distorto





Ranma imprecò sottovoce. Il giardino era diventato un teatro di caos totale e lui aveva finito per giocare il ruolo dell'arbitro. Shampoo, Ukyo e Kodachi si stavano confrontando rumorosamente, e il potenziale per un massacro stava crescendo secondo dopo secondo. Mousse e Kuno si guardavano attorno con aria sospettosa, senza contribuire attivamente al caos ma certamente senza fare niente per aiutare. Ryoga sembrava stesse desiderando di essere da qualche altra parte, e Akane stava cuocendo a fuoco lento sulla veranda.
"Non posso crederci che lo ha fatto", brontolò per l'ennesima volta. Ranma sospirò.
"Io sì". Apparentemente, ciascuna ragazza si era aspettata di essere la sola a presentarsi per il "nuovo" Ranma, e tutte erano meno che contente di trovare rivali sul posto. Ranma si schiarì rumorosamente la voce.
"Ehi, gente! Ehi!". Le grida stavano crescendo di volume, e per una volta nessuna delle ragazze mostrava qualsiasi inclinazione a prestargli attenzione.
Ci avrebbe scommesso. L'unica volta che lui voleva che loro pendessero da ogni sua singola parola...
Akane alla fine ne ebbe abbastanza. Ranma scartò di lato mentre lei saltava a terra e si precipitava davanti a lui per confrontarsi con il gruppo in agitazione.
Oh, ragazzi, pensò Ranma, proprio quando pensavo che le cose non potevano mettersi peggio. Lei saltò su e piantò la faccia giusto nel centro della gara di urla.
"Vorreste voi gente SMETTERLA!". Lo fecero, avendo all'improvviso qualcos'altro su cui concentrarsi.
"Hmmmp. Akane vuole i due Lanma solo per lei?", chiese sospettosamente Shampoo.
"Senza dubbio. Se ce ne sono davvero due. Io ho visto solo il mio adorato Ranma," singhiozzò altezzosamente Kodachi.
"C'è un altro Ranma. Io l'ho visto", replicò Ukyo. Si rivolse ad Akane. "Andiamo, dove lo stai nascondendo? Perché non vuoi che noi lo vediamo?". Akane era stata chiaramente presa in contropiede dall'accusa.
"Nasconderlo? Io non...".
"Bene, allora, dov'è?", insistette Ukyo.
"Proprio qui". Il giardino piombò nel silenzio mentre tutti si voltavano verso la casa. Ranma seguì i loro sguardi e vide Ranko che fissava il gruppetto, con il volto chiuso e privo di espressione. Indossava una tenuta nera con una fascia rossa, e Ranma si domandò da dove fosse spuntata. Guardò Ranko studiare i volti del gruppo improvvisamente silenzioso, e si chiese quanto dura sarebbe stata. Alla fine, Ranko sospirò e uscì dalla veranda, avanzando con passi lenti e misurati verso il punto dove le quattro ragazze lo guardavano con varie espressioni di meraviglia e incredulità.
"Ciao a tutti", disse gentilmente. "Immagino che dovrò raccontare di nuovo la mia storia dal principio".
"Ranko", disse Akane, toccandogli esitante un braccio, "mi dispiace. Nabiki...". Lui le diresse un leggero sorriso.
"Non è colpa tua. Credo che prima o poi l'avrei dovuto fare comunque. Forse sarà più semplice spiegarlo a tutti in una volta". Lo sguardo sul suo volto le disse però che non lo credeva. Si voltò verso gli altri. "Io credo che dovremmo tutti entrare e sederci". Ranma osservò gli altri guardare cautamente i due Ranma. Se stavano pensando che era strano, non avevano ancora visto niente.


Kasumi bussò di nuovo alla porta di Nabiki. Nessuna risposta. Strano, non l'aveva sentita scendere. Aprì la porta e sbirciò dentro. Nabiki era seduta sul bordo del suo letto, a spalle curve, con i corti capelli abbassati a oscurarle il volto. Kasumi si preoccupò.
"Nabiki, non mi hai sentito bussare? Sto andando al mercato. Vuoi venire con me?". Lei voltò la testa per guardare fuori dalla finestra, senza incontrare il suo sguardo.
"No grazie". La sua voce era bassa, calma. Kasumi entrò e chiuse la porta dietro di lei.
"Stai bene?", chiese. Nabiki abbassò di nuovo la testa.
"Sì. Senti, vai senza di me, ok?". Kasumi non si mosse. "Ehi", disse l'altra a voce più alta. "Non voglio essere rincuorata, ok? Vai e basta".
Kasumi cominciava a preoccuparsi. Akane era un libro aperto per lei, ma Nabiki aveva sempre controllato i suoi sentimenti così bene che molta gente pensava che non ne avesse alcuno, se non per il denaro. Si avvicinò e si sedette sul letto vicino a sua sorella, sistemando tranquillamente la gonna sotto di lei. Si chinò e sbirciò il volto parzialmente in ombra di Nabiki, trattenendo un sussulto.
"Nabiki, hai pianto?".
"No", mentì lei, con voce roca. "Vattene". Se Nabiki aveva pianto, il problema era più serio di quanto avesse pensato. C'era bisogno di rimedi estremi.
Kasumi si avvicinò e avvolse gentilmente le braccia attorno le spalle della sorella, stringendola. Sentì il suo corpo contratto irrigidirsi contro di lei mentre inclinava la testa così da avvicinare la bocca al suo orecchio.
"Sorellina", sussurrò con tenerezza. Lentamente, come ghiaccio che si scioglieva, il corpo di Nabiki si rilassò contro il suo. Kasumi poteva sentirne il calore attraverso la T-shirt che portava, sentire la schiena sussultare piano mentre inghiottiva un singhiozzo. Lentamente, Nabiki riportò il respiro sotto controllo. Poi, anche se così lentamente, le sue mani si alzarono e scivolarono lungo la vita della sorella, stringendola forte. Kasumi chiuse gli occhi e sorrise. Non era molto, ma per Nabiki era come un pianto a dirotto. Accarezzò gentilmente i capelli della sorella, ricordando l'ultima volta che l'aveva confortata in quel modo, dopo la morte della loro madre. Era bello sapere che il cuore di Nabiki non si era definitivamente spento dopo quel giorno.
Alla fine fece un respiro tremolante e lo trattenne brevemente, poi sospirò e si rimise seduta. Kasumi la lasciò andare, osservandola con velata preoccupazione mentre si ricomponeva.
"Meglio?", chiese Kasumi gentilmente. Nabiki annuì con un sorrisetto.
"Sì. Sei la migliore a fare le coccole, sorellina". Le sue parole erano disinvolte, ma Kasumi poteva vedere la gratitudine nei suoi occhi. "Ragazzi, spero che questo non si sappia in giro. La Regina del Gelo che lo perde. La mia reputazione non si riavrebbe più."
"Il tuo segreto è al sicuro con me", le assicurò Kasumi. "Mi puoi raccontare cosa è successo?". Nabiki girò la testa, stringendo i denti. Le spalle si irrigidirono, poi si rilassarono di nuovo. Kasumi era sicura che stesse per richiudersi.
"Ho litigato con Ranko", disse alla fine, sorprendendola. Non era stupita di sapere che Ranko si era infuriato con Nabiki, o anche che fossero volate le parole. Non era un fenomeno raro tra il loro Ranma e la sorella di mezzo delle Tendo, dopo tutto. Ma non poteva immaginare cosa avesse potuto dire per colpire così profondamente Nabiki.
"Era arrabbiato perché hai parlato di lui agli altri", suggerì Kasumi. L'espressione della sorella si indurì di nuovo.
"Ma l'avrebbero scoperto comunque!", protestò. "E gratis! E io ho fatto in modo che mi pagassero!". Si sporse in avanti, con gli occhi luccicanti per l'eccitazione. "Kasumi, è stato incredibile. Tutto il piano collimava alla perfezione. Voglio dire che mi sono davvero accesa! Quel piano mi ha colpito e bang, sono partita!". Kasumi sorrise tristemente all'entusiasmo di Nabiki.
"Ma hai capito perché era ferito? Lui ha perso tutte quelle persone, e ora le deve affrontare di nuovo senza essersi preparato, dopo che ha subito la stessa cosa con noi".
"Non stavo cercando di ferirlo!", protestò Nabiki. "Io volevo solo... insomma, non potevo non attuare un piano così fantastico! Era perfetto!".
Kasumi si rabbuiò.
"Mi sembra di aver sentito le ragazze pretendere di aver acquistato informazioni esclusive", puntualizzò, fissando Nabiki.
"Oh, quello. Vedi, ho venduto a Kodachi informazioni sul nuovo Ranma, e a Kuno informazioni sulla ragazza col codino. Ho venduto a Ukyo informazioni sul tizio che aveva salvato Akane e...".
"Nabiki! È una scappatoia, sorellina", disse lei con tono addolorato.
"Le scappatoie sono legittime nel mondo degli affari. Ho combinato le cose con molta cautela". Kasumi era silenziosa, e una parte dell'entusiasmo scomparve dal volto di Nabiki. "Sei arrabbiata".
Kasumi si prese un istante, sapendo che doveva procedere con molta cautela. Sorrise dolcemente alla sorella minore.
"Na. Bi. Ki". Sillabò giocosamente il suo nome, sporgendosi per sfiorarle le occhiaie. "Sorellina, lo so che sei fiera del tuo talento per gli affari. È una parte importante di te, proprio come le arti marziali lo sono per Akane e Ranma. Ma arti marziali incontrollate hanno quasi ucciso Akane l'altro giorno, ricordi? Il tuo talento può essere almeno altrettanto distruttivo se non è dominato. Hai bisogno di esercitarti nella disciplina". Nabiki fissava cocciutamente il pavimento, e Kasumi capì che si stava sforzando di dire qualcosa.
"Tu...", iniziò. Prese un respiro profondo e ricominciò. "Tu credi... che la mamma sarebbe fiera di me?", finì di botto, rossa in viso, e alzò sulla sorella maggiore uno sguardo pieno di nudo bisogno.
Artigli di ghiaccio affondarono nel cuore di Kasumi quando vide tutti i pezzi cadere al loro posto. Non lo ha fatto, pensò confusamente, oh, dimmi che non ha fatto questo. La confusione cominciò a diradarsi, e Kasumi sentì qualcosa di poco familiare prenderne il posto. Rabbia. Ma Nabiki la stava ancora guardando, e lei la ricacciò indietro, mantenendo la sua espressione aperta e preoccupata.
"Oh, Nabiki, come me lo puoi chiedere? Ma certo che lo sarebbe. Facciamo tutti degli errori ogni tanto...".
"Non tu", mormorò Nabiki. Il sorriso della sorella si allargò.
"Sì, anche io. Ma finché sarai sempre sincera col tuo cuore, il suo amore per te ti sosterrà. Capito?".
Nabiki annuì lentamente.
"Credo di sì. Grazie, sorellina". Kasumi si alzò e le tese la mano. Nabiki sbatté le palpebre.
"Bene, conosco un buon sistema per farti star meglio. Vieni al mercato con me. Un po' di contrattazioni con il fruttivendolo e sarai subito come nuova". Gli occhi di Kasumi brillarono allegramente all'espressione stupita della sorella. Poi Nabiki sorrise e prese la mano offerta.
"Hai ragione, accidenti a te", rise, alzandosi. Il cuore di Kasumi si risollevò un po' al suono della sua risata.
"Sì. Certo che ho ragione", disse orgogliosamente, provocando altre risatine di Nabiki. Lei si unì, felice di vederla così spontanea per una volta. Era quasi contenta di aver avuto quella possibilità di starle vicina, contenta che ce ne fosse stato bisogno. Ma quando pensò alla causa prima della crisi, il suo cuore si strinse di nuovo.
Lei e Ranko avrebbero fatto una chiacchierata alla prima opportunità.


Se avessi avuto uno spillo, l'avrei lasciato cadere per vedere se riuscivo a sentire il suono che faceva nel silenzio generale.
Abbastanza silenzio da sentire uno spillo cadere, che stupido modo di dire. Pensarci, comunque, mi aveva distratto dalla causa dell'immobilità soprannaturale.
Avevo appena finito di raccontare a tutti la stessa versione della mia storia che avevo raccontato l'altra sera. Nessuno sembrava sapere cosa dire. Questo non importava granché; le espressioni sui loro volti dicevano tutto. Un pizzico di incredulità, un goccio di orrore e una punta di dispiacere. Mescolare e shackerare bene. Servitelo freddo.
E non dormirete bene mai più.
"Ran-chan". Alzai lo sguardo per incontrare quello di Ukyo, odiando la pietà che vedevo al suo interno. Odiandola perché non la meritavo. Odiandola perché, se fossi stato solo un poco più veloce, lei non sarebbe morta. Almeno non in quel modo.
"Ora mi chiamano Ranko", le ricordai gentilmente. Lei inclinò la testa per un secondo.
"Ko-chan", disse, e sorrise. Il mio stomaco si torse. Per un secondo avevo visto il bambino che avevo conosciuto anni prima, che mi sorrideva esattamente allo stesso modo. Buona vecchia Ucchan. Mai cambiata, mai domata. "C'è nulla che possiamo fare, Ko-chan? Proprio nulla?". A quelle parole tutti tornarono a guardarmi, e mi contorsi sotto il loro scrutinio.
Fare? Cosa restava da fare, eccetto dimenticare? E come potevo dimenticare con tutti loro attorno a me come ricordi viventi? E ad ogni modo, credo che chiedere a tutti di andarsene sarebbe stato un po' rude.
"Grazie, Ucchan", dissi alla fine. "Ho solo bisogno di tempo, ecco tutto".
"Hmmmph". Shampoo si alzò con grazia, col mento impavidamente alzato, e mi fissò con occhio fiero. "Quando quell'uomo tolnelà per Lanko, avrà una glossa solplesa! Gli mostlelò cosa penso di lui!".
"Già", si unì Ukyo, "quel bastardo non capirà cosa lo ha colpito!".
"Cosa?", chiesi, allarmato.
"Nonostante abbiamo avuto le nostre divergenze in passato, in tuo soccorso, io, Tatewaki…". Le parole di Kuno vennero interrotte quando la sorella lo colpì sulla nuca, piantando la sua faccia nel tavolo con un orribile botto.
"Anche noi", mormorò, lanciandomi un'occhiata famelica.
"Mi hai fatto male, sai", disse Kuno, con la voce attutita dal tavolo. Scossi freneticamente le braccia.
"Aspettate, gente, calma! Non posso chiedere a nessuno di voi di farlo! È troppo pericoloso!".
"Io falei qualunque cosa pel il mio lagazzo", disse semplicemente Shampoo. Ukyo balzò in piedi.
"Di che stai parlando? Lui non è il tuo ragazzo! Questo Ranma non ti ha mai battuto in combattimento, ricordi?".
"Beh, allola non è nemmeno il tuo, palliaccio!", ribatté lei avvicinandosi naso a naso con Ukyo.
"Bene, ragazze, immagino questo significhi che è tutto mio!", trillò Kodachi, saltando al mio fianco e buttandomi le braccia al collo. "Oh, Ranma caro! Voglio dire, Ranko caro!". Potevo sentire gli occhi uscirmi dalla testa.
"Ah... um..." dissi sagacemente. Shampoo e Ukyo seguirono a ruota, agguantandomi le braccia.
"Ehi, pervertita, lascialo andare!".
"Sì, lascialo andale! Lui vuole sposale me, vero?".
"Che? Ti illudi, ragazzina!".
"Ohohohohohohohohohoho!". Per il momento, ero costretto a mettere da parte tutti i pensieri di Jack per tentare di non scatenare una guerra. Più le cose cambiano...
"Sembra che tu sia nei guai con noi, Ranko. Tutte noi." Akane mi stava guardando in modo strano. Cominciai a protestare la mia innocenza prima di ricordarmi che non mi dovevo preoccupare. Dopo tutto, non ero il suo fidanzato.
Mi voltai e vidi Mousse tirare il braccio di Shampoo, cercando di interporsi tra noi.
"Shampoouuu...", gemeva. Shampoo gli lanciò uno sguardo gelido.
"Che vuoi, stupido Mousse?". Colsi la loro posa, Mousse attaccato al braccio di Shampoo, l'espressione infuriata di lei, e improvvisamente li stavo vedendo in un altro luogo in un altro tempo

("Shampoo, è troppo pericoloso!", urla Mousse. Lei si libera con rabbia dalla sua presa. Io mi guardo intorno, cercando di risucchiare abbastanza aria nei polmoni. Sono così stanco, ma dobbiamo tornare alla palestra prima...
prima...
"Ha ragione lui", annaspo, "è troppo pericoloso". Shampoo si blocca con risolutezza.
"Io non me ne vado senza la mia bisnonna". Si volta verso la porta distrutta del Nekohanten. Ukyo si avvicina dietro di me.
"Tutto tranquillo, Ran-chan", sussurra, con voce roca. Annuisco. Le urla sono cessate. Non sono sicuro se questo sia un bene o un male. Tutto quello che so è che non voglio sprecare il tempo che Ryoga ci ha procurato. Posso ancora sentire l'onda d'urto del suo ultimo Shishi Hokodan vibrare nei miei muscoli, nelle mie ossa.
Faccio un passo verso Shampoo, per trascinarla via se necessario, ed è allora che lo vedo. Il bastone della vecchia strega, abbandonato per terra vicino all'ombra lanciata dall'angolo dell'edificio.
Spezzato nitidamente in due.
"Shampoo, STAI INDIETRO!". Troppo tardi. La cosa trabocca dal buio, tutta denti e carapace con tentacoli attorno al suo unico occhio. In un lampo, afferra Shampoo e la sbatte per terra. Il suo volto impallidisce per il dolore. Cerco di avvicinarmi, ma mi scaraventa indietro con uno dei suoi tentacoli. Troppo lento per schivare, vengo proiettato su Ukyo e cadiamo entrambi sull'asfalto. Quando riesco a vedere attraverso la nebbia di dolore, la cosa è sopra di lei, bava gocciolante dalla sua orribile bocca aperta.
Un lampo bianco colpisce il tentacolo, ed è Mousse. Evocando lame gemelle dalle maniche, comincia a tranciare freneticamente il tentacolo avvolto attorno a Shampoo. Ma un altro lo raggiunge, e un altro ancora, più velocemente di quanto riesca a tagliarli. Mi sollevo cercando di ignorare il dolore, cercando di concentrarmi, ma è così difficile. Ho bisogno di caricarmi, ho bisogno di una sfera di energia...
La cosa la sta tirando verso la sua bocca, e lei è ancora intrappolata.
"MOUSSE! VATTENE!", sta singhiozzando ora, indifesa, e io lo so. Lui non se ne va.
E lo sa anche lei.
"Pel favole", sento la sua tenue preghiera anche oltre la strada mentre la mia energia comincia a crescere, troppo tardi. Lui lancia una lama nell'occhio della creatura, ma i tentacoli la deviano facilmente mentre li trascinano. E lui la copre col suo corpo, come se potesse proteggerla da quello che sta arrivando e sussurra qualcosa nell'orecchio di lei. Le sue ultime parole sono per lei sola.
Poi la cosa li lancia nelle sue fauci e quell'orrenda bocca si chiude.
Il suono. Oh, Dio, il suono che fa.
E se ne sono andati. Shampoo, l'impavida, orgogliosa amazzone. E Mousse, il ragazzo che la amava così tanto da non poterla lasciare. Nemmeno alla fine.
Andati.
Alzo le mani e Ukyo è lì, che mi tira indietro, dicendo che è troppo tardi, e sta gridando, lacrime mescolate al sangue che le scende dalla fronte. La scuoto via. Ucciderò quella cosa.
Lo farò per loro. Gliela farò pagare.
Poi lei dice qualcosa che cattura la mia attenzione.
"La palestra! Ti prego, Ran-chan! Dobbiamo andare, saranno là presto! Dobbiamo tornare alla palestra, ti prego vieni ti prego...".
La palestra. Akane?
"Vuoi che siano morti per niente? Shampoo, Mousse, Ry-Ryogaaa...". Mi sta tirando ora, cerca di trascinarmi via mentre la mia energia scompare. Ci guarda andare, masticando lentamente il suo pasto. Tu più tardi, sembra dire. Ci vediamo.
"Ran-chan, stanno arrivando! Ran-chan...")

"Ranko?". Mi riscossi. Capii che stavo fissando Mousse e Shampoo, congelati sul posto. Mi stavano guardando, e qualsiasi cosa vedevano sul mio volto li spaventava a morte. Ukyo mi toccò leggermente la mano.
"Ko-chan? Che succede?", chiese, spaventata.
"Non litigate", sussurrai. "Per favore". Odiavo il suono che aveva la mia voce. Li vidi guardarmi, e in un istante di cristallina chiarezza capirono. Voglio dire che capirono a livello mammifero, il livello che vive sotto la mente razionale, la mente logica. Una cosa era ascoltare la mia storia, ascoltare e dire tutte le cose giuste e stupirsi della stranezza del tutto. E tutta un'altra cosa era capire davvero, in qualche modo primitivo, che la morte sedeva tra di loro.
Ora loro sapevano da dove venissi, cosa mi avesse partorito.
Ero scappato dall'inferno, ma non incolume. Lanciavo una lunga ombra nel loro mondo luminoso, e ovunque quell'ombra cadesse la gente era forzata a confrontarsi con la realtà della loro mortalità.
Naturalmente, con questo gruppo, nessun momento di introspezione era destinato a durare troppo a lungo.
"Ti farò un po' di tè", disse improvvisamente Akane, alzandosi.
Kodachi saltò istantaneamente in piedi.
" Io gli farò un po' di tè", annunciò decisa. Akane si irrigidì. Ukyo alzò lo sguardo.
"Ehi, smettetela", protestò. Vidi Shampoo e Mousse realizzare nello stesso istante che si erano bloccati con la mano di Shampoo stretta in quella di Mousse. I loro sguardi si incontrarono e scattarono indietro, con un identico rossore sulle guance. Presi un respiro profondo. Datti una mossa ora, tu puoi controllare tutto questo. È un problema familiare, no?
"Ehi". Parlai piano, ma tutti si voltarono a guardare. "Perché non usciamo a prendere un po' d'aria? Si sta stretti qua dentro". Mi alzai, distanziandomi dalle mie aspiranti fidanzate, e uscii.
Le contendenti scattarono per prendere posizione vicino a me.
Oh, diavolo. Ora, oltre tutto, dovevo vedermela con tre donne gelose. Quattro, se contavo Akane, che mi stava guardando come se non sapesse decidersi se essere o no gelosa. In genere, lo spettacolo l'avrebbe fatta infuriare, ma la colsi mentre si voltava a guardare Ranma, che era ancora incupito. Mousse osservava, Ryoga sembrava confuso e Kuno sembrava sbalordito. Era troppo, troppo in fretta, perché tutti lo accettassero fino in fondo. Avevano bisogno di un po' di tempo per abituarsi. Avevano bisogno di qualcosa che li distraesse dalla situazione.
Sfortunatamente, la soluzione a cui pervenimmo si rivelò molto peggiore del problema.


Jack osservava sconsolato il display ausiliario, regolando i controlli in un futile tentativo di cavare un senso da quello che stava leggendo. I dati si rifiutavano testardamente di segnalare qualcosa che contenesse anche una remotissima particella di coerenza. Jack lasciò cadere la testa sulla mano e sbuffò.
"Scooter. Scooter!".
"Sì, mio signore e padrone?".
"Trattieni il sarcasmo. Mi puoi procurare l'LRS o il sistema di immagine principale?".
"Non ancora, boss. Spiacente. I danni al sistema causati dal nostro giovane amico si stanno dimostrando molto più estesi di quanto avessi pensato".
"Cristo, non riesco a trovare né capo né coda in questi dati sul subspazio locale! Non possono essere accurati". Jack si abbandonò all'indietro sul seggiolino, sfregandosi piano il volto con le mani. "L'energia di quel ragazzo deve aver mandato in palla la rete dei sensori o qualcosa del genere".
"Beh, c'è una bella notizia e una cattiva notizia sul fronte delle autoriparazioni", disse Scooter con un tono sospettosamente allegro.
"Ed è?".
"La buona notizia è che il sistema di comunicazione è a posto".
"La cattiva?".
"Il sistema di comunicazione è a posto. E hai un messaggio in arrivo dal Comandante Shetney". Jack sbuffò di nuovo.
"Perfetto. Grandioso". Alzò le ginocchia al petto, appoggiò i piedi alla console, e spinse, mandando la poltroncina fluttuante al centro del deck, dove ruotò abilmente per guardare lo schermo principale. "Ok. Spara". Lo schermo si illuminò con il simbolo del Gruppo di Intervento Dimensionale, poi cambiò in un fascio di linee e statica multicolore. L'immagine ondeggiò, poi si risolse nell'inquadratura incerta di una donna dall'aspetto duro in uniforme nera.
"Comandante", disse Jack, "Ricevo molte interferenze. Dev'essere per delle strane fluttuazioni che rileviamo nel subspazio locale...".
"Lasciale perdere, Ufficiale di Pattuglia Conroy. Qual è lo status della tua missione?". Anche attraverso la distorsione, poteva vedere la preoccupazione sul suo volto. "Non hai fatto rapporto. Cos'è successo?".
"Uh, abbiamo avuto una piccola avaria", cominciò Jack, esitando.
"Conroy! Questa è una situazione molto delicata! Mi sono sbilanciata con la Centrale, li ho assicurati che il mio U.P. potesse controllare l'estrazione! Se l'Ops non ottiene quest'uomo cadranno delle teste!".
La sua espressione rendeva chiaro quale testa sarebbe stata la prima. Jack prese un respiro profondo.
"L'estrazione in sé è stata eseguita senza problemi", disse con cautela. "In seguito, tuttavia, la mia Porta è stata destabilizzata quando l'obbiettivo ha generato una specie di esplosione di energia".
"Questa capacità era stata annotata nel briefing della missione", disse freddamente Shetney. Jack si contorse mentre Scooter ridacchiava in sottofondo.
"Oh, sì. A ogni modo, la scarica di energia ha causato danni estesi al sistema, così al presente siamo incapaci di transitare".
"Dove siete?".
"T.I. 417, Comandante". Lei sussultò. L'immagine vacillò, poi riapparve, sempre più disturbata.
"Non posso mandare nessuno così lontano. La situazione a T.I. 49 si è rapidamente deteriorata nelle ultime 48 ore e ho dovuto inviare a sostegno tutte le forze di presidio, Pattuglie e Ops."
"Anello Nero?". Lei annuì.
"Sembra di sì". Lui sospirò. Almeno ora aveva una scusa per il suo ritardo.
"Qual è lo status dell'obbiettivo? Posso parlargli?". Jack si raggelò. Questa non ci voleva. Era stato deliberatamente vago fino ad allora, ma ora doveva decidere se mentire o no al suo superiore. Se lei scopriva che Saotome aveva preso il largo, sarebbe andata su tutte le furie, e gli avrebbe ordinato di riportarle il ragazzo immediatamente.
"Conroy?", ripeté. Lui fece scivolare la mano sul bracciolo della poltroncina e cominciò a giocherellare furtivamente con i comandi.
L'immagine sullo schermo cominciò a vacillare.
"Ah, Comandante, può ripetere? La trasmissione sta peggiorando". Lei si avvicinò allo schermo.
"DANNAZIONE CO ... TTITI QU ... QUEL ... ZZERO' CO ... CKER!". Jack continuò a manovrare i comandi e il segnale cominciò a svanire.
"Troppa interferenza! Tenterò di nuovo più tardi!", esclamò nell'interrompere la connessione. Lo schermo si oscurò e lui ricadde indietro a peso morto sulla poltroncina.
"Oh, bravo", disse seccamente Scooter. "Una performance da Oscar. Come se qualcuno fosse abbastanza stupido da bersi la vecchia storia del trasmettitore rotto".
"Mi ha procurato un po' di tempo".
"Jack, dare al ragazzo quarantotto ore non farà la benché minima differenza! Prendiamo quel tipo ora, e tratteniamolo finché non potremo transitare senza problemi con i nostri sistemi". Jack si stese per osservare il soffitto grigio. Non era cambiato dall'ultima volta che l'aveva guardato.
"Ci andiamo domani pomeriggio. Non prima". Per lunghi momenti, il solo suono fu l'onnipresente, quasi subliminale ronzio dei sistemi della Porta. Alla fine, Scooter parlò.
"Ti sei cacciato nei guai per questa storia, socio. Ne vale davvero la pena?".
"Se qualcuno avesse fatto lo stesso con me una volta, forse le cose sarebbero andate diversamente".
"Questo non è da te, Jack, e tu lo sai", disse gentilmente Scooter.
"Una possibilità, Scooter. Tutto qui. Voglio solo dare al ragazzo una possibilità di dire addio. Non è chiedere troppo, no?". Scooter non rispose. Jack chiuse gli occhi, girando lentamente sulla sedia.
"Mi timbrerai il cartellino, socio?", chiese alla fine.
"Già fatto", disse Scooter. "Quarantotto ore, poi entriamo in azione. In un modo o nell'altro". Jack sorrise.
"Sei il migliore, baby".
"E tu ora mi devi un grosso favore".
"Lo so, Scooter. Lo so".


"Cielo, qui c'è troppa calma", disse Nodoka, uscendo sulla veranda. Genma e Soun avevano assunto le loro classiche posizioni ed erano profondamente immersi nel gioco. "Dove sono andati i ragazzi?".
"Stavano andando in palestra", disse Soun con aria assente.
"Coscienziosi artisti marziali, tutti loro. Ha!". Sbatté un pezzo sulla tavola, facendo brontolare pensierosamente Genma. Nodoka si incupì.
"Mi chiedo come stia prendendo le cose Ranko. Non dev'essere stato facile per lui rivedere i suoi amici tutti insieme in quel modo".
"Beh, erano tutti piuttosto tranquilli dopo che gli ha raccontato la sua storia", disse distrattamente Genma.
"E tu come lo sai? Stavi origliando?". Lui capì il suo errore e arrossì.
"Ah, non abbiamo potuto fare a meno di ascoltare, cara. Giusto, Tendo?".
"Assolutamente", concordò Soun, avvantaggiandosi della distrazione di Genma per spostare rapidamente alcuni pezzi. "L'hanno presa piuttosto bene. Non ci è voluto molto perché le ragazze cominciassero a competere per l'attenzione di Ranko! Dev'essere un sollievo per Ranma non doversi più preoccupare per quello, eh, Saotome?". Genma grugnì. Nodoka non ne era così sicura. Dubitava che le cose si sarebbero risolte così semplicemente. Niente nella vita della scuola di arti marziali si risolveva essere semplice.
"Nabiki e Kasumi sono andate al mercato, siccome è probabile che avremo ospiti per cena. Io ho degli affari da sbrigare. Ci penserete voi due a tenere d'occhio la casa?". Soun alzò lo sguardo su di lei.
"Ma certamente", disse di cuore, mentre Genma risistemava velocemente la tavola. "Resterai per cena?". Lei sorrise.
"Ne sarei felice", disse. "Ci vediamo più tardi". Uscì, confidando che i due uomini avrebbero almeno tentato di prevenire danni ingenti all'edificio mentre era via.
Genma e Soun ritornarono a loro dopo che Nodoka se ne era andata.
"È molto preoccupata, eh, Saotome?".
"Mmmmh. Penso che stia esagerando un po' le cose, però. Voglio dire, Ranko non si è nemmeno svegliato urlando la notte scorsa! Questo è un notevole miglioramento dalla notte prima, non credi?".
"Oh, assolutamente. E con Ranko intorno ad attirare tutte le altre ragazze, Ranma e Akane saranno liberi di sposarsi, finalmente!".
"Tendo! È un piano brillante! Hai ragione, naturalmente, non ci saranno altri ostacoli! Sono così felice!". Scoppiarono entrambi a ridere, poi, come un sol baro, si rivolsero alla tavola e cominciarono a spostare freneticamente i pezzi in completo sprezzo delle regole. Erano felici, due uomini con un grosso peso levato dalle loro menti, e si lanciarono insulti nel modo in cui fanno i vecchi amici.
E quando, un po' più tardi, i suoni della lotta salirono dalla palestra, loro ne furono, come al solito, felicemente ignari.


In seguito non fu mai chiaro di chi fu l'idea di far allenare insieme i due Ranma, ma venne subito accettata dalla maggior parte del gruppo. Tutti i ragazzi erano stati battuti da Ranma in più di un'occasione e pregustavano i bernoccoli di cui l'avrebbe ricoperto l'unica persona che di sicuro era almeno al suo livello. E come artisti marziali, tutti erano interessati allo scontro di due combattenti equamente forti.
Akane, però, era preoccupata, anche se cercava di non farlo vedere. Sapeva quanto Ranma fosse orgoglioso e combattivo. Se Ranko era come lui, e tutto dava a intenderlo, la gara poteva sfuggire al loro controllo. E un'altra cosa la disturbava. Non poteva non ricordare quella mattina, il modo in cui Ranma aveva guardato Ranko e suo padre mentre si allenavano, lo sguardo sul suo volto quando aveva insistito che Ranko non si avvicinava minimamente alla sua bravura.
Cominciava ad avere un bruttissimo presentimento.
I due combattenti sembravano piuttosto soddisfatti, però, mentre si confrontavano al centro della palestra. Gli altri erano in piedi contro il muro, agitandosi per l'anticipazione.
"Ranma versus Ranma", mormorò Mousse. "Pagherei per vedere questo incontro".
"Vedi di non farti sentire da Nabiki", lo avvertì Ryoga. Ukyo si rabbuiò al sentire quel nome ma non disse niente.
"Il vincitore sarà meritevole del mio amore", esultò Kodachi, guardando i due Ranma con un appetito a mala pena contenuto. "Tu puoi avere il perdente, Akane".
"Grazie tante", rispose lei freddamente.
"Ehi, Ukyo, tranquillizzati", disse Ryoga, dandole gentilmente di gomito. "Questo è solo un match di allenamento. Ranma non farebbe del male a se stesso, giusto? Perché sei così seria?". Ukyo scoccò una rapida occhiata ad Akane, che guardava a turno Ranma e Ranko.
"Per nessuna ragione", borbottò.
"Ok", disse Shampoo dal centro della stanza, guardando i combattenti ai suoi fianchi. Alzò un secchio con una mano, causando un improvviso tumulto. "Vince il plimo che bagna l'avvelsalio."
"Shampoo!". Ora Akane era decisamente preoccupata. I Kuno erano ottusi senza speranza, ma comunque non le piaceva l'idea di farli assistere alla trasformazione di Ranma. Quello non era stato parte del piano.
Ranma e Ranko, però, non sembravano avere problemi. Si limitarono ad annuire mentre Shampoo si dirigeva verso l'altra estremità della palestra e posava il secchio sul pavimento. I due arretrarono agli angoli opposti della parete di fronte. Shampoo alzò un fazzoletto di seta verde e si mise in una posa che fece salire il sangue al volto di Mousse.
"Plonti?", chiese con voce suadente. I due annuirono. Lei lasciò cadere il fazzoletto e si tolse di mezzo.
Due lampi, uno rosso, uno nero, entrarono in collisione al centro della stanza, respingendosi a vicenda. I due girarono e si incontrarono di nuovo a mezz'aria, lanciando colpi e calci in un feroce e letale balletto aereo. Nessuno sembrava capace di infrangere la guardia dell'altro, e nessuno poteva lanciarsi verso il secchio senza mostrare il fianco all'avversario. Balzarono attorno alla palestra, senza rallentare nel tentativo di sopraffarsi a vicenda.
"Ehi", sussurrò Ukyo a Ryoga, "non si stanno trattenendo granché, vero?". Ryoga non rispose e continuò a tenere fisso lo sguardo sui due mentre attaccavano, paravano, cadevano e si scontravano di nuovo. Poteva vedere che i due erano egualmente impegnati al massimo. E poteva anche vedere che Ranma cominciava a innervosirsi, se non proprio a infuriarsi. Ranma cominciò a intensificare i suoi attacchi, trasformando un match di allenamento in qualcosa di diverso. Ryoga ricordò l'espressione di Ranma poche ore prima, quando si erano incontrati nel giardino. Voleva una rissa, e ora l'aveva ottenuta. E qualsiasi cosa l'aveva mosso non l'aveva abbandonato.
Ora anche Ryoga cominciava a preoccuparsi sul serio. Sperò che non finisse come temeva.
Ranma improvvisamente lanciò una furiosa serie di calci ruotati che forzarono Ranko in una posizione difensiva.
"Ehi", urlò lui. "Vacci piano, amico! Questo è solo per divertimento, ricordi?".
"Parla per te", ansimò Ranma, che si avvantaggiò della distrazione momentanea di Ranko per scattare verso il secchio. Poi, quando l'altro si lanciò per seguirlo, girò improvvisamente su se stesso.
"Kachu Tenshin Amaguriken!", gridò, rilasciando uno dei suoi attacchi preferiti. Ranko, colto in contropiede e sbilanciato, cercò di parare ma fu investito in pieno dai pugni di Ranma che tempestarono sul suo corpo indifeso. I pugni non erano trattenuti, e la forza dei colpi ripetuti scagliò Ranko all'indietro a schiantarsi contro il muro della palestra, che si curvò sotto l'impatto. Si accasciò al suolo, stordito, con le braccia avvolte sul torso cercando di respirare.
"Ranma!", scoppiò Akane, solo per essere bloccata dal braccio di Ryoga teso davanti a lei.
"Ferma", disse piano. Lei si voltò sconcertata.
"Che...? Ryoga!".
"Per favore", disse nello stesso tono, senza lasciare che il suo sguardo si spostasse dai combattenti. "Credo che dobbiamo lasciare che questa faccenda se la sbrighino da soli". Aveva la spiacevole sensazione di sapere finalmente cosa stasse succedendo, e prima si fosse risolta meglio era.
Ranma raccolse il secchio e camminò lentamente verso il punto dove Ranko stava cercando di rimettersi in piedi.
"P... perché diavolo... l'hai fatto?", ansimò Ranko. "Questo doveva essere... un allenamento!". Ranma sorrise malignamente.
"Spiacente, amico. Credo di aver sopravvalutato il tuo livello". E con quello innaffiò Ranko.
"Che diavolo significa?", sibilò Ranko-chan. "Anch'io avrei potuto usare un attacco a piena forza come il tuo, se non mi fossi preoccupato di farti male!".
"Ehi, non fare così. Non è una vergogna non essermi alla pari solo perché mi somigli", disse l'altro rabbiosamente.
Gli occhi di Ranko-chan si sbarrarono per lo shock.
"Non crederai sul serio a quello che hai detto, vero? Certo che ti sono alla pari!".
"E allora perché tu ora sei una ragazza e io no?".
"Perché hai barato!".
"Ehi, comportati da uomo, ok? Non sei bravo come me e basta, va bene?".
"Siamo uguali, idiota!".
"NO!".
"SIAMO UGUALI!".
"NO! IO NON LI AVREI MAI LASCIATI MORIRE!".
Mentre l'urlo inferocito di Ranma moriva, un silenzio paralizzante cadde sul gruppo per la seconda volta in quel giorno. Nessuno si mosse mentre due identiche coppie di occhi grigio cupo si guardavano, e qualcosa di indicibile passava tra di loro. Il corpo di Ranma vibrava piano per la furia impotente che martellava contro il suo debole controllo, cercando sfogo.
Ranko, per contrasto, era stranamente rigido. La rigidità della morte. Mentre le sue parole affondavano infallibilmente nel bersaglio, Ranma vide la luce negli occhi di Ranko-chan vacillare e morire. La sua bocca si aprì e si richiuse senza alcun suono per un momento, e Ranma sappe con orrenda certezza che era riuscito a scatenare l'unico demone che la sua controparte era riuscita a tenere in gabbia.
La sua pelle formicolò improvvisamente per la presenza di una forte energia interna mentre Ranko-chan cominciava ad ardere. Lei si girò rapidamente e, con un grido di angoscia primordiale, si buttò a capofitto contro il muro già indebolito. Ranma sentì la sua rabbia ribollire, alla ricerca di qualcosa di tenero e indifeso in cui affondare gli artigli. Come la sua coscienza.
"Awwwwwww, DANNAZIONE!", urlò, scagliando lontano il secchio e partendo all'inseguimento di Ranko-chan. Il secchio ammaccato ruotò attraverso l'aria, finché colpì finalmente il suolo con uno schiocco metallico.
Il rumore parve spezzare l'incantesimo che aveva immobilizzato tutti gli altri. Tutti cercarono di reagire contemporaneamente scatenando un pandemonio.
"Ragazza col codino!", urlò Kuno, solo per essere immediatamente abbattuto da sua sorella.
"Ranma caro, torna indietro!", corse attraverso il buco nel muro e sparì all'esterno.
"Aiyaa! Lanma!".
"Shampoo, aspetta!". Shampoo e Mousse precedettero lo stordito Kuno attraverso la nuova porta posteriore della palestra, con Ukyo all'inseguimento. Mentre lei se ne andava scoccò uno sguardo da sopra la spalla, indecifrabile.
Non che questo importasse. Né Ryoga né Akane lo videro. Akane, a dire il vero, sembrava non vedere niente.
"Ranma", sussurrò. "Come hai..?".
"Uhm... Akane?". Ryoga guardava il viso pallidissimo della ragazza, evidentemente preoccupato. "Stai bene?".
Lei non rispose. Non poteva. Si limitò a restare ferma in quel punto, maledicendosi e chiedendosi perché non fosse stata capace di capire cosa stava tormentando il suo fidanzato, prima che succedesse tutto quanto. Per tutto il tempo in cui aveva creduto che Ranma fosse geloso e meschino, lui si sentiva... come? Colpevole? Si sentiva colpevole per qualcosa che non era accaduta a lui, che non poteva aver previsto? Ritornò di colpo in sé e agguantò Ryoga per il davanti della sua maglia.
"Dobbiamo seguirli", annunciò al ragazzo stupefatto. "Andiamo". Cercò di trascinare Ryoga con lei, e fu stupita di venire subito bloccata. Incespicò, recuperò l'equilibrio, e si voltò a guardarlo, irritata. "Beh, andiamo!", disse con impazienza. Ryoga non si mosse, limitandosi a sorridere tristemente.
"Tieni molto a lui, non è vero?", chiese gentilmente.
Akane sbatté le palpebre, arrossendo all'improvviso.
"R-Ryoga".
"So che non vuoi che lui... che loro combattano, ma pensa. Se devono vivere insieme qui, devono risolvere questo problema tra di loro. Se non lo fanno, guasterà e avvelenerà tutto. Non puoi fargli questo, Akane, e non puoi neanche aiutarlo. Deve cavarsela da solo".
"Come posso starmene qui tranquilla?", chiese con voce roca. "Lui sta soffrendo così tanto!".
Ryoga guardò nei suoi caldi occhi castani, pieni di lacrime trattenute, e sentì un nodo formarsi in gola. Quello fu il momento in cui capì appieno che lei non avrebbe mai, per nessuna ragione, scelto lui piuttosto che Ranma. Mai.
Quello fu il momento in cui il suo cuore decise finalmente di lasciarla andare.
Il petto gli si riempì di un dolore dolceamaro mentre la guardava lanciare uno sguardo pieno di desiderio verso il buco creato da Ranko. Era abbastanza vicina a lui che poteva sentire il suo profumo, e il dolore nel petto crebbe finché sembrò voler esplodere all'aria aperta. Inghiottì un respiro stentato, stringendo convulsamente i pugni.
"Lascia perdere", mormorò con voce bassa e raschiante. Akane sospirò, credendo che stesse parlando a lei.
"Suppongo che tu abbia ragione", disse tristemente. Non gli sfuggì che nella sua preoccupazione per Ranma e Ranko, sembrava ignara della sofferenza di lui. Lei si voltò e gli sorrise esitante.
"Aspetterai con me, Ryoga?". Incapace di parlare, lui annuì e il suo sorriso crebbe. "Grazie. Sei un buon amico".
Un buon amico. E di lunga data, e per sempre, senza mai essere nient'altro. La guardò camminare lentamente verso il secchio, accovacciandosi vicino. Cominciò a scorrere distrattamente le dita sulla superficie mentre una ciocca di capelli le scivolava davanti, rendendola agli occhi di Ryoga bella da spezzare il cuore.
"Addio, Akane", pensò. La gola gli si chiuse e il petto arse del dolce dolore della sua pena segreta. Poi, inaspettatamente, il dolore diminuì. Non molto, ma un po' sì. Abbastanza da renderlo sopportabile.
Ryoga decise che era un buon inizio, e si mosse per aiutare la sua amica a pulire la palestra.


Lo sentii dietro di me, passi leggeri sul cuscino d'erba. Non stava cercando di nascondere la sua presenza. Abbastanza corretto. Supposi che prima risolvevamo la faccenda, meglio era.
"Non ho più alcun posto per starmene in pace, vero?", chiesi amaramente. Sedevo sull'erba, con le ginocchia raccolte al petto, guardando l'acqua scorrere lungo la sua strada verso la sua destinazione, qualunque fosse. Di solito aveva il potere di calmarmi, ma oggi c'era bisogno di ben altro.
Arrivò dietro di me e rimase là, senza dire niente. Cercai di odiarlo, ma non sentivo che stanchezza. Ne avevo abbastanza. Non riuscivo più a combattere. Facciamola finita.
Facciamola finita e basta.
"Mi dispiace". Se Ranma era consapevole di quanto le sue scuse suonassero inadeguate, non lo disse. Neanch'io dissi niente. Alla fine, con un sospiro, si sedette sull'erba di fianco a me.
"Credo", disse lentamente, "di poter capire se deciderai di non perdonarmi". Proprio in quel momento ricordai quello che avevo detto a Nabiki quella mattina, e quanto avessi desiderato rimangiarmelo in seguito. Sembrava essere giornata per i rimpianti.
"Ti capisco", dissi brevemente. Non era lo stesso di «ti perdono», ma che diavolo.
"Davvero?", chiese piano. Sedemmo fianco a fianco, senza guardarci, come se questo rendesse troppo difficile dire quello che bisognava dire. "Io volevo che tu non fossi bravo come me. Ne avevo bisogno. Tutti continuavano a dire che ci somigliavamo, e mi faceva sentire come se fossi stato io a perdere tutti. Ho scaricato tutto su di te, dicendomi che io ero migliore così non mi dovevo sentire così... colpevole, così impotente. E quello era il peggio, penso, sentirsi come se non potessi farci niente. Capisci?". C'era un così nudo bisogno nella sua voce che mi addolcii.
"Credimi, Ranma, ti capisco". Lui annuì.
"Già, immagino. Non credevo a quello che ho detto, comunque. Lo so che hai fatto tutto quello che hai potuto, perché siamo davvero uguali. In tutti i sensi. Lo capisco ora".
"Lo eravamo". Lui alzò lo sguardo, sorpreso. "Le nostre vite sono su binari diversi, ora". Lui aggrottò la fronte.
"Credo che tu abbia ragione. Ma...".
"Ranma". Si bloccò al mio tono. "Chiedimelo e basta". Lui non si mosse. "La domanda che volevi farmi da quando hai sentito la mia storia. Fammela e basta. Per favore". Vidi le sue mani serrarsi sul tappeto verde, strappando l'erba fino alle radici.
"Perché non l'hai salvata?". La sua voce era strozzata da un'emozione a mala pena contenuta. Fissava la superficie ondulata del fiume, non me. Ero sicuro che avrei visto delle lacrime se avessi guardato. Non lo feci. Lui avrebbe fatto lo stesso per me.
"Perché?", dissi piano, mentre una brezza vagante mi spingeva una ciocca di capelli rossi sul volto. "Perché io sono vivo mentre lei è morta? Giusto?". Non lo biasimavo per la domanda. Al contrario. Avrei voluto saperlo al suo posto. Presi un respiro profondo, scrollai le spalle per scioglierle, e lo lasciai andare, per svuotarmi. Per pulirmi.
"Ti racconterò questa storia una volta sola, poi non ne parleremo più. Capito?". Lo vidi annuire dalla coda dell'occhio, ma non avrebbe fatto una grande differenza se avesse accettato o meno. Stavo cominciando a capire che avevo bisogno di dirglielo almeno quanto lui aveva bisogno di ascoltarlo.
"La volevo proteggere". Cominciai a voce bassa mentre ricordavo come era andata. "Dio, avevo giurato che non avrei mai permesso che qualcosa le accadesse. Mai. Così, quando finalmente cominciammo a capire che le cose nere sarebbero venute per noi, decisi di andare a raccogliere gli altri per portarli alla palestra. Akane voleva venire con me, naturalmente, e io non volevo. Lo sai come si infuria quando cerco di proteggerla. Ferisce il suo orgoglio e la rende irragionevole. Così, le dissi che doveva restare per proteggere suo padre e le sue sorelle. Le dissi che da solo sarei andato più veloce. Le dissi qualsiasi cosa pensai potesse trattenerla. E alla fine, la convinsi. Ma mi fece promettere di ritornare. Era così preoccupata... lo sguardo nei suoi occhi. Non sono mai stato così vicino dal dirle cosa significasse per me. Ma non lo feci. E ora non potrò mai più". Mi fermai per un momento, deglutendo.
"Così lei rimase, e io andai. Raccolsi Ucchan e Ryoga al suo ristorante, trovai Shampoo e Mousse che tornavano dal mercato con le provviste. E poi cominciarono le prime urla, e loro erano su di noi. Dovunque mi voltassi, quegli incubi stavano attaccando. Quelli grossi spazzavano via isolati interi, distruggendo i condotti del gas e appiccando incendi. Trascinavano la gente nelle fogne, nei vicoli, le divoravano anche per strada. All'inizio cercammo di combatterli, ma ogni volta che ne uccidevi uno ne saltavano fuori dieci. Così scappammo. E loro ci diedero la caccia. Erano su di noi, e alla fine... Ryoga rimase indietro, per procurarci un po' di tempo". Un suono strozzato sfuggì dalla gola di Ranma. E fu tutto. Decisi che sarebbe stato misericordioso farla breve.
"Funzionò, per poco. Ma poi passammo per il Nekohanten, e loro erano già stati là. Shampoo non avrebbe abbandonato la sua bisnonna, e Mousse non avrebbe abbandonato Shampoo. Così restammo solo io e Ucchan. Passammo per la proprietà dei Kuno, e non c'era nient'altro che un cratere fumante. Mentre ci avvicinavamo alla palestra, avrei potuto dire che erano già stati in quell'area. Incontravamo meno sopravvissuti, e allora... allora...

(ci sono larghi buchi frastagliati nel muro della casa. Sto correndo ora, il cuore pieno di schegge appuntite di ghiaccio, ignorando le disperate suppliche di Ucchan di aspettarla. C'è ancora tempo. Non è troppo tardi. Non può essere. Abbiamo ancora tempo, Akane e io. Ancora tempo. Così mi lancio attraverso il muro distrutto e lungo il cortile e dentro la casa, ignorando il pericolo di imboscate, perché so che mi sta aspettando. Aspetta che torni a casa, come avevo promesso. Nel buio dentro la casa, la vedo distesa sul pavimento di legno, con le gambe piegate in un angolo terribile. Il suolo è scuro del suo sangue, così tanto sangue che il suo kimono prima giallo ne è imbevuto. Così tanto sangue che schizza sotto i miei piedi mentre mi avvicino. Così tanto sangue. Troppo. Ci cado dentro in ginocchio e raggiungo il suo volto illeso, avorio contro il nero dei suoi capelli. Sussurro il suo nome.
E i suoi occhi si aprono. Viva. Oh, Dio. Gli occhi si muovono, entrano a fuoco suo mio volto. E lei sorride.
"Sei venuto", mormora, e io le accarezzo gentilmente il viso.
"L'avevo promesso", replico fiocamente.
"Stringimi", sussurra adesso. Non voglio muoverla. È ferita così gravemente. Lei lo vede sul mio volto e una lacrima le scivola da una guancia.
"Per favore". Lei lo sa. Non ha più molto tempo. Ormai non importa. Mi chino e la cullo tra le braccia, stringendola al petto. Non sembra provare più molto dolore. È fredda, la sua pelle è come il ghiaccio. Sento un lungo lamento dietro di me. Ucchan.
Voglio dire tante cose. Troppe. Abbiamo avuto tempo, lei e io, tutto il tempo del mondo, solo ora il nostro tempo è quasi finito e non ce n'è rimasto e non so cosa dire. Si confonde tutto dietro le mie lacrime mentre piovono sul suo viso, e lei alza gli occhi su di me come se vedesse qualcosa di fantastico, qualcosa di luminoso.
"Ranma. Il mio Ranma. Promettilo. Non ti arrenderai. Promettimelo".
Ora sto singhiozzando. Voglio solo sdraiarmi al suo fianco e non alzarmi più, e in qualche modo lei lo sa. Con l'ultima stilla della sua forza, sta cercando di salvarmi. L'uomo che non era là per lei. Non posso sopportare il suo perdono, ma lei non se ne andrà finché non prometto. Lo so che non lo farà. È sempre stata così testarda, fin dal primo giorno che ci siamo incontrati.
"Akane...".
"Promettilo". La sua pelle è fredda, tutta la vita negli occhi, a implorarmi di lasciarla andare. Tremo, e annuisco disperato.
"Lo prometto". Allora lei sorride, il sorriso più dolce, e le sue dita si alzano per scorrere sulla mia guancia, lasciandosi dietro una scia di sangue.
E poi se ne va. I suoi occhi si chiudono e lei scivola via senza sforzo, via da tutto il dolore, e tutto quello che voglio è andare con lei. Ma non posso. Mi ha fatto promettere. E io non romperei mai una promessa fatta a lei.
Non le potrò mai dire che l’amavo.
Poi Ucchan grida, e io alzo lo sguardo e vedo la cosa, acquattata nelle ombre. Sputa un lembo di pelo bianco e nero e sogghigna.
"Hmm", dice, "la carne delle ragazzine è molto più dolce".
Poi sorride, un amabile, folle ghigno.
La prima cosa che ricordo è Ucchan che urla nel mio orecchio, le sue braccia strette attorno a me, implorandomi di tornare indietro, di non lasciarla sola. I miei pugni, i vestiti, e i muri sono coperti da un umore verde, e realizzo che sto urlando, e da molto tempo...)

...poi siamo arrivati alla palestra ed era troppo tardi. Lei era morta quando siamo arrivati. Tutti lo erano. È stato veloce. Non hanno sentito dolore". Aveva bisogno di sapere che l'avevo perduta, ma non aveva bisogno di sapere che aveva sofferto. Ero abbastanza uomo da portare quella verità da solo.
Da solo, per il resto dei miei giorni.
In qualche modo, lei aveva saputo cosa dire alla fine. Mi aveva aspettato, senza mai dubitare che sarei tornato, così da potermi dire di andare avanti senza di lei, di non arrendermi. Aveva saputo che sarei sopravvissuto, che nei miei più neri momenti, quando volevo arrendermi, quando ero più debole, avrei avuto bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi, una ragione per continuare? Sembrava impossibile, ma era così.
Non ho potuto salvarla, ma lei mi ha salvato magistralmente. Oh, Dio, non era giusto. Per niente giusto.
Sedemmo là insieme per un po', ascoltando i suoni distanti del traffico, della gente, della città che continuava la sua vita. Alla fine, quando fui sicuro che la mia voce non si sarebbe spezzata, continuai. Perché non era ancora finita del tutto.
"Li ho seppelliti nel giardino. Sotto quell'albero, sai, dove ci sedevamo d'estate per guardare il sole tra i rami. Ho pensato che fosse un buon posto. Ucchan mi ha guardato le spalle mentre lavoravo. Poi siamo partiti alla ricerca di sopravvissuti. Ucchan... credo che si sentisse in qualche modo colpevole, perché in un certo senso aveva finalmente ottenuto quello che aveva sempre desiderato. Era rimasta sola con me. Lei non si sarebbe dovuta sentire così, non è come se lei avesse voluto Akane morta o qualcosa del genere, ma non aiutava. Era molto tranquilla dopo che abbiamo lasciato la palestra. Le chiesi dove saremmo dovuti andare, e lei disse che sarebbe andata ovunque fossi andato io. Non mi avrebbe mai abbandonato. Era morta meno di 24 ore dopo. Qualcosa è sceso dal cielo e l'ha afferrata, così. Non ha nemmeno avuto il tempo di urlare. E così sono rimasto solo. Qualche tempo dopo, Jack mi ha trovato e le cose sono andate come sai". Guardai il fiume, desiderando di saltarci dentro e lasciarmi trasportare dalla corrente ovunque le piacesse. Ranma non aveva parlato per molto tempo. Avrei scommesso che questo non fosse quello che si era aspettato di sentire quando era venuto a cercarmi.
"Sembra che siano passate settimane da quando sei venuto qui a cercarmi", dissi alla fine, con voce sorprendentemente calma. "Se tu dovessi rifare tutto di nuovo, sapendo quello che sai ora, lo faresti?". I suoi occhi si strinsero, senza abbandonare il fiume. Improvvisamente sentivo il bisogno di ascoltare la sua risposta, forse solo per provarmi che non stavo cercando di ferirlo per quello che era successo nella palestra. "Lo faresti?".
"Era molto più facile quando tu eri solo un tizio misterioso che mi somigliava", disse alla fine, con la voce sfumata di amarezza. "Ascoltare tutto questo è come guardare in uno specchio buio e deformato. Non ti mentirò, sarei più felice se non dovessi pensare a tutta questa roba. Credo che tutti lo saremmo". Annuii piano. Non riuscivo a trovare dentro di me motivo per biasimarlo.
"Capisco", sussurrai. Ritornai a guardare il fiume, con gli occhi brucianti di lacrime che avevo promesso di non versare. Non di fronte a lui.
"Ehi. Non ho finito. Guardami". Non lo feci. "Ranko. RANMA". La sua voce divenne bassa, urgente. "Guardami". Stringendo forte i muscoli della mascella, respirai l'odore umido del fiume e mi voltai per incontrare il suo sguardo.
"Dovresti saperlo bene, tu più di tutti". Mi fece un sorrisetto di conforto. Io lo fissai stupidamente. "Io non ho mai mollato solo perché era difficile. Tutta questa storia del mondo parallelo mi fa orrore, amico, dico sul serio. Ma se il prezzo di un po' di pace mentale è essere un codardo e voltarti la schiena, bene, quel prezzo è troppo alto. Io sto con te. Non importa come. Da qui in poi, non dovrai portare quello che è successo da solo. Ci divideremo il carico". Una mia lacrima si liberò e cadde. Alla faccia della promessa. "Sei sicuro?". Chiesi a voce bassissima. Lui annuì solennemente.
"E un'altra cosa. Noi siamo uguali. Ora lo posso ammettere. Non solo, sono orgoglioso di dirlo. Siamo più simili di fratelli, di gemelli. E so che tu hai fatto tutto il possibile per salvarli. Mi vergogno di averne dubitato". Mi tese la mano, e io la presi. Poi le sue braccia furono attorno a me e ci stringemmo in un fiero abbraccio. Avrebbe dovuto sembrare strano, o assurdo, ma non lo era. Sembrava naturale. Era come se, per la prima volta dalla caduta nella fonte di Jusenkyo, il mio yin e il mio yang potessero finalmente riunirsi. Sentii la pressione nel petto che cominciava ad allentarsi, il dolore che scorreva fuori da me, e chinai la testa contro la sua spalla mentre il mio corpo cominciava a tremare. Capii, per la prima volta, che più di chiunque altro, più di Akane, avevo avuto bisogno che lui capisse, e mi perdonasse per non essere morto.
E, miracolosamente, lo aveva fatto.
Avevo già avuto lacrime, ma per la prima volta piansi. Voglio dire che piansi davvero, come fanno i bambini. Mi lamentai pietosamente. Singhiozzi dolorosi scossero la mia forma femminile, aprendosi la strada oltre il nodo nella gola e attraverso i denti contratti, e mi aggrappai disperatamente a Ranma, arrendendomi finalmente.
Per lungo tempo, confidai che non se ne sarebbe andato. E non lo fece.


Mousse arrancò debolmente fuori dalla strada. Aveva perso le tracce di Shampoo quando aveva dovuto schivare un getto d'acqua da una vecchia che stava lavando il suo ingresso e aveva finito per perdere i suoi occhiali. Una volta trovati, lei era sparita all'inseguimento di Ranma e Ranko.
"Perfetto. Come se dover competere con un solo Ranma per il suo cuore non fosse già abbastanza", brontolava tra sé e sé. Il plotone delle fidanzate di Ranma sembrava incline a trasferire la stessa cortesia a Ranko, ma lui non era sicuro che fosse una buona idea; comunque, prevedibilmente, nessuno l'aveva consultato. Fece scorrere lo sguardo avanti e indietro lungo la strada e fu sorpreso di vedere Ukyo sul marciapiede non più di dieci metri più in là. La giacca della sua uniforme scolastica maschile pendeva aperta e il colletto della camicia era slacciato. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti sulla nuca come li portava di solito a scuola. Mentre la osservava, le sue spalle si sollevarono per un profondo sospiro e lei si sistemò la spatola da battaglia per potersi sedere sul marciapiede.
Mousse aggrottò la fronte e avanzò.
"Ciao", tentò. Lei alzò la testa, e Mousse fu colpito dalla tristezza nei suoi occhi.
"Ehi, Mousse". Lui aspettò, ma lei non disse nient'altro. Alla fine si sedette, senza essere invitato, al suo fianco.
"Li hai persi, eh?", chiese dopo un po'. Lei annuì con aria assente. L'espressione preoccupata di Mousse si accentuò. Normalmente, Ukyo era la più solida delle pretendenti di Ranma, anche se questo non volesse dire granché. Ripensandoci, Mousse si rese conto che lei era stata in qualche modo assente tutta la giornata.
"Dì, Ukyo, c'è qualcosa che non va?", chiese alla fine. Lei lo guardò senza capire.
"Uh? Perché me lo chiedi?".
"Beh, è solo che mi sei sembrata un po' sulle nuvole tutto il giorno. Mi chiedevo solo se ne volessi parlarne, tutto qui". Lei riportò la sua attenzione a un pezzo di strada particolarmente affascinante.
"Tu non capiresti", borbottò. Mousse ridacchiò amaramente.
"Vuoi dire che non capirei l'essere disperatamente innamorati di qualcuno che ama qualcun altro? Oh, no, cosa potrei mai sapere di una situazione del genere?". Ukyo lo guardò, sorpresa.
"Scusa, Mousse. Ho parlato senza collegare il cervello". Lui la liquidò con un gesto della mano.
"Lascia perdere. La gelosia può farti dire cose strane. Credimi, lo so".
"Cosa ti fa pensare che io sia gelosa?", chiese lei, confusa.
"Oltre alle solite ragioni? Oggi ti irrigidivi ogni volta che si avvicinava Akane. In genere sei la più amichevole con lei". Questa volta fu il turno di Ukyo di ridere. Mousse alzò un sopracciglio inquisitorio.
"Scusa", disse Ukyo. "È solo che sono sorpresa che tu faccia così tanta attenzione a qualcuno oltre Shampoo". Mousse le lanciò un sorrisetto storto.
"Allora ho ragione".
"No, a dire il vero". Ukyo lo guardò per un lungo momento, mordendosi il labbro inferiore. Mousse aveva l'impressione che stesse cercando di decidersi riguardo qualcosa. Alla fine, lei sospirò. "Mousse, ti posso dire una cosa?." Il ragazzo sbatté le palpebre. Lui e Ukyo non erano particolarmente vicini. Non era sicuro del perché volesse parlare con lui. Eppure, Shampoo non si confidava mai con lui, e Ukyo sembrava aver bisogno di un orecchio amico. Sorrise.
"Ma certo. Di cosa si tratta?".
"Hai sentito cos'è successo l'altro giorno, quando Akane è stata quasi uccisa, vero?".
"Sì, anche se nessuno di noi sapeva fino a oggi che in realtà era stato un secondo Ranma a salvarla".
"Sì, bene, io lo sapevo. Ero là. Stavo seguendo Ran-chan e Akane a casa...". Mousse alzò le sopracciglia e lei lo guardò con fiero cipiglio.
"C'era una buona ragione", esclamò. Lui alzò le mani, e lei continuò. "A ogni modo, ero dall'altra parte della strada quando Ryoga e Ran-chan hanno cominciato a combattere. Quando la gru si è inclinata, l'ho vista prima di loro. Ma...".
"Ma?", chiese lui dopo un momento. Lei sospirò e distolse lo sguardo, mentre un leggero rossore le saliva alle guance.
"Ho esitato. Per solo un secondo, mi sono chiesta cosa sarebbe successo se Akane fosse morta. Avrei avuto una possibilità con Ran-chan, avrei potuto avere la vita che desideravo". La sua voce era scesa a un sussurro. "Solo per un secondo. Ma ho esitato. Ci ho pensato davvero". Mousse sospirò gentilmente.
"Capisco. E ora quando vedi Akane ti senti colpevole per quello che è successo".
"Ma certo! Come posso meritare l'amore di qualcuno, me lo dici? Che genere di persona pensa cose come queste?".
"Bene, io, per cominciare". Lei lo guardò.
"Come?".
"Oh, ho pensato di fare cose piuttosto malvagie al tuo prezioso Ran-chan. Alcune di queste erano anche fatali". Alzò gli occhi al cielo senza nubi, con un'espressione serena.
"Non è lo stesso! Io ho esitato! Ho considerato seriamente quella possibilità, e la mia esitazione avrebbe potuto ucciderla!". Fece un suono, metà risata, metà singhiozzo, e crollò la testa. "Ero impazzita, vero? Voglio dire, guardali, due Ranma, e scommetto che ora stanno combattendo per lei. Anche se la sua Akane è morta, lui la ama ancora. Ho sempre desiderato che mi amasse, ma non lo merito. Sono una maledetta egoista, Mousse. Non è una bella cosa da sapere sul proprio conto". Per lunghi momenti vi fu solo silenzio. Ukyo aveva paura di guardare, di vedere lo sguardo disgustato sul volto di Mousse.
"Ukyo", disse alla fine, "lo sai che non è vero. Ascolta. Sei mai stata su un grattacielo?". Lei aggrottò la fronte.
"Un cosa?".
"Un grattacielo", ripeté lui pazientemente. "O un qualsiasi posto alto, come una cima o la punta di un albero".
"Beh, certo, ma...".
"E non ti sei mai trovata sul bordo, e sentito l'impulso, solo per un momento, di buttarti nel vuoto?". Lei alzò la testa. Mousse aveva ancora lo sguardo perso nel cielo, e una placida espressione sul volto. Cielo vuoto. Nessun posto dove nascondersi.
"Sì, penso".
"Ma non lo hai fatto. Vedi, questi pensieri sono reali, esistono, ma non rappresentano il nostro vero io. Ci sono angoli bui dentro ciascuno di noi, pieni di pensieri e impulsi repressi e proibiti, e a volte qualcuno spunta in superficie per un attimo, e noi pensiamo: «Questo non sono io. Io sono una brava persona». Ed è la verità. Ti stai sentendo colpevole per un pensiero passeggero, qualcosa che tu non avresti mai concepito seriamente. Tu non sei una cattiva persona, Ukyo, sei solo umana. Ti sei bloccata per un secondo, e siccome sei una brava persona, ti sei voluta punire per quel lapsus".
"Ma anche pensare una cosa del genere...", protestò lei.
"Ukyo", disse lui gentilmente, abbassando gli occhi nei suoi, "devi imparare ad accettare i tuoi impulsi più bui per poterli controllare. Se cerchi di far finta che non esistono, loro si moltiplicheranno nelle tenebre della tua ignoranza e divoreranno la tua anima. Credimi, io lo so. Tu non faresti mai del male ad Akane per raggiungere Ranma, per nessuna ragione. Lo so che non sei quel tipo di persona, e lo sai anche tu. Smettila di sentirti in colpa per la svista di un momento. Sono le azioni che contano, e le tue mostrano il tuo vero cuore".
"Mousse...", disse lei, sbalordita. All'improvviso lui sorrise, imbarazzato.
"Scusa. Non volevo farti la predica". Ukyo scosse la testa, facendo danzare la sua lunga coda di cavallo.
"No, non scusarti. È solo che... non ti ho mai sentito parlare così prima". Ukyo era impressionata. Non aveva mai parlato davvero con Mousse prima, non in quel modo. Sospettava di non averlo nemmeno notato. E il modo in cui le sorrideva...
Calma, ragazza, si disse contrita. L'ultima cosa di cui hai bisogno è di innamorarti di un altro uomo che non puoi avere.
"Beh, di solito parla sempre Shampoo", disse lui dispiaciuto. "Volevo solo che sapessi che ti faresti solo del male sentendoti colpevole per qualcosa che non puoi cambiare. Continua a ripetertelo, ok? Credo che finirai per convincerti che è vero". Ukyo gli indirizzò uno sguardo meditabondo che lo rese nervoso.
"Che c'è?", chiese alla fine. Lei sorrise.
"Sai, mi sento davvero meglio. Mousse", cominciò improvvisamente, "sto per fare qualcosa che non faccio di solito. Voglio darti qualche consiglio sulle donne". Lui sbatté le palpebre.
"Davvero?", chiese dubbioso. Lei annuì.
"Ho passato molto tempo come maschio, così ho visto le cose da entrambe le parti, e devo dirti che penso che tu stia sbagliando tutto. Ascolta, Shampoo è una ragazza aggressiva. Le piace il brivido dell'inseguimento. Ma non può cacciare te, perché tu non scapperesti! Tutte le volte che si gira, tu sei lì. Ti dà per scontato, bello. A volte ho visto qualcosa che mi ha fatto pensare che lei provi qualcosa per te. Forse se tu giocassi duro, lei comincerebbe a cacciarti, o almeno a dedicarti un po' di attenzione".
"Ma non posso stare lontano da lei. Io la amo", rispose semplicemente. Lei sospirò.
"Ok, ignora il consiglio, ma ti dico, quella ragazza non smetterà di usarti come zerbino finché non la impressioni. Oppure, immagino, finché non la sconfiggi in combattimento. Poi lei dovrebbe sposarti, giusto?".
Mousse la guardò, poi si appoggiò all'indietro sulle mani.
"Supponi, parlando per ipotesi beninteso, che io sia capace di batterla". La sbirciò, guardando il suo volto cambiare in un'espressione confusa.
"E allora, ipoteticamente, perché non lo faresti?".
"Ukyo, tu sei la sola ragazza oltre Akane che non usa mai mezzi magici o chimici per cercare di imprigionare Ranma tra le tue braccia. Perché?".
"Voglio che mi dia il suo cuore liberamente! Non significherebbe niente se fosse costretto o imbrogliato!", disse, oltraggiata.
"Esattamente. E se, ipoteticamente, io sconfiggessi Shampoo in duello, allora per la legge delle Amazzoni sarebbe costretta a sposarmi. E io non lo farei se non fossi sicuro che lei volesse darsi a me. Liberamente".
"Oh. Capisco".
"Ipoteticamente".
"Ovvio. E le leggi delle Amazzoni?".
"Eh. Ukyo, le leggi non hanno il potere di governare il cuore".
Mousse abbandonò indietro la testa, tanto che i suoi lunghi capelli sfioravano il suolo.
"Se sconfiggessi Shampoo, lei mi sposerebbe, ma io non saprei mai quali siano i suoi veri sentimenti. Io voglio che mi ami, voglio che mi sposi perché lo vuole, non perché qualche legge fuori moda glielo impone. Tu mi capisci". E lei lo capiva. Erano quasi spiriti affini, pensò affascinata. Non l'avrebbe mai detto. Mai, in un milione di anni.
"Mousse!". Alzarono entrambi gli occhi e videro un'arrabbiata Shampoo che li guardava. Lei alzò fieramente la testa e scattò: "Pelchè sei qui a oziale con la spatolona? Dove sono i Lanma?". Mousse era senza parole, come se fosse stato colto in fallo.
Ukyo sentì il bisogno di essere cattiva, e per una volta non lo soppresse.
"Mousse mi stava solo dando qualche consiglio in amore", disse innocentemente. Gli occhi di Shampoo si sbarrarono stupefatti.
"Mousse? Consiglio? AMOLE?". Aveva decisamente problemi a collegare insieme quei tre concetti in un unico blocco. Ukyo annuì, poi si stiracchiò languidamente.
"Uh-uh. Ed era un buon consiglio, oltretutto. Credo che lo seguirò. Grazie della chiacchierata, tesoro". Si sporse per dare a uno stupefatto Mousse un casto bacino su una guancia. Lui arrossì furiosamente. Poi lei si alzò e guardò Shampoo negli occhi.
"Un giorno o l'altro diventerà il marito di qualche ragazza fortunata, Shampoo. Dovresti approfittarne finché è ancora disponibile". Poi si incamminò verso la palestra, mani dietro la testa, lasciando la coppia sconvolta.
"Che voleva dile? Mousse? MOUSSE!".
"Shampoo, io non... io... ehi! OUCH!". Ukyo soppresse una risatina quando i rumori della battaglia la raggiunsero.
Fidati, Mousse, pensò sorniona, poi mi ringrazierai. Poi il suo sorriso svanì, la sua espressione divenne pensosa.
Se solo i suoi problemi fossero stati così facili da gestire.


Kasumi controllò la cucina con un familiare senso di soddisfazione. Tutto era in ordine. Poteva cominciare a cucinare in ogni momento, e siccome era andata a fare la spesa ci sarebbe stato abbastanza cibo per tutti. Non le pesava nutrire tutte quelle persone; Shampoo e Ukyo provvedevano cibo gratis agli abitanti di casa Tendo a intervalli regolari.
Si voltò verso il fornello nel sentire la teiera gialla fischiare. Spense il bruciatore e raccolse la teiera per il manico, dirigendosi verso il retro della casa. Aveva visto Ranma e Ranko-chan arrivare poco prima, e poteva vedere che Ryoga e Akane li avevano raggiunti. Stranamente, la tensione nel gruppo sembrava essersi esaurita rispetto a quella mattina. Akane sembrava un po' agitata con entrambi i Ranma, ma la tensione che Kasumi aveva percepito prima tra le due controparti era completamente svanita. Ne era felice. Aveva avvertito il potenziale per grossi guai, e per una volta non aveva avuto idea di cosa fare per allentare la tensione crescente. Ma c'era un altro problema da affrontare. Si sentiva responsabile del mantenimento dell'armonia nella casa per quanto possibile, e sapeva che se quel problema non veniva risolto immediatamente, avrebbe cominciato a suppurare. Raccolse tutta la sua decisione e parlò.
"Ciao a tutti", disse allegramente, sfoggiando il suo più caldo sorriso. "Dove sono gli altri?".
"Ancora fuori a cercare questi due idioti", brontolò Akane. "Torneranno presto". Ranma e Ranko-chan si scambiarono uno sguardo. Erano rimasti entrambi dal lato sbagliato delle sfuriate di Akane in più di una occasione. Dividersi la sua ira sembrava in qualche modo attenuarla.
"Bene. Oh, Ranko-chan, ti posso parlare un momento?". Lei annuì, guardando con sollievo la teiera nelle mani di Kasumi. Probabilmente ansiosa di cambiare prima del ritorno di Kuno, pensò lei con dispiacere. Condusse la rossa nella cucina e le tese la teiera, poi la guardò mentre si bagnava e cambiava nella sua forma maschile.
"Grazie, Kasumi", sospirò Ranko. Lei notò che sembrava stanco. No, svuotato era la parola più appropriata. Eppure, nessun bene sarebbe venuto dall'accantonare la questione.
"Ranko". Lui la guardò, stupito dal suo tono. Era triste, severo, tagliente come non lo aveva mai sentito prima. Non era niente paragonato al miglior tono arrabbiato di sua madre, ma sentito dalla placida Kasumi l'effetto era come quello di uno schiaffo in pieno volto.
"Ch-che succede?", chiese, preoccupato.
"Ti voglio parlare. Di Nabiki". Lei vide la comprensione scendere sul suo volto. Inghiottì così forte che lo poté sentire da dove si trovava.
"Kasumi, io...".
"Io capisco che lei ti ha ferito oggi", continuò lei freddamente, ignorando il suo debole tentativo di parlare. "Non la giustifico per quello che ha fatto. Ma se hai intenzione di restare qui, devi farmi una promessa. Tu non userai mai. Più. Il ricordo di nostra madre per ferirla". Si fermò, fissando il ragazzo con sguardo severo e braccia incrociate. Ranko sembrava disperato, cercò di incontrare lo sguardo di lei, e fallì.
"Io non volevo...", cominciò.
"Promettimelo, Ranko". Lui chiuse gli occhi, annuendo.
"Lo giuro. Kasumi, mi vergogno di quello che ho fatto. Non volevo arrivare a tanto... io... non ti sto chiedendo di perdonare il mio...".
"Ranko", lo interruppe lei gentilmente. Lui si fermò. "Non credo di essere io quella a cui dovresti chiedere scusa". Lo gratificò di un piccolo, triste sorriso e sciolse le braccia, indicando le scale. Lui prese un respiro profondo e annuì di nuovo. "Va’, allora. Per favore. Vi sentirete entrambi meglio". Lui annuì un'altra volta e uscì dalla cucina come un uomo in marcia per la sua esecuzione.
Kasumi sospirò, lasciando che una parte della tensione defluisse da lei. Aveva notato il lieve gonfiore attorno ai suoi occhi e si chiese se avesse pianto. Non l'avrebbe sorpresa, per niente. Scosse piano la testa.
Sarebbe stata una settimana dura per la madre putativa degli abitanti della palestra Tendo.





Fine quarta parte.
Revisiona versione originale inglese: 29/7/1997
Revisionata traduzione italiana: 26/7/1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 29/7/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

Prossimo aggiornamento: domenica 31 o lunedì 1 agosto.
   
 
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