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Autore: Guardian1    01/08/2011    2 recensioni
“C’era una volta una ragazza di nome Yuffie, ma questa storia fa schifo, perché lo sanno tutti che le principesse delle fiabe sono bellissime, hanno gli occhi dolci e splendidi nomi fiabeschi come Aeris.”
Non funziona. Io non sono una principessa.
Sono solo una viaggiatrice.
… Sì, così può andare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: FFVII
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Sunshine in Winter


capitolo uno






« Signorina Kisaragi, temo che le siano rimaste ben poche alternative sicure. Non glielo proporrei mai se non ne sentissi la necessità, ma credo che per la salvezza della sua vita dovremo ampu- »

« No. »

Suppongo che, di norma, il dottor Bannon sia un uomo gradevole. Ha un bel ceppo di capelli spenti e biondi, occhi castani, occhiali, e un tic nervoso a un occhio. A quanto pare, dopo il casino di Meteor ha aperto una clinica a Gongaga per conto di Reeve, come più o meno in ogni città del mondo. Ecco spiegata l’assenza della bella vecchia medicina religiosa di Gongaga. Non avrebbe potuto sbattermene di meno; anzi, a questo punto, avrei pagato qualunque somma per la cara vecchia medicina religiosa di Gongaga.

« Signorina Kisaragi, mi stia a sentire. » La sua voce era irremovibile. Che uomo paziente. « Quest’infezione si sta diffondendo in tutto il suo corpo; ora come ora potremmo amputare subito sotto il ginocchio. Ma lei è stata gravemente ferita e avvelenata; lei è incredibilmente debole e il numero dei suoi globuli bianchi si sta per ridurre considerevolmente a causa degli antibiotici che abbiamo usato per il veleno. Non ho altra scelta che, in buona fede, rimuovere la gamba infortunata prima che l’infezione si prenda anche la sua vita. »

« No. »

La strada da seguire era un tono vuoto, pacato e piatto. La strada grazie alla quale non avrei dovuto pensare. La strada grazie alla quale non avrei dovuto affrontare nulla. Lui ha attaccato con un tono implorante: « Signorina Kisaragi, è una questione di mesi. »

Silenzio.

« Signorina Kisaragi, lei morirà. »

Silenzio.

« A Junon hanno messo a punto delle protesi eccellenti, dall’aspetto perfettamente naturale » ha accennato, scambiando il silenzio per obbedienza.

Lo sapeva dove poteva ficcarsi le sue protesi?

« No. »

Lui ha aggirato lentamente il bordo del mio letto e ha avvicinato una sedia. Mi sono rigirata sulla schiena, lontano da lui.

« Morire per un’infezione batterica non è piacevole » ha mormorato. « Non posso dirle se sarà rapida o lenta. Se ha fortuna, la morte giungerà in fretta; in caso contrario, tirerà avanti, perdendo a mano a mano le funzioni del suo corpo, con una lentezza indicibile, inchiodata nel letto ad aspettare la morte- »

« Stia zitto! » ho urlato, e sono scoppiata a piangere.

Ma lui ha continuato a parlare. C’era una buona probabilità che un altro malessere mi portasse via; c’era una buona probabilità che verso la fine entrassi in coma. Non aveva neanche finito il suo discorso che già mi ero consumata gli occhi con le lacrime e mi davo a singhiozzi asciutti e a scatti, come il vagito di un neonato che fa i capricci. Alla fine è stato accompagnato fuori dall’infermiera, e ho sentito delle voci propagarsi lungo il corridoio; non importava. I singhiozzi non si sono interrotti, l’isteria, la gola che si chiudeva… Mi hanno fatto un’iniezione, credo, perché sono ripiombata nell’oscurità.




Dopo essermi svegliata, ho trovato del porridge, e del torbido succo d’arancia, e – Vincent. Si era seduto vicino a me, e a dispetto dei brontolii del mio stomaco è stato su di lui che mi sono concentrata innanzitutto.

Mi è sembrato esattamente lo stesso dell’ultima volta che l’avevo visto, quando ci dividemmo; ha cambiato vestiario, però, e ha domato i capelli d’ebano in una coda di cavallo. Di quello sono rimasta un po’ delusa; avevo sempre ammirato la lucentezza di quella fluente chioma nero-blu. I suoi abiti, benché neri quanto i suoi capelli, erano in qualche modo più normali di quelli che indossava anni fa. Comunque, dopo una sommaria ispezione, mi sono stufata di analizzarlo e sono andata dritto al sodo.

« Perché sei qui? »

« … Ci vivo » ha risposto lui con semplicità. « Ti ho portato la colazione. »

« Non la voglio » ho detto, mettendo il broncio. La mia gamba pulsava, martellava, faceva così male che sembrava non appartenere al mio corpo. « Morirò. Tanto vale che muoia di fame. »

« L’inedia è un processo lungo. »

« Oh, sparisci. » Ho afferrato il vassoio e ho cominciato a mangiare ciò che conteneva. Il porridge era dolce, ma aveva un retrogusto amarognolo che mi ha avvertito della presenza di qualche medicina spiaccicata dentro.

Dopo alcune cucchiaiate, ho notato che i suoi occhi erano ancora fissi su di me, e l’ho guardato indignata. « Ma che diamine ti fissi? Cos’è questa, la settimana de “guarda il moribondo di turno?” »

Allora ha incrociato i miei occhi, e per qualche ragione sono arrossita e ho dovuto distogliere lo sguardo. Maledizione, se non ho sempre odiato quei suoi occhi rosso scuro; hanno qualcosa al loro interno che mi tocca, che mi dice: “conosco tutti i tuoi segreti.”

« Tu non morirai, Yuffie. » Ha usato lo stesso tono vocale di sempre, flebile e delicato, ma rinsaldato da una punta di fermezza.

Io ho additato la gamba gonfia avvolta nelle bende, con tutte le sue sgradevoli ombre rosse e verdi, e i lividi violacei dove era visibile la pelle irritata. « Se vuoi un riassunto, va’ a parlare con quella faccia di merda del dottore. Ti racconterà tutto il processo passo per passo! »

« È solamente… preoccupato, Yuffie. È la tua unica possibilità concreta di sopravvivenza, ho sentito. »

« Non voglio vivere con una gamba sola » ho detto con calore. « Non voglio camminare con i bastoni, non voglio essere brutta! Tu non capisci! »

Ha sollevato il braccio, l’artiglio d’oro bruciato dai riflessi ramati.

« Non è la stessa cosa » ho praticamente singhiozzato per la frustrazione. La medicina nel porridge ha aspirato il dolore e quindi il mordente della mia rabbia, ma per contro sono sprofondata negli spasmi dell’auoto-commiserazione. « La mia gamba è la mia vita! Come posso combattere? Io sono una ninja! Ho bisogno di questa gamba. Io – io preferirei morire, e questa è la mia decisione, che diamine. »

Lui ha annuito, calmo e pacato. « Sì… è una decisione che sei libera di prendere. »

Ho agguantato il succo d’arancia e l’ho assaggiato. Troppo aspro per i miei gusti, ma almeno era liquido e fresco, e aveva un sapore fantastico, anche con quel retrogusto amaro. Che sollievo scoprire che Vinnie non mi avrebbe ingrossato le palle sull’aspetto che il mio corpo avrebbe acquisito da lì a nove mesi; certo, aveva la faccia depressa, ma a quella c’ero abituata e parlava senza dubbio più del nor-

« Tuttavia, tornerai a Wutai. »

Ho risputato una sorsata di succo nel bicchiere, inalando il sapore degli agrumi. Il mio setto nasale andava a fuoco, ma ero troppo stupita e arrabbiata per badarvi. « … Cazzo hai detto?! »

Lui non si è scomposto. « Poiché non hai ancora raggiunto l’età legale di ventun anni per poter badare a te stessa secondo la legislazione wutainiana, dovrai andare da tuo padre. Ti scorterò io per accertarmi che non cambi idea lungo il tragitto. Non prenderai una decisione del genere tanto alla leggera, Yuffie, non senza Godo. Asa, il saggio medico di Wutai, sarà in grado di eseguire ogni operazione chirurgica che ti servirà, e ti seguirà per tutto il resto. »

Asa è la saggia-cum-dottoressa di Wutai, che dimostra tremila anni (probabilmente ne ha di più) e ha fatto nascere più o meno tutti i componenti della città.

Ero troppo furibonda e sconvolta per parlare. La mia faccia si è fatta rossissima, e ho sputacchiato versi incoerenti, tremando di collera.

« Godo ne è stato informato » ha aggiunto con disinvoltura. « Cid arriverà in mattinata con la sua aeronave… Saremo a Wutai prima di domani pomeriggio. » E senza alcun saluto di commiato, si è alzato e si è diretto alla porta.

« Schifoso bastardo! »

Ho lanciato il bicchiere ormai vuoto alla sua schiena. La porta si è chiusa prima che potessi colpirlo, e il vetro si è frantumato in un milione di pezzi sul pavimento di terra.




Quella notte, invece di dormire, ho fumato di rabbia. Sono rimasta sveglia nella frescura serale e ho fissato lo sguardo fuori dalla finestra finché la prima pallida luce del sole non si è mostrata all’orizzonte, aspettando di sentire il ruggito familiare dei motori dell’Highwind che sfrecciava lontano fuori Gongaga. Oddio, quante ne avrei dette, a Vincent! Gli avrei strappato il braccio finto e l’avrei usato per bastonarlo a morte. Poi avrei trascinato il suo cadavere per un po’ e poi mi sarei messa a saltellargli sulla pancia e poi, e poi…

Con questi allegri pensieri, mi sono calmata un po’ e mi sono assopita.

Dopo quello che mi è sembrato meno di un minuto, mi sono svegliata perché qualcuno mi stava sbatacchiando letto; mi sono drizzata a sedere e mi sono stropicciata gli occhi.

« Porca puttana » ha grugnito una sagoma familiare, trainando il letto fuori dall’ospedale improvvisato in modo tutt’altro che delicato. « Vincent mi aveva detto che ti avrei trovato addormentata. »

« Fermati » mi sono lamentata flebilmente. « Rimettimi giù. Non salirò sulla tua orrenda aeronave, e se ci salgo Dio mi è testimone che vomiterò pure i polmoni, perciò faresti meglio a rimettermi dov’ero. »

Cid ha fatto un ghigno, ciccando la sigaretta di lato. « Ah! Ti piacerebbe, teppistella! Non appena ho saputo che saresti venuta sulla mia nave, ho capito che mi avresti vomitato dappertutto, così ti ho preso delle lenzuola di gomma. Bella gamba, comunque. »

« Ti odio. »

« Stronzate » ha detto lui, soprappensiero. « Ai miei tempi, a voi teppistelli non veniva data nessuna possibilità. Si segava la maledetta gamba e via. E cazzo, noi non si parlava mica di protesi – avresti dovuto vedere uno dei ragazzi che lavorava con me a ingegneria, alla Shinra. Quella testa di cazzo si tagliò tutta la mano e al suo posto ci istallò una lima per continuare a menare. Lo chiamavamo- »

« Mano-lima? » ho suggerito sarcastica.

Cid ha sbattuto le palpebre, poi ha spostato la sigaretta all’altro lato della bocca. « Nah, lo chiamavamo testa di cazzo. Avresti dovuto vedere che cosa faceva con quella sega. Però era divertente vederlo sbucciare le mele. »

Ho sospirato. Cid è lo stesso Cid vintage di sempre. Mi sono ripresa dal mio letargo e mi sono puntellata sui gomiti mentre lui mi portava alla sua nave, attraversando la strada velata di nebbia fuori Gongaga, vuota, immobile e silente come l’alba che si stava timidamente sporgendo da dietro le nuvole. « Dov’è Vincent? »

« È andato a prendere la sua roba. »

Questa notizia mi ha allarmato. « Pensavo che avesse intenzione di accompagnarmi e basta, non di rimanere lì. »

« Cazzo ne so io? Scommetto cinquanta gil che al PHS non sono riuscito a scucirgli più di quindici parole. » Mi ha trascinato sulla rampa – quella da cui mi ero appesa e sulla quale avevo fatto la ruota innumerevoli volte. Mi sono sentita un’invalida e completamente impotente.

« Invece ha straparlato con me » mi sono lagnata. « Ti giuro, non la smetteva più di parlare! Mi costringe ad andare a Wutai, mi dà ordini… Probabilmente non è Vincent. È uno zombie malvagio. »

« Vincent è sempre stato un cazzo di zombie malvagio. »

« Sì, ma questo nuovo è meno apatico. »

« Sono… lusingato, per un verso » si è intromesso asciutto Vincent, facendo la sua apparizione dall’altro capo della scalinata.

Cid ha sputato a terra la sigaretta e lo ha squadrato torvamente, spingendo il mio letto nella sua Highwind con uno scatto sorprendente che mi ha strappato un guaito non esattamente di piacere. « Cazzo! Maledizione, idiota! Smettila di spuntare dappertutto! »

Vincent si è voltato verso di me, guardandomi con i suoi scuri occhi di sangue, rivolgendomi domande senza usare la voce. Io ho grugnito e ho girato la testa – non avrei mai e poi mai parlato con un lurido pseudo-vampiro ficcanaso che mi avrebbe portato nell’ultimo posto in cui avrei voluto andare! Lui si è limitato a inarcare un sopracciglio corvino ed è tornato a Cid.

Cid ha assicurato il mio letto al ponte, dove non ho visto le lenzuola di gomma con cui mi aveva minacciato – al suo posto c’era però una grossa tinozza d’acciaio. « Se questa si azzarda a rigettare anche solo una caramella sul mio ponte, ti ficco la Gospel in un posto che non ti garberà » ha ringhiato a Vincent, che si stava sedendo nell’angolo più distante da noi.

Ho guardato fuori dalla finestra accanto al mio lettuccio e ho tirato su col naso. « Non mi sento male » ho detto altezzosa. « Non ci sarà bisogno che tu ferisca Mister Valentine. » A quello ci penso io.

« Misster Valentine » lo ha canzonato Cid, e ha iniziato una rapida conversazione con l’unico pilota che sedeva al suo posto con una rivista tra le mani.

Misster Valentine ha cercato a tastoni la tasca della sua camicia e poi mi si è accostato, infilandomi qualcosa nella mano.

« … Medicina » ha spiegato al mio sguardo diffidente.

Ho odorato con sospetto le pillole, e poi me le sono buttate in bocca, assaporando con i denti la loro amarezza e inghiottendole in fretta. Stavo già prendendo la mano con le pillole.

La nave ha fatto uno scarto e ho emesso un gemito sommesso mentre si alzava in volo, nascondendo il volto nell’odore di medicine stomachevolmente dolce del mio cuscino. Mi stava venendo sonno; quello stronzo di Vincent doveva avermi passato dei narcotici. « Bastardo » ho biascicato, ma lui era già svanito.

Col dolore – insieme ai sensi – che andava affievolendosi, mi sono sforzata di tenere gli occhi aperti e ho osservato le nuvole che comparivano man mano che ci avvicinavamo ai cieli. Il sole stava salendo, e mi ha scaldato il viso; è stata un’alba bellissima. Mi è venuto in mente che avrei dovuto razionare la luce del sole, adesso, dato che a quanto pare i miei giorni di luce solare erano contati…

Oh, piantala di essere una fallita tanto patetica, Yuffie Kisaragi.

Col sole dell’alba in faccia, Gongaga alle spalle e Wutai davanti a me, ho ceduto ancora una volta alla stanchezza e mi sono addormentata.
   
 
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