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Autore: macchese    02/08/2011    1 recensioni
L'amore, è un bambino di cinque anni che fa quello che gli pare. T'incasina tutto, fa i capricci per ore, e le sue lacrime ti svegliano la notte. E non ti puoi chiedere cosa hai sbagliato... è un bambino! Ha cinque anni! E, indovina un po'...?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una giornata qualunque
Ci siamo. E' fatta anche per oggi. Il mondo ha fatto un altro giro su se stesso, bravo pianeta. Milioni di persone aprono gli occhi e beneficiano, abusano del dubbio costituito dalla possibilità che l'oggi che hanno di fronte, sarà una bella giornata. Inizia la giornata con un sorriso, e tutto andrà per il verso giusto. Per me, potete anche crederci, se vi piace sorridere. Non che mi dispiaccia.
Il cellulare mi ha svegliato, grattuggiando intensamente contro un comodino. Vibrando insistentemente finchè mano si poggia a disinnescarne la tanto bistrattata utilità. Sbircio nello schermo con un paio di pupille ancora troppo dilatate dalla notte trascorsa al riparo delle palpebre, stringendo gli occhi per poi abituarmi al barlume violento dello schermo. Non è un'ora balorda, lo è la sveglia. Non conosco levate ben accette che scaturiscano tramite l'ausilio di appositi congegni programmati dall'uomo, ma le mattine funzionano così. Ed è troppo tardi per cambiare le cose.
Mi alzo. Mi scoperchio di dosso le lenzuola del mio divano letto scassato da anni di culi appoggiaticisi senza grazia. Ma la sua deformazione, l'allentamento delle molle e qualsiasi altro intervento apportato dal suo deterioramento costante, lo hanno reso estremamente comodo alla mia persona. Questo, se vi stavate chiedendo il perché di un divano letto. Se non lo stavate facendo, ora lo avete fatto.
Procedo verso il bagno, e qui niente di nuovo. Barcollo ancora vittima della nebbia di Morfeo. Mi sbatto in faccia una manciata d'acqua fredda. Mi guardo allo specchio, mi palpo le occhiaie. Mi passo una mano sopra della timida barba, ombra leggera posata su uno sfondo spento. E su, fa un bel sorriso coglione.
Niente, no. Ed ora, non mi sembra meglio di prima. C'è solo un pirla che sorride in una stanza vuota, ed ho tanta voglia di chiedergli perché. Ha ventun'anni, frequenta un istituto scolastico con costanza ed impegno lacunoso, come sovente gli ricordano, da sette anni ormai, e non si sente un gran futuro addosso. Negli ultimi anni ha smarrito più cose di quante ne abbia trovate, cercate, ipotizzate. Svegliarsi tutte le mattine glielo ricorda, le giornate glielo bisbigliano ad un orecchio. E le sere, lo mettono di fronte al fatto compiuto. E diventa difficile addormentarsi senza che il cancello della mente si spalanchi per dire la propria. Quando la notte spegne tutto, dando vita alle fottute ombre. Ma poi ce la fa, ed il pianeta gira. Nemmeno adesso mi sembra meglio di prima.

Arrivo in quell'istituto, espleto la routine, mi dirigo in classe. Incontro un'enorme quantità di gente a cui probabilmente non rivolgerò mai la parola e non posso fare a meno di chiedermi se non stia sprecando il mio tempo a volte. Qualcuno incrocia il mio sguardo, chissà a cosa pensa. E chissà se pensa al mio di chissà. Qualcuno sta sorridendo, ma è sicuramente merito di un fatto precedente.
Cavalco le scale, zaino sulla spalla destra. Sulla sinistra non riesco. Tre piani più sopra, due svolte e due corridoi dopo c'è la mia classe. Dentro, i miei compagni. Esseri umani. La maggiorparte sono pseudo amici a tempo determinato, effetti collaterali di un appello e niente più. La minor parte è Foby, che mi aspetta o forse no, di fronte alla finestra come chiedendosi quanto è grande il mondo là fuori. Ma non importa. Fuori da queste porte, non sarà altro che una piccola ed insulsa parte quella che riusciremo a vedere.
Ci si saluta con gesti ed usanze collaudate da anni di sperimentazioni dentro e fuori quelle mura. Soprattutto fuori. L'amicizia con Foby è stata poco più che una coincidenza. Un'ascesa verticale ed un crollo simultaneo. Un'amicizia che ci è costata due anni. Sapete una cosa, lo rifarei senza tentennamento alcuno. Quando per sbaglio, probabilmente in buona fede,  ci misero compagni di banco. Era la nostra prima quarta. Nessuno poteva prevederlo.
Amici, ecco cosa. Una parola di cui si abusa sempre di più. Non sono necessariamente vostro amico per il fatto che vi stia salutando. Per quel che mi riguarda, devono intervenire anche altri fattori. Io non mi faccio nemmeno collezionare come una figurina sul web. Ma sapete com'è il mondo... ormai ve ne sarete fatti un'idea.
Foby, amico. Mi si avvicina con quel suo solito sorrisino, mentre mi sbuccio la giacca di dosso e la depongo sullo schienale della sedia. Appoggio una mano sul banco. Male. Il mio banco è ridotto male. Appiccicoso ed umido, estremamente sbagliate come sensazioni. Molto fuori posto. Sembra che ci siano soffiati il naso sopra, e la mia mano ha appena intercettato il miasma. Foby ride ed io m'incazzo. Ecco vedete? Amici. Loro se lo possono permettere.
Ed ora? Che fare? Fuoco? Non ha funzionato quel sorriso stamattina. Ed io di solito non sorrido appena sveglio. Dato che io conto sempre fino a dieci prima di incazzarmi, m'incazzo e pulisco. Cerco il bidello spacciatore, non di droga, e mi faccio dare l'essenziale, poi procedo a riassettare. Foby continua a ridere, ed alla fine rido anche io. Fanculo... è meglio ridere. Continuiamo così, intanto arriva Lurda.
Ed io sono uno spettatore. Lurda arriva, varca l'ingresso. Attraversa quell'amalgama di legno rosso che una volta si chiamava porta, e la soglia. E tira una sedia addosso a Foby. Ecco il punto. La sedia vola, non prende Foby, finendogli poco a fianco, ma il fatto è colposo.
Ora, se Lurda fosse mio cliente in tribunale direi calmi. Lurda non ha tirato nulla. E' inciampato, trovando ostacolo nel suddetto trespolo che oggetto dell'urto
ha, per inerzia della risultante forza cinetica, proceduto la sua corsa in direzione dell'ignaro Foby che sostava nella via di fuga. Nessun danno, nessun fallo. Ma non sono l'avvocato di Lurda e la sedia non è stato un caso. Non voleva colpirlo, ma mi sento di dire che voleva quasi sicuramente affermare un concetto. Mi sento come autorizzato. Come successivamente cerca di fare a parole.

    -Ma mi ascolti quando parlo?!- urla Lurda, incazzato

    -Ma... che?- Foby non ride più.

    -Ti ho detto che non devi sentirla!-

    -....- Foby sta zitto. E che altro dovrebbe fare?

    -Guarda che le cose sono cambiate da quando avevi la tipa!- conclude, andandosene.

Così, lasciando sfumare la sua spiegazione in una vampata d'ira.

L'odio è un evento senza misura, è un difetto dell'immaginazione ed uno lo gestisce come può. Per questo a mio avviso, non è il contrario d'amore. Semmai è l'assenza d'amore. Ma non divaghiamo. Qui c'è di mezzo altro. Gelosia.
Non che sia sbagliato come sentimento,  ma è strano. Vedete, la gelosia è quella fottuta macchina che ti mette sotto quando sei sulle striscie pedonali. Sai che esiste, sai che è una possibiltà. Ma quando ti piomba addosso è troppo tardi. E non c'è modo di accorgersene prima. Come una particolare medicina per il cuore, la digitale. Una medicina che però non ti devi preoccupare di prendere, ma di dare. Utile quando serve, letale nell'abuso. Tu la dai, magari pensi sia la dose giusta. Ma il cuore in questione non è il tuo.
Un abuso immotivato. Verso una persona per cui sostiene non aver alcun sentimento. Ecco il punto. Una ragazza. La sua tipa non tipa. Proprio quella ragazza trattata come una merda. Anche peggio. Ho visto merde esser trattate meglio, dato che di solito si evita di schiacciarle quando sono già a terra.
Ma noi lo sappiamo. Anzi, io lo so. Ed è questa la mia condanna: sapere. E sapere come funziona il suo cervello. Sapere che nega solo perché lei non è la più bella dell'istituto. Perché non fa smontare le mascelle dei ragazzi, facendone cadere i menti a terra, spalancando bocche ad ogni suo passaggio. Questa è ipocrisia. E io odio l'ipocrisia. Per lui, come per molti miei  "colleghi", le donne sono invisibili. Ora, a rischio di suscitare l'ira di qualche professionista della salute mentale presente (mi scuso immantinente), nonchè facendo della personalissima parapsicologia, credo ci sia una diagnosi per questa patologia. Si chiama "invidia della vulva".
Ma cosa è successo dunque?
Una ragazza, semplicemente. Quella ragazza. E la solitudine di Foby, che presentendo la mancanza di un nido, inizia a covare dell'interesse per una "signorina". E con signorina mi piacerebbe intendere una certa libertà relazionale. Una signorina amica di quella ragazza. Quella ragazza che è la donna, in un mai definito e capovolto universo, di Lurda. Ragazza che fa da tramite, con un ponte "sms", a questa signorina tanto ambita. Tutto qui. Non c'è stato alcun motivo razionale. Non c'è stato alcun contatto galeotto. Ma il giorno dopo, che poi sarebbe oggi, volano comunque le sedie. Ora, è lecito chiedersi se le cose siano andate veramente così. Ed io l'ho fatto. Sono andate così.

Foby guarda a terra, chiedendosi dove ha sbagliato, e magari trovandolo anche, quel dove. Io invece, sono un tipo più semplice. Mi chiedo soltanto dove cazzo sono finito. Ho già visto abbastanza, per essere le otto di mattina. E per non sapere che toccherà a me rimettere a posto i pezzi. Armiamoci di colla morale e, come si usa nei puzzle, iniziamo dagli angoli.
Qui non si tratta dell'odio di quel bulletto che ogni volta che m'incrocia, mi tira una spallata. Che ogni volta che mi passa di fianco, cerca di provocare una qualche sorta di reazione in me. Sulle scale, in corridoio, in cortile. Fallendo. Non è vigliaccheria. E che sono qui da troppo tempo per farmi espellere così vicino alla fine. Ormai non ci faccio più caso. Certa gente mi odia da talmente tanto tempo che non ne ricordo più i motivi. E comunque per me l'odio è quello che rimane quando le menti inferiori non riescono a piacere a qualcuno. Ecco, questo è l'odio stupido.
Poi c'è l'altro odio. L'emozione. Quello più sentito. Che forse non è nemmeno corretto chiamare odio, ma che ci fa reagire. Con gli amici e con l'amore. Quello che segue la rabbia, se coltivato a lungo. Dove siamo ora. Rabbia. La fase in questione. Come cerco di spiegare a Foby. Niente di personale. A dire il vero è personale, ma è troppo istintiva per trovarle un senso reale e immediato.
E di tutte le cose che noi possiamo odiare, un amore minacciato è tra le più odiate. E Foby lo doveva immaginare. Era difficile, quando le parole e azioni non dipendono le une dalle altre. Ma il fatto è questo. La questione sospesa a mezz'aria, quella che mi toglie il sonno la mattina a scuola, è che non capisco come questo debba diventare un problema. Perché lo diventa. Ogni volta. Perché a mio parere, e come sempre sentitevi liberi di obiettare, la gente non dovrebbe fare così. Non può incazzarsi. Non ne ha facoltà. Non può esercitare un diritto di prelazione su qualcosa che dichiara di non possedere. In questo caso, una fidanzata.  Se mi passate questa metafora.
Ma le sedie che volano non sono metafore danzanti e se ti prendono, non ti fanno solo un male aulico. 

    -Probabilmente l'avrei fatto anche io.- dico. Ci penso. Faccio altri due calcoli. Ok, non è vero. Io non lo avrei mai fatto, soprattutto a lui, l'essere umano meno pericoloso mai esistito. Ingenuo come me, nel dare un significato scontato alle cose scontate. Beh, non esistono queste cose. L'unica cosa scontata a questo mondo è il senno di poi. Tutto il resto è solo teoria.
Bravo Foby, non hai reagito. Sono orgoglioso di lui. In egual misura di quando qualche anno fa, si fece la nostra prof d'inglese. Foby is on the bed. And she goes mad.  
Suona la campanella, torna Lurda. Ci si siede accanto tenendo il broncio. Mi sembra di essere tornato alle medie, se non addirittura all'elementari. Non all'asilo perché non l'ho fatto. Foby vuole parlare ma glielo impedisco. Glielo vieto categoricamente. No. No! Non si può parlare con qualcuno il cui concetto di aver ragione è limitato dall'impossibiltà di ammettere opinioni diverse dalla sua.
Dunque, non resta altro che aspettare. L'unica soluzione ammissibile, accetta, che funziona, senza spreco del mio tempo. Non che abbia qualcosa di urgente da fare, ma il fatto che abbia del tempo da sprecare non significa che debba sprecarlo. 

So che dovrei fare qualcosa. Sono nel mezzo. Ma quando il condizionale è d'obbligo, le azioni sono sopravvalutate. Quando non è necessario prendere una decisione, è necessario non prendere una decisione. Sì, penso che mi rimetterò a questa legge.

    -E' solo rabbia.- spiego a Foby, postami una domanda la cui risposta è più inutile della domanda stessa. Stiamo andando verso la stazione, mimetizzati nella massa di studenti che tenta di raggiungere un treno che li riporti a casa. Parte di un fiume umano più e meno lontano dalla foce. Rabbia, solo rabbia. Accettala, se va bene. Se la risposta ti aggrada. Se te la senti di superare questo fatto che, in fin dei conti, non ti turba. Non turba nessuno. E' solo rabbia, se proprio vuoi giustificarlo. Io no. Siamo tutti arrabbiati. Siamo contenitori d'ira costantemente sotto pressione. Ma questo non ci dà il diritto di esplodere al primo alito di troppo. Forse non siamo tutti ugualmente elastici, non abbiamo tutti pareti resistenti, ma la rabbia va direzionata. Perciò calma. La rabbia rende più stupidi, è una questione di chimica cerebrale. Se potete, se possiamo, evitiamola. E' solo un consiglio. Quando la valvola di sfogo comincia a traballare, a dare segni di cedimento, pensateci un attimo e mirate bene prima di urlare. Se avete una qualche amicizia, la troverete utile.

E' già successo altre volte. E so che basterà una necessità qualsiasi che imponga riunirci per rimettere le cose a posto. Che so... una simulazione di terza prova, una partita a carte durante l'ora di educazione fisica. Ritovarsi per il progetto stradale. Oppure basterà del sesso con la sua ragazza. In questo caso, non dovremo nemmeno riunirci. E tutto sparirà, come se non fosse mai successo.  Ma allora è vero che la necessità è la madre di tutte le illusioni coscienti.
No... La necessità è una puttana messa incinta da papà caso. A noi tirare i dadi...

  
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