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Autore: Mark MacKinnon    01/08/2011    4 recensioni
Questa non è casa tua.
Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino.
Non puoi stare qui.

Il capolavoro di Mark MacKinnon tradotto da Il Corra Productions, una delle ff più sconvolgenti mai scritte, torna riveduto e corretto.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".

ULTIMO CAPITOLO ON LINE.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




V

Cuori a nudo





Mi trovavo davanti alla porta di Nabiki, cercando di sopprimere il senso di panico che mi stava aggrovigliando lo stomaco. Kasumi aveva ragione, avevo bisogno di parlare con lei, di scusarmi.
È solo che non volevo farlo.
Beh, neanche quello era vero del tutto. Volevo chiarire le cose, ma avrei preferito averlo già fatto così non avrei dovuto starmene qui a cercare il coraggio per farlo.
Oh, al diavolo. Strinsi i denti, presi un bel respiro, e bussai.
"Avanti". Aprii la porta ed entrai. Era adagiata sul letto con il mento appoggiato a una mano, le gambe alzate al livello delle ginocchia dondolavano leggermente seguendo qualche ritmo silenzioso. Alzò lo sguardo dalla rivista aperta sul letto, con un'espressione disinvolta. Pensai di aver visto un lampo d'emozione nei suoi occhi, anche se per un attimo solo, ma forse lo avevo immaginato.
"Nabiki".
"Ranma".
"Ranko, ricordi?". Si alzò con un unico movimento, appoggiando la schiena alla parete e raccogliendo le ginocchia al petto.
"Ah, già. Continuo a scordarlo. È uno dei modi con cui possiamo distinguerti dal nostro Ranma". Uno dei modi oltre al fatto che Ranma non mi avrebbe mai detto quello che tu mi hai detto, sembrava suggerire la sua posa. Ma di nuovo, potevo essermelo immaginato. Rimasi in piedi davanti al letto, stringendo e rilassando nervosamente le mani. Sentii il sangue salirmi al volto. Non ero mai stato bravo in quel genere di cose.
"Io, uh, volevo parlarti". Dissi alla fine. Lei si limitò a guardarmi impassibile.
"Mi stai parlando".
"Accidenti, Nabiki!", sbottai. Non stava andando bene. Feci un respiro profondo e la guardai, cercando di ispirare sincerità. "Senti", continuai dopo un momento, "riguardo stamattina. Ero fuori fase, voglio dire MOLTO fuori fase, e volevo dirti che mi dispiace". Lei si limitò a guardarmi, senza dire niente. "Ero arrabbiato, e diavolo lo sono ancora, ma questo non mi scusa per aver usato i ricordi di tua madre in quel modo. Prometto che non succederà più". Aspettai di vedere come avrebbe reagito.
"Ok". La sua voce era inespressiva, come se avesse appena detto che la sua cena sarebbe stata pronta in cinque minuti. Ok? Sentii quella rabbia irragionevole montare di nuovo al vederla, e cercai di ricordare a me stesso che era stata la stessa a mettermi in quella situazione all'inizio.
"Tutto qui? Ok?". Cercai di mantenere un tono di voce calmo e ci riuscii. Per lo più.
"Beh, cosa vuoi che ti dica?".
"Vorrei che tu provassi qualcosa! Voglio che... che... baaaaah!". Scossi la testa disgustato. "Lascia perdere. Mi sono scusato, ed ero sincero. Se non vuoi accettare le mie scuse, non posso farci niente". Mi girai e marciai verso la porta. Accidenti a quella ragazza! Stavo per prendere la maniglia quando lei parlò.
"Ranko". Qualcosa nella sua voce mi fermò. Mi girai, riluttante, per guardarla. Non si era mossa, la sua espressione non era cambiata, ma mi stava fissando. "Ranko", ripeté piano, "torna qui e siediti. Per favore?". Quell'ultimo per favore mi convinse. C'era emozione nelle sue parole, autentica emozione, un senso di colpa, di dolore. Con cautela, tornai sui miei passi, agguantai la sedia dalla sua scrivania, e mi ci misi a cavalcioni, appoggiandomi allo schienale. Lei incontrò il mio sguardo, e la sua bocca si torse in un sorriso piccolo, ma gentile.
"Accetto le tue scuse", disse con voce bassa e composta.
"Grazie".
"Non mi ringraziare". Una piccola e dolorosa scheggia di rabbia si era insinuata nella sua voce, ma sentii che non era diretta a me. Lei strinse le braccia attorno alle ginocchia come se avesse freddo e le sfregò distrattamente con i palmi. "Non sei il solo che dovrebbe scusarsi, dopo tutto. Io ti ho ferito per prima. E quello che hai detto non avrebbe fatto così male se non mi fossi chiesta, di tanto in tanto, la stessa cosa".
"Nabiki!".
"Aspetta, Ranko. Ti devo dire una cosa. Non vorrei, ma credo che tu ti sia meritato di saperlo". Distolse lo sguardo, arrossendo, e spinse la testa contro le ginocchia. Fissò un punto del pavimento e parlò con la voce grossa dall'emozione. Questo era quello che volevo, la vera Nabiki Tendo, la ragazza dietro la maschera.
Allora perché mi stava rendendo così dannatamente nervoso?
"Stamattina, quando Kasumi mi ha chiesto cosa fosse successo, le ho detto come mi sono fatta trascinare dal mio grande piano, ed era vero. Le ho anche detto che non avevo mai voluto ferirti". Spostò lo sguardo su di me, uno sguardo timido, incerto. "E quello non era vero", sussurrò. Sentii una spiacevole fitta colpirmi il petto alle sue parole.
"Cosa? E... perché?". Era tutto quello che riuscii a pensare di dire. Lei lasciò cadere ancora lo sguardo, stringendo più forte le ginocchia. Il linguaggio del suo corpo parlava di una tristezza a mala pena contenuta.
"Sei così simile a Ranma", disse alla fine. "Hai vissuto in questa casa tutto questo tempo, ma non mi conosci per niente. Ma non è granché sorprendente. Non sono una persona facile da conoscere, e non sono una persona facile da amare. So queste cose sul mio conto, e le accetto. La maggior parte del tempo". Mi limitai a fissarla, incerto sul dove questo stesse portando, più confuso che arrabbiato. Lei sembrò raccogliersi, poi si buttò. "Ranma, e sono sicuro che per te è lo stesso, si lamenta sempre di tutte le ragazze che gli danno la caccia. Ha avuto persino ragazzi che davano la caccia al suo lato femminile. E nessuno di voi ha mai dovuto fare qualcosa, succedeva e basta! Akane ha dovuto farsi strada tra orde di ragazzi ogni mattina. Ryoga va in palla ogni volta che le è vicino, e lei non sembra nemmeno notarlo. Kasumi riesce a rendere il dottor Tofu incapace di pensieri razionali solo schiarendosi la voce". Affondò il volto ancora di più nel riparo delle braccia incrociate, senza guardarmi ancora. Mi sentivo quasi paralizzato. Non sapevo cosa mi fossi aspettato, ma decisamente non quello. "Tu non hai idea di come mi fa sentire a volte il modo in cui sembrate tutti considerare questa attenzione una scocciatura, e prenderla per scontata. Sai cosa vorrei? A volte vorrei che, solo per una volta, qualcuno si precipitasse qui e annunciasse: ‘Nabiki Tendo, io devo averti!’. Solo una volta". Fece una risatina sforzata e amara, e potevo vederle gli occhi brillare di quelle che sembravano sospettosamente lacrime trattenute. "Ma sentimi", disse, "la Regina del Gelo che sembra una scolaretta gelosa". Soppressi la tentazione di dirle che, tecnicamente, era proprio quello che lei era. Non penso che l'avrebbe trovato molto confortante. "Me la sono presa con Ranma, l'ho trattato male ogni tanto, tirchieria a parte," continuò con calma, con la voce che tremava anche se così poco. "Non è colpa sua... non è colpa tua se alla gente piaci tu. Non è colpa tua se alla gente non piaccio io. Ma l'ho fatto lo stesso, spesso per riflesso, come le zuffe di Ranma e Akane. E stavolta, l'ho fatto a te e mi sono spinta troppo oltre. E mi dispiace".
"Nabiki". Ero sbalordito. Scossi lentamente il capo, cercando di riconciliare la ragazza che mi parlava con la spassionata, avida Nabiki dei miei ricordi.
"No", disse piano. "Non dispiacerti per me. Basta e avanza che tu abbia avuto il fegato per venire qui per scusarti. Sedevo qui e ti ascoltavo, e tutto quello cui riuscivo a pensare era che alla fine avessi avuto quello che mi meritavo...".
"Nabiki!". Mi sporsi sulla sedia, facendola sobbalzare. "Non è vero", continuai con tono più calmo quando alla fine mi guardò negli occhi. "Io dovrei saperlo bene. Ho perso tutti i miei cari, ricordi? La ferita è così fresca che non riesco ancora a pensare a loro. Se qualcuno avesse usato il loro ricordo contro di me, l'avrei odiato". Lei resse fermamente il mio sguardo, raddrizzandosi un po'.
"Non ti odio", disse alla fine. "L'ho fatto, quando l'hai detto, e se tu non fossi tornato a dirmi queste cose probabilmente ti starei ancora odiando. Ma ora mi sembra solo una perdita di tempo. Penso che dovemmo ordinare il cessate il fuoco, che ne dici?". Mi fece un sorrisetto tremante, e io annuii.
"Affare fatto", dissi solennemente. "E per quello che ti ho detto...".
"Dimenticalo".
"No".
"Ranko, forse avevi ragione. Forse dovrei impegnarmi di più per essere una persona di cui lei sarebbe fiera". Sospirai, sentendo qualcosa allentarsi nel petto.
"Nabiki, mi sento così male. Non mi sono mai accorto di ferirti, tutte quelle volte...".
"Ehi, Ranko. Se la gente si accorgesse di come mi sento, non sarei io, giusto?", sogghignò, con un'ombra della sua solita espressione.
"Forse sarebbe una buona cosa. Voglio dire, se la gente potesse capire come ti senti. Almeno qualche volta".
"Non so. Sono abbastanza attaccata al mio modo di essere. Non riesco a vedermi così di colpo tutta espansiva". Alzò una mano e si portò i capelli dietro l'orecchio, guardandomi. "Ci penserò, comunque".
"Fallo". Mi alzai, facendo scivolare la sedia al suo posto, e feci una pausa. "Allora siamo a posto?", chiesi. "Voglio dire, tra di noi?".
"Ma sì, immagino che siamo a posto". Si stiracchiò, rilassando le spalle, e si alzò con grazia. "Sai, tu possiedi profondità inesplorate, Saotome. Sono piacevolmente sorpresa. E", continuò, un po' impacciata, "se hai bisogno di parlare, sai, di quello che è successo alla tua famiglia, e...". Si interruppe.
"Grazie", dissi, sorpreso. "Lo terrò presente". Allora mi guardò, e il suo solito sorriso asciutto era tornato a piena forza.
"Oh, uffa, Saotome, adesso basta con gli occhioni da cucciolo", disse seccamente, ma non c'era rancore nel suo tono, e i suoi occhi danzavano allegramente. "Fuori di qui, ok? Dopo tutti questi piagnistei, mi toccherà andare a espropriare un orfanotrofio o qualcosa del genere. Vai, vai". Aprii la porta.
"Sei unica, Nabiki", dissi uscendo.
"Non è vero", disse lei piano. Poi la porta si chiuse e mi ritrovai solo nel corridoio.
Respirai profondamente e lasciai uscire tutta la tensione che potei. Poi scossi al testa meravigliato. Nabiki Tendo, soggetta alle stesse paure e gelosie di tutti noi. E per tutto il tempo che l'avevo conosciuta, non l'avevo mai capito. Era lei a essere brava a nascondere i suoi sentimenti, o era la gente che la valutava e poi la metteva da parte? Io l'avevo fatto?
E ora avevo visto il morbido, vulnerabile interno della sua anima. Me l'aveva mostrato, sapendo che avrei potuto usare quella conoscenza contro di lei, ma confidando, in ultima analisi, che non l'avrei fatto.
Fiducia. Lei si fidava di me. E ne ero felice. Felice che le mie parole infuriate non avessero causato un danno irreparabile. Ma mi fece pensare a tutte le altre cose che pensavo di sapere della gente, tutte le cose che prendevo per scontate.
Quali altre sorprese erano in serbo per me?


Nodoka rimase perfettamente immobile, tenendo il malumore sotto controllo. Genma e Soun, ancora ignari della sua presenza, erano seduti a gambe incrociate e guardavano Ranma e Akane in giardino.
La giovane coppia stava bisticciando. Naturalmente. Nodoka respirò profondamente e avanzò verso i due uomini.
"Bene!", disse allegramente. "Sono tornata. Non è successo niente mentre ero fuori?". Genma la guardò da sopra una spalla e le fece un largo sorriso.
"Oh, bentornata. No, non è successo assolutamente niente. Giusto, Tendo?".
"Assolutamente. Nessun problema". Tornarono entrambi ai loro litigiosi eredi.
"Andiamo, ragazzo, baciala", esortò Genma sottovoce. Non notò che Nodoka aveva chiuso gli occhi nell'apparente sforzo di controllarsi.
"Se tutto è andato bene, forse potrete spiegarmi una cosetta o due", disse alla fine con un tono di voce incredibilmente calmo. "Come per esempio, perché ho appena visto Kasumi in cucina che sembrava depressa".
"Che?", chiese Soun incredulo.
"Oppure perché c'è un grosso buco su un lato della palestra che stamattina non c'era. O perché se ne sono andati tutti. O perché Ranma e Akane stanno litigando per Ranko! Ebbene?". Squadrò la coppia indifesa. "Tutto quello che vi avevo chiesto era di tenere d'occhio la situazione mentre ero via, e ora non avete idea di quello che è successo sotto i vostri nasi!".
"Ma, cara...", cominciò Genma.
"Lascia perdere i ‘cara’, Genma, Io non riesco a crederci!". Li fissò finché, comprendendo che non avessero idea del perché fosse così infuriata, se ne andò a grandi passi. I due la guardarono allontanarsi, stupefatti, poi si guardarono.
"Donne", dissero all'unisono.
"Non è successo niente di strano oggi", sospirò Genma.
"Questi ragazzi non fanno mai altro che azzuffarsi", concordò Soun, "non è una grande scoperta. Mi preoccuperei se non stessero litigando!".
"Non capisco perché fosse così preoccupata".
"Stanno davvero litigando per Ranko?".
"Prendi la sua mano, ragazzo. Andiamo! Aggggh! Non chiamarla così!".

Nodoka, nel frattempo, era partita alla ricerca di Ranko. Kasumi, che era tornata a sfoggiare il suo volto felice, le disse che probabilmente era ancora al piano di sopra. Nodoka accarezzò l'idea di chiedere a Kasumi cosa la stesse angustiando. Dopo tutto, lei dispensava l’unica influenza stabilizzatrice in una famiglia caotica. Non sarebbe stato sorprendente se questo la stressasse ogni tanto. Ma prima, doveva parlare con Ranko. Una crisi alla volta, si disse saggiamente.
Così si era limitata a ringraziare Kasumi e a dirigersi verso le scale, dove vide Ranko. Era seduto sull'ultimo gradino, immerso nei pensieri. Rimase colpita da quanto il ragazzo sembrasse stanco. Stanco e preoccupato. Il suo cuore si strinse a quella vista, e avanzò con un sorriso confortante sulle labbra.
"Ranko". Lui alzò gli occhi, cadendo dalle nuvole.
"Zia. Ciao". Lei alzò una mano al vederlo alzarsi, e si sedette sul gradino accanto a lui. La scala era piuttosto stretta, e i loro corpi si toccavano ai fianchi e alle spalle. Sapeva che lui avrebbe fatto resistenza a quanto voleva dirgli, ed era determinata a procedere con cautela. Restò seduta per un momento, assaporando quel momento d'intimità. Di rado aveva occasione di stare così con suo figlio, anche ora che sapeva della sua maledizione. Era passa così tanta acqua sotto i ponti...
"Giornata dura?", chiese gentilmente, voltandosi per guardarlo. Lui le fece un debole sorriso.
"Fino a ora, è stata piuttosto strana, sì".
"Capisco che sia stato un colpo vedere tutta quella gente stamattina. Ho intenzione di parlarne con Nabiki..."
"No! Voglio dire", balbettò, vedendo la sua espressione stupita, "per favore, no. Ci ho già parlato io. Penso che ci siamo capiti al riguardo". Nodoka alzò un sopracciglio e annuì con riluttanza.
"Molto bene. C'è un'altra cosa di cui ti volevo parlare, comunque. Sono andata a trovare il dottor Tofu oggi". Lui drizzò le orecchie all’udirla.
"Perché? Non ti senti bene?".
"Oh, no, Ranko. Non per me. Volevo parlargli di te. Ho pensato a quello che hai passato, cosa devi aver visto. Il dottor Tofu mi ha indirizzato a una persona, un consulente. Uno specialista nell'aiutare la gente ad affrontare eventi drammatici...". Si interruppe nel vedere l'espressione del ragazzo chiudersi. Sospirò. "Ranko, per favore, prendilo in considerazione", disse gentilmente.
"Non ho bisogno di parlare con uno strizzacervelli, zia. Starò bene!", protestò. Lei sentì un velato dolore nel petto al vedere la sua espressione testarda.
"Mai ammettere la necessità. Mai ammettere la debolezza. Il più virile degli uomini", sussurrò tristemente. "Proprio come volevo io". Gli occhi di Ranko si sbarrarono.
"Oh, no, non dirmi che anche tu ti senti in colpa?".
Anche?, pensò lei. A voce alta, disse: "Sembra che tua madre e io abbiamo commesso lo stesso errore con i nostri figli, Ranko. Al cuore dei problemi di Ranma, io credo, c'è l'incapacità di esprimere quello che si porta dentro". Con sua sorpresa, Ranko sorrise.
"Potresti stupirti", disse. "Penso che ci sia ancora speranza per lui". Sospirò. "Senti, zia, so che mi vuoi aiutare, ma...", cercò il modo migliore per esprimersi. "Tu non crederesti a certe conversazioni che ho avuto da quando sono qui. Mi sento come se avessi imparato di più su tutti voi nell'ultimo paio di giorni che in tutta la mia vita a casa. E ho l'impressione che non sia ancora finita". Sorrise tristemente, e i suoi occhi guardavano qualcosa che lei non poteva vedere. "Questo mi ha aiutato, in un certo senso. È come avere un'opportunità per risistemare le cose. Ranma è stato di grande aiuto".
"Ah sì?". Ranko ridacchiò alla sua voce scandalizzata.
"Già, ha sorpreso anche me. Ma abbiamo sistemato certe questioni oggi, e ora mi sento meglio. Non sto dicendo che sia stato facile, ma penso di potermela cavare da solo. Comincio a sentirmi come... non so, come se le cose potessero migliorare". Nodoka non era sicura se credergli o no. Non era nemmeno sicura se lui credesse a se stesso. Ma sapeva che non c'era motivo nel cercare di pressarlo.
"Ne sono felice", disse piano, guardandolo negli occhi. "Ma la mia offerta resta. Ti prego di pensarci. So quanto puoi essere testardo. Voglio che tu mi prometta che se tutto questo diventasse troppo per te, almeno verrai a parlare con uno di noi". Lui distolse lo sguardo, a disagio.
"Io... ci proverò". Disse alla fine. Lei annuì. Il suo esitare la convinse che era sincero. Se avesse acconsentito subito, avrebbe avuto dei sospetti.
"Ho anche pensato che dovremmo discutere del problema delle tue numerose fidanzate", disse con delicatezza. Per la verità, voleva parlare solo di una, ma pensò che fosse meglio utilizzare un approccio obliquo alla questione.
"Accidenti. Ma sono le ragazze di Ranma, ricordi?".
"Sì, ma è un fatto che queste ragazze sembrano considerarti solo un altro Ranma, per quanto possa essere ingiusto. Dovrai vedertela con loro. Sono molto persistenti, e ora hanno una reale possibilità di conquistarsi ‘Ranma’ come marito anche se questo matrimonio forzato si farà. Non credo che ti lasceranno molto scampo".
"Lo so". Le sue spalle caddero e ruotò gli occhi. "Mi inventerò qualcosa".
Ora. L'ultimo problema, e probabilmente il più delicato di tutti. Akane. Cosa sentiva per lei, e che effetto avrebbero avuto i suoi sentimenti sulla già difficile relazione di Ranma e Akane? Voleva a tutti i costi affrontare la questione ora, mentre era sola con Ranko. Sfortunatamente, Ryoga scelse quel momento per capitare là con un carico di legname da carpenteria.
"Uh, Ryoga, cosa stai facendo?", chiese Ranko, e il suo tono indicava che la risposta sarebbe stata utile se non per divertirsi. Ryoga aggrottò la fronte.
"Mi sono stancato di sentire Akane e Ranma litigare, così ho deciso di cominciare a riparare quel buco nella palestra. Il buco che hai fatto tu, potrei aggiungere". Il suo tono era scontroso, ma Nodoka osservò che il ragazzo stava aspettando con attenzione la risposta di Ranko. L'altro sogghignò e saltò giù dalle scale.
"È una buona idea", disse, illuminandosi alla prospettiva di un impegno semplice e manuale. "Ma loro tengono la palestra fuori, non in cucina". Ryoga guardò nella direzione in cui stava andando.
"Era una scorciatoia", disse semplicemente. Ranma ridacchiò, e dopo un momento, con grande stupore di Nodoka, Ryoga si unì a lui. La vista dei due ragazzi che scherzavano insieme la prese totalmente alla sprovvista.
"Non è mai così con Ranma", pensò, confusa. "Perché dovrebbe agire in questo modo con Ranko?". Lui si girò e le lanciò un sorriso.
"Possiamo finire di parlarne più tardi, giusto? Se non vado con lui, finirà a Hokkaido".
"Hokkaido", lo informò Ryoga gravemente, "si dà il caso che sia molto piacevole in questo periodo dell'anno". Rincominciarono entrambi a ridere, e Nodoka sorrise senza volerlo. L'umore di Ranko era migliorato così improvvisamente che non se la sentiva di continuare.
"Molto bene, andate pure, voi due. Prima che Soun si accorga di cosa avete fatto alla sua palestra". I due partirono, con Ranko che apriva la strada. Nodoka scosse gravemente la testa. La chiacchierata era andata come aveva previsto. Aveva saputo che lui avrebbe fatto resistenza prima di parlare a qualcuno dei suoi problemi. Lo aveva saputo perché Ranma avrebbe fatto lo stesso, e loro due erano perfettamente uguali.
Tranne che...
Tranne che per il fatto che non lo erano. Non del tutto. Non era sicura di come definirlo, ma sentiva come se Ranko stesse cambiando, distinguendosi di più da Ranma.
No, forse neanche quello era vero. Era quasi sicura che i due ragazzi fossero stati molto simili una volta, ma la tragedia che era precipitata su Ranko l'aveva cambiato, e lo stava ancora cambiando. Ed essere in quel posto, essere Ranko Saotome anziché Ranma, lo stava cambiando ancora di più. Era ancora molto simile al Ranma che tutti conoscevano, ma più il tempo passava più diventava un individuo distinto, con le sue peculiarità, le sue memorie.
Era inevitabile, suppose lei, e molto probabilmente una buona cosa. Ma avrebbe potuto causare un po' di sorprese ai suoi amici, specialmente alle ragazze che speravano di ottenere Ranma, qualsiasi Ranma, come marito.
Che tu possa vivere tempi interessanti. Non si meravigliava che fosse considerata una maledizione.


Mi alzai dopo aver piantato un chiodo nel bordo inferiore dell'asse, tergendomi la leggera pellicola di sudore dalla fronte. Faceva bene essere al lavoro su qualcosa, senza dover pensare. Il buco che avevo fatto era quasi del tutto coperto, anche se il legno nuovo avrebbe fatto risaltare la toppa sul muro della palestra.
Naturalmente, innumerevoli altre toppe risaltavano per bene. I buchi nel muro non erano un incidente raro da queste parti.
"Ehi, Ranko".
"Sì?".
"Va tutto bene?". Guardai Ryoga. Stava esaminando il suo lavoro, cercando inutilmente di sembrare indifferente. Sorrisi nel constatare quanto lui fosse trasparente. Ryoga non era assolutamente capace di nascondere alcunché.
"Vuoi dire per...", gesticolai con espressività verso il buco ormai quasi riparato. Lui alzò una mano per grattarsi la nuca, ridendo imbarazzato, poi si sistemò nervosamente la fascia tigrata.
"È solo che, beh, dopo quello che ti ha fatto quell'idiota di Ranma...". Sorrisi ancora di più, sentendolo parlare di Ranma in quel modo a me.
"Ryoga, è stata dura anche per lui, sai?", dissi. "Ha incassato tutto quello che è successo, finché non è esploso. Non ce l'ho con lui per averlo detto. Probabilmente io avrei voluto credere la stessa cosa al suo posto". Ryoga sembrò a disagio.
"Dici sul serio?".
"Certo. Ci siamo seduti e abbiamo messo in chiaro le cose, qualcosa che probabilmente avremmo dovuto fare dal principio. Fidati, ora va tutto bene". Lui annuì senza convinzione.
"Beh, Akane era davvero preoccupata per tutta questa faccenda". Rise di nuovo, sembrando ancora più sulle spine. "Anzi, era davvero preoccupata per lui. Sentirlo dire quelle cose l'ha sorpresa. Non credo che le fosse venuto in mente che lui potesse sentirsi colpevole per quello che è successo. Penso che metà del motivo per cui è così emotiva è che ce l'ha con se stessa per non averlo capito". Scossi tristemente la testa.
"Che peccato. E immagino che sia stata dura anche per te. Sentire quanto fosse preoccupata per Ranma, intendo". Ryoga si appoggiò contro il muro e incrociò le braccia, guardando il suolo con uno strano sorrisetto sulle labbra. "Ryoga?".
"A dire il vero, l'ho lasciata perdere". Lo fissai.
"Scusa, cosa hai detto?". Lui ridacchiò, continuando a guardare in basso.
"Mi hai sentito".
"Hai lasciato perdere Akane. Tutto qui". Ora aveva alzato lo sguardo per incontrare il mio. I suoi occhi erano scuri, e sembravano possedere una profondità che non avevo mai notato prima.
"Non è tutto qui, Ranko. Ci pensavo da molto tempo". Girò la testa, e mi chiesi che espressione avesse, cosa stasse vedendo. "Me lo sono portato dietro abbastanza. Un paio di giorni fa, sono saltato su nel bel mezzo di un litigio tra Akane e Ranma e se non fosse stato per te, lei sarebbe morta. E perché? Perché volevo proteggerla, difenderla. Ma lei non me l'ha mai chiesto, e non lo farà mai. È sempre Ranma che guarda quando crede che nessuno stia guardando. È sempre per lui che si preoccupa, sempre con lui che litiga. L'ho dovuto ammettere con me stesso. Se io dovessi morire domani...". Rabbrividii a quelle parole, ma lui non lo notò. "...avrei troppi rimpianti. Non posso confessarle i miei sentimenti, perché so che non farebbe alcuna differenza, eccetto farle provare pietà per me. E non posso continuare a giocare a P-chan solo per poter starle un po' vicino. Non è giusto per lei e per me". Avrei voluto discutere su questo punto, ma qualcosa mi disse di lasciarlo finire. Non credo che lui avrebbe continuato se l'avessi interrotto a quel punto.
"Dopo il nostro scontro, la signora Saotome ci ha fatto un bel discorso sulla responsabilità e la maturità. Bene, per me è tempo di cominciare ad agire un po' più responsabilmente. So meglio di chiunque altro che la sola cosa che tiene davvero separati quei due è tutta la gente che cerca di interferire con le loro vite. Se restassero soli anche solo per un giorno, potrebbero capire quanto tengono l'uno all'altra. Non posso smettere di punto in bianco di provare sentimenti per lei, ma da ora in poi avranno una persona in meno a cercare di dividerli. E forse potrò smettere di farmi del male cercando di ottenere qualcosa che non potrò mai avere. Allora forse lei potrà finalmente essere felice, come merita di essere". Dopo aver finito di parlare rimase fermo, quasi perfettamente immobile.
Ero sbalordito. Non mi ero aspettato niente del genere da Ryoga. Era sempre stato uno che si buttava a testa bassa, senza perdere tempo in queste considerazioni. Naturalmente, non avevo mai passato molto tempo a guardare le cose dal suo punto di vista. Sembrava che l'avessi liquidato un po' troppo in fretta.
Ma allora, il mio Ryoga aveva rinunciato alla sua vita per me. Per noi. Non mi sarei davvero dovuto sorprendere nel trovare un po' di nobiltà nella sua anima.
"Ryoga. Tu sei serio, vero?", scossi al testa, stupefatto. "Mi dispiace. So che non dev'essere stato facile per te. Sono davvero impressionato. Penso che tu abbia fatto la scelta giusta. E so che sei forte abbastanza per tenervi fede". Lui riportò lo sguardo su di me, e la sorpresa era evidente nei suoi occhi.
"Grazie", disse alla fine. "Sai, è strano. Parlare con te è diverso dal parlare con Ranma. È come se voi foste... simili, ma non uguali. Ha qualche senso?".
"Già, beh, anche i fratelli gemelli hanno personalità separate". Gli sorrisi. "Io sarò il gemello buono, e lui può essere quello cattivo". Ryoga sorrise in risposta. "Allora le dirai di... P-chan?". Intense macchie di colore apparvero sulle guance di Ryoga.
"Sei impazzito? Mi ucciderebbe! No, penso che dovremmo lasciare che P-chan si ritiri in pace. Niente più incursioni al letto di Akane". Ridemmo entrambi. Mi aveva fatto impazzire, tutte le volte che avevo trovato quello stupido porcellino nel letto della mia Akane, ma ora non sembrava così terribile. Solo un ricordo sereno di quello che era stato, tanto tempo fa.
Sperai che Ranma si sarebbe dimostrato disposto a perdonare e dimenticare.
"Ragazzi, mi sento meglio", disse Ryoga alla fine, sorpreso. "Sei un buon ascoltatore, Ranko. Avevi l'abitudine di parlare così col tuo Ryoga?".
"Stai scherzando? Le nostre conversazioni andavano più o meno tutte così: ‘RRRRRRRAAAAANMAAAA! PREPARATI A MORIREEEEEEEH!’".
Ryoga sbuffò, cercando di non ridere alla mia accuratissima imitazione.
"Oh, andiamo, Non sono così cattivo!".
"Ah sì? Poi io dicevo qualcosa del tipo, ‘oh, diavolo, cosa vuoi stavolta, P-chaaaaaan?’. E poi cominciavamo a distruggere cose cercando di abbatterci a vicenda". Alla fine scoppiò a ridere, e mi unii a lui.
"Beh, è bello vedere che vi state divertendo", disse una voce. Alzammo gli occhi e vedemmo Ranma e Akane che entravano nella palestra, seguite da Ukyo. Tutti e tre ci guardavano come se fossimo stati pazzi.
"Che succede?", chiese Ranma, confuso. Ryoga mi guardò.
"Rrrrrranmaaaaaa!", ululò. "Preparati a... morireeeeeeeeeeh!".
Entrambi ci mettemmo a ridere più forte.
"Che? Oh, cosa vuoi stavolta?", chiese Ranma. Gli occhi di Ryoga incontrarono i miei per un breve, perfetto momento, ed eravamo già partiti. Stavo ridendo così forte che mi ero dovuto sedere, con le lacrime agli occhi. Ryoga collassò di fianco a me, ridendo almeno altrettanto forte.
"Saotome, bastardo! Mentre noi ti stavamo cercando, tu ti stavi divertendo?". Attraverso le lacrime, vidi Kuno avanzare a grandi passi risoluti dalla porta. "Stolto! Mi hai diviso dalla mia ragazza col codino! Dov'è ella?".
"P-probab'lmente... andata a... Hokkaido", sussultai, cercando di controllare le risate.
"Hokkaido?", chiese, confuso.
"Gran... bel posto... questo periodo... dell'ah-anno", riuscì a dire Ryoga, poi ci perdemmo definitivamente, rotolandoci letteralmente sul pavimento.
"Tu... ti stai facendo gioco di me?", chiese orgogliosamente Kuno. Annuii freneticamente, incapace di parlare. Tutti ci stavano guardando ora, con varie sfumature di meraviglia. Notai che cominciavano ad apparire dei sorrisi, la nostra risata diventava contagiosa.
"Akane", chiese lentamente Ukyo, "hai mai visto Ryoga ridere in quel modo?".
"Uh-uh", disse lei, sorridendo. "Mai".
"Sono circondato da idioti", borbottò Kuno sottovoce. Ranma scosse la testa.
"Andiamo gente, cosa c'è di così divertente?", chiese querulamente.
"Quale che sia ciò che questi due hanno trovato, dovrebbero decisamente dividerlo con noi", annunciò Kodachi, raggiungendo il gruppo crescente. Rimasi sdraiato sul pavimento con Ryoga, cercando di respirare.
Era bello sapere che, dopo tutta l'oscura disperazione che avevo sperimentato quando ero solo, ero ancora capace di ridere. E faceva bene.


Kei diresse il fascio della sua torcia elettrica nelle ombre sopra la sua testa e imprecò. Da qualche parte lì vicino, nello scantinato buio, l'acqua stillava senza sosta, e il suono raccapricciante si riverberava sinistramente nell'oscurità.
"Kei. Kei! Dove diavolo sei?".
"Quassù!", gridò in risposta. Sciabordò in avanti e puntò di nuovo la torcia in alto. "Che diavolo?", mormorò. Sentì qualcuno muoversi nell'acqua, e si voltò per trovare Yusaku che camminava a fatica verso di lui, il fascio di luce della sua torcia saltellava irregolarmente mentre avanzava. Raggiunse Kei, bestemmiando duro.
"Per favore dimmi che hai avuto fortuna", lo pregò. Kei scosse la testa.
"Non ho mai visto niente del genere", sospirò. "Guarda tutte quelle tubature dell'acqua laggiù. Ma perché una dannata scuola ha bisogno di tutti questi condotti supplementari?".
"Forse il preside chiude tutti gli studenti cattivi nei sotterranei e poi li annega", bofonchiò Yusaku. "Ho sentito dire che quel tizio è fuori come un balcone".
"Già, bene, e io ho sentito che è il vicepreside a condurre la baracca, e lui vuole tutto riparato per lunedì mattina perché i corsi possano rincominciare. Dannazione, vorrei solo poter avere un po' di luce quaggiù".
"No problem", borbottò Yusaku. "Andrò a cercare il tipo dell’ENEL e gli farò accendere le prese. Naturalmente, siamo a mollo dentro due piedi d'acqua. Un cavo esposto, e...".
"Oh, sta zitto, asino. Lo so, è solo che è un incubo dover trovare qualcosa qui sotto nel buio!".
"Allora niente fortuna, eh?". Kei scosse la testa.
"Non riesco a trovare la dannata valvola di scarico principale da nessuna parte. I prospetti originali sono inutili, metà di questa roba non è nemmeno segnata. E non possiamo fare niente per le tubature finché non chiudiamo l'acqua. Hai trovato il tecnico responsabile della scuola?".
"Macché. Scommetto che lui sa dov'è la valvola, così naturalmente nessuno riesce a trovarlo. Quel tizio si beccherà una lunga vacanza quando diremo al suo capo di questo casino". Kei annuì, continuando ad avanzare, seguendo il labirinto di tubi sopra la sua testa con il raggio della torcia.
"Ouch!".
"Che c'è?".
"Ouf, sono finito contro qualcosa". Abbassò la luce e vide una catasta di banchi ammucchiati contro il muro. "Amico, finiremo per ammazzarci a forza di girare in tondo nel buio in questo modo!". Sentì Yusaku ridacchiare dietro di lui, e la sua irritazione crebbe. "Non è divertente! Ormai siamo quaggiù da mezza giornata, e non siamo nemmeno riusciti a chiudere il dannato rubinetto!".
"Ok, ok, rilassati. Vado a controllare da questa parte. Deve esserci una valvola principale da qualche parte. Ehi, qualcuno l'ha chiesto al preside?".
"Sembra che nessuno sappia dove sia. Ho sentito che raramente viene qui. Ecco perché è il vicepreside a mandare avanti le cose". Kei sentì Yusaku grugnire, per poi allontanarsi sciabordando attraverso l'acqua. Sospirò e continuò a farsi strada nel buio. Poteva sentire il suono della perdita crescere, e diresse la luce verso la sorgente. Il raggio si riflesse su una cascata d'acqua cristallina che sprizzava allegramente sul suolo inondato. Kei aggrottò la fronte. Quella perdita non era sufficiente a provocare tutta l'acqua che vedeva. Alzò gli occhi nel labirinto di tubature, cercando la sua fonte. Forse, pensò, chiunque ha aggiunto tutti questi condotti ha usato materiale scadente, che si è corroso fino a cedere. Quando la luce trovò la fonte dell'acqua, comunque, capì che non era quella la ragione.
"Maledizione", mormorò. Poteva vedere il metallo brillare alla luce sotto la superficie opaca del tubo. C'erano graffi recenti e segni attorno la falla nella conduttura. Qualcuno aveva deliberatamente inciso il metallo. E apparentemente, non aveva agito da solo.
Vandalismo. Fantastico. Quando avrebbero riferito quel piccolo particolare al vicepreside, sarebbe esploso. Probabilmente avrebbero chiamato gli sbirri. Ci sarebbero state delle indagini.
Fantastico.
"MERDA!". La testa di Kei scattò indietro mentre il grido riecheggiava follemente nell'oscurità del sotterraneo inondato.
"Yusaku! Va tutto bene?". Silenzio. "Ehi, 'Saku, piantala di scherzare, amico! Rispondimi!". Solo l'eco delle sue parole e il gocciolare incessante dell'acqua. Kei fece scattare nervosamente la sua luce. Se Yusaku era andato a sbattere contro qualcosa e aveva battuto la testa, poteva annegare in quel casino.
O se i ragazzi che avevano fatto il danno erano ancora là...
"Dannazione!". Kei cominciò a sguazzare rapidamente verso l'ingresso dove aveva visto il suo collega sparire solo pochi minuti prima. Il buio sembrava premere tutto attorno al sottile cono di luce, e lo faceva rabbrividire. Quel posto poteva sembrare innocuo con tutte le luci accese, ma ora acquistava una dimensione inquietante che risvegliava parti primitive del cervello di Kei.
Nel buio si nascondono cose cattive, Kei, gli disse il suo cervello. Le cose cattive ti aspettano nel buio. Cose molto, molto cattive che non amano la luce.
Francamente, Kei desiderava che il suo dannato cervello se ne stesse zitto.
Alla fine, l’ingresso si aprì di fronte a lui. Percepì piuttosto che vedere un largo spazio attorno a lui, sentì, attraverso l'eco ormai lontana dei suoi movimenti, ancora scorrere dell'acqua.
"Yusaku! Dove sei? Idiota! YUSAKU!". Nessuna risposta. Freneticamente, si lanciò in avanti. Yusaku doveva essere nei guai, pensò. Meglio per lui se è nei guai, perché se mi sta prendendo per il culo, io lo ammazzo.
Poi qualcosa urtò contro la sua gamba e lui si voltò, stupito. La sua luce si mosse intorno, poi puntò l’oggetto che galleggiava nell'acqua disturbando la sua ricerca frenetica. Si abbassò e lo pescò, tenendolo controluce con la mano libera.
Era uno stivale. Lo stivale di Yusaku.
Ed era stranamente pesante. Così Kei guardò dentro.
Il piede di Yusaku era ancora dentro.
Cose cattive, rincominciò il suo cervello con voce petulante. Cose cattive nel buio. Te lo dicevo io.
Lo stivale cadde dalle sue dita intorpidite per piombare rumorosamente nell'acqua. Kei si alzò lentamente, coi sensi che cercavano di penetrare l'oscurità opprimente. Sentiva solo l'eco dell'acqua che scrosciava tutt’intorno sinistramente, mascherando ogni altro suono eccetto il martellare dei suoi battiti nelle orecchie.
"Yusaku?", la voce uscì come uno squittio. Kei rimase immobile nel buio, sentendo il freddo dell'acqua stillare negli stivali.
E aveva paura. Improvvisamente non era più Kei Yashida, comproprietario della sua discretamente avviata compagnia di riparazioni idrauliche, non più.
Era Kei-chan, quattro anni, nascosto nel letto con le coperte alzate, impaurito dalle cose cattive.
Non c'è niente nel buio che non c'è nella luce, dicevano sempre i suoi genitori. Ma non avevano ragione. C'era qualcosa ora. Là nel buio con lui. E mamma e papà non potevano cacciarla via, oh no.
Aveva bisogno di fare pipì. Aveva bisogno di vedere il sole. Aveva bisogno di usciiiiiiiiiiiire. ORA.
Si voltò, cercando l'apertura della porta, ma trovò solo carne screziata di verde. Ansimò, con il cuore che ora batteva a tamburo, mentre la luce sembrava salire da sola. Su e su finché non trovò una testa, piena di denti e ardenti occhi rossi.
Kei sentì gli intestini cedere, sentì il calore che si diffondeva nei pantaloni, e frignò. Kei l'idraulico era scomparso. Restava solo Kei-chan.
E allora strillò.
"COSE CATTIVE! COSE CATTIVE! COSE CATTIIIIIIIIVE!". Una grossa mano artigliata si alzò e lo afferrò alla testa, alzandolo senza sforzo.
"COSE CATTIVE", concordò una voce piena di rottami di ferro arrugginiti. Poi cominciò a farlo vorticare intorno tenendolo per la testa. E si mise a cantare. "COSE CATTIVE, COSE CATTIVE, COSE COSE COSE CATTIIIIIVE...".
L'ultima sensazione di Kei fu quella di un dolore accecante mentre il suo corpo veniva sbattuto contro qualcosa di solido, e poi, misericordiosamente, tutto cessò.


Ukyo camminava per la strada, cercando di controllare le pulsazioni a mille. Era stato deciso che la cena si sarebbe consumata fuori, dato il bel tempo. Kasumi, Shampoo e Kodachi erano tutte impegnate a cucinare. Ryoga e Mousse stavano aiutando Ranma a finire di riparare il muro della palestra. Akane era stata assegnata alla preparazione dell'area picnic, la soluzione migliore per tenerla lontana dalla preparazione del cibo. Kuno aveva fatto l'errore di lanciarsi su Akane con l'espressa intenzione di proteggerla dal "malvagio" Saotome, e per il suo disturbo era stato scagliato nel laghetto. Si stava asciugando pacificamente sotto un albero, o almeno finché non avesse ripreso i sensi.
E così, nella confusione, lei aveva detto a Kasumi che sarebbe andata al suo ristorante per prendere delle altre fettuccine di soia, ignorando la replica confusa della ragazza che non avevano bisogno di altre fettuccine. Dopo tutto, non era quello il vero obbiettivo del viaggio.
Aveva fatto in modo che Ko-chan andasse con lei.
C'era voluta un po' di abilità per assicurarsi che nessuno degli altri capisse cosa stasse succedendo, e sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con Shampoo e Kodachi quando l'avrebbero scoperto. Ma quello, in fin dei conti, era un problema che poteva risolvere. Per ora, aveva Ko-chan tutto per lei.
Il problema con Ranma era che lei era arrivata troppo tardi. Al momento della sua entrata in scena, Akane era già là. Non aveva intenzione di lasciare che capitasse ancora.
Lanciò un'occhiata a Ko-chan dalla coda dell'occhio. Il suo bel profilo le fece accelerare di nuovo i battiti. Sembrava proprio uguale a Ran-chan, era proprio come lui, infatti, con un’importante differenza.
Non aveva fidanzate. Tecnicamente.
Sentì un'ondata di colpa a quel pensiero, e la seppellì con rabbia. Dopo tutto, non era colpa sua che fossero tutte morte. Ma lo erano, e lui aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a superare gli strascichi del trauma. Ukyo intendeva essere quel qualcuno. Lei lo avrebbe amato e sorretto incondizionatamente, e lui avrebbe finito col ricambiare il suo amore, e tutti sarebbero stati felici.
Beh, tutti tranne Shampoo e Kodachi, ma non poteva farci niente. In amore e in guerra tutto è concesso, dopotutto.
Ukyo sorrise e respirò profondamente. Amava la primavera, quando i boccioli di ciliegio erano in fiore. Era la sua stagione preferita. E ora stava camminando con l'amore della sua vita, condividendo quel momento.
Ma è Ranma l'amore della tua vita, obiettò parte di lei. Ranko non è Ranma. Non proprio.
Dannazione, pensò con rabbia. Non è diverso, non nel senso che conta! Non rovinerò questa opportunità, potrebbe essere l'ultima!
Tornò a guardarlo, pensando a quello che era successo prima nella palestra.
"Ko-chan?".
"Hmmm?", lui sbatté le palpebre e alzò gli occhi su di lei, sorridendo in quel modo che le faceva tremare le gambe.
"Va tutto bene? Voglio dire, tra te e Ranma. Dopo quello che è successo...".
"È stata una bella toccata e fuga, ma ci siamo chiariti ora. Non ti preoccupare, andrà tutto a meraviglia".
"Dove siete andati? Ho guardato ovunque sono riuscita a pensare, anche sotto al ponte dove vai ogni tanto...".
"Oh, da nessuna parte. Abbiamo trovato un posto tranquillo, e abbiamo parlato... del perché si sentiva colpevole, e del perché non doveva. È per quel motivo che ha detto quelle cose, sai. Tutta la situazione è strana, anche per questo gruppo. Immagino che avessimo bisogno di mettere le cose in chiaro tra di noi".
Ukyo pensò allo sguardo di Ko-chan quando Ranma aveva gridato che lui non avrebbe lasciato morire i suoi amici. Le aveva spezzato il cuore vedere la luce scomparire dai suoi occhi, ma era stato peggio il momento di dubbio che vi aveva visto. Era sicura che, solo per un attimo forse, Ranko si fosse chiesto se Ranma non avesse ragione.
Beh, non ne aveva assolutamente. Ranma era Ranma, a prescindere dall'universo di provenienza, e l'uomo che amava non avrebbe lasciato nulla di intentato per salvare i suoi amici. Lei non ne aveva il benché minimo dubbio. E sarebbe stata al suo fianco per dirglielo ogni volta che ne avesse avuto bisogno.
Alzò un braccio e sciolse il fiocco che le stringeva i capelli sulla nuca. Togliendolo, scosse la testa e tuffò le dita nei suoi lunghi capelli castani, lasciandoli scorrere nel vento crescente. Inclinò timidamente la testa e cercò di sbirciare se Ranko lo avesse notato. Era così. Stava facendo un sorrisetto per dirle che non gli era sfuggito il fatto che lei si stava pavoneggiando un po' a suo beneficio.
Oh, bene. Lei voleva che lui lo sapesse, dopo tutto. Sapeva di essere uno spettacolo singolare nei suoi vestiti da ragazzo con il colletto aperto e i capelli che ondeggiavano al vento. Per non menzionare la maxi spatola legata dietro la schiena. Ma stare con Ranma la faceva sempre sentire bella, e stare con Ranko era la stessa cosa. Intravide il suo ristorante e soppresse un sorriso malizioso.
"Ehi, Ko-chan".
"Hmmm?".
"Corri". E partì, scattando a tutta velocità verso il locale, ridendo fieramente alle proteste oltraggiate di Ranko. Poteva sentirlo divorare la strada dietro di lei mentre correva lungo il marciapiede, scartando i passanti sbalorditi. Sapeva che il suo avversario era veloce, ma anche lei lo era, e la sua partenza le dava un vantaggio decisivo. Eppure, raggiunse il portone solo un mezzo secondo prima di Ranko.
Incespicarono entrambi fino a fermarsi, ansimando per lo scatto, e caddero contro il muro riscaldato dal sole. Ukyo scostò i capelli dal volto e sogghignò insolente al suo avversario.
"Battuto", ansimò. Lui le fece una smorfia sarcastica.
"Hai barato", soffiò. Lei si limitò a mostrargli la lingua, poi pescò le chiavi da una tasca e aprì il portone. Entrarono. Ukyo si diresse verso le scale.
"Fai come se fossi a casa tua", disse da sopra la spalla. "Io vado a cambiarmi". Una volta di sopra, entrò in camera sua e si liberò dell'uniforme. Essere così scarsamente vestita con Ranko appena giù dalle scale le dava un brivido delizioso. Buttò il vestito sul letto che aveva lasciato sfatto quella mattina dopo aver comprato le informazioni di Nabiki, e cominciò a frugare nell'armadio.
Nabiki. Ricordarsi di fare quattro chiacchiere con quella ragazza. Informazioni esclusive, davvero. Eppure, non riusciva ad arrabbiarsi troppo. Tutto sembrava andare per il meglio, dopo tutto. Dopo essersi tormentata sul cosa mettersi, si decise finalmente per un paio di jeans stinti e una T-shirt con una felpa verde chiaro leggermente fuori taglia. Arrotolò le maniche e raccolse i capelli in una coda di cavallo, poi si voltò da una parte e dall'altra, guardandosi criticamente nello specchio. Un lento sorriso le crebbe sul volto.
"Perfetto", sussurrò. Non vistoso, ma decisamente invitante. Vediamo come resiste a questo, pensò.
Al piano di sotto, trovò Ranko seduto su uno dei suoi sgabelli, che tamburellava distrattamente le dita sul bancone lasciando vagare lo sguardo. Si chiese, in un attimo di empatia, a cosa stesse pensando. Pensieri gravi, senza dubbio. Bene, lo avrebbe tirato su lei. Scivolò dietro di lui, e premendosi all'improvviso contro la sua schiena gli coprì gli occhi con le mani.
"Indovina chi è", gli sussurrò nell'orecchio. Lui si irrigidì per un attimo, poi si rilassò con un sospiro.
"Beh, visto che qui dentro ci siamo solo noi due, e non sono io...".
"Oh, uffa", disse lei, "non sei divertente". Lo lasciò andare con riluttanza, respirando il profumo dei suoi capelli e della sua pelle. Era così intimo, essere sola nel ristorante con lui. Si chinò dietro al bancone canticchiando allegramente.
"Che stai facendo?".
"Prendo le fettuccine, ricordi?". Lui la fissò, e il suo sorriso stonava orribilmente con la pena nei suoi occhi.
"Ukyo. Sai perfettamente che Kasumi non ha bisogno di altre fettuccine". Il suo cuore balzò dolorosamente. Ukyo. Non Ucchan. E lo sguardo nei suoi occhi...
"E allora perché sei venuto con me?", chiese, cercando di mantenere la voce allegra, guardandolo oltre il bancone. È vero, pensò mentre si appoggiava sulle mani per guardarlo negli occhi, se lui sapeva che era tutta una scusa per restare sola con lui, perché è venuto? A meno che non volesse restare solo con me...
"Volevo parlarti a quattr'occhi. Dopo tutto, sembra che questa sia la mia giornata per le conversazioni col cuore in mano". Lei non capiva di cosa stesse parlando, e improvvisamente desiderò che lui non continuasse. I suoi occhi erano pozzi senza fondo di dolore, eppure contenevano una determinazione che la spaventava. Qualunque cosa stesse per dirle, non voleva ascoltarla.
"Ti prego, non guardarmi così.". Si sorprese nel capire che l'aveva detto ad alta voce. Ranko rabbrividì colpevolmente, ma non distolse lo sguardo.
"Ukyo...".
"Chiamami Ucchan. Per favore". Il nudo bisogno nella sua voce la spaventò. Il locale non sembrava più intimo, sembrava vuoto e freddo. Tutto era cambiato, così in fretta.
Non mi può rifiutare, pensò disperatamente. Anche lui, no.
"Lei era la mia Ucchan", rispose lui, reggendo il suo sguardo. "Per il resto di questa conversazione, penso che sia importante ricordare che noi ci siamo incontrati solo oggi. Io sono Ranko e tu sei Ukyo. Non sto cercando di ferirti, Ukyo, ma dobbiamo parlare, e possiamo benissimo farlo ora. Dopo tutto, tu ami Ranma, non me".
"Non è vero! Tutto ciò che amo di lui è in te! Posso vederlo, posso sentirlo, il tuo cuore è come il suo! Tutto quello che conta è identico!". Si sporse verso di lui, cercando di imprimere più forza nelle sue parole, cercando di fargli capire i suoi sentimenti. Lui sospirò.
"Senti, Ukyo, eravamo quasi identici all'inizio, credo, ma ora non più. Ciò che ti capita cambia quello che sei, e mi sono capitate cose piuttosto sgradevoli che non lo hanno toccato. Diventiamo più diversi ogni giorno che passa, e io non ho idea di come sarò alla fine. Ma non ci sono garanzie che sarò come Ranma. Mi capisci?".
"E va bene! Io voglio essere là con te, Ranko, a tutti i costi!." Lui scosse con rabbia il capo.
"Dannazione, Ukyo, ascoltami! Ho appena perso la donna che amavo e tutto ciò che avevo! Vuoi davvero essere al secondo posto nel mio cuore dopo i fantasmi del mio passato? Vuoi davvero essere la ragazza che ho scelto solo perché non potevo avere ciò che volevo? Lo vuoi sul serio?". Ukyo lo guardò, con i pugni stretti, e disse la verità che aveva dentro.
"Io sarei quella ragazza. Per te, lo sarei. Mi basterebbe". Lo sussurrò, ma Ranko sobbalzò come se lei gli avesse urlato quelle parole in faccia. Sbatté rapidamente le palpebre, mentre un brivido lo attraversava.
"Oh, no", bisbigliò. "Per favore, Ukyo, no. Non dirlo. Non... accidenti! Come puoi dire una cosa del genere? Come potresti piegarti così? Ukyo", la scongiurò, "tu meriti molto più di questo. Meriti di essere la prima nel cuore di un uomo, meriti qualcuno che pensi solo a te, alla tua felicità. Ti prego non farlo. Sei carina, e intelligente, e simpatica... perché vuoi che ti faccia questo? Perché?".
Lei si limitò a guardarlo, sperando, desiderando che le arrivassero le parole, parole che gli avrebbero fatto cambiare idea, fatto sì che la amasse.
"Perché", disse, cercando di ignorare il nodo in gola, il bruciore agli occhi, "ci sei solo tu dentro di me. Ci sei sempre stato tu. Ti ho odiato, poi ti ho amato, ma ci sei sempre stato solo tu. Ranko o Ranma, non importa. Solo il tuo volto, la tua anima. Solo tu".
"Non posso ricambiarti", mormorò lui, e lei chinò la testa così non avrebbe visto se le fossero scappate le lacrime. Perché lo aveva temuto, temuto per tanto tempo, e non aveva voluto arrendersi.
"Per lei", sussurrò amaramente. Lui non disse niente, e lei fissò la superficie del bancone attraverso il velo delle lacrime. "Lo so. Oh, lo so. Dopo che tu hai salvato Akane e sei scappato l'altro giorno, l'ho visto. Lui l'ha portata fino a casa, e il modo in cui la guardava... lei era rannicchiata tra le sue braccia, si fidava totalmente di lui. E lui continuava a guardarla con quello sguardo che...". Si fermò, deglutendo. "Sapevo che non mi avrebbe mai guardato in quel modo. Mai. Credo che non si sia neanche ricordato che fossi là. Aveva occhi solo per lei. Alla fine ho sentito che non c'era speranza, che non si sarebbe mai voltato verso di me.
"Ma poi, sei arrivato tu. Ed era come se io avessi una seconda possibilità. Proprio quando avevo finalmente cominciato a credere che non avrei mai potuto avere Ranma, tu sei arrivato. E ora tu vuoi che io mi... ARRENDA?". Scosse la testa, facendo sbattere freneticamente la coda di cavallo contro la guancia. "No. Non lo farò. Non chiedermelo, perché non lo farò". Sentiva le lacrime scorrerle lungo il viso, e si chiese come avesse potuto cadere da una tale gioia solo pochi minuti prima a una tale tristezza. Lo sentì spostarsi sullo sgabello, e soffocò un singhiozzo angosciato. Non lo farò, si ripeté in silenzio. Mai.
"Ucchan", disse piano Ranko. Usando il nome che solo lui usava con lei. La sua voce, così dolce, non voleva più causarle altro dolore. "Non vuoi qualcuno che ti guardi come Ranma guardava Akane? Non è quello che vuoi davvero? Ucchan, io non sarei mai capace di farlo. Anche se potessi innamorarmi di nuovo, e adesso non credo che sia possibile... Ucchan, i miei ricordi di lei si frapporrebbero tra di noi. Non può succedere. Lascia perdere. Per favore".
"No". Ukyo alzò gli occhi, luccicanti di lacrime. "Io farei qualsiasi cosa per te. Ma non questo. Non mi arrenderò". Lui chiuse gli occhi.
"Dannazione, Ucchan, ti causerò dolore solo facendomi vedere, e non è quello che volevo. Io volevo farla finita una volta per tutte, chiarire le cose ora così da non causare false speranze".
"E sei stato chiaro, Ko-chan". Disse lei con durezza, sfregandosi rabbiosamente il polso sul volto per asciugare il grosso delle lacrime. "I sentimenti che proverò non saranno colpa tua. Mi hai avvisato. Ok?". Lo fissò, sperando che capisse. Lui ricambiò lo sguardo, con un'aria svuotata e ferita, senza sapere cos'altro dire. Restarono là, faccia a faccia, per un'eternità.
"Tutta la logica e il buon senso del mondo", disse lei alla fine, a voce bassissima, "non possono cambiare l'amore. Il mio cuore ignora la tua logica, Ko-chan. Vi ama e basta. Entrambi". Ranko rimase immobile, col dolore scavato nei lineamenti del volto che lei amava, e non disse niente. Aveva detto tutto quello che poteva dire, dopo tutto, e lei si era rifiutata di ascoltare. Allora si allontanò dal bancone, sfregandosi vigorosamente gli occhi con i palmi delle mani.
"Beh, farò meglio a portare quelle fettuccine. Dopo tutto, che figura chi faccio se torno a mani nude?". Ukyo si girò e andò nel retro, cercando di inghiottire il nodo nella gola. Mentre usciva, sentì Ranko sussurrare qualcosa.
"Mi dispiace". Non sapeva se fosse indirizzato a lei o no, ma non importava granché. Non aveva bisogno di scusarsi con lei.
Era una tale idiota, non riusciva nemmeno a odiarlo per il suo rifiuto.


Akane stava cominciando a perdere la staffe. Di nuovo. Apparentemente Ukyo e Ranko erano entrambi spariti, e quel fatto era appena stato portato all'attenzione di Shampoo e Kodachi. Già era abbastanza brutto che loro trattassero Ranma come una specie di trofeo da vincere, ma ora stavano facendo lo stesso con Ranko. E non è che lui non avesse altri problemi cui pensare.
Stava cercando vanamente di contenere le due fidanzate ingannate, mentre si scagliavano l’una contro l'altra e contro l'assente Ukyo, agitando attrezzi da cucina affilati e potenzialmente letali in modo pericoloso. Il suo umore stava raggiungendo il punto di ebollizione, ed era altamente possibile che la cucina di Kasumi non sopravvivesse all'ira di tre artiste marziali infuriate.
Onestamente, pensò, che cosa pensava di fare Ukyo?
La risposta, ovviamente, era tristemente scontata. Era partita in testa alla lotteria per il matrimonio di Ranma Saotome. Akane aveva pensato che almeno Ukyo sarebbe stata più circospetta verso qualcuno che era ancora in lutto per la sua famiglia e i suoi amici.
Apparentemente aveva sopravvalutato miss Kuonji. Male.
"Sentite, voi due...", ritentò. Kodachi e Shampoo la ignorarono, e si fecero più vicine al limite di venire alle mani. E la cena non sarebbe di certo sopravvissuta a questo. Il fatto di essere stata subdolamente tenuta lontana dai preparativi della cena non era sfuggito alla sua attenzione, né le aveva alzato il morale. Strinse i pugni e tentò una volta ancora.
"EHI, VOLETE...". Cominciò. Poi Ukyo entrò nella cucina e tutte e tre piombarono nel silenzio. Si voltarono come una sola ragazza, al limite estremo della furia, pronte a scoppiare per qualunque motivo. Qualunque cosa.
E come una sola ragazza, si immobilizzarono, sconvolte.
Ukyo si era cambiata, e sembrava molto più femminile rispetto a prima. In mano teneva una confezione di pastina di soia. Avanzò con calma verso i fornelli, impassibile. Il suo corpo irraggiava una tristezza a stento contenuta, un'emozione che prescindeva dalle normali forme di comunicazione e parlava direttamente alla parte animale del cervello.
Ukyo era stata con Ranko. Ma Ukyo non era felice.
Ukyo non stava gongolando. Ukyo non si stava dando delle arie.
Ukyo stava soffrendo. E molto.
"Oh", disse calma, "vedo che non abbiamo bisogno di altre fettuccine dopo tutto. Che sciocca". La sua voce era bassa e inespressiva. Lasciò cadere la pastina sul ripiano e passò rasente alle ragazze impietrite. "Immagino che andrò di sopra a lavarmi, allora". Uscì dalla cucina senza aver guardato nessuna di loro negli occhi. Shampoo sembrava sconvolta e anche Kodachi, solitamente non una delle più empatiche del gruppo, apparve a disagio.
"Che cosa aveva?", chiese, senza traccia del suo solito tono di superiorità. Shampoo scosse la testa. Sembravano entrambe aver dimenticato il motivo della loro contesa. Akane si riscosse e corse fuori dalla cucina, sperando che la situazione là dentro restasse sotto controllo. Sembrava esserci un problema più grande da affrontare.
Intercettò Ukyo vicino alle scale, e rimase colpita da quanto la ragazza sembrasse scoraggiata. Si era comportata in modo strano di recente, ma quello... cosa poteva essere successo?
"Ukyo, cosa c'è che non va? Stai bene?". Lei sobbalzò leggermente al suono della voce di Akane e si girò per affrontarla.
"Sicuro, Akane, va tutto a meraviglia". Poi rimase là, fissandola in un modo che la mise decisamente a disagio.
"Bene, ehm... eri con Ranko?". Ukyo la fissò un altro po', poi annuì leggermente. Akane cominciava a non capire più niente del comportamento dell'altra ragazza. "E allora che è successo...?".
"Akane". La voce di Ukyo non era più inespressiva. Ora conteneva una percepibile vena di amarezza. "So che entrambi vogliono te, ma affronta la realtà. Puoi avere solo uno di loro, e io intendo essere qui per l'altro, non importa quale. Dovrà dimenticarti. Col tempo. È inevitabile". Poi si girò e salì le scale, lasciandosi dietro una sbalordita Akane.
"U-Ukyo", sussurrò. Rimase piantata sul posto, con il volto in fiamme. Entrambi vogliono me? Posso averne solo uno? Ma che diavolo le aveva detto Ranko? Quei pensieri cominciarono a riecheggiare follemente dentro alla sua testa finché non dovette riscuotersi.
Ranko. Doveva trovarlo, chiedergli cosa era successo. Si girò e corse verso l'ingresso, incontrando una perplessa Kasumi.
"C'è uno strano silenzio in cucina", disse con cautela mentre Akane la superava.
"Goditelo finché dura", rispose la sorella passando.

Si diresse verso la palestra, interrogandosi sugli strani eventi di quel giorno. Si era arrabbiata con Ranma quando lui e Ranko erano tornati. Perché aveva detto quelle cose orribili a Ranko. Perché si era sentito colpevole, quando lei aveva pensato che fosse meschino. Perché non le aveva voluto dire cosa fosse successo.
"Ci siamo chiariti", era stato tutto quello che aveva continuato a dire, il che l'aveva fatta arrabbiare ancora di più. E il fatto che Ranko non fosse in collera la irritava addirittura maggiormente. Che diavolo potevano essersi detti? Come potevano non essere ancora infuriati?
Qualsiasi cosa era successa, era chiaro che non avevano avuto bisogno del suo aiuto. Soppresse una fitta di gelosia al pensiero di ciò che le aveva detto Ukyo.
"So che entrambi vogliono te", aveva detto. E che cosa significava?
Stava per voltare l'angolo della casa quando intravide Ranko e Ranma che si accovacciavano dietro la palestra. Sogghignò. Non stavolta, ragazzi, pensò. Non rimarrò ancora nell'ombra. Scivolò silenziosamente dietro l'angolo, avvicinandosi finché non riuscì a sentirli abbastanza chiaramente.
"Allora è ancora arrabbiata?", chiese uno dei due.
"Già, vuole sapere cos'è successo dopo che abbiamo lasciato la palestra stamattina". Ah. Quello doveva essere Ranma. Aspetta un momento, stavano parlando di lei?
"Dalle un po' di tempo per superarlo", lo consigliò Ranko. "Dev'essere stata dura anche per lei, sai".
"Lo so, è solo che non si fida mai di me! Se solo mi desse una possibilità di spiegarmi...".
"Voi due vi spiegherete. Ho fede".
"Bene, con te sono uno". Entrambi risero con disinvoltura, mentre Akane bolliva a fuoco lento. Ridete di me, voi due? Bene, vedremo chi riderà per ultimo. Strinse i denti e aspettò di sentire di più.
"E allora, dove sei stato? Ti sei perso Ryoga e Mousse che si sfidavano a Carpenteria Marziale. Siamo fortunati che non abbiano demolito tutta la palestra!".
"Io, uh, io ho lasciato che Ukyo mi attirasse nel suo ristorante", disse Ranko alla fine.
"Cosa? E perché?".
"Perché volevo parlarle da solo". Rimasero in silenzio per un momento, e Akane drizzò le orecchie. Proprio quello che voleva sentire. Si sentiva in colpa a origliare, naturalmente, ma dopo tutto, nessuno le stava dicendo niente. E non si sentiva abbastanza in colpa per fermarsi...
"Oh", disse Ranma alla fine, "quel genere di chiacchierata".
"Già. Pensavo di aver imparato qualche lezione dalla mia vita e volevo bloccare il problema prima che crescesse. E tutto quello che ho fatto è stato peggiorare le cose".
"Allora non è andata molto bene", disse Ranma con comprensione.
Ranko sospirò.
"È un bell'eufemismo. In pratica, si è offerta di rinunciare a tutta la sua dignità e di aspettarmi per sempre, facendo da riserva al ricordo di una ragazza morta, anche se le ho detto chiaro e tondo che non potevo amarla come lei avrebbe voluto".
"Oh, accidenti. È stata... dura?".
"Uh, uh. Si è convinta che tu e Akane siate sul punto di dichiararvi i vostri veri sentimenti, e che una volta sposati, mi dovrò rivolgere a lei per avere conforto".
"Io e... ha detto questo?"
"Beh", sospirò Ranko, "lei sembra pensare che le sue chances con te siano ormai praticamente inesistenti. Io sono un dono del cielo". La sua voce divenne amara. "I miei sentimenti non sembrano importare granché."
"Diavolo, amico, mi dispiace", disse Ranma dopo un silenzio sconfortato. "È solo che non sembra davvero di sentire Ucchan. Di solito lei è molto più rispettosa degli altri".
"Già, beh, immagino di averle tirato fuori il peggio di sé. Ora nemmeno mi guarda più, se ne sta sola con questo sguardo come se le dispiacesse di farsi scuoiare da me o qualcosa del genere. E devo ancora parlare con Shampoo e Kodachi! Davvero una giornata perfetta".
"Mi dispiace per tutto questo", disse Ranma contrito. Il cuore già martellante di Akane accelerò i battiti. Stava per ascoltare quello che si erano detti dopo aver lasciato la palestra? Si avvicinò ancora di più all'angolo, osando a malapena respirare.
"Ehi, non te l'ho ancora detto. Vediamo, finora oggi ho fatto piangere Nabiki, ho fatto arrabbiare Kasumi, ho avuto quella chiacchierata con te, ho scoperto che tua madre vuole che io veda uno strizzacervelli, ho avuto una discussione frontale con Nabiki, e in qualche modo sono riuscito a spezzare il cuore a Ucchan senza peraltro convincerla a lasciarmi perdere. Aspetta, so che sto dimenticando qualcosa. Ah già. Ryoga mi ha detto che rinuncia per sempre ad Akane. Direi che puoi aggiungerlo alla lista delle persone convinte che tu e lei siate destinati a mettervi insieme".
"Stai scherzando?".
"Per cosa?".
"Per tutto! Ma... Ryoga, per cominciare. Davvero ha rinunciato ad Akane? Ragazzi, l'ha presa male! Sei sicuro...?".
"Eccome. Era davvero convinto. Qualunque cosa vi abbia detto tua madre dopo il vostro duello deve averlo impressionato di sicuro".
"Non può essere stato solo quello?!".
"Ranma, pensaci bene. Le cose non possono continuare come sono ora indefinitamente. Tutto cambia, presto o tardi. Diavolo, ho visto innescarsi cambiamenti da quando sono qui che non avrei mai pensato di vedere. Sembra che io stia devastando le relazioni".
"Andiamo, non è tutta colpa tua...", rispose l'altro. Akane sentì le loro voci affievolirsi mentre si allontanavano. Fortunatamente, si diressero all'angolo opposto al suo, perché non sarebbe mai stata capace di evitare di essere scoperta. Rimase immobile dov'era, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.
Nabiki che... piange? Kasumi ARRABBIATA? Come... cosa...
"Ryoga?", sussurrò. Ryoga era... innamorato di lei?
No. Quello non poteva essere vero. Ma...
Ma dava senso a così tante cose. La costante rivalità tra lui e Ranma. O il modo in cui sembrava andare in palla quando lei era attorno. Ma perché non l'aveva visto? Come poteva non averlo saputo?
Si lasciò cadere contro il muro, mentre la brezza giocava come un gattino con l'orlo della sua gonna. Si strofinò gli occhi con aria assente. Era tutto così strano, così improvviso.
Sospirò. Povero Ryoga. Tutte le volte che era stata carina con lui, l'aveva interpretato come interesse? Aveva sofferto in silenzio tutte le volte che erano rimasti da soli, desiderando dirle cosa sentiva? Eppure non aveva mai...
Si rabbuiò. E aveva rinunciato a lei. Poteva immaginare il perché. Anche Ukyo sembrava credere che lei e Ranma stessero per mettersi insieme, da quello che aveva capito. Tutti sembravano pensarlo, accettandolo o no, ma nessuno aveva consultato lei. Ranma era stato così dolce l'altro giorno, ma da allora le cose si erano complicate di nuovo. Sembrava che loro due non fossero mai capaci di parlare di quello che c'era tra di loro, e ciò stava rovinando le loro vite. E le vite di tutti gli altri.
Bene. Che gli altri pensassero quello che volevano. Lei non si sarebbe lasciata manovrare solo per rendere più semplici le vite altrui.
Si allontanò dal muro, poi si fermò incerta.
"So che entrambi vogliono te", aveva detto Ukyo. Aveva ragione? Ranko era innamorato di lei? E Ranma? Sospirò tristemente. Ranko aveva davvero detto a Ukyo che non poteva amarla per causa sua? O intendeva la sua Akane? Ma se lui amava la sua Akane, significava che Ranma amava lei? E che fare se lui la amava e Ranma no?
Doveva sistemare la faccenda una volte per tutte, capì.
Doveva cominciare a prendere il controllo di una vita sempre più caotica. Era stanca di non sapere da che parte stare, così dannatamente stanca. Aveva bisogno di mettere fine a tutto questo. Se avesse aspettato che Ranma facesse la prima mossa, non si sarebbe mai risolto niente.
Si allontanò dalla palestra, scuotendo la testa. Due Ranma. Ryoga innamorato di lei. Nabiki che piange! Kasumi arrabbiata?
Akane si sentiva come se qualcuno avesse preso il suo mondo, l'avesse capovolto, e poi scosso vigorosamente.
Cominciava a farle venire il mal di testa.


Quella sera la cena si rivelò un affare più teso del solito. La maggior parte della tensione, comunque, covava sotto la superficie, creando pericolose correnti incrociate che aspettavano solo di risucchiare gli incauti in uno sguardo offeso o un silenzio gelido. Naturalmente, c'era ancora un bel po' del vecchio e sfacciato casino che caratterizzava ogni pasto a casa Tendo.
Sedevamo tutti sopra un vecchio plaid nella calda luce del pomeriggio morente. Era stato preparato un bel po' di cibo, e le pile di piatti formavano un cerchio dentro cui sedevamo. C'erano un sacco di movimenti in avanti e indietro, e attività frenetiche e conversazioni vuote per distrarre gli incauti. Mi chiesi se fossi il solo pienamente consapevole di tutta la tensione nascosta che sedeva alla nostra tavola.
Considerando tutto quello che era successo quel giorno, immaginai che fosse altamente improbabile.
"Lanko! Plova un po' del mio cibo, dai!". La vivace ragazza amazzone mi presentò davanti un piatto fumante. L'aspetto era buono e il profumo migliore, ma prima che potessi dire qualcosa, venni rudemente smosso da un'altra.
"Oh, Ranko caro, non perderti in futilità con quella mocciosa! Questo cibo è stato preparato con l'amore dell'animo di una fanciulla!", disse Kodachi con fare seducente.
"E qualche genere di pozione", dissi, annusandolo con cautela.
Kodachi accusò il colpo e fece uno sguardo sorpreso mentre Shampoo la fissava.
"Oh cielo, come ha fatto a entrarci?", chiese con innocenza. Shampoo si sporse oltre me.
"Che schelzo è questo, stupida fiocchettona? Vattene! C'elo plima io!".
"Uh, signore...", dissi debolmente. Kodachi raggiunse Shampoo nello spazio aereo davanti a me, e i loro sguardi si incontrarono pericolosamente.
"Perché non vai dal tuo fidanzato, ragazzina, e lasci Ranko a me?", soffiò. Shampoo spostò all'indietro la mano che portava il piatto e si preparò a scagliarle un colpo in piena faccia. Kodachi alzò il suo in posizione di guardia.
"Signore!", protestai. Servì a poco. Fettuccine, cetrioli e pezzetti di pesce cominciarono a volare da tutte le parti mentre le due si affrontavano. Beh, pensai, almeno non stanno usando armi vere.
Per ora.
Mentre la cena andava lentamente avanti, sorvegliai di nascosto il resto del gruppo. Akane sembrava ancora arrabbiata con Ranma, visto che lo stava ignorando per quanto possibile, aumentando l'irritazione di lui. D'altra parte, stava tenendo d'occhio Ryoga, cosa che mi sembrava strana. Lui, naturalmente, tenendo fede alla promessa di abbandonarla cercava di evitare di guardarla, il che non migliorava per niente il suo umore.
Ukyo, che in condizioni normali si sarebbe messa a bisticciare per l'attenzione di Ranma (o, più di recente, per la mia), era stranamente riservata. Ricordai il suo voto di non arrendersi, nonostante quello che le avevo detto, e mi chiesi cosa stesse facendo. Il suo recente comportamento non era davvero da lei. Anche Ranma notò il suo atteggiamento, e sapeva cos'era successo tra noi prima. Non sembrava sapere cosa fare, comunque, e finì per guardarla e basta. Quando non stava guardando Akane.
Mousse, stranamente, sembrava aver notato anche lui lo stato della ragazza. E ancora più stranamente, dedicava una discreta percentuale di tempo nel tenerla sotto osservazione, e se non l'avessi conosciuto meglio, avrei detto che avesse un'espressione preoccupata.
Certo, essendo così distratto, trascurava di girare intorno a Shampoo nel modo in cui faceva di solito quando lei prestava attenzione al suo rivale. E con mio grande sbalordimento, lei non solo cominciò a notare la sua disattenzione, ma sembrò aversene a male. Prese a lanciargli occhiate quando pensava che nessuno la stesse guardando e, per una volta, non lo trovò a ricambiare il suo sguardo.
Questo evidentemente non la bendispose. Alla fine ruppe le ostilità culinarie con Kodachi e si lanciò al fianco di Ranma, dove iniziò a strofinarsi, facendo le fusa come un gattino, e si offrì di imboccarlo. Ranma, che stava facendo un lavoro più che discreto da solo, passò diverse tonalità crescenti di porpora, balbettò, agitò le braccia, e cercò freneticamente la reazione di Akane. Lei si limitò a voltare la testa e gli diede la schiena.
Naturalmente, questo lasciò libera Kodachi di dedicare la sua piena attenzione a me. Ruotai gli occhi e giurai a me stesso che non avrei mangiato niente che lei non avesse assaggiato prima. Intravidi Kuno, che teneva il broncio all'estremità più lontana della coperta perché la sua ragazza col codino era svanita. Continuava a fissare me e/o Ranma, evidentemente non sapendo chi incolpare della di lei assenza. I suoi tentativi di professare il suo amore ad Akane poco prima non avevano incontrato la solita reazione al calor bianco, bensì una totale indifferenza che sembrava confonderlo. E così faceva il broncio, ma almeno lo stava facendo tranquillamente.
Mi voltai e vidi Kasumi che sorrideva con benevolenza sopra tutto il procedimento, come se fosse una cena normalissima. Pensandoci, poteva benissimo aver dimenticato com'era fatta una cena normale. E poi trovai Nabiki.
Stava guardando le schermaglie amorose con la sua solita aria spassionata di divertimento, e mi chiesi che cosa stesse provando. Anche se prima aveva ammesso la sua gelosia, non avrei mai saputo dire se fosse turbata o dispiaciuta solo guardandola. Il suo autocontrollo era praticamente perfetto. Forse troppo perfetto per il suo bene. Lei si voltò e mi sorprese a guardarla, e mi gratificò di un sorrisetto asciutto.
Poi, quando fu sicura che nessuno ci stava guardando, mi mostrò la lingua.
Fu solo per un secondo, ma era così distante da quello che mi aspettavo da lei che rimasi colpito. Durò solo un attimo prima che lei scivolasse di nuovo dietro la sua abituale maschera di self-control, ma fu abbastanza per farmi sapere che la vera Nabiki, quella che avevo incontrato quella mattina, era ancora là dietro, nonostante le apparenze. Alzai le spalle a mo' di scusa e alzai gli occhi. Nei suoi si fece largo una luce maliziosa.
"Per 1000 yen", mimò senza usare la voce, "ti libero di lei".
Non potei farci niente. Scoppiai a ridere. Kodachi alzò lo sguardo dal tè che mi stava versando, confusa.
"Che c'è, mio caro?", chiese dolcemente. Io mi limitai a scuotere la testa, cercando di nascondere un sorriso. Più le cose cambiano, più rimangono le stesse.
Akane aveva deciso di cominciare una conversazione, probabilmente per distrarsi dagli ultimi avvenimenti. Visto che stava evitando sia Ranma che me, e Ryoga evitava lei, e Ukyo evitava tutti, finì col parlare con Mousse. Ryoga cercò di attaccare discorso con Ukyo, ma dopo qualche risposta monosillabica, ripiegò su Kasumi. E Nabiki, in apparenza determinata a mostrare a tutti che era in ottima forma, decise di tormentare Kuno.
"Ehi, cocco. Come va la testa?", indicò il livido sulla mascella dove il calcio di Akane l'aveva lanciato nel laghetto delle carpe.
"Un tale segno d'amore non mi disturba, Nabiki Tendo", disse seccamente. Lei si avvicinò e premette il livido, facendolo sobbalzare.
"E adesso?", chiese candidamente. Lui la fissò con aria minacciosa.
"Io ti disprezzo, sai", disse con un tono di dignità ferita.
"Lo so", assecondò lei con soddisfazione. Per un attimo, mi chiesi se non fosse il suo modo di flirtare con lui. Ma solo per un attimo.
Nabiki e Kuno? Avevo visto tante cose strane, ma quella avrebbe meritato il primo posto.
Sospirai e lasciai scorrere lo sguardo sul giardino, la casa, e la gente. I genitori di Ranma e il signor Tendo sedevano sulla veranda, i loro profili delineati dalla luce che proveniva dall'interno, e si godevano una cena alquanto più pacifica. La luce stava svanendo ormai, e fredde ombre stavano stendendo le loro lunghe dita nel giorno morente. La brezza era ancora calda e gentile, ma aveva in sé la promessa della frescura che sarebbe venuta con la notte. Il mio sguardo cadde sull'albero dove li avevo seppelliti, nella mia Nerima, e per un momento l'oscurità tremò ai margini della mia consapevolezza. La scacciai fermamente.
Non ancora, pensai. Presto, ma non proprio adesso. Respirai a fondo il fresco profumo dei boccioli di ciliegio, ascoltando distrattamente il chiacchiericcio di Kodachi, e cercai di immergere la mia anima nella pace che sentivo in quel momento, in quel luogo, sapendo che avrei potuto non sentirla per molto, molto tempo.
Pensai di cominciare a capire perché Jack mi aveva dato quelle quarantotto ore. La mia presenza qui aveva sconvolto la delicata bilancia di relazioni tessute con cautela, l'equilibrio che aveva tenuto tutto in sospeso, tutto stabile. Non importava che io pensassi o no che le cose fossero pronte per una riorganizzazione, non era quello il modo.
Stavano accadendo cose che di sicuro non sarebbero successe se io non fossi comparso, o almeno non sarebbero successe in quel momento.
Ero la nota discordante nella canzone di quel luogo. E ora sapevo, lo potevo accettare senza rancore, e con un po' di rimpianto.
Mi sentivo deciso ora che avevo fatto la mia scelta. Deciso, e un po' triste.
Questo posto mi sarebbe mancato davvero.






Fine quinta parte.
Revisione versione originale inglese: 30 maggio 1997.
Revisione traduzione italiana: 26 agosto 1998.
Betalettura a cura di TigerEyes: 1/8/2011.

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.
   
 
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