Buona
notte gente! E' tardissimo e quindi sarò alquanto breve:
Scusatemi,
vi prego, per il ritardo di questi giorni, ma ho davvero avuto un sacco
di cose per la testa e adesso non mi metterò qui a parlare
dei miei problemi perché a voi, ovviamente non interessa
proprio e fate decisamente bene. xD
Sto
morendo di sonno, voglio solo andare a dormire quindi vi auguro buona
lettura del capito, vi prometto che settimana prossima
cercherò di essere più puntuale (compiti e
vacanze permettendo, ovviamente) e passo subito ai ringraziamenti.
Ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:
-
Bbw87
-
Fairness
-
Mareike Tiaycia
-
OlandeseVolante
-
Nadine_Rose
-
niacara07
-
Norine
-
Prusskj_Lazur
-
ChyoChan
-
la_regina
Coloro
che la hanno inserita tra le ricordate:
-
fedecaccy
-
Rayne
Coloro
che la hanno inserita tra le preferite:
-
chyo
-
xxGiuls.
-
kikka23
-
elly04
-
Karota
-
Luna_LoveDark
E
infine le due magnifiche ragazze che hanno trovato il tempo di
recensire:
-
Fairness
-
Norine
Al prossimo aggiornamento,
Schizophrenia.
Salviamoci
la pelle.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
20
Dicembre 1943
20:35
Il soldato con la divisa nazista si recò in sala da pranzo. Non si era ancora cambiato: quella mattina non era andato all'allenamento e aveva dovuto dare parecchie spiegazioni di vario genere; ovviamente tutte false, ma non c'è nemmeno bisogno di specificarlo. Insomma, non poteva certo dire in giro di essersi scopato una deportata; certo, sapeva anche che molti ufficiali approfittavano della loro posizione e delle ragazze giovani e belle che arrivavano al campo. All'interno dei lager c'erano dei veri e propri giri di prostituzione, ma a Mark non era mai interessato: aveva sempre potuto avere tutte le belle donne tedesche che voleva e non si era mai nemmeno impegnato sentimentalmente con una di loro, perché divertirsi con una sporca polacca o ebrea quando poteva avere la pura razza ariana tra le lenzuola?
Con quella
ragazzina era stato diverso. Qualcosa negli occhi verde smeraldo e tra
i lividi scuri che macchiavano la pelle nivea l'aveva convinto ad
avvicinarsi e a marchiarla definitivamente. Non sapeva nemmeno quanti
anni avesse, perché fosse lì e tra quanto si
sarebbero decisi a farla fuori, in fondo avevano già
iniziato a torturarla di brutto. Ad ogni modo, a lui non interessava,
lui aveva ottenuto ciò che voleva.
Si sedette,
di fronte a suo padre, << Buona sera >>
salutò, servendosi da mangiare carne e patate. La cameriera
aveva già portato tutto a tavola, quindi era in ritardo e
non aveva avuto nemmeno il tempo di farsi una doccia. Perfetto. Non
aveva nemmeno avuto la possibilità di raggiungere Walter e
chissà come aveva passato lui la giornata.
<<
Ciao. Mi hanno informato che stamattina non ti sei presentato agli
allenamenti, potresti spiegarmene il motivo? >>, la voce
del maggiore Schreiber era dura. Non sopportava che suo figlio facesse
qualcosa di sbagliato, lo considerava già abbastanza
sbagliato per il solo fatto di esistere e per quei dannati occhi
marroni così poco tedeschi. Voleva proprio farlo impazzire,
eh?!
Mark
notò l'irritazione, trattenuta con parole fredde, nella voce
del padre e si ritrovò ad abbassare il capo, iniziando a
tagliare la carne, come se non avesse nemmeno sentito la sua domanda.
Lo odiava dal profondo quando lo trattava così, come se
fosse un semplicissimo soldato che gli era stato affidato ventiquattro
ore su ventiquattro e non il figlio che aveva visto crescere e
trascinato da Berlino a Weimar e in fine in quello stupido campo di
concentramento.
<<
Allora? >> il maggiore iniziava seriamente ad
innervosirsi. Nervosismo dovuto al silenzio del figlio. Non sopportava
il carattere di quel ragazzo e stava iniziando seriamente a pensare di
mandarlo via, da qualche parte a fare qualcosa di utile alla
società tedesca.
<<
Avevo la febbre >> mentì il ragazzo, alzando
gli occhi e guardando quelli azzurrissimi del padre. Sapeva di essere
convincente: mentire era la cosa che gli riusciva meglio, subito dopo
sparare a qualcuno centrando perfettamente il bersaglio. Si stava
trattenendo dall'alzarsi in quel momento dal tavolo. Si stava
trattenendo solo perché stava morendo di fame.
<< Ieri sera ho portato da mangiare alla deportata
numero... >>, cambiò argomento e fece una
breve pausa alla fine, non ricordando il numero di serie. Adesso che ci
pensava, non ricordava nemmeno di averglielo visto un numero tatuato
sul braccio, ma non ci aveva fatto neanche particolarmente attenzione.
<<
Sì, ho capito >> lo interruppe il padre. Il
figlio avrebbe potuto portare da mangiare solo ad una deportata poi,
ovvero quella che alloggiava in una camera della loro residenza, tutti
gli altri potevano andare, quando suonava la campana, a sfamarsi in
mensa, e poi non credeva che suo figlio si interessasse a qualcosa che
non fosse un ordine impartitogli. << Non ha un numero, te
l'avevo detto che era una deportata speciale >> gli
ricordò il maggiore Schreiber, come se fosse ovvio.
I due non
avevano mai parlato di quella ragazza che forse in quel momento stava
dormendo. Non ce n'era stato bisogno: tutto ciò che doveva
fare Mark era portarle da mangiare ogni tanto e controllare che non vi
fossero vie di fuga. Gli pareva di farlo anche abbastanza bene, ma
molto probabilmente per il padre non era abbastanza. Pazienza, ormai ci
era abituato.
<<
L'avete torturata? >> buttò lì
Mark, continuando a consumare la sua cena. Era molto curioso di sapere
cosa fosse successo alla ragazza, anche se molto più
probabilmente la sua curiosità scaturiva dalla domanda:
perché quello che era successo alla ragazza le era successo?
Non ricordava avessero mai riservato quel tipo di trattamenti a nessuna
loro deportata, né tanto meno ad un deportato di sesso
maschile. Non che facesse molta differenza il sesso dell'uno o
dell'altra, a dire il vero.
Il maggiore
Schreiber scrollò appena le spalle, <<
"Torturata" è una parola un po' grossa, non pensi, Mark?
>> chiese il padre, in una ovvia domanda retorica. Non
gli piaceva che il figlio s'impicciasse di affari strettamente legati
ai deportati o a ciò che avveniva in quel campo. Lo aveva
educato per bene all'odio, questo era certo, ma pensava che non avrebbe
capito e, allora, probabilmente, avrebbe anche dovuto ucciderlo. Non
era una cosa che gli andava particolarmente a genio. Sua moglie non
sarebbe stata molto felice di sapere che avrebbe dovuto uccidere il
loro unico figlio, ma sua moglie non c'era più da tempo.
Il ragazzo
scrollò le spalle, << Allora cosa le avete
fatto? >> chiese ancora. La curiosità di quel
ragazzo era nota a tutti quelli che lo conoscevano bene, quasi quanto
il suo orgoglio e la sua testardaggine. Il fatto che il padre sembrasse
restio a parlargliene, poi, gli dava ulteriore voglia di scoprire il
mistero della mocciosetta, Bea. La ragazza a cui aveva tolto la
verginità.
<<
Ci servivano delle informazioni, Mark >>
sbottò il padre, scocciato. Stava capendo che, se non gliene
avesse parlato lui in prima persona, il suo adorato primogenito sarebbe
anche stato capace di andare a chiedere tutto a quel relitto della
società che era quella ragazza. << Pensiamo
sia in stretti contatti con le forze russe. La faremo parlare
>> concluse alla fine, l'uomo, minimizzando la cosa il
più possibile e cercando di alimentare l'odio del figlio dei
confronti della ragazza.
Il giovane
biondo lo guardò, confuso. Si era accorto dal nome che la
ragazza era russa, ma non pensava che una, che era ancora praticamente
una bambina, potesse avere delle informazioni sull'Armata Rossa, lo
reputava praticamente impossibile, ma sapeva anche che suo padre non
era solito sbagliarsi. Non su quelle cose, almeno, per tutto il
resto... beh, "tutto il resto" non gli interessava e basta. Compreso
suo figlio.
Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
20
Dicembre 1943
23:04
Mark non era ancora riuscito a decidere se la verità sul conto di quella ragazzina gli era piaciuta: l'importante in effetti era solo che il padre non venisse a conoscenza per nessun motivo di ciò che aveva fatto la notte prima con quella ragazza: era russa e rappresentava per molti versi tutto ciò che loro odiavano. Certo, era stata una consolazione sapere di non essersi mischiato con sudicio sangue ebreo, ma comunque un disonore ammettere di essersi portato a letto una come lei. No, si sarebbe portato il segreto nella tomba. Forse, e solo forse, avrebbe potuto parlarne solo con Walter Hoffmann, ma perché ne sentiva il bisogno.
Non aveva
neanche parlato al padre del Natale, sapeva che non gli interessava poi
più di tanto e si chiese perché quell'anno
sarebbe dovuto essere diverso.
Il biondo
aprì la porta della camera dove alloggiava Bea Gurtsieva. La
ragazza era distesa, a letto, raggomitolata su se stessa e con il
leggero lenzuolo di cotone che la copriva fino al collo. Mark si
ritrovò a pensare che dovesse morire di freddo: era risaputo
che in Germania il freddo c'era, loro era addestrati a sopportarlo,
certo, ma avvicinandosi non riuscì a decidere se una pelle
tanto delicata come quella che aveva davanti avesse fatto altrettanto.
Il giovane
soldato sapeva che non stava dormendo: il respiro non era regolare,
né gli sembrava naturale la posizione in cui la ragazza si
trovava. Aveva spento anche la piccola fonte di luce che teneva in
camera, sì, ma non stava dormendo. Si perse ad osservare il
piccolo corpo della ragazza tremare, scosso da brividi, e solo dio sa
da cosa erano provocati quei brividi. Forse paura. Mark le si
avvicinò: non sapeva come comportarsi. Non aveva mai
socializzato con un deportato prima di allora, né aveva
visto altri doverlo fare. Perché a lui toccava? Non era
bravo nemmeno nelle relazioni interpersonali, figurarsi quelle
costrette. Quando mai, oltre Walter, aveva avuto un amico, lui?!
<<
Non stai dormendo >> non era una domanda, quindi non
necessitava di alcuna risposta, eppure quando l'aveva pronunciata si
era aspettato di vederla girarsi, o almeno di ricevere un cenno del
capo come conferma delle sue teorie, anche se ovviamente non ne aveva
bisogno. La ragazza, invece, non si mosse di un solo millimetro,
rimanendo a tremare nel piccolo letto che le era stato destinato quando
era stata condotta nel lager di Buchenwald.
Il ragazzo
sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, capendo
finalmente dov'era il problema. Certo, come se non fosse già
un grandissimo problema il fatto di essere lì, ma questo lui
non poteva capirlo: se lì con lui non ci fosse stato il
padre, sarebbe stato qualcosa di molto simile ad un paradiso, per lui.
<< Credi davvero che, se volessi ripetere l'esperienza di
ieri sera, mi farei fermare da una ragazzina addormentata?!
>> sbottò. Lo prendeva come un insulto alla
sua intelligenza. D'accordo, farlo con una persona dormiente non doveva
essere il massimo, ma avrebbe potuto benissimo svegliarla,
sì!
Stranamente
però non aveva intenzione di torturarla, quella sera. Era
decisamente troppo stanco e anche abbastanza nervoso.
<<
Lascio la tua cena sul tavolo. Quando ne avrai voglia, potrai alzarti.
>>. Dover scendere a quegli stupidi ricatti per non farla
morire di fame ed essere quindi ucciso a sua volta per aver permesso ad
una deportata che nascondeva informazioni utili di non mangiare lo
irritava a morte. Poggiò la gamella contenente la zuppa sul
tavolino, accanto alla piccola luce spenta, prima di andarsi a sedere
in terra, contro una parete, quella più distante dal letto
della ragazza. La osservò per diversi minuti, attendendo che
si alzasse dal giaciglio, spinta dalla fame che sicuramente in quel
momento le attanagliava le viscere: le portava qualcosa da mangiare
solo la sera, durante il resto della giornata era occupato e dubitava
che il padre incaricasse qualcuno di fare altrettanto.
Quella fu la
seconda notte che Mark Schreiber passò, a dormire, in camera
di Bea Gurtsieva; solo che stavolta si era addormentato seduto sulle
assi di legno del pavimento della stanza.
Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
21
Dicembre 1943
02:23
Mark Schreiber era solo un soldato semplice, lo sapeva bene, ma aveva un udito finissimo ed il sonno molto leggero: qualità utili per la carriera che andava ad intraprendere. Aprì gli occhi di scatto quando sentì il materasso cigolare sotto il peso di un corpo. Gli ci volle qualche secondo per partorire l'idea che la ragazza si fosse alzata, colta dai crampi allo stomaco provocati dalla fame.
Tentò
di mettere a fuoco la scena, ma stava osservando la stanza buia da
pochissimo, troppo poco perché i suoi occhi si fossero
già abituati alla luce del sole. Davvero troppo poco.
Però poteva sentire i suoi passi che percorrevano la
distanza tra il letto e il tavolino, e intravedeva un'ombra scura
muoversi per la stanza. Eppure non si mosse, non sapeva
perché ma voleva solo rimanere ad osservarla un po', per poi
strisciare a dormire in camera sua, sul suo comodissimo letto che poi
di comodo non aveva così tanto. Doveva essere tardissimo e a
lui stavano venendo i brividi di freddo. Chissà come doveva
sentirsi lei con quella veste di un tessuto così leggero da
far schifo,coperta da quel lenzuolo di cotone.
La vide
-più che altro la sentì- mangiare il misero pasto
che si era dato la pena di portarle, probabilmente la ragazza pensava
che il soldato stesse dormendo e che quindi poteva continuare a non
vederlo e ad evitarlo pur mangiando quello che le era concesso
mangiare: poco. La pelle di Bea aveva assunto un insolito pallore quasi
cadaverico, così diverso dal bel candore che gli illuminava
la pelle diafana in Russia; no, quel bianco sapeva di malaticcio.
Subito dopo aver poggiato la gamella, ormai vuota, a terra, la
sentì singhiozzare: era quello che voleva ma nessun sorriso
si dipinse sulle labbra di quel ragazzo. Realizzò solo in
quel momento che alla fine vedere (o sentire come nel suo caso) una
ragazza piangere non era bello come aveva immaginato.
Mark attese,
seduto in quell'angolo, con la schiena poggiata contro la parete, a
fingere di dormire. Ascoltò i singhiozzi, intravide le
lacrime rigarle il volto e Mark non era mai stato un tipo a cui le
lacrime piacevano molto. Sebbene fosse una stupida comunista, una
mocciosetta ed una deportata, gli era stato insegnato che non si doveva
mai portare una ragazza alle lacrime.
Non seppe
quanto tempo passò, prima che l'esile figura di Bea
Gurtsieva si adagiasse di nuovo tra le lenzuola e, poco dopo, il
ragazzo poté sentire il suo respiro regolarizzarsi, avendo
la certezza che fosse caduta tra le braccia di Morfeo, lasciandosi
cullare da quest'ultimo nell'immenso oblio del sonno. Si
alzò dal pavimento, riscoprendosi intorpidito in qualunque
parte del corpo e raggiunse il letto della ragazza, osservandola. Non
sapeva cosa gli era preso, quando l'aveva violentata, ma gli era
piaciuto:; questo era innegabile e probabilmente anche la ragazza era
riuscita a percepirlo. Allungò la mano destra in sua
direzione e le sfiorò delicatamente una guancia: adesso che
stava dormendo, che non lo osservava con quell'aria insopportabile e
che non aveva paura di lui sembrava... tremendamente bella. Bella come
Mark Schreiber non aveva mai visto una donna. Bella come non dovrebbe
assolutamente essere una ragazza piena di lividi e con il corpicino
malato.
Si riprese
qualche istante dopo, ritraendo la mano: schifato dai suoi stessi
comportamenti. Decise di tornarsene in camera sua, alla svelta.
Weimar,
Germania.
23
Dicembre 1943
13:12
<< Tuo padre non torna per pranzo, vero? >> la domanda di Mark suonava tranquilla ed innocente e nascondeva l'urgenza che aveva di parlare con il suo migliore amico, in privato. Fortunatamente avevano casa Hoffmann tutta per loro, quel giorno: la signora era andata a trovare sua sorella, a Berlino e sarebbe rimasta da lei fino a tardo pomeriggio, mentre probabilmente il signor Hoffmann stava ancora lavorando. Era solo giovedì, ma il soldato semplice era riuscito a scompare ai suoi doveri alludendo alla scusa che era il 23 dicembre e lui doveva ancora comprare un regalo di Natale al maggiore Schreiber.
Walter
appariva quasi divertente, agli occhi del suo migliore amico, mentre
cercava di cucinare un pranzo decente per entrambi: Walter Hoffmann non
era una mago in cucina, sapeva fare pochissime cose, ma quando si
metteva in testa di imparare a fare qualcosa era un'impresa cercare di
fargli cambiare idea e, purtroppo, Mark si ritrovava ad essere la cavia
preferita per i suoi "manicaretti". << No,
papà torna verso le quattro del pomeriggio,
perché? >>
Il biondo
seduto a tavola si limitò a scrollare le spalle, con
disinvoltura, << Pensavo che non riuscirebbe a trovare
nemmeno lontanamente commestibile quello che stai facendo con quei
poveri spaghetti >> rispose, con ironia, anche se
probabilmente era vero: assomigliavano di più ad una massa
informe che giaceva nella padella che ad un pasto che un essere umano
avrebbe mangiato senza rigettare pochi minuti dopo; ma Walter non si
lasciava scoraggiare per così poco!
Walter rise,
<< Scommetto che li mangerebbe, e direbbe anche che sono
buonissimi! >> ribatté il ragazzo, scherzando,
anche se sapeva che quello non era il reale motivo della domanda del
suo migliore amico: lo conosceva da troppo tempo per credere a
qualsiasi minima balla raccontata da quest'ultimo. No, non poteva
crederci e basta, gli leggeva negli occhi che non era così.
<<
D'accordo, credo siano pronti... >> la voce del giovane
Hoffmann era alquanto insicura, mentre portava due abbondanti porzioni
di spaghetti/poltiglia in due piatti, piazzandone uno davanti al suo
migliore amico e sedendosi a sua volta, << Bene, buon
appetito! >> annunciò, fingendosi entusiasta
della propria creazione, come se quell'effetto disgustoso e molliccio
fosse voluto e non solo un esperimento venuto decisamente male
perché non aveva la minima idea di come si cucinasse e sua
madre non gli aveva lasciato nulla di già pronto da poter
riscaldare in un pentolino.
Schreiber
rigirò la sua forchetta nel piatto, << Domani
è la viglia >> disse, sorridendo in direzione
dell'amico, anche se gli risultava difficile, era ancora afflitto da
ciò che era successo sere prima: non vedeva la ragazza da
quella notte; passava a portargli la cena, apriva appena la porta, la
poggiava per terra e richiudeva la porta di scatto, tornando in camera
sua e facendo tutto quello che aveva sempre fatto a quell'ora prima
dell'arrivo di quella mocciosetta.
<<
Sì. A Natale siete a pranzo qui, no? >> chiese
Hoffmann, sorridendo calorosamente. Adorava quando la famiglia di Mark
veniva a pranzo dalla sua, il giorno di Natale, era una tradizione che
si portava avanti da quando la mamma di Mark era ancora viva, sebbene
il resto della storia non fosse esattamente felice. Beh, Walter ci
provava a far star bene il suo migliore amico, almeno in quel giorno,
senza che il ricordo della madre gli creasse troppi problemi.
Mark
annuì, velocemente, portandosi un enorme forchettata di
spaghetti alle labbra ed ingoiandoli senza protestare, quasi volesse
auto-impedirsi di parlare e di dire qualunque cosa. Voleva parlare con
il suo migliore amico di ciò che era successo, ma sapeva
benissimo com'era fatto e, francamente temeva il suo giudizio
più di quello di qualsiasi altra persona. <<
Cos'è successo, avanti? >>. Sì, lo
conosceva troppo bene e il soldato ne aveva appena avuto la conferma.
Scrollò
le spalle, senza riuscire in alcun modo a fissare i suoi occhi in
quelli del migliore amico, << Hai presente quella
ragazza? Vedi... tu, lo sai che è un periodo difficile per
me, no? L'altro giorno era stata davvero una brutta giornata. Ero
nervoso e sono andato a portarle da mangiare e lei era lì,
quasi sul punto di piangere ed io... credo di averci fatto del sesso
>> borbottò velocemente, dando la
possibilità a Walter di capire solo poche delle parole che
aveva appena finito di pronunciare ma, a giudicare dall'espressione che
mostrava, non gli piacevano per niente.
<<
Qualcosa mi dice che lei non era tanto d'accordo >>
borbottò Walter, alzandosi e lasciando perdere il suo piatto
di spaghetti, iniziando a lavare la padella utilizzata per cucinare:
quella era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato dal suo migliore
amico e d'un tratto gli era passata tutta quella fame che aveva fino a
tipo cinque o quattro minuti prima. Chissà perché
poi.
Mark
sbuffò, passandosi una mano tra i capelli biondi,
<< D'accordo, Walter, ho sbagliato, ma non prendertela
così! In fondo è solo una come tutti gli altri e
non le ho fatto poi così male. Era già piena di
lividi, che differenza avranno fatto quelli che le ho procurato io?
>> no, non lo pensava davvero, ma era troppo orgoglioso
per ammetterlo e in più odiava sul serio litigare con Walter
Hoffmann e non vedeva il motivo per il quale il suo migliore amico
dovesse mettersi a difendere una ragazzina che nemmeno aveva mai visto.
Sì, l'aveva vista, d'accordo, ma non era questo il punto.
<<
Ti rendi conto di quello che hai fatto?! Forse non ci pensi, ma solo
perché sono stati portati qui da gente come i nazisti, non
vuol dire che non siano persone in carne ed ossa, che non soffrano, che
non sentano il bisogno di stare bene >> Walter stava
davvero per impazzire, per la notizia spiacevole datagli dal suo
migliore amico: mai si sarebbe aspettato che facesse così
con una povera ragazzina indifesa. << Non è
giusto trattarli come bestie >> concluse, alla fine.
Mark
scrollò le spalle, abbastanza offeso, anche se non voleva
davvero litigare con Walter. << Beh, si dia il caso che
io sia un nazista e che il nostro compito sia distruggerli
completamente >> borbottò, mandando
giù a forza un'altra enorme forchettata di quegli spaghetti
indigesti.
Un lampo
attraversò gli occhi di Walter << Chiedile
scusa >> pretese, voltandosi a fissarlo con quegli occhi
azzurri, così intensi e profondi; quegli occhi azzurri che a
lui, purtroppo erano sempre mancati.
<<
... Cos...? Stai scherzando, vero? >> no, Mark non
avrebbe potuto concepire il fatto che l'altro potesse fare sul serio,
probabilmente. << Se non lo fai, dopodomani non
scomodarti a venire >> sbottò ancora il suo
migliore amico e Schreiber decise che sì, odiava decisamente
Walter i suoi fottutissimi ultimatum del cazzo. << Lo
farò >> concesse, solo per volere divino.
Un
sorriso si dipinse sulle labbra di Walter, che tornò a
sedersi di fronte al suo amico. << La sai una cosa,
Walter? Questi così fanno davvero schifo >>.
So
che lo sai
Gabbie di strategie
Fa quasi impazzire
Fa quasi impazzire
So cos'è
Puoi non assaggiare
Per veder se il gusto se ne va
O ti devasta, o ti devasta il prezzo
Che si ha
[Strategie, Afterhours]
Gabbie di strategie
Fa quasi impazzire
Fa quasi impazzire
So cos'è
Puoi non assaggiare
Per veder se il gusto se ne va
O ti devasta, o ti devasta il prezzo
Che si ha
[Strategie, Afterhours]