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Autore: Schizophrenia    01/08/2011    2 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Buona notte gente! E' tardissimo e quindi sarò alquanto breve:
Scusatemi, vi prego, per il ritardo di questi giorni, ma ho davvero avuto un sacco di cose per la testa e adesso non mi metterò qui a parlare dei miei problemi perché a voi, ovviamente non interessa proprio e fate decisamente bene. xD
Sto morendo di sonno, voglio solo andare a dormire quindi vi auguro buona lettura del capito, vi prometto che settimana prossima cercherò di essere più puntuale (compiti e vacanze permettendo, ovviamente) e passo subito ai ringraziamenti.

Ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:
- Bbw87
- Fairness
- Mareike Tiaycia
- OlandeseVolante
- Nadine_Rose
- niacara07
- Norine
- Prusskj_Lazur
- ChyoChan
- la_regina
Coloro che la hanno inserita tra le ricordate:
- fedecaccy
- Rayne
Coloro che la hanno inserita tra le preferite:
- chyo
- xxGiuls.
- kikka23
- elly04
- Karota
- Luna_LoveDark
E infine le due magnifiche ragazze che hanno trovato il tempo di recensire:
- Fairness
- Norine

Al prossimo aggiornamento,
Schizophrenia.


Salviamoci la pelle.

Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
20 Dicembre 1943
20:35

Il soldato con la divisa nazista si recò in sala da pranzo. Non si era ancora cambiato: quella mattina non era andato all'allenamento e aveva dovuto dare parecchie spiegazioni di vario genere; ovviamente tutte false, ma non c'è nemmeno bisogno di specificarlo. Insomma, non poteva certo dire in giro di essersi scopato una deportata; certo, sapeva anche che molti ufficiali approfittavano della loro posizione e delle ragazze giovani e belle che arrivavano al campo. All'interno dei lager c'erano dei veri e propri giri di prostituzione, ma a Mark non era mai interessato: aveva sempre potuto avere tutte le belle donne tedesche che voleva e non si era mai nemmeno impegnato sentimentalmente con una di loro, perché divertirsi con una sporca polacca o ebrea quando poteva avere la pura razza ariana tra le lenzuola?
Con quella ragazzina era stato diverso. Qualcosa negli occhi verde smeraldo e tra i lividi scuri che macchiavano la pelle nivea l'aveva convinto ad avvicinarsi e a marchiarla definitivamente. Non sapeva nemmeno quanti anni avesse, perché fosse lì e tra quanto si sarebbero decisi a farla fuori, in fondo avevano già iniziato a torturarla di brutto. Ad ogni modo, a lui non interessava, lui aveva ottenuto ciò che voleva.
Si sedette, di fronte a suo padre, << Buona sera >> salutò, servendosi da mangiare carne e patate. La cameriera aveva già portato tutto a tavola, quindi era in ritardo e non aveva avuto nemmeno il tempo di farsi una doccia. Perfetto. Non aveva nemmeno avuto la possibilità di raggiungere Walter e chissà come aveva passato lui la giornata.
<< Ciao. Mi hanno informato che stamattina non ti sei presentato agli allenamenti, potresti spiegarmene il motivo? >>, la voce del maggiore Schreiber era dura. Non sopportava che suo figlio facesse qualcosa di sbagliato, lo considerava già abbastanza sbagliato per il solo fatto di esistere e per quei dannati occhi marroni così poco tedeschi. Voleva proprio farlo impazzire, eh?!
Mark notò l'irritazione, trattenuta con parole fredde, nella voce del padre e si ritrovò ad abbassare il capo, iniziando a tagliare la carne, come se non avesse nemmeno sentito la sua domanda. Lo odiava dal profondo quando lo trattava così, come se fosse un semplicissimo soldato che gli era stato affidato ventiquattro ore su ventiquattro e non il figlio che aveva visto crescere e trascinato da Berlino a Weimar e in fine in quello stupido campo di concentramento.
<< Allora? >> il maggiore iniziava seriamente ad innervosirsi. Nervosismo dovuto al silenzio del figlio. Non sopportava il carattere di quel ragazzo e stava iniziando seriamente a pensare di mandarlo via, da qualche parte a fare qualcosa di utile alla società tedesca.
<< Avevo la febbre >> mentì il ragazzo, alzando gli occhi e guardando quelli azzurrissimi del padre. Sapeva di essere convincente: mentire era la cosa che gli riusciva meglio, subito dopo sparare a qualcuno centrando perfettamente il bersaglio. Si stava trattenendo dall'alzarsi in quel momento dal tavolo. Si stava trattenendo solo perché stava morendo di fame. << Ieri sera ho portato da mangiare alla deportata numero... >>, cambiò argomento e fece una breve pausa alla fine, non ricordando il numero di serie. Adesso che ci pensava, non ricordava nemmeno di averglielo visto un numero tatuato sul braccio, ma non ci aveva fatto neanche particolarmente attenzione.
<< Sì, ho capito >> lo interruppe il padre. Il figlio avrebbe potuto portare da mangiare solo ad una deportata poi, ovvero quella che alloggiava in una camera della loro residenza, tutti gli altri potevano andare, quando suonava la campana, a sfamarsi in mensa, e poi non credeva che suo figlio si interessasse a qualcosa che non fosse un ordine impartitogli. << Non ha un numero, te l'avevo detto che era una deportata speciale >> gli ricordò il maggiore Schreiber, come se fosse ovvio.
I due non avevano mai parlato di quella ragazza che forse in quel momento stava dormendo. Non ce n'era stato bisogno: tutto ciò che doveva fare Mark era portarle da mangiare ogni tanto e controllare che non vi fossero vie di fuga. Gli pareva di farlo anche abbastanza bene, ma molto probabilmente per il padre non era abbastanza. Pazienza, ormai ci era abituato.
<< L'avete torturata? >> buttò lì Mark, continuando a consumare la sua cena. Era molto curioso di sapere cosa fosse successo alla ragazza, anche se molto più probabilmente la sua curiosità scaturiva dalla domanda: perché quello che era successo alla ragazza le era successo? Non ricordava avessero mai riservato quel tipo di trattamenti a nessuna loro deportata, né tanto meno ad un deportato di sesso maschile. Non che facesse molta differenza il sesso dell'uno o dell'altra, a dire il vero.
Il maggiore Schreiber scrollò appena le spalle, << "Torturata" è una parola un po' grossa, non pensi, Mark? >> chiese il padre, in una ovvia domanda retorica. Non gli piaceva che il figlio s'impicciasse di affari strettamente legati ai deportati o a ciò che avveniva in quel campo. Lo aveva educato per bene all'odio, questo era certo, ma pensava che non avrebbe capito e, allora, probabilmente, avrebbe anche dovuto ucciderlo. Non era una cosa che gli andava particolarmente a genio. Sua moglie non sarebbe stata molto felice di sapere che avrebbe dovuto uccidere il loro unico figlio, ma sua moglie non c'era più da tempo.
Il ragazzo scrollò le spalle, << Allora cosa le avete fatto? >> chiese ancora. La curiosità di quel ragazzo era nota a tutti quelli che lo conoscevano bene, quasi quanto il suo orgoglio e la sua testardaggine. Il fatto che il padre sembrasse restio a parlargliene, poi, gli dava ulteriore voglia di scoprire il mistero della mocciosetta, Bea. La ragazza a cui aveva tolto la verginità.
<< Ci servivano delle informazioni, Mark >> sbottò il padre, scocciato. Stava capendo che, se non gliene avesse parlato lui in prima persona, il suo adorato primogenito sarebbe anche stato capace di andare a chiedere tutto a quel relitto della società che era quella ragazza. << Pensiamo sia in stretti contatti con le forze russe. La faremo parlare >> concluse alla fine, l'uomo, minimizzando la cosa il più possibile e cercando di alimentare l'odio del figlio dei confronti della ragazza.
Il giovane biondo lo guardò, confuso. Si era accorto dal nome che la ragazza era russa, ma non pensava che una, che era ancora praticamente una bambina, potesse avere delle informazioni sull'Armata Rossa, lo reputava praticamente impossibile, ma sapeva anche che suo padre non era solito sbagliarsi. Non su quelle cose, almeno, per tutto il resto... beh, "tutto il resto" non gli interessava e basta. Compreso suo figlio.


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
20 Dicembre 1943
23:04

Mark non era ancora riuscito a decidere se la verità sul conto di quella ragazzina gli era piaciuta: l'importante in effetti era solo che il padre non venisse a conoscenza per nessun motivo di ciò che aveva fatto la notte prima con quella ragazza: era russa e rappresentava per molti versi tutto ciò che loro odiavano. Certo, era stata  una consolazione sapere di non essersi mischiato con sudicio sangue ebreo, ma comunque un disonore ammettere di essersi portato a letto una come lei. No, si sarebbe portato il segreto nella tomba. Forse, e solo forse, avrebbe potuto parlarne solo con Walter Hoffmann, ma perché ne sentiva il bisogno.
Non aveva neanche parlato al padre del Natale, sapeva che non gli interessava poi più di tanto e si chiese perché quell'anno sarebbe dovuto essere diverso.
Il biondo aprì la porta della camera dove alloggiava Bea Gurtsieva. La ragazza era distesa, a letto, raggomitolata su se stessa e con il leggero lenzuolo di cotone che la copriva fino al collo. Mark si ritrovò a pensare che dovesse morire di freddo: era risaputo che in Germania il freddo c'era, loro era addestrati a sopportarlo, certo, ma avvicinandosi non riuscì a decidere se una pelle tanto delicata come quella che aveva davanti avesse fatto altrettanto.
Il giovane soldato sapeva che non stava dormendo: il respiro non era regolare, né gli sembrava naturale la posizione in cui la ragazza si trovava. Aveva spento anche la piccola fonte di luce che teneva in camera, sì, ma non stava dormendo. Si perse ad osservare il piccolo corpo della ragazza tremare, scosso da brividi, e solo dio sa da cosa erano provocati quei brividi. Forse paura. Mark le si avvicinò: non sapeva come comportarsi. Non aveva mai socializzato con un deportato prima di allora, né aveva visto altri doverlo fare. Perché a lui toccava? Non era bravo nemmeno nelle relazioni interpersonali, figurarsi quelle costrette. Quando mai, oltre Walter, aveva avuto un amico, lui?!
<< Non stai dormendo >> non era una domanda, quindi non necessitava di alcuna risposta, eppure quando l'aveva pronunciata si era aspettato di vederla girarsi, o almeno di ricevere un cenno del capo come conferma delle sue teorie, anche se ovviamente non ne aveva bisogno. La ragazza, invece, non si mosse di un solo millimetro, rimanendo a tremare nel piccolo letto che le era stato destinato quando era stata condotta nel lager di Buchenwald.
Il ragazzo sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, capendo finalmente dov'era il problema. Certo, come se non fosse già un grandissimo problema il fatto di essere lì, ma questo lui non poteva capirlo: se lì con lui non ci fosse stato il padre, sarebbe stato qualcosa di molto simile ad un paradiso, per lui. << Credi davvero che, se volessi ripetere l'esperienza di ieri sera, mi farei fermare da una ragazzina addormentata?! >> sbottò. Lo prendeva come un insulto alla sua intelligenza. D'accordo, farlo con una persona dormiente non doveva essere il massimo, ma avrebbe potuto benissimo svegliarla, sì!
Stranamente però non aveva intenzione di torturarla, quella sera. Era decisamente troppo stanco e anche abbastanza nervoso.
<< Lascio la tua cena sul tavolo. Quando ne avrai voglia, potrai alzarti. >>. Dover scendere a quegli stupidi ricatti per non farla morire di fame ed essere quindi ucciso a sua volta per aver permesso ad una deportata che nascondeva informazioni utili di non mangiare lo irritava a morte. Poggiò la gamella contenente la zuppa sul tavolino, accanto alla piccola luce spenta, prima di andarsi a sedere in terra, contro una parete, quella più distante dal letto della ragazza. La osservò per diversi minuti, attendendo che si alzasse dal giaciglio, spinta dalla fame che sicuramente in quel momento le attanagliava le viscere: le portava qualcosa da mangiare solo la sera, durante il resto della giornata era occupato e dubitava che il padre incaricasse qualcuno di fare altrettanto.
Quella fu la seconda notte che Mark Schreiber passò, a dormire, in camera di Bea Gurtsieva; solo che stavolta si era addormentato seduto sulle assi di legno del pavimento della stanza.


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
21 Dicembre 1943
02:23

Mark Schreiber era solo un soldato semplice, lo sapeva bene, ma aveva un udito finissimo ed il sonno molto leggero: qualità utili per la carriera che andava ad intraprendere. Aprì gli occhi di scatto quando sentì il materasso cigolare sotto il peso di un corpo. Gli ci volle qualche secondo per partorire l'idea che la ragazza si fosse alzata, colta dai crampi allo stomaco provocati dalla fame.
Tentò di mettere a fuoco la scena, ma stava osservando la stanza buia da pochissimo, troppo poco perché i suoi occhi si fossero già abituati alla luce del sole. Davvero troppo poco. Però poteva sentire i suoi passi che percorrevano la distanza tra il letto e il tavolino, e intravedeva un'ombra scura muoversi per la stanza. Eppure non si mosse, non sapeva perché ma voleva solo rimanere ad osservarla un po', per poi strisciare a dormire in camera sua, sul suo comodissimo letto che poi di comodo non aveva così tanto. Doveva essere tardissimo e a lui stavano venendo i brividi di freddo. Chissà come doveva sentirsi lei con quella veste di un tessuto così leggero da far schifo,coperta da quel lenzuolo di cotone.
La vide -più che altro la sentì- mangiare il misero pasto che si era dato la pena di portarle, probabilmente la ragazza pensava che il soldato stesse dormendo e che quindi poteva continuare a non vederlo e ad evitarlo pur mangiando quello che le era concesso mangiare: poco. La pelle di Bea aveva assunto un insolito pallore quasi cadaverico, così diverso dal bel candore che gli illuminava la pelle diafana in Russia; no, quel bianco sapeva di malaticcio. Subito dopo aver poggiato la gamella, ormai vuota, a terra, la sentì singhiozzare: era quello che voleva ma nessun sorriso si dipinse sulle labbra di quel ragazzo. Realizzò solo in quel momento che alla fine vedere (o sentire come nel suo caso) una ragazza piangere non era bello come aveva immaginato.
Mark attese, seduto in quell'angolo, con la schiena poggiata contro la parete, a fingere di dormire. Ascoltò i singhiozzi, intravide le lacrime rigarle il volto e Mark non era mai stato un tipo a cui le lacrime piacevano molto. Sebbene fosse una stupida comunista, una mocciosetta ed una deportata, gli era stato insegnato che non si doveva mai portare una ragazza alle lacrime.
Non seppe quanto tempo passò, prima che l'esile figura di Bea Gurtsieva si adagiasse di nuovo tra le lenzuola e, poco dopo, il ragazzo poté sentire il suo respiro regolarizzarsi, avendo la certezza che fosse caduta tra le braccia di Morfeo, lasciandosi cullare da quest'ultimo nell'immenso oblio del sonno. Si alzò dal pavimento, riscoprendosi intorpidito in qualunque parte del corpo e raggiunse il letto della ragazza, osservandola. Non sapeva cosa gli era preso, quando l'aveva violentata, ma gli era piaciuto:; questo era innegabile e probabilmente anche la ragazza era riuscita a percepirlo. Allungò la mano destra in sua direzione e le sfiorò delicatamente una guancia: adesso che stava dormendo, che non lo osservava con quell'aria insopportabile e che non aveva paura di lui sembrava... tremendamente bella. Bella come Mark Schreiber non aveva mai visto una donna. Bella come non dovrebbe assolutamente essere una ragazza piena di lividi e con il corpicino malato.
Si riprese qualche istante dopo, ritraendo la mano: schifato dai suoi stessi comportamenti. Decise di tornarsene in camera sua, alla svelta.


Weimar, Germania.
23 Dicembre 1943
13:12

<< Tuo padre non torna per pranzo, vero? >> la domanda di Mark suonava tranquilla ed innocente e nascondeva l'urgenza che aveva di parlare con il suo migliore amico, in privato. Fortunatamente avevano casa Hoffmann tutta per loro, quel giorno: la signora era andata a trovare sua sorella, a Berlino e sarebbe rimasta da lei fino a tardo pomeriggio, mentre probabilmente il signor Hoffmann stava ancora lavorando. Era solo giovedì, ma il soldato semplice era riuscito a scompare ai suoi doveri alludendo alla scusa che era il 23 dicembre e lui doveva ancora comprare un regalo di Natale al maggiore Schreiber.
Walter appariva quasi divertente, agli occhi del suo migliore amico, mentre cercava di cucinare un pranzo decente per entrambi: Walter Hoffmann non era una mago in cucina, sapeva fare pochissime cose, ma quando si metteva in testa di imparare a fare qualcosa era un'impresa cercare di fargli cambiare idea e, purtroppo, Mark si ritrovava ad essere la cavia preferita per i suoi "manicaretti". << No, papà torna verso le quattro del pomeriggio, perché? >>
Il biondo seduto a tavola si limitò a scrollare le spalle, con disinvoltura, << Pensavo che non riuscirebbe a trovare nemmeno lontanamente commestibile quello che stai facendo con quei poveri spaghetti >> rispose, con ironia, anche se probabilmente era vero: assomigliavano di più ad una massa informe che giaceva nella padella che ad un pasto che un essere umano avrebbe mangiato senza rigettare pochi minuti dopo; ma Walter non si lasciava scoraggiare per così poco!
Walter rise, << Scommetto che li mangerebbe, e direbbe anche che sono buonissimi! >> ribatté il ragazzo, scherzando, anche se sapeva che quello non era il reale motivo della domanda del suo migliore amico: lo conosceva da troppo tempo per credere a qualsiasi minima balla raccontata da quest'ultimo. No, non poteva crederci e basta, gli leggeva negli occhi che non era così.
<< D'accordo, credo siano pronti... >> la voce del giovane Hoffmann era alquanto insicura, mentre portava due abbondanti porzioni di spaghetti/poltiglia in due piatti, piazzandone uno davanti al suo migliore amico e sedendosi a sua volta, << Bene, buon appetito! >> annunciò, fingendosi entusiasta della propria creazione, come se quell'effetto disgustoso e molliccio fosse voluto e non solo un esperimento venuto decisamente male perché non aveva la minima idea di come si cucinasse e sua madre non gli aveva lasciato nulla di già pronto da poter riscaldare in un pentolino.
Schreiber rigirò la sua forchetta nel piatto, << Domani è la viglia >> disse, sorridendo in direzione dell'amico, anche se gli risultava difficile, era ancora afflitto da ciò che era successo sere prima: non vedeva la ragazza da quella notte; passava a portargli la cena, apriva appena la porta, la poggiava per terra e richiudeva la porta di scatto, tornando in camera sua e facendo tutto quello che aveva sempre fatto a quell'ora prima dell'arrivo di quella mocciosetta.
<< Sì. A Natale siete a pranzo qui, no? >> chiese Hoffmann, sorridendo calorosamente. Adorava quando la famiglia di Mark veniva a pranzo dalla sua, il giorno di Natale, era una tradizione che si portava avanti da quando la mamma di Mark era ancora viva, sebbene il resto della storia non fosse esattamente felice. Beh, Walter ci provava a far star bene il suo migliore amico, almeno in quel giorno, senza che il ricordo della madre gli creasse troppi problemi.
Mark annuì, velocemente, portandosi un enorme forchettata di spaghetti alle labbra ed ingoiandoli senza protestare, quasi volesse auto-impedirsi di parlare e di dire qualunque cosa. Voleva parlare con il suo migliore amico di ciò che era successo, ma sapeva benissimo com'era fatto e, francamente temeva il suo giudizio più di quello di qualsiasi altra persona. << Cos'è successo, avanti? >>. Sì, lo conosceva troppo bene e il soldato ne aveva appena avuto la conferma.
Scrollò le spalle, senza riuscire in alcun modo a fissare i suoi occhi in quelli del migliore amico, << Hai presente quella ragazza? Vedi... tu, lo sai che è un periodo difficile per me, no? L'altro giorno era stata davvero una brutta giornata. Ero nervoso e sono andato a portarle da mangiare e lei era lì, quasi sul punto di piangere ed io... credo di averci fatto del sesso >> borbottò velocemente, dando la possibilità a Walter di capire solo poche delle parole che aveva appena finito di pronunciare ma, a giudicare dall'espressione che mostrava, non gli piacevano per niente.
<< Qualcosa mi dice che lei non era tanto d'accordo >> borbottò Walter, alzandosi e lasciando perdere il suo piatto di spaghetti, iniziando a lavare la padella utilizzata per cucinare: quella era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato dal suo migliore amico e d'un tratto gli era passata tutta quella fame che aveva fino a tipo cinque o quattro minuti prima. Chissà perché poi.
Mark sbuffò, passandosi una mano tra i capelli biondi, << D'accordo, Walter, ho sbagliato, ma non prendertela così! In fondo è solo una come tutti gli altri e non le ho fatto poi così male. Era già piena di lividi, che differenza avranno fatto quelli che le ho procurato io? >> no, non lo pensava davvero, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo e in più odiava sul serio litigare con Walter Hoffmann e non vedeva il motivo per il quale il suo migliore amico dovesse mettersi a difendere una ragazzina che nemmeno aveva mai visto. Sì, l'aveva vista, d'accordo, ma non era questo il punto.
<< Ti rendi conto di quello che hai fatto?! Forse non ci pensi, ma solo perché sono stati portati qui da gente come i nazisti, non vuol dire che non siano persone in carne ed ossa, che non soffrano, che non sentano il bisogno di stare bene >> Walter stava davvero per impazzire, per la notizia spiacevole datagli dal suo migliore amico: mai si sarebbe aspettato che facesse così con una povera ragazzina indifesa. << Non è giusto trattarli come bestie >> concluse, alla fine.
Mark scrollò le spalle, abbastanza offeso, anche se non voleva davvero litigare con Walter. << Beh, si dia il caso che io sia un nazista e che il nostro compito sia distruggerli completamente >> borbottò, mandando giù a forza un'altra enorme forchettata di quegli spaghetti indigesti.
Un lampo attraversò gli occhi di Walter << Chiedile scusa >> pretese, voltandosi a fissarlo con quegli occhi azzurri, così intensi e profondi; quegli occhi azzurri che a lui, purtroppo erano sempre mancati.
<< ... Cos...? Stai scherzando, vero? >> no, Mark non avrebbe potuto concepire il fatto che l'altro potesse fare sul serio, probabilmente. << Se non lo fai, dopodomani non scomodarti a venire >> sbottò ancora il suo migliore amico e Schreiber decise che sì, odiava decisamente Walter i suoi fottutissimi ultimatum del cazzo. << Lo farò >> concesse, solo per volere divino.
Un sorriso si dipinse sulle labbra di Walter, che tornò a sedersi di fronte al suo amico. << La sai una cosa, Walter? Questi così fanno davvero schifo >>.


So che lo sai
Gabbie di strategie
Fa quasi impazzire
Fa quasi impazzire
So cos'è

Puoi non assaggiare
Per veder se il gusto se ne va
O ti devasta, o ti devasta il prezzo
Che si ha
[Strategie, Afterhours]
   
 
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