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Autore: Chiara_93    01/08/2011    19 recensioni
Voldemort è morto.
La Profezia si è compiuta.
Tutto sembra volgere per il meglio, ma per Hermione Granger è solo l'inizio di un devastante ménage di coppia.
Quello che una volta sembrava affascinante si è rivelato in tutto il suo squallore e quello che poteva sembrare terrificante potrebbe mostrarsi in una nuova, seducente luce.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Ron/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 8

 

«Ehi, signora Malfoy»

«Non mi chiamare così. Mantengo il mio cognome»

«Signora Malfoy nata Granger?»

«Nemmeno»

«Signora Granger in Malfoy, allora»

«Nisba». Draco sbuffò, fintamente irritato, e baciò sulla fronte Hermione, accoccolata sul letto matrimoniale, accanto a lui. Avevano acceso le deboli luci delle abat-jour, ed esistevano l'uno per l'altro come ombre e odori. Era notte fonda, ma nessuno dei due aveva sonno: i grandi eventi della giornata sarebbero stati sufficienti a tenerli svegli.

«Quell'anello è bellissimo» si congratulò, indicando la fede con brillante al dito della moglie.

«Nonché costosissimo» precisò Hermione.

«Me lo posso permettere, tanto» disse lui, stringendosi nelle spalle.

«E fu così che finirono a mendicare sotto un ponte ferroviario»

«È la nostra prima notte di nozze, non ti pare che dovremmo fare qualcosa di diverso? Che ne so, giocare a scacchi?» scherzò Draco, accarezzandola.

«Ancora?»

«Ma è la nostra prima notte di matrimonio, amore. Approfittiamone, perché nel giro di qualche anno io diventerò calvo, grosso, ottuso e pigro, e tu diventerai isterica e pettegola». Hermione rise di cuore, e si abbracciò forte al corpo esile di Draco.

«E via, che sarà mai... almeno metti un po' di ciccia, sei tutto ossa»

«Amore, quando parli così mi spaventi. Giurami che ti potrò sempre portare al mare senza che si gridi allo spiaggiamento di cetacei». Hermione rise di nuovo.

«Mi amerai anche se metterò su qualche chiletto?» sfidò Hermione.

«Certo. Ma ti prego di credermi sulla parola, non provarci».

 

Rimasero parecchio tempo a scherzare, stuzzicandosi l'un l'altro e a prevedere le sciagure nella disastrosa vita da sposati a cui si stavano affacciando. Poi tacquero, stanchi ma senza volersi addormentare.

 

Ad un certo punto, serio, Draco intervenne: «Ehi, signora Granger maritata Malfoy, c'è una cosa che stavo pensando... che ne dici se...?». Non c'era bisogno di finire la frase: anche se non ne avevano mai parlato prima, riuscivano facilmente a leggersi l'uno nella mente dell'altra.

«... forse, Draco. Vediamo. Vediamo se riesco a farmi promuovere alla Corte Superiore di Londra, prima. Poi vedremo»

«Voglio due maschietti» sentenziò Draco.

«Due femminucce»

«Per carità! Un maschio e una femmina»

«Andata» convenne Hermione.

 

«Bene, e ora... dove avevo messo i pezzi e la scacchiera?».

 

Sei anni dopo

 

Hermione aveva ventinove anni.

Mentre spingeva il carrello della spesa lungo i corridoi dell'ipermercato, con la coda dell'occhio sorvegliava Daniel, il grande.

«Daniel, non far cadere niente» disse con tenerezza. Il figlio, che mostrava gli scompigliati capelli biondi e gli occhi chiari del padre, annuì con lo stesso atteggiamento paterno. Le trotterellava accanto, dall'alto dei suoi sei anni.

«Tuo fratello è una peste» scherzò Hermione, accarezzando la testa di Alexander, il piccolo, incastrato nel porta-borsetta del carrello. Alexander, tre anni, rise, felice della sua posizione in cabina di comando che gli permetteva di tenere tutto sott'occhio.

 

Alla fine, erano venuti due maschietti, come voleva Draco. Hermione ne era stata assolutamente felice: erano belli e sani e intelligenti. Stavano pensando di riprovare la roulette con un terzo e ultimo figlio. Magari veniva fuori una femmina, o magari no. Hermione sarebbe stata felice lo stesso.

Daniel, diceva Draco, aveva ereditato la predisposizione per le materie umanistiche della madre: già leggeva scioltamente e parlava usando tutti i verbi giusti, le maestre si erano più volte congratulate con la mamma.

Alexander, invece, sicuramente aveva ereditato la bravura del padre con i numeri, sosteneva Draco. Non lo condizionare, lo rimproverava Hermione con un sorriso gentile, lasciagli fare quel che gli piace.

 

Nel carrello, nascosta fra il pane e i pacchi di biscotti, c'era la copia de La Gazzetta del Profeta di quel giorno: il titolo a nove colonne urlava: Cornelius Caramell condannato!, e l'occhiello recitava: La Sezione Penale della Corte d'Appello di Londra, sotto la presidenza del giudice Granger, ha condannato a tre anni l'ex Ministro della Magia per corruzione. Caramell, da tempo fuori dai giochi politici ufficiali, influenzava ancora il governo magico attraverso una vasta rete di faccendieri e scagnozzi, proteggendo gli interessi della propria ala del partito. Era stato condotto in giudizio davanti ad un collegio di tre giudici, presieduto da Hermione (persona più giovane a diventare Presidente di Corte d'Appello), e si era difeso con un'appassionata arringa sul “male necessario” e sul “bene superiore”, oltre ad appellarsi all'immunità governativa. Nonostante ciò, con una sentenza definita “rivoluzionaria” dalla comunità giuridica magica, Hermione lo aveva fatto condannare. Altre sue sentenze erano state accolte come egualmente innovative, e alcune erano state perfino tradotte in legge dal Ministero: una sua ordinanza sull'uguale stipendio da versare alle donne lavoratrici era stata introdotta nella legge sulle pari opportunità, parola per parola; parti della motivazione della condanna ad un razzista erano state incluse nella legge contro le discriminazioni. Nell'ambiente delle magistrature superiori, si mormorava che quando l'anziano giudice Timberstone fosse andato in pensione, di lì a qualche anno, Hermione avrebbe quasi certamente preso il suo posto nella Corte Suprema. Un altro traguardo: prima donna a diventare giudice supremo.

La carriera di Draco procedeva spedita: era diventato uno stimato manager della Gringott, e prevedeva di entrare nel CdA prima dei trentacinque anni.

Invecchiando, era diventato più emotivo ed affettuoso. Addirittura la nascita dei nipotini era riuscita a smuovere – almeno un po' – nonno Lucius, che non voleva assolutamente essere chiamato “nonno”: Hermione aveva temuto che si sarebbe adirato per la faccenda del sangue puro, ma un vagito di Daniel neonato era bastato per far breccia nei pregiudizi dell'uomo.

 

Tutto andava bene, ed Hermione quasi non ricordava più la fredda aula da giudice di pace, e la squallida casa in cui aveva vissuto una volta. A volte, mentre si industriava assieme al marito fra i fornelli, ancora si ricordava le sfuriate perché il sugo faceva schifo e il risotto sapeva di merda. Adesso, poteva capitare che Daniel, il più schizzinoso in famiglia, facesse notare come il sugo non gli andasse a genio. Ma era tutto diverso.

 

«Daniel, preferisci cioccolata bianca o al latte?»

«Bianca»

«Ok. Prendila tu». Daniel prese una barretta e la mise nel carrello.

 

«È pazzesco quanto facciano pagare il latte... da denuncia» borbottò fra sé e sé Hermione.

«Mamma, posso prendere la Coca?»

«Ancora? Non ti si bucherà lo stomaco? Prendila pure». Daniel prese una lattina e la depose fra l'altra roba.

 

Fu allora che accadde.

Mentre prendeva il latte dagli scaffali, Hermione sentì qualcosa di vetro che si infrangeva a terra, in uno schianto catastrofico. Un barattolo di qualcosa si era sfracellato sul pavimento.

«Daniel!» chiamò subito, temendo fosse stato suo figlio. Però, il piccolo era in piedi accanto a lei, innocente.

 

«Porca... ma che cazzo hai fatto?» esclamò una voce in fondo al corridoio.

Hermione si voltò. Vide una larga chiazza rossa per terra: probabilmente, qualcuno aveva fatto cadere a terra un barattolo di pelati.

Si avvicinò per vedere meglio, spinta dalla curiosità.

«Cretina!». Sciack! Uno schiaffo volò nell'aria. Ora vedeva bene: c'era una bambina grassoccia, piuttosto bruttina, in piedi in mezzo al corridoio, probabilmente aveva fatto cadere lei i pelati. Scoppiò a piangere: un uomo rosso carota le aveva somministrato un ceffone con i fiocchi. «Mamma, mamma, mamma!» ululò la bambina. Hermione strinse gli occhi: quella voce gli ricordava qualcuno. Ma no, cosa stava pensando: quel tizio aveva almeno quarant'anni, aveva la pelle aggrinzita, un rivolo di grasso che increspava la rozza camicia di tela. «Mamma, mamma, mamma!» la scimmiottò l'uomo, «Vergognati, guarda cos'hai fatto! E mi toccherà ripagare il negozio, pure, cretina!».

 

Era proprio lui.

Non dire cretinate, Hermione: non lo vedi? Questo ha almeno quaranta anni, guardalo, è tutto una ruga, guarda quella cicatrice sul braccio.

Macché: era proprio lui. Stesso viso largo, stessi capelli rosso pomodoro – padre e figlia – e stesse lentiggini male assortite.

Sciack! Così, tanto per, Ron Weasley assestò un secondo manrovescio alla figlia, che urlò di dolore e scappò oltre l'angolo. Hermione sentì una specie di vibrazione nel pavimento. Cosa...?

«Nino! Ninuzzo, non toccare a nostra figlia!» abbaiò una volgare e roca voce femminile. Un'altra vibrazione: erano passi!

 

«Nino, quante volte te l'ho da dire, che non devi toccare a mia figlia?» sbraitò la stessa voce. Hermione, che non era altissima, non riuscì a vedere da dove provenisse. Poi, la moglie di Ron entrò nel suo campo visivo, ed Hermione si trovò a metà fra una risata sguaiata e un brivido di paura.

 

Gertrude Benedetta Lorraine Margaret Weasley era alta 1,54 m per 153 kg. Per supplire alla sua bassa statura, si cotonava i capelli rosso-pugno nell'occhio in un alto termitaio svasato.

Indossava un vestito leggero a motivo floreale, troppo largo per nascondere il lardo che strabordava dai fianchi, dalla pancia, dai seni, e troppo corto per celare le gambe a prosciutto, che sfregavano fra loro tanto erano grasse. Portava un paio di ciabatte da doccia ai piedi grossi come cinghiali. Le sue sgraziate braccia erano forse troppo pesanti perché le potesse sollevare, e terminavano in dita tozze e ravvicinate, come se avesse le mani palmate, unite da una membrana di adipe.

 

Il suo grasso viso era sudato all'inverosimile, nonostante facesse freddino. Sembrava sciogliersi come burro. La pappagorgia le ballonzolava ogni volta che muoveva la testa.

 

Nel complesso, Hermione la trovò orribile.

Dovette essere dello stesso parere anche Daniel, che si rifugiò spaventato dietro le magre gambe della madre, infilate in un paio di jeans.

 

«Nino! Come ti permetti?». Nino, cioè Ron, si scusò con un cenno del capo.

«Ninuzzo, ricordati che nostra figlia Elfrida non si tocca, capì', Nino?». Ron annuì.

«Miserabile, a toccà' tua figlia!» lo insultò Gertrude. Nino si prostrò – metaforicamente parlando, ché era almeno 30 centimetri più alto di lei – davanti alla moglie e si scusò a bassa voce.

 

Hermione voleva ridere, voleva ridere a squarciagola ma si trattenne. Scompigliò i capelli di Alexander, aveva i suoi stessi capelli ricci. Guardò Elfrida, che piangeva dietro le gambone della madre, e le sfuggì – malgrado il suo impegno – una risatina.

Nino e Gertrude si avviarono nella sua direzione. Con una delle sue enormi mani, Gertrude si trascinava dietro Elfrida, ignorando il suo pianto disperato, sbattendola in giro come un pupazzo.

 

Passarono accanto ad Hermione, e Ninuzzo non la riconobbe, anzi, non la guardò nemmeno, anche perché l'immenso corpo della moglie gli occludeva il campo visivo. E, a dirla tutta, anche perché camminava con la testa reclinata, come un cane bastonato, con la coda fra le gambe, accodandosi all'imponente figura di Gertrude.

 

Mentre le sfilavano affianco – Hermione strinse a sé Daniel, timorosa –, sentì Gertrude che respirava rumorosamente, come un mantice, anche se non stava facendo sforzi. Inspirava ed espirava, accaldata. «Fallito» ricordò a Ninuzzo, «Sei un fallito e basta».

Ninuzzo non rispose. Continuò a trotterellarle dietro.

 

E poi sparirono.

Hermione aggirò la macchia di pelati sul pavimento, mentre una giovane commessa puliva, borbottando: «Cicciona di merda... neanche a scusarsi...».

Si diressero alle casse, Hermione e i figli. Mentre attendevano in coda, disse a Daniel: «Danny, vuoi fare una cosa bella per la mamma?». Lui annuì.

«Quando papà torna da lavoro, digli che la mamma lo ringrazia».

«Perché?»

«Tu diglielo. Capirà».

 

Hermione sorrise, felice, e spinse oltre il suo carrello.

 

Angolo autrice

Scusate il ritardo nel postare il cap., ma stamattina non funzionava il sito e poi sono stata impegnata.

E così, giunge al termine questa mia prima fanfiction. :-)
Recensioni gradite.

--Chiara

  
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