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Autore: Baby Moonlace    31/07/2011    1 recensioni
Londra, diciannovesimo secolo. Alla giovane ladra Daphne viene pagata la cauzione proprio dall’affascinante ragazzo che l’ha fatta arrestare. In cambio, Blake vuole il suo aiuto in un’impresa a prima vista per niente attraente e anche molto pericolosa.
Mentre lei e Blake si fanno sempre più vicini, Daphne si trova suo malgrado coinvolta in una fitta trama di inganni e menzogne, che riportano alla luce vecchi interrogativi che si era da tempo imposta di ignorare e, assieme ad essi, nuove domande senza risposta.
Che cosa è lei veramente? Che cosa si nasconde dietro alla sua capacità di vedere il piccolo popolo? E qual'è il significato del marchio che porta sulla mano? Ha qualcosa a che vedere con la misteriosa morte di sua madre tanti anni prima? Cos'è la Gilda? E che interessi ha Blake in questa storia? Vuole davvero solamente sventare un complotto ai danni della regina, o ha una motivazione più profonda?
*Classificata terza al Contest Scacco Matto! indetto da Fe85*
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Blake sedeva nella vecchia stanza di sua sorella, la schiena poggiata al letto, gli occhi rivolti al soffitto affrescato. Tra le mani stringeva un abito bianco, logoro, quasi uno straccio, tutto quello che rimaneva di Juliet Faye Hammington. Un vecchio abito da sposa polveroso e una data su una lapide.

Poteva quasi vederla, oltre i cherubini scrostati sul soffitto: radiosa, di appena diciott’anni, i capelli intrecciati di fiori d’arancio. Doveva essere l’inizio della sua vita. E invece era stata la fine.
“Blake?” Daphne era appoggiata sulla porta. Chissà da quanto era lì. Indossava un abito scuro, che un tempo era appartenuto a Juliet. Gliela ricordò tanto, in quel momento; la figura di sua sorella si sovrappose a quella di Daphne.  
Lei e Daphne non si somigliavano affatto, chioma di corvo e di grano, occhi verdi e blu. Eppure avevano tanto in comune. Lo stesso dono. La stessa maledizione. Ed erano a un passo dall’avere anche la stessa fine.
“Blake?”
“Sto bene”, abbozzò un sorriso, “Devo andare. E’ ora.”
“Dobbiamo andare.”
“Tu resti qui.”
La ladra aggrottò la fronte, incrociando le braccia sottili sul petto. “Io vengo con te. Ci sono dentro fino al collo. Non puoi escludermi adesso.”
Blake scattò in piedi, abbandonando l’abito di Juliet a terra, ai piedi del letto. Prese il mento di Daphne tra le mani. “Daphne, ascoltami. Non puoi venire con me. Se ti scoprono…”
“Mi hai esposto a rischi peggiori.”
“Ma era necessario!” Blake tornò indietro, si lasciò cadere sul letto. Sollevò una nube di polvere, e tossì. Si prese la testa tra le mani, mordendosi il labbro finché non sentì il sapore metallico del sangue. “Ti prego”, mormorò, “Non venire. Non voglio che tu finisca come lei.”
Daphne annuì lentamente. S’inginocchiò di fronte a lui. Lo prese per i polsi, gli fece spostare le mani. “Non verrò. Ma promettimi che non ti caccerai nei guai.”
Blake sorrise amaramente. “Credevo che nulla ti avrebbe fatto gioire più della mia morte, ladra.”
“E’ così, infatti. Ma se ti beccano potrebbero scoprire anche me.”
Il ragazzo sorrise. “Allora starò attento.”
“Aspetta!” Blake si voltò. Inarcò un sopracciglio. Daphne prese un respiro, attraversò la stanza a grandi passi. Si fermò davanti a lui, il viso arrossato e il respiro irregolare. Si alzò sulle punte, la chioma bionda mossa appena dal vento che passava per la finestra aperta. Premette le labbra sulla guancia di Blake, solo per un paio di secondi, non di più. Ma a Blake parve durare in eterno.
“Buona fortuna”
Il giovane si sforzò di sorridere. “La fortuna è per i principianti.”
* * *
La carrozza si arrestò con uno scossone. Blake sospirò, rassettandosi il soprabito scuro. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era terrorizzato dall’idea di affrontare Edmund. Suo cognato aveva dimostrato ampiamente la sua mancanza di scrupoli e la sua follia. Di certo non si sarebbe arreso facilmente.
Il cocchiere, uno sbarbatello biondo sui quindici anni, aprì esitante lo sportello. Portava il berretto scuro storto, i capelli scompigliati appiccicati alla fronte. Blake non ricordava neanche il suo nome. Lo aveva impiegato il giorno precedente, perché somigliava abbastanza a Daphne da non attirare l’attenzione di Edmund. Non aveva idea degli intrighi soprannaturali che si tessevano in quel palazzo dalle mura luminose. Blake lo invidiava.
“Cognato!” Edmund stesso era accorso ad accoglierlo, vestito di un azzurro delicato, i capelli d’oro raccolti in una coda ordinata. Sorrise, ma i grandi occhi azzurri rimasero freddi. “Non ti vedo per due anni, e poi due volte in pochi giorni, a cosa devo questo onore?”
 “Ho pensato di approfittare della tua offerta di giocare a scacchi insieme”, Blake strinse gli occhi, ricambiando il sorriso con un ghigno storto, “Inoltre, ho delle informazioni su un furto avvenuto nella tua proprietà ieri l’altro. Credo che le troverai illuminanti.”
Un lampo di rabbia passò sul viso del duca, così rapido che per un attimo Blake credette di averlo solo immaginato. “Vogliamo entrare, allora?”
Un quarto d’ora dopo, Blake sedeva su una sedia drappeggiata di pregiata seta rossa. Prese l’alfiere di ebano, muovendolo con cura attraverso la scacchiera, sino a colpire con delicatezza il cavallo d’avorio. Il tonfo del pezzo che colpiva il piano decorato parve rimbombare nella stanza silenziosa. Edmund alzò un sopracciglio curato. “Sei più bravo di quanto mi sarei aspettato, cognato.”
“Sono un uomo pieno di sorprese.”
“Ma di poche finanze, temo. Ricordo bene la topaia in cui abiti. La tua povera sorella era incredula innanzi al lusso che ci potevamo permettere in questa casa.” Il duca fece un ampio gesto con il braccio, indicando i divani cremisi, le finestre ampie, i tappeti pregiati.
Blake strinse le labbra, ignorando un accesso di rabbia che si era fatta prepotentemente strada nel suo petto. Non avrebbe mai dato la possibilità al suo cognato bastardo e assassino di vederlo perdere la calma. Non gli avrebbe dato questo potere.
“Ho fiducia che tutto ciò cambierà presto”, disse invece, poggiando il mento sulle mani, gli occhi stretti e un sorriso felino sulle labbra.
“Hai intenzione di sposare una ricca borghese alla caccia di un titolo nobiliare? Ho sentito che è molto comune fra i nobilastri in rovina.”
“Sarai tu a rendermi ricco”
“Di cosa stai parlando?”
 “Sai a cosa mi riferisco. Ho il tuo contratto, basta uno schiocco di dita e marcirai nella torre bianca in attesa dell’esecuzione.” Blake rise appena. Edmund non sapeva quanto l’idea gli facesse piacere.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Del contratto che hai firmato con Melinoe. Lei ucciderà la regina, e in cambio tu assisterai le fate nella loro caccia ai bambini umani.”
“Non ne so niente.” Edmund mangiò l’alfiere con la regina. “Scacco. Fai la tua mossa.”
“Lo racconterò alla regina”
“Fallo pure. Sarà divertente sentirti raccontare la tua storiella sul piccolo popolo a sua maestà. Fai la tua mossa.”
Blake digrignò i denti. Le mani gli fremevano dal desiderio di rovesciare la scacchiera. Afferrò l’alfiere che gli rimaneva. Lo sbatté tra la regina e il re. Il tavolino tremò per la forza del colpo.
Edmund sorrise, trionfante. Mangiò l’alfiere con la torre. “Scacco matto. Ho vinto.”
Blake annuì. “Hai vinto, sì. Una battaglia, non la guerra. Quella non è ancora finita, cognato.” Sputò l’ultima parola come fosse un insulto.
“Invece è proprio finita, Blake. Ora va, prima che ti citi per calunnia o ti mandi in manicomio. Come quella pazza di tua sorella. Anche lei non faceva che blaterare di fate e di magia, e questo l’ha portata alla tomba.”
Blake scattò in piedi, rovesciando la sedia di legno massiccio. Afferrò Edmund per il bavero della camicia. Lo spinse contro la parete. “Non osare parlare di lei in questo modo.” Tenne il duca bloccato contro il muro ancora per qualche attimo, stringendo la presa attorno al collo.
Guardò il suo viso diventare paonazzo, sentì le sue mani sudate cercare di liberare la gola della sua presa ferrea. Aveva la vita e la morte del duca di Lennox in suo potere; bastava un solo gesto, stringere appena la presa, e Edmund si sarebbe accasciato privo di vita al suolo. Il pensiero gli strappò una risata.
Ma lo lasciò andare. E mentre il duca era a terra a recuperare il fiato, lui si voltò e fece per andarsene.
“Aspetta”
Blake non si degnò di voltarsi. “Cosa vuoi?”
“Potevi uccidermi. Perché non l’hai fatto?”
Blake lo guardò da sopra la spalla. “Perché io non sono un assassino. Io non sono te.”
Stavolta fu Edmund a ridere, una risata bassa e spezzata dai colpi di tosse. Per la prima volta, il divertimento raggiunse i suoi occhi. “Su questo hai ragione. Tu non sei me. Sei firmassi un contratto come quello che tu mi accusi di aver firmato, cosa ti fa pensare che onorerei l’accordo? Ormai avrei ottenuto quello che volevo”, c’era qualcosa di folle nella luce che brillava negli occhi del duca, “Pensaci.”   
  
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