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Autore: Irine    01/08/2011    1 recensioni
La mia vita scorreva tranquilla, era semplice, normale, a volte anche un po’ noiosa, ma mi piaceva, mi lasciavo condurre da essa.
Finché non è arrivato lui. Quel ragazzo. Il ragazzo con gli occhi del mare, colui che mi ha fatto tornare indietro, in un mondo sconosciuto, nel quale avevo vissuto in passato.
Non ricordavo niente del mio passato, della mia vita prima di compiere sei anni.
Più cercavo di far luce su quel periodo, più la mia mente si confondeva.
Non avrei mai immaginato che fosse tanto cruento, tanto orribile.
Ma d’altronde, non avrei neanche mai immaginato che dopo dieci anni, il mio passato sarebbe tornato a cercarmi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando tornai a casa, mia madre stava già preparando la cena. Mi sedetti sul divano e dopo circa mezz’ora andammo a tavola. Fu una cena tranquilla, finalmente avevamo ritrovato quell’atmosfera priva di tensione e rilassante.
Dopo la cena, mio padre prese il giornale e si buttò sul divano col rischio di sfondarlo. Si tolse le scarpe e rimase con i piedi all’aria, mia madre si sedette vicino a lui, stando ben lontana dai suoi piedi, e mia sorella prese a parlare allegramente al telefono.
Sembrava tutto così normale, come se non fosse successo nulla. Sembrava che gli avvenimenti degli ultimi giorni non avessero scalfito la tranquillità della nostra famiglia, e la cosa mi piaceva, perché era solo questo che volevo; una vita semplice e normale. Purtroppo sapevo che la mia vita non sarebbe mai potuta essere così, magari lo era stata fino a quel momento, ma adesso stava per cambiare, forse per sempre. Avevo sempre affrontato i problemi, ma questo era più grave e questa volta sarei dovuta andare avanti da sola, senza l’aiuto di nessuno. Non avrei permesso a nessuno di aiutarmi, non volevo coinvolgere la mia famiglia. Non sopportavo neanche l’idea che avrei potuto mettere in pericolo le persone a cui tenevo di più, non volevo che succedesse loro qualcosa, volevo vederli felici e al sicuro.
Iniziai a sfogliare il giornale molto distrattamente, per far passare il tempo.
Quando furono le dieci andai in camera.
- Io vado a letto, domani devo andare a scuola e sono stanca. – Era una mezza bugia, non sapevo neanche se domattina sarei andata a scuola, ma dovevo allontanarmi da loro il prima possibile, prima che non trovassi più la forza per farlo.
- Buonanotte Grace. - disse mia madre mentre scompariva dietro la porta.
- Buonanotte mamma – il volto di mia madre si addolcì e sparì in salotto. L’avevo detto con naturalezza, senza problemi o bugie. “mamma”, la parola più dolce del mondo.
Buonanotte” aveva detto. Come no! Non sapevo neanche se sarei riuscita a dormire quella notte, anzi avevo addirittura paura ad addormentarmi. Così prima di mettermi a letto, guardai tutte le fotografie che avevo nella mia stanza. Erano tutte foto che ritraevano un momento particolare della mia vita, in modo da non dimenticarmene mai.
Mi soffermai soprattutto su una in cui ero vestita da pinguino per il carnevale, in una mano tenevo tanti coriandoli di mille colori, mentre nell’altra avevo la mano di mia madre. La tenevo stretta, con forza, quasi avessi paura che volasse via. Era una delle foto più vecchie che avevo, ero molto piccola. In quel momento notai un particolare al quale non avevo fatto caso in tutti quegli anni. Era possibile scorgere il mio polso destro in quella fotografia, e rimasi sconvolta. Si vedeva un grosso sfregio che partiva dal pollice e scendeva fino al polso, il taglio sembrava molto profondo e il suo colore rosso-violaceo mi fece capire che me lo ero procurato da poco. Avrò avuto sei o al massimo sette anni. Quella fotografia probabilmente era stata scattata che ero da poco uscita dall’ospedale. Cosa mi era successo? La ferita avrebbe potuto essere letale, il taglio infatti passava sopra le vene, che probabilmente erano state tagliate. Di sicuro quella ferita non me la ero procurata da sola. Sì, a volte ero molto distratta, ma non fino a quel punto. Quella ferita era stata fatta intenzionalmente; qualcuno aveva cercato di ferirmi, forse di uccidermi.
Mentre questo pensiero prendeva spazio e si cementificava nella mia mente, sentii una stretta allo stomaco. Quando ero piccola, qualcuno aveva cercato di uccidermi! Perché? Chi era stato? Più mi sforzavo di ricordare il mio passato, più i miei ricordi si confondevano tra loro, aumentando i miei dubbi e le mie incertezze.
Guardai un’altra foto, per cercare di calmarmi. Ero con Laila, ci tenevamo per mano e facevamo delle facce buffe. Sorridevamo allegramente, tutte e due. Forse eravamo al luna Park o forse eravamo al parco, oppure stavamo giocando alle belle statuine, ovunque fossimo ci stavamo divertendo da matte a giudicare dal modo in cui sorridevamo nella foto.
Una lacrima percorse velocissima il mio viso prima che riuscissi a fermarla. Non potevo, non volevo lasciarmi tutto alle spalle, non volevo andarmene per sempre. Al pensiero che forse non avrei mai più rivisto la mia migliore amica, mi sentii male.
Accanto alla foto con Laila ce ne era un’altra che mi ritraeva con Christine quando eravamo piccole. Mi assomigliava, più di quanto mi assomigliasse ora. I suoi capelli erano chiari come i miei, poi si erano leggermente scuriti col tempo, ma comunque continuava ad assomigliarmi e se qualcuno non ci avesse conosciuto, sarebbe stato molto facile scambiarci.
Guardai infine un’ultima foto, eravamo io e mia sorella. Io abbracciavo un orsacchiotto, e lei un cuscino. Mi ricordavo di quel giorno, avevamo appena fatto la battaglia di cuscini, e io avevo appena salvato il mio orso Bubu dallo scontro. Quando mia madre tornò a casa e vide tutte le piume per terra, si arrabbiò moltissimo, al contrario di mio padre che si unì alla lotta, iniziando a colpirci col cuscino. Praticamente quella foto era stata scattata in mezzo ad un totale sfacelo dei cuscini e dei divani, tutto accompagnato da una generosa e abbondante spruzzata di piume.
Mia madre riuscì a restare arrabbiata per ben nove minuti e qualche secondo, ma poi si mise a ridere e a giocare con noi.
Riguardando quella foto a distanza di tanti anni, non mi sembrava neanche più di averlo vissuto un momento tanto bello. Studiai meglio la foto.
Anche ad occhio nudo era plausibile la differenza tra me e mia sorella, adesso che sapevo quasi tutto, vedevo ancora più chiaramente le differenze che c’erano tra me e lei. Questa cosa mi fece sentire terribilmente sola.
Mi sedetti sul letto, abbracciandomi le ginocchia. Era la mia posizione preferita per pensare.
Torna indietro, devi tornare indietro” – cosa significavano quelle parole? Dove dovevo tornare? E anche se l’avessi saputo, come avrei mai potuto fare? Volevo saperlo con tutte le mie forze, e avrei anche tanto voluto sapere chi erano i miei genitori. Che razza di persone potevano essere se mi avevano abbandonata in un ospedale mentre ero gravemente ferita? Ma la domanda che più mi premeva era un’altra: Io chi ero? Chi ero veramente? Non lo sapevo, e solo allora realizzai che non lo avevo mai saputo, non fino in fondo. La cosa che più mi preoccupava era anche un’altra: io ero come gli altri? Nella lettera c’era scritto che ero speciale. Di solito tutti i genitori lo dicono dei propri figli, ma nella lettera sembrava intendere che fossi “speciale” nel senso di “diversa”. Era vero? Ero diversa? Avevo sempre vissuto normalmente, e l’unica cosa che mi aveva distinto dagli altri bambini era il fatto che a sette anni ero già capace di leggere e scrivere perfettamente, e preferivo leggere libri lunghi e complessi piuttosto che le favole. Ma non c’era nient’altro.
Era meglio non pensarci.
Mi misi nel letto, affondai il viso nel cuscino e tirai su le coperte, come se tutte le mie angosce non potessero penetrare il tessuto. Come se tutte le cose orribili che stavo vivendo non potessero raggiungermi, come se restassero fuori dalla mia vita, almeno per quella notte. Sperai con tutto il cuore che fosse così.
 
La sua immagine mi si parò davanti facendomi sobbalzare. Aveva qualcosa di diverso dall’ultima volta che l’avevo visto, qualcosa nel suo sguardo era cambiato. Riuscivo a intravederne la rabbia.
- Cosa stai aspettando? – chiese bruscamente.
- A fare che?
- Devi tornare indietro, e subito. – gli occhi più belli che avessi mai visto mi trafissero, mi catturarono e impedirono ai miei di slacciarsi.
- Non ho idea di quello che dici, non potresti essere più chiaro?
- Devi muoverti, non hai più tempo.
- Cosa dovrei fare? Non capisco! – esclamai frustata.
- Devi tornare qui. Devi tornare a casa tua.
- Questa è casa mia. – dissi arrabbiata. Vidi il suo sguardo rabbuiarsi, e per un attimo la tristezza gli velò gli occhi. Quasi mi dispiacque delle mie parole. Non capivo come potevo dispiacermi di un ragazzo che neanche conoscevo.
- Tu sei qui solo per caso. Ora basta. – il suo corpo si irrigidì. – Il tuo tempo è scaduto. – Quelle parole mi ferirono. Io ero lì solo per caso. Il mio tempo era scaduto. Mi stava dicendo la verità? E cosa avrei dovuto fare?
- Che devo fare?
- Devi tornare indietro, adesso.
- Non so come fare.
- Non ci hai neanche provato. Devi farlo il più presto possibile.
- E se non volessi? E se non volessi tornare indietro? E se volessi restare qui?
- Più resterai qui, più metterai in pericolo le persone che ti stanno intorno. È davvero questo che vuoi? Mettere in pericolo coloro che ami?
- Io . . . io non . . . – mi paralizzai di colpo. Un pensiero era fisso nella mia mente. Una persona. Christine. - Mi sono successe delle cose irreali. Insomma . . . ho sentito una sensazione di gelo intorno a me. – le sue parole si pararono davanti all’evidenza che continuavo a negare.
- Se non verrai tu, verranno loro a prenderti.
- Loro chi? – ma accanto a me non c’era più nessuno.
 
Mi svegliai di soprassalto, il cuore mi batteva nel petto, riuscivo addirittura a sentirlo rimbombare tra i miei pensieri.
Mi presi il volto tra le mani. - È davvero questo che vuoi? Mettere in pericolo coloro che ami? – mi aveva urlato quel ragazzo.
No. Non era ciò che volevo, non lo avrei mai permesso. – Se non verrai tu verranno loro a prenderti. – chi stava venendo a prendermi? Ma il mio pensiero fisso era un altro. Lo sapevo, anche se cercavo di celare ciò che avevo capito; loro erano già qui. Per venirmi a prendere. – Mi sono successe delle cose irreali. Insomma . . . ho sentito una sensazione di gelo intorno a me. – le parole di Christine nuovamente si infransero contro i miei pensieri. E se fossero stati loro quelli che la sera prima erano entrati nella casa di Christine? Ma lei cosa centrava con loro? E io cosa centravo? Afferrai il cellulare, le mie mani tremavano. Digitai il numero che conoscevo ormai a memoria; ma dovetti cancellare e riscrivere più volte i numeri perché le mie mani erano talmente nervose, che non riuscivano a smettere di tremare. Accostai il cellulare all’orecchio e attesi, ansimando nervosamente. Era quasi mezzanotte. Sperai tanto che non stesse dormendo e che non si arrabbiasse troppo, per la mia chiamata notturna. Ti prego, ti prego, rispondi. Per favore rispondi, per favore! Volevo solo sentire la sua voce. La sua voce sempre allegra e vivace, che mi metteva ogni volta di buon umore. Volevo solo accertarmi che Christine stesse bene, e che i miei pensieri fossero infondati.
Dopo otto squilli scattò la segreteria. Strinsi il cellulare tra le mani, con una tale violenza da rischiare di romperlo.
Non importava quanto fosse grave o futile il motivo; non importava se lei era impegnata in qualcosa che le stava a cuore. Non importava che ora fosse. Christine mi aveva sempre risposto. Sempre.

 
 
Angolo Autrice
Ciao a tutti!! Scusate il ritardo, ma questo capitolo non voleva saperne di uscir fuori, e infatti è venuto una schifezza……
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite e le seguite, e anche coloro che leggono la mia storia in silenzio!! Ma un grazie speciale alle ragazze che recensiscono!! Grazie mille a tutti =)
Al prossimo capitolo!!!
 
  
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