Aggiusta un po’ il cielo. - quasi quidditch.
Vedeva chiaramente la terra allontanarsi da sotto i suoi piedi; sentiva distintamente il manico della scopa che premeva sul suo sedere, come fosse una strana altalena sottile e storta; udiva le risate e i gridi di urrà degli altri studenti che svolazzavano a caso qua e là, e gli strilli e gli ordini di Madama Bumb che cercava di coordinarli un po’. All’improvviso, il panino al burro d’arachidi che aveva mangiato quella mattina a colazione decise di ribellarsi. Si impuntò: non gli andava più di starsene al calduccio nel suo stomaco, ed era ora di opporsi. Quindi prese a correre per l’imboccatura del suo stomaco, contromano. Al si premette entrambe le mani sulla bocca, per impedire al vomito di fuoriuscire, ma così facendo lasciò la presa sulla scopa. Il mondo si capovolse, il sapore di vomito gli inondò la bocca, un colpo sordo e lontano contro l’erbetta, un dolore diffuso su una spalla di un corpo non suo.
Quando riaprì gli occhi, era lungo disteso in un letto dalle coperte leggere, che al contatto gli davano una sensazione di freddo. Sbatté le palpebre più volte, e riconobbe il soffitto dell’infermeria sopra di sé.
« Ehi, ti sei svegliato. »
Sentì una voce familiare, annoiata e strascicata, che proveniva da un punto di fianco a sé.
E nonostante gli facesse male solo pensare a cosa potesse essere successo al suo braccio, si sentisse ancora il sapore di vomito in bocca e non riuscisse a girare la testa a causa dei quintali di bendaggi, sorrise. Ignorò il dolore lancinante che gli scorrazzò per il volto, passando per ogni singolo muscolo della faccia.
Aveva riconosciuto la voce di Scorpius.