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Autore: Mark MacKinnon    02/08/2011    4 recensioni
Questa non è casa tua.
Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino.
Non puoi stare qui.

Il capolavoro di Mark MacKinnon tradotto da Il Corra Productions, una delle ff più sconvolgenti mai scritte, torna riveduto e corretto.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".

ULTIMO CAPITOLO ON LINE.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




VI

Quell’ultima notte innocente





Sul tetto – I


Riposavo sulla gentile pendenza del tetto come avevo fatto così tante volte nella mia vecchia vita, assaporando il calore del giorno dalle tegole sotto di me. L'aria si era un po' raffreddata, e le nuvole che oramai coprivano parte del cielo annunciavano pioggia, forse per l'indomani.
Chiusi gli occhi e cercai di immaginare una volta ancora che quella era la mia casa, che quando li avessi aperti di nuovo tutto sarebbe stato di nuovo come una volta, io e Akane a litigare, io a evitare le mie varie fidanzate, nessun dolore grave o permanente inflitto a nessuno. Ma ora le cose non stavano più così. Diavolo, forse non lo erano mai state. Cominciavo a sospettarlo. Ma una cosa era dannatamente certa. Non potevo illudermi di continuare la mia vita qui. Non dopo tutto quello che era successo.
Anche con gli occhi chiusi, potevo sentire il punto dove avevo trovato la mia Akane, pulsante come un dente cariato ai margini della mia coscienza. Era sotto di me e a sinistra. Anche se sapevo che se fossi andato a guardarlo per centinaia di anni non avrei mai trovato alcuna traccia di sangue, ogni volta che gli passavo vicino rabbrividivo. Tutto uguale, e tutto così diverso. Era abbastanza da far impazzire un uomo, sospettavo, col tempo. E non ero sicuro di quanto fossi forte, non più.
Le tenebre sorsero all'improvviso dietro le mie palpebre abbassate, facendomi irrigidire, e strinsi i pugni inconsciamente.
"Non ancora", sussurrai alle voci, alle ombre che mi reclamavano. "Per favore, non ancora. Presto". Non volevano ritornare nelle profondità torturate, ma lo fecero. Con riluttanza. Con sempre più riluttanza, ogni volta. Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui non avrei più potuto trattenere il dolore, e sapevo che forse mi avrebbe spezzato. Ma in meno di ventiquattro ore avrei affrontato Jack, e poi avrei abbandonato quel luogo per sempre.
Allora avrei concesso alle voci dei morti quello che era loro dovuto. Poi ci sarebbe potuta essere una resa dei conti, e avrei scoperto quanto le parole e il perdono che avevo ricevuto in quella casa significassero davvero nella parte più nascosta di me, dove contavano sul serio.
Sussultai leggermente quando percepii piuttosto che udire un passo leggero sul bordo del tetto, poi sorrisi intimamente nel riconoscere i movimenti, la presenza dell'altra persona come se fosse la mia.
E infatti, più o meno lo era...
"Ciao, Ranma", dissi senza aprire gli occhi. Lo sentii ridacchiare nell'avvicinarsi. Mi stavo proprio abituando a dire così, e ormai non mi disturbava più di tanto sentirmi chiamare Ranko.
Comunque, una volta partito, avrei ripreso il mio vero nome.
"Ragazzi, che giornata, eh?", sospirò Ranma, stendendosi di fianco a me. Aprii gli occhi e mi voltai verso di lui.
"Già, e che mi dici della cena? Il classico pasto a casa Tendo, no?".
"Oh, gente. Che casino!". Ridemmo insieme, ricordando come la cena alla fine fosse esplosa nel caos più totale. Dopo, c'era voluta mezz'ora solo per pulire il giardino. Il gruppo si era sciolto a poco a poco, ciascuno per la propria strada, ma sapevo che, finché restavo in quella casa, la pattuglia delle fidanzate e svariati altri ‘ospiti’ avrebbero fatto sentire la loro presenza anche più del solito.
"Ehi, hai notato...", cominciò Ranma con esitazione. Sollevai le sopracciglia.
"Notato che?".
"Le cose sembrano, non so, più strane del solito". L'avevo notato, a dire il vero, ma feci il tonto.
"Tipo?".
"Tipo, Akane che continuava a guardare Ryoga. Non credi che sappia...". Scoppiai a ridere.
"Scherzi? Dopo tutto questo tempo non ha ancora capito che è P-chan, figuriamoci che la ama".
"La amava".
"Siamo onesti. La ama ancora, almeno un po'. Ha deciso di rinunciare a lei, ma i sentimenti non cambiano a comando", Ranma annuì.
"Immagino sia così. E Mousse? Non ha quasi prestato attenzione a Shampoo! Niente scenate di gelosia, e solo qualche reclamo occasionale. E se non la conoscessi bene, avrei detto che la faceva infuriare! Lui continuava a guardare Ucchan. E Ucchan...". Ah. Ci siamo, pensai.
"E Ucchan", lo spronai. Lui alzò gli occhi al cielo, turbato.
"Odio vederla così", disse alla fine, sempre senza guardarmi. "Dovevi proprio trattarla in quel modo?".
"Ranma, non volevo trattarla così, e tu dovresti saperlo meglio di tutti! Ma Ucchan è speciale per me. È la mia più vecchia amica, e glielo dovevo!".
"Dovevi ferirla?", chiese sbalordito.
"Dovevo liberarla! Non voglio che lei si faccia false speranze per il futuro quando io so, per certo, che non ce ne saranno mai. Ora le fa male, ma alla fine sarà meglio così, sarà più onesto. Lei giura di non volersi arrendere, ma credo che alla fine capirà. Almeno io le ho parlato chiaro". La critica sottintesa era che lui non aveva mai avuto una conversazione del genere con lei. Ero sicuro che non gli fosse sfuggita. Restammo là sdraiati per un po' mentre aspettavo di sentirgli dire quello che doveva dire.
"Le hai detto che ami ancora Akane, vero?". Non era una domanda, ma risposi comunque, sentendo stringermi il cuore.
"Sì". Infine si voltò per guardarmi in faccia, e la sua espressione era strettamente controllata.
"Beh, lei è proprio qui di sotto, sai. Potresti scendere e dirglielo. Il peggio che può accadere è che lei debba scegliere tra noi due. Tu devi averci pensato. Voglio dire, cosa ci dice che lei preferirebbe me a te?".
Ci alzammo entrambi a sedere, fissandoci; la sua postura era tesa e infelice. Era una battaglia che non voleva combattere, lo sapevo, una che non sapeva come combattere. Dopo tutto quello che era successo prima, non voleva causare un'altra spaccatura tra noi. E avendo già deciso, sapevo che non si doveva preoccupare. Ma la tentazione era là, e solo per un secondo mi chiesi chi avrebbe scelto, se si fosse giunti a questo.
Fermati! Dannazione, sai che non può andare così! Lo sai, ora diglielo. Diglielo.
"Non succederà, amico. Tu lo sai".
"Lo so?".
"So cosa provi per lei. Io ho perso la mia opportunità, e ora sta a te se sprecare o no la tua. Ma qualunque cosa accada, io non interferirò". Lui aggrottò la fronte con rabbia, fissando i suoi pugni stretti, poi incontrò di nuovo il mio sguardo, e l'azzurro dei suoi occhi sfumava in un grigio tempestoso a rispecchiare il suo tormento interiore.
"Scusami, è solo che mi è difficile credere che tu possa sederti in un angolo e guardarmi mentre cerco un modo di dirle cosa significhi per me. Tu sai quanto è duro per me, sai perché sto ancora... esitando. Ma scommetto che tu non esiteresti, non dopo averla persa una volta. Scommetto che riusciresti a dirle quello che vuole sentire, non è vero? Presto o tardi, qualunque cosa tu dica ora, la tentazione potrebbe prendere il sopravvento". Annuii lentamente.
"Oh, certo, hai assolutamente ragione. Mi ucciderebbe essere così vicino a lei e non poterla avere. È uno dei principali motivi per cui me ne vado". Ranma sbatté le palpebre.
"Tu... cosa?".
"Ascolta. È come mi ha detto Ryoga, è da pazzi tormentarsi e languire per qualcuno che non potrai mai avere. Io mi tormenterei, e hai ragione, presto o tardi potrei essere tentato di fare qualcosa di stupido. Ma non accadrà se non sarò qui".
"Allora te ne andrai per quello che ti ho detto". Ranma sembrava ancora più turbato, e mi affrettai a interromperlo prima che potesse cominciare a sentirsi di nuovo in colpa.
"No. Avevo già deciso, da prima. Senti, la situazione con Akane sarebbe brutta, ma non è solo quello. È per tante cose. Se io me ne andrò, e tu ti metterai con Akane, allora Ucchan e gli altri dovranno fare i conti con la realtà".
"Io non ci conterei", borbottò lui. Gli sorrisi.
"La speranza è l'ultima a morire", dissi allegramente. Poi il mio sorriso svanì e sospirai. "Inoltre, molto di tutto ciò dipende dalla mia presenza qui".
"Che vuoi dire?", chiese, con aria confusa.
"È da un po' che cerco di capire se l'essere qui, con tutti voi, sia una cosa positiva o negativa. Sono giunto alla conclusione che è un po' di entrambe. Quando vagavo per quel che era rimasto di Nerima, negli ultimi giorni, avevo perso tutto. Penso che avrei potuto impazzire. A dire il vero, devo essere stato un po' in palla in quel periodo, non ricordo le cose molto bene. Non sono sicuro di come sia riuscito a sopravvivere... quando qualcosa mi attaccava, io mi difendevo istintivamente. Ho ancora le cicatrici di quegli incontri. Poi, dopo il mio ‘salvataggio’, quando sono finito qui, è stato come avere una seconda possibilità. Tutto quello che avevo perso era qui. E mi ha aiutato a respingere il buio, i ricordi di quello che è successo. Per un po'. Ma quei ricordi sono ancora qui, è solo che non li ho ancora affrontati per davvero. E questo posto non è proprio una seconda possibilità. È la tua casa, e non è stata fatta per ospitare due Ranma".
"Potremmo cambiare le cose", disse Ranma. "Quello che ti ho detto prima, per Akane...". Lo presi per la spalla e lo scossi gentilmente.
"Non possiamo dividercela, e non possiamo dividerci la tua vita. Ascolta. Sarebbe così facile per me restare qui, ma sarebbe sbagliato. Ho bisogno di trovare un posto, qualcosa che sia solo mio, non tuo e mio, e capire se posso convivere con i miei fantasmi. Forse, se ci riesco, potrò tornare qui senza scombinare le vite di tutti. Forse. Ma devo allontanarmi da tutto questo, perché è troppo seducente, troppo facile far finta di poter continuare in questo modo, e sarebbe sbagliato, per non dire ingiusto per tutti".
"Se te ne vai", disse Ranma piano, "sarai solo. Come eri... come eravamo prima di arrivare qui. Non avrai neanche papà con te. Non mi piace l'idea di lasciarti andare via da solo. Non mi sembra giusto. Ormai sei come un fratello per me, lo sai? Come posso abbandonare mio fratello? Mi stai davvero chiedendo di comportarmi così?". Mi guardò, implorante. Sapeva che avevo le mie ragioni, ma il suo onore non gli permetteva di lasciarmi andare così facilmente. Sapevo che dovevo fargli capire, così da non condannarlo a torturarsi dopo la mia partenza. Era una delle ragioni per cui avevo deciso di parlarne prima con lui.
"Puoi farlo perché te lo sto chiedendo", gli dissi, "e perché sai che è la cosa giusta da fare. Se non parto, non sarò mai nulla più della tua ombra, Ranma. Devo trovare la mia strada. Devo seppellire i miei fantasmi, o non avrò mai più un momento di pace". Lui mi guardò per un lungo istante, col volto pieno di incertezze, cercando una falla nel mio ragionamento, anche se la mia presenza là gli avrebbe causato problemi. Si stava impegnando davvero. Sperai, se le nostre posizioni fossero state invertite, di poter essere così onorevole.
"E domani?".
"Vuoi dire Jack. Dovrebbe arrivare qui per l'ora di pranzo. Lo stenderò, naturalmente. Non servirò mai quei bastardi, non dopo che hanno abbandonato tutti coloro che amavo. E gli renderò chiaro che se decideranno di seguirmi, io non sarò a meno di un anno luce da casa Tendo".
"Ma dove sarai? Dove andrai?".
"Da qualche parte. Da qualsiasi parte. Lo saprò quando ci arriverò, immagino. Ho come la sensazione che il viaggio sarà più importante della destinazione vera e propria". Le spalle di Ranma caddero e lui sospirò.
"Vuoi farlo sul serio, non è vero?".
"Devo. È l'unico modo per ritornare un uomo completo. Voglio che tu lo capisca. Ho bisogno che tu sappia il perché della mia partenza". Lui abbassò la testa, poi alzò gli occhi su di me.
"Credo di capire", disse alla fine. "È solo che non vorrei che fosse così. Quando lo dirai agli altri?".
"Domani andrà bene. Godiamoci un'ultima notte tutti insieme". Allora mi fissò, come se potesse vedere cosa stessi pensando. Ma non poteva. Eravamo finiti su strade diverse, e quelle strade divergevano sempre di più.
E nessuno poteva dire se e quando si sarebbero ancora unite.
"Ehi, voi due. Cosa sono quelle facce serie?". Alzammo entrambi gli occhi e vedemmo Akane affacciata alla cima del tetto che ci guardava con curiosità. Sentii un dolore acuto, al pensiero che presto, per mia scelta, non l'avrei più rivista.
Ma era la scelta giusta. Lo era. Solo avrei voluto che non facesse così dannatamente male.
"Pensavo che vi avrei potuto trovare quassù", disse lei nel silenzio imbarazzato. "Spero di non aver interrotto niente di importante".
"No", dissi più allegramente che potei. "Stavamo solo parlando".
"Bene. Uh, Ranko, mi spiace chiedertelo, ma potrei parlare con Ranma da sola?". Mi guardò, con qualcosa di indecifrabile nei suoi caldi occhi castani, e io resistetti all'impulso di dirle che avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto, sempre.
"Sicuro", dissi invece. "E poi avevo in programma un bagno e si sta facendo tardi. Ci vediamo". Con un gesto di saluto a entrambi, zompai al bordo del tetto e saltai a terra. Lo sguardo sul volto di Akane mi aveva detto che quei due stavano per fare una conversazione seria.
Forse la conversazione seria, quella che non avevo mai avuto con la mia Akane.
Desiderai augurare loro buona fortuna, ma non ero davvero dell'umore.


Sul tetto – II

(Ranma)

Ranma guardò con circospezione Akane sedersi di fianco a lui. Decisamente non gli piaceva l'espressione seria che aveva, e nemmeno la palese tensione nel suo atteggiamento era un buon segno. Per chiunque la conoscesse, i segnali di allarme erano chiari come la luce del sole. Akane non era per niente contenta, e si apprestava a condividere il suo malcontento.
"Uh, tutto ok?", chiese Ranma, fin troppo conscio di quanto la domanda suonasse male. Akane sedeva immobile, con le ginocchia raccolte al petto e le braccia strette attorno alle gambe, fissando il cielo. Il vento le soffiò i capelli sul volto e lei li ricacciò dietro l'orecchio con aria assente.
"Stavo per chiederti la stessa cosa. Tu e Ranko sembravate piuttosto seri. Di cosa stavate parlando, poi?".
"Parlavamo di, sai, domani. Quando quel Jack tornerà". Gli occhi di lei si socchiusero leggermente, e Ranma notò che le sue mani stavano stringendo forte le ginocchia.
"Ah, sì. Quello. Sai, papà vuole che vada via con Kasumi, Nabiki e tua madre, per stare lontane da casa finché non sarà finita".
"È una buona idea". E nel momento in cui lo diceva, Ranma si rese conto che era esattamente la cosa sbagliata da dire. Si preparò a un'esplosione di furia.
Che, con sua grande sorpresa, non arrivò. Lei si limitò a guardare il cielo, come cercando qualcosa. E la sua espressione, ancora tesa e controllata, sembrò anche un po' triste.
"Tu la pensi così, eh?". Alla fine abbassò lo sguardo, per guardare Ranma negli occhi. "Immagino di non dovermi sorprendere, giusto? Tu ti comporti sempre così, dopotutto". Ranma avrebbe voluto dirle che non aveva cattive intenzioni, che voleva soltanto che lei fosse al sicuro, ma come al solito le parole sembrarono intasarsi nella gola.
"A-Akane, che...?".
"Zitto!". Sussultò, sorpreso dalla veemenza nella sua voce. Il suo tono aveva tradito un’intensa emozione, e Akane sbatté rapidamente le palpebre, come per ricacciare indietro delle lacrime. "Accidenti a te, Ranma! Questa è casa mia! Tu sei il mio fidanzato, che tu lo voglia o no! Io non scapperò a nascondermi come una scolaretta spaventata, sono un'artista marziale!". Lo fissò, e Ranma si ritrovò letteralmente senza parole davanti alla sua rabbia, in qualche modo differente dai suoi soliti accessi. "So di non essere al tuo livello, ma dannazione, praticamente nessuno lo è! Ranma, io non sono un bocciolo delicato da proteggere. L'uomo che sposerò dovrà trattarmi come una sua pari, come una compagna. Ma forse a te non importa granché. Dopo tutto, non hai mai detto di volermi sposare, no? Ed è qui che sta il problema. No, noi siamo il problema". Ranma sentiva il petto oppresso da un peso inimmaginabile, e lottò per respirare. Che diavolo stava succedendo? Cosa stava dicendo?
"Akane, cosa... di cosa stai parlando? Perché sei così infuriata?", chiese. Avrebbe voluto essere arrabbiato anche lui, ma quella non era una delle loro solite litigate. Era qualcosa di diverso. Qualcosa di grosso. Si sentiva come se le fondamenta del suo mondo stessero tremando.
"Perché sono infuriata?", chiese lei piano. Ormai si era liberata di parte della tensione, e sembrava più triste che adirata. "Tu proprio non lo sai, vero? Tutto questo, questi ultimi giorni, è stato come un avvertimento, una visione di come le cose potevano essere. Guardati intorno, Ranma. Praticamente tutti quelli che conosciamo vivono vite sospese nell'attesa che noi stabiliamo se c'è qualcosa tra di noi o no. E c'è? Ci sarà mai? O io sono troppo un maschiaccio per te, e non abbastanza il fiore che ha bisogno di protezione? Dimmelo, Ranma. Ho bisogno di saperlo".
Ranma la fissò, notando il modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore, l'umidità delle lacrime nascoste nei suoi occhi. Aveva bisogno di sentire una risposta proprio in quel momento, davvero. Il suo bisogno era così grande che gli sembrava avrebbe potuto riversarsi sulla sua pelle come un fiume di fuoco se lui fosse riuscito a raggiungerlo.
Poi Ranma pensò a Ucchan a cena, pensò a tutta la gente i cui sentimenti erano in gioco, alla fragile casa di carte che esisteva attorno a lui.
E non ce la fece.
In genere, quando voleva fare un discorso serio con Akane, qualcuno arrivava immancabilmente a rovinarlo. La bici di Shampoo sarebbe atterrata sul tetto con un allegro "Nihao!" o il suo vecchio sarebbe comparso con una telecamera, o qualcosa di equivalente. Ma ora che aveva un disperato bisogno di interrompere la conversazione, ora che necessitava a tutti i costi di un diversivo, non c'era niente del genere.
Così fece un ultimo frenetico tentativo per mantenere lo status quo.
"Non parliamone adesso, ok? Forse più tardi, dopo che tutto...". Si interruppe ne vederla alzarsi in piedi bruscamente, spazzolandosi la gonna.
"Se non ora, quando? Cosa diavolo stiamo aspettando?". Ranma era ferito, confuso, dal suo improvviso bisogno. Non sapeva cosa dire, così come al solito disse la cosa sbagliata.
"Ehi, forse io non voglio parlarne, ok? Forse sono solo stanco di donne invadenti!".
"Capisco", disse lei, e la sua voce era neutra, morta. "Certo. Immagino che in fondo non abbiamo niente da dirci, vero, Ranma? Addio". E si diresse al bordo del tetto.
Lui rimase seduto a guardarla allontanarsi, con gli occhi sbarrati, il cuore che martellava in gola, e fredda paura liquida nelle vene. Era improvvisamente sicuro che se la lasciava andare, quella sarebbe stata la fine, per loro. Un panico come non l'aveva mai provato, nemmeno davanti a mille gatti, crebbe in una scintillante onda nera, pronta a inghiottirlo, a lasciarlo solo e alla deriva in un mare di disperazione.
Torna indietro, voleva dirle. Non volevo. Ho bisogno di te. Ma le parole non venivano. Come sempre, nel momento del bisogno, non venivano. La sua gola si chiuse, soffocandolo, e non poteva parlare.
E lei se ne stava ANDANDO.
Poi, nel momento in cui lei si preparava a saltare, lui rivide, con chiarezza cristallina, il volto di Ranko-chan mentre gli raccontava di come aveva perduto la sua Akane, di come non era stato là per lei.
"Lei era così preoccupata... lo sguardo nei suoi occhi", gli aveva detto Ranko-chan, trattenendo come poteva le sue emozioni. "Non sono mai stato così vicino dal dirle cosa significasse per me. Ma non lo feci. E ora non potrò mai più".
Ricordò il dolore sordo nella voce di Ranko-chan, e seppe che se lasciava andare Akane in quel momento, lo avrebbe rimpianto per il resto della sua vita.
Non poteva lasciare che accadesse.
Allora strinse i denti. Raccolse quello che restava del suo coraggio. Maledisse la sua incapacità di parlare.
E si lanciò nell'ignoto.


(Akane)

Allora è così che stanno le cose, si disse intorpidita. Gli ho detto quanto bisogno avevo di parlarne, quanto fosse importante per me. E lui non vuole essere seccato. Non cambierà mai, non si deciderà mai.
Almeno adesso lo so. Ora posso... posso...
Francamente, non aveva alcuna dannata idea di cosa fare ora. Abbassò lo sguardo oltre il bordo del tetto al cortile illuminato, sentendo una lacrima solitaria scenderle dalla guancia. Si tese per saltare giù.
E poi si ritrovò in aria, spinta improvvisamente all'indietro.
Sbatté le palpebre, sorpresa. Qualcosa la stava stringendo con forza. Braccia. Le braccia di Ranma. Le guardò stupidamente. Poteva sentirlo dietro di lei, e per un secondo osò sperare.
Ma lui continuava a non dire niente, e lei deglutì nel tentativo di non far tremare la voce. Era arrivata fino a quel punto. Non poteva lasciare che le cose continuassero com'erano. Non era giusto, né per lei, né per nessuno di loro. Lei aveva fatto la sua parte, e lui non aveva contraccambiato.
"Ranma, lasciami andare". Niente. Prese un respiro profondo, senza muoversi. "Ranma. Lasciami. Andare". Per un'eternità, niente. Poi, proprio quando il suo fragile autocontrollo minacciava di spezzarsi, lui parlò.
"Non andare. Ti prego". Si gelò, scioccata. La voce di Ranma era sottile, implorante. Il suo volto era premuto contro i suoi capelli e lei poté sentire qualcosa di caldo e umido sulla nuca.
Lacrime? Ranma stava... piangendo?
"R-Ranma...?".
"Voglio dirti... davvero! È solo che... non so come. Akane. Resta. Ti prego. Dammi un'altra possibilità". La sua voce era un sussurro impellente e lei chiuse gli occhi, sentendo il corpo di Ranma contro il suo, le sue braccia attorno a lei. La sensazione le dava il capogiro. Prese un bel respiro e tamburellò leggermente sulle braccia. Lentamente, con riluttanza, lui la lasciò andare e lei si voltò per guardarlo.
Lacrime. Il suo volto ne era intriso, e ogni muscolo nel suo corpo sembrava urlare di tensione. Sentì le proprie lacrime, a mala pena trattenute fino ad allora, riversarsi in quantità ancora maggiore, bruciandole gli occhi, gocciolando dal mento.
"Cosa? Dimmi, Ranma". La sua voce era rauca, malferma, e lui le posò le mani sulle spalle, guidandola a sedersi accanto a lui sulla gentile pendenza.
Era ormai buio pesto, ma le case e le luci della strada provvedevano luce in quantità più che sufficiente per farle vedere che Ranma si struggeva per trovare le parole di cui aveva bisogno. Erano seduti così vicini che i loro corpi si toccavano, ma per una volta lui non si ritrasse.
"Dimmi", disse ancora, pregandolo, cercando di fargli finalmente capire. "Per favore, voglio che tu mi parli. Ne ho bisogno".
"Non volevo ferirti, Akane", disse lui alla fine, con una voce già più sicura. "È solo che... non ho mai dovuto spiegarlo a parole prima. Nemmeno con me stesso. Non sono sicuro di come...", finì con aria incerta.
"Ti sto ascoltando, Ranma", disse lei, toccandogli piano un braccio, cercando di infondergli forza per continuare. "Veglio sentirlo. Per favore". Lui sembrò turbato, e arrossì un po' al suo tocco, ma annuì.
"Ok. Cominciamo". Si riempì i polmoni, chiuse gli occhi, ed esalò. "Quando ero piccolo, sai che papà mi ha portato in giro un po' dappertutto. A parte quel periodo con Ucchan, e tutte quelle lotte con Ryoga, non ho mai avuto veri amici. Non ho mai avuto niente. Noi vivevamo così. Ci portavamo le nostre vite negli zaini, e non restavamo mai troppo a lungo in un solo posto. E io lo odiavo. Oh, come lo odiavo. Doveva essere una grande e nobile avventura, ma segretamente tutto quello che volevo era avere una vita vera, con una casa e persone attorno... non che qualcuno me lo chiedesse, naturalmente. Io non dovevo mostrare alcuna debolezza o vulnerabilità, così potevo a malapena dire a papà che ero solo, no?".
"Ranma". Akane studiò il suo volto, affascinata. Era così strano da parte del Ranma che conosceva questo mostrarle i suoi sentimenti. Ma aveva già visto bevi scorci di questo Ranma, sapeva della sua esistenza. Si sporse di impulso e gli strinse una spalla. Lui la guardò, sorridendo debolmente, poi abbassò lo sguardo sul tetto, con i gomiti sulle ginocchia, e le mani che pendevano senza energia. Il suo volto era rosso di imbarazzo, ma si sforzò di continuare.
E lei lo amò per questo.
"Il puntò è, io non ho mai avuto niente. E proprio per questo, non ho nemmeno mai avuto niente da perdere. E poi arriviamo qui". La guardò con la coda dell'occhio, vide che lo stava guardando, e riabbassò lo sguardo. "Quest'ultimo anno, tu non hai idea di cosa sia stato per me. Anche con la maledizione e tutti i problemi che ho avuto, alla fine ho avuto una casa, ho avuto degli amici. Ho... trovato te". Il cuore di Akane accusò un dolce colpo nel vederlo sorridere, ancora incapace di guardarla. "Per me, è stato come un paradiso al confronto degli anni precedenti. Ma...".
"Ma?", chiese lei piano. Poteva percepire che ora si stava avvicinando al cuore del problema, e resistette all'impulso di trattenere il fiato, sperando, desiderando...
Dimmelo, Ranma. Ti prego.
"Ma ora ho qualcosa da perdere. Tutto qui è così confuso, così ingarbugliato, così complicato! Credi che non sappia quanto questa situazione sia dolorosa per tutti? Io non volevo fare del male a nessuno! Ma", balbettò, alla ricerca delle parole giuste, "i-io non so cosa farci! Io ho paura a cambiare le cose! Sono paventato, capisci?". Strinse i denti e fece una smorfia, come se ammettere di aver paura gli provocasse dolore fisico. E mentre lei lo fissava, letteralmente senza parole, lui alzò lentamente, faticosamente gli occhi sui suoi, mentre respiri stentati uscivano tra i suoi denti contratti. "Io ho paura che cercando di cambiare le cose potrei rovinare tutto, potrei farci dividere, e finire da solo di nuovo. Senza una casa, senza di te, senza nessuno. È come se fosse da ingrati rischiare tutto questo, come dire 'sono felice, ma non mi basta. Voglio esserlo di più.' Almeno stando così le cose, mi sento al sicuro". Rise amaramente. "Pensa te. Sicuro. E visto che non ho voluto perdere quello che possiedo, ho finito per far del male a tutti quanti. E ho fatto del male a te".
Akane sussultò nel vederlo sporgersi improvvisamente per prenderle le mani nelle sue.
Erano così grandi, le coprivano completamente. E calde. La sua pelle formicolò al tocco, e il suo cuore si mise a battere come le ali di un colibrì. Alzò gli occhi, lentamente, su di lui. Poteva vedere la verità di quelle parole nei suoi occhi. Era spaventato, e insicuro, non era per niente quel ragazzo avventato e presuntuoso che conosceva.
"Non ho mai voluto farti del male", sussurrò. "E non ho mai voluto perderti. Non hai idea di quanto sia difficile per me dirti questo".
Lei rise attraverso le lacrime.
"Sì invece", disse, con la voce spezzata. "Difficile quanto lo è stato per me. Solo avrei voluto sapere come ti sentissi, per tutto questo tempo...".
"Non potevo dirtelo", disse lui. "Non sapevo come. Non ho mai dovuto parlare granché nella mia vita, solo combattere. Ma mi ci è voluto molto tempo per capire che ci sono problemi che nessuna tecnica di arti marziali può risolvere. Quando ho pensato che stavi per andare via da me, prima, finalmente ho capito che sarebbe valsa la pena di tentare qualsiasi cosa pur di non perderti. Anche se dovrò cambiare finalmente le cose. Anche se dovrò rischiare tutto. Mi hai chiesto cosa stessi aspettando, ricordi? Beh, ora lo sai. Ero solo un codardo".
"No, Ranma", sussurrò lei gravemente. "Io ti conosco. Tu non vuoi ferire nessuno, e lo capisco. È un nobile impulso, ma presto o tardi questa situazione dovrà cambiare. Non puoi avere quattro fidanzate per sempre. Non è colpa tua se qualcuno dovrà farsi male". Strinse le sue mani, desiderando che sorridesse, che la smettesse di sentirsi così infelice. Quel discorso era ciò che aveva voluto, ciò di cui aveva avuto bisogno. Era felice di averlo finalmente sentito, e voleva che anche lui lo fosse.
"Non ho mai chiesto che la mia vita fosse così", le disse con calma. "Trasformarmi in una ragazza, avere tutte quelle ragazze alla mia caccia, non ho mai chiesto niente del genere. Ma dato che avevo paura a cambiare le cose, ti ho quasi lasciato andare".
"Già, ci siamo andati piuttosto vicini, vero? A gettare la nostra possibilità, intendo", sussurrò Akane. Ranma abbassò gli occhi nei suoi e infine sorrise, rilassato.
"Immagino di sì. Ma ora andrà tutto bene".
"Davvero?", chiese lei piano.
"Uh-uh. E sai perché?". Ranma deglutì, e i suoi occhi grigi la incatenavano, senza fondo e bellissimi.
"Dimmi".
"Perché io ti amo, Akane Tendo". Proprio quando pensava di non poterne provare ancora, il suo cuore esplose in una silenziosa nova di gioia. Lo fissò, sentendo il calore salirle alle guance. Lo aveva detto. Sul serio. Sentiva come se la sua testa non avesse più peso.
"Davvero?", sussurrò alla fine. Lui annuì solennemente, asciugandole le lacrime, sfiorandole gentilmente le guance con la punta delle dita.
"Oh sì. Per sempre e per sempre". Akane rincominciò a piangere. Lui improvvisamente apparve incerto.
"Ranma!", singhiozzò lei, lanciandogli le braccia al collo e stringendolo. Sentì le sue braccia circondarla con esitazione, dapprima tentennanti, poi più ferme, mentre lei singhiozzava contro la sua spalla.
"Ehi, che succede?", chiese, con un tono genuinamente preoccupato. Lei sospirò, affondando nella confortante solidità del suo corpo.
"Oh Ranma", disse sorridendo tra le lacrime, "non sai proprio niente delle ragazze, vero?". Poi insinuò una mano dietro alla sua testa, affondando le dita nei suoi capelli, e si sporse sul suo orecchio.
"Anch'io ti amo", sussurrò con voce roca. Indietreggiò per vedere il sorriso di sollievo sul suo volto, il rossore che saliva sulle guance, e capì che anche lui aveva avuto bisogno di sentire quelle parole, proprio come lei.
"Davvero?", chiese.
"Davvero", rispose solennemente. "Per sempre e per sempre". Rimasero a guardarsi, mentre l'universo si riduceva a loro due su quel tetto. Akane contemplò il volto di Ranma, in fiamme per l'emozione che aveva sempre desiderato comparisse, e più di ogni altra cosa desiderò baciarlo.
E così fece. Si chinò in avanti e toccò gentilmente con le labbra la bocca di Ranma. Percepì la tensione in lui, la sorpresa, mentre teneva la bocca contro la sua, dischiudendo piano le labbra. Poi, teneramente, e così lentamente, lui ricambiò il bacio, mentre le sue mani le salivano lentamente lungo la schiena, e un dolce calor bianco invadeva il suo cuore, bruciando via tutti i problemi e i bisticci e i dubbi di quel giorno. Assaggiò il sale delle loro lacrime, sentì il suo respiro caldo sul volto e chiuse gli occhi perdendosi nella sensazione di stare tra le sue braccia.
Lei e Ranma avevano finalmente compiuto quel primo tremante passo. Con gentilezza ruppero il bacio e si guardarono, con la consapevolezza che tutto era cambiato tra di loro che bruciava nei loro sguardi.
Ma ora erano insieme, ed era tutto ciò che contava.


(Nabiki e Kasumi)

Solo freddi numeri.
Nabiki fissò con malumore il libro contabile aperto. In genere, i simboli le parlavano. Manipolare valori era come un'arte, come una danza, e lei riusciva a percepirne gli schemi nascosti e a farli ballare al suo ritmo.
Ma non quella sera. Quella sera erano solo freddi numeri, e si rifiutavano di danzare. Sbuffò e richiuse il libro. Sporgendosi all'indietro sulla sedia, intrecciò le mani dietro la testa e si stirò languidamente. Era tutta colpa di Ranko, ne era sicura. Lasciò cadere le braccia e sospirò. Ranko. Non aveva voluto dirgli tutte quelle cose, e aprirsi con lui come aveva fatto. E allora perché l'aveva fatto? Perché mostrargli il suo cuore indifeso? Scosse la testa e sorrise. Doveva essere stato il leggendario fascino dei Saotome, si disse con disappunto.
Ma non era per quello, e lei sapeva che non poteva accantonare l'episodio così facilmente. Da un po' di tempo dentro di lei avevano cominciato a crescere certe idee, e l'incidente con Ranko era stata l’ultima goccia. Conoscere il dolore che gli aveva causato, provare il dolore che le aveva inflitto in cambio, l'avevano fatta infine ammettere che i suoi schemi ferivano la gente. Mai così duramente prima d'ora, ma quanto dolore è accettabile infliggere deliberatamente a chi hai attorno?
Sospirò di nuovo. Non voleva pensarci, perché senza i suoi schemi, cosa aveva? Niente, ecco cosa. Niente di niente.
E poi, a lei piaceva far soldi. E allora qual era la risposta?
I suoi sempre più caotici pensieri furono interrotti dal bussare alla sua porta. All'invito, entrò Kasumi, sorridendo. Come sempre.
"Ehi, sorellina. Che succede?".
"Oh, niente di particolare. Mi stavo solo chiedendo come stavi".
Su certe cose, pensò Nabiki con affetto, puoi sempre contare.
"Sto bene, Kasumi. Davvero".
"Hai parlato con Ranko?". La domanda era stata posta con fare accidentale. Ma Nabiki poteva giurare che la sorella maggiore fosse molto interessata alla risposta.
"Già", arrossì leggermente, chiedendosi cosa dovesse dirle esattamente. Ah, che diavolo, pensò. Dacci dentro, non arriverai da nessuna parte da sola. "A dire il vero", continuò, "abbiamo avuto una conversazione piuttosto interessante. Lui era molto dispiaciuto per quello che aveva detto. Era abbastanza chiaro che lo tormentava, sai, con la sua famiglia appena morta. So che non avrebbe mai voluto dirlo. Il fatto è che ho cominciato a chiedermi cosa avessi fatto per fargli dire quelle cose, e... non ero molto fiera di me stessa. L'ho ferito profondamente, e anche se ora le cose tra di noi vanno meglio, ci stavo pensando...".
"A cosa?"
"A cosa faccio". Nabiki sospirò teatralmente. "Io porto a casa un sacco di soldi, e mi piace farlo. Ma i miei mezzi non sono sempre puri e candidi, sai?".
"Sconvolgente", fece Kasumi. Era una cosa così non da lei che Nabiki si fermò un momento, presa in contropiede. Il sorriso di Kasumi si allargò.
"Uhm, già, dunque... io non voglio far del male alla gente, sai, non mi piace. Non sono un mostro. Ma non voglio neanche smettere di fare affari. E il modo in cui ho sempre fatto affari è sfruttare le debolezze altrui. Sono piuttosto brava anche in questo. Se la smetto, non sono sicura di cos'altro fare". Kasumi annuì come se fosse proprio quello che si aspettava di sentire, e si sedette con calma sul letto.
"Ti stai chiedendo se puoi continuare con i tuoi affari come al solito, sapendo quali effetti possono avere".
"Qualcosa del genere".
"Nabiki, io penso che tu sappia perfettamente cosa fare, è solo che non vuoi farlo". Vide che Nabiki la stava guardando nervosamente, e continuò. "Sei una ragazza molto intelligente per certi aspetti, ma le persone non sono il tuo forte. Oh, sai come sfruttare i loro punti deboli, ma tutto quello che ottieni è allontanarli da te. Confido che tu possa continuare a esercitare il tuo talento senza causare dolore a degli innocenti. Sicuramente puoi fare affari in quel modo, vero? Puoi essere una donna d'affari con una coscienza, certo, e troverai più semplice la convivenza con te stessa. Sono sicura che farai la scelta giusta. Ora che hai visto l'alternativa, voglio dire". Nabiki studiò la sorella maggiore per un lungo istante, considerando la sua risposta, poi batté le mani davanti al petto e si contorse estaticamente, con gli occhi grandi e scintillanti d'adorazione.
"Oh, grande sorella", proclamò, "sei così SAGGIA!". Kasumi si mise a ridere a quello spettacolo, e Nabiki si unì a lei. Ridere faceva bene. C'era stata così tanta oscurità attorno a quella casa negli ultimi tempi.
"Ok, allora non sarà facile", disse Kasumi alla fine. "Ma sai che devi provare".
"Lo so, lo so. Ragazzi, mi sento meglio", rispose lei. "La cena è stata così tesa, credevo che qualcuno finisse per esplodere". Kasumi annuì pensierosa.
"Sì", disse con una punta di tristezza, "sembra che le cose non miglioreranno tanto presto per Ranko".
"Hai sentito per domani, comunque?".
"Papà ci manda tutte da zia Nodoka sul presto". Poi il suo volto divenne cautamente inespressivo. "Vuole che anche Akane venga con noi".
"Oh cielo", disse piano Nabiki, "scommetto che l'ha presa benissimo".
"Sì, era piuttosto irritata quando si è precipitata fuori dalla casa. Mi chiedo dove sia andata".
"Sul tetto, credo. Prima ho sentito dei colpi qua sopra. Credo che ci sia anche Ranma. Probabilmente stanno litigando di nuovo". Kasumi sospirò dolcemente.
"Mi chiedo quanto ci metteranno a conciliarsi", rifletté. "È sempre tutto così difficile per loro...".
Nabiki inghiottì un'improvvisa ondata di amarezza, e resistette all'impulso di dire alla sorella che forse il problema stava nel fatto che per la giovane coppia certe cose fossero fin troppo facili.
"Credo che la nostra sorellina sia più o meno innamorata pazza del signorino Saotome", disse invece, con tono asciutto. "Scommetto quello che vuoi che la troverai al suo fianco entro domani".
"Ho di meglio da fare che scommettere contro di te", disse pudicamente Kasumi. Poi ritornò seria e aggiunse: "Eppure, non credi che sia pericoloso per lei rimanere qui?".
"E allora? Vuoi che si metta a scappare quando il gioco si fa duro? Ranma rimarrebbe per lei, e lei lo sa. Rimarrà, e guai a chi cercherà di farle cambiare idea". Kasumi annuì con aria abbattuta.
"Immagino che tu abbia ragione. Lascia che te lo dica, sono un po' spaventata per domani. Ho un bruttissimo presentimento". Guardò Nabiki, come per cercare conforto.
"È l'attesa, l'anticipazione, fa venire i nervi a tutti. Prima finirà questa faccenda, meglio sarà".
"Spero che tu abbia ragione", fece Kasumi nervosamente. Nabiki sogghignò.
"Sorellina, questo gruppo non sarà un granché in quanto a stabilità emozionale, ma quando comincia l'azione le cose migliorano. Andrà tutto ok. Vedrai".
Nabiki desiderò solo di sentirsi tanto sicura quanto appariva.


(Shampoo e Mousse)

Mousse aveva provato una moltitudine di emozioni nei confronti di Shampoo durante i molti anni in cui l'aveva conosciuta. La maggior parte di queste erano quel genere di emozioni che portano i poeti a scrivere dolci rime sull'agonia del cuore, o reverenti lodi alla bellezza. Erano quelle emozioni che ispiravano canzoni d'amore, atti di passione sconsiderata, giuramenti donchisciotteschi.
L'emozione che provava in quel momento, però, non aveva mai ispirato nessuno a fare qualcosa di più grande che sbattere la testa contro un muro. Francamente, Shampoo cominciava a dargli oltremodo sui nervi.
Lei sbatté la porta del Nekohanten e lo fissò, splendida come sempre, anche quando era arrabbiata. E Mousse suppose di dover essere felice dato che gli stava prestando attenzione, ma onestamente quella era stata una lunga e strana giornata e la sua pazienza era davvero al limite.
"Allola, cos'hai da dile, Mousse?", chiese burberamente. Lui respirò a fondo.
"Ti ho già detto...", cominciò, solo per essere interrotto dall'arrivo di Cologne.
"Ebbene, bambina, com'è andata? L'informazione era veritiera?". Shampoo annuì trucemente, con un altro sguardo velenoso all'indirizzo di Mousse.
"Sì, bisnonna. C'ela un altlo Lanma. È una stolia molto lunga".
"Davvero? Allora me la dovrai raccontare", disse lei. Poi notò lo stato di agitazione della nipote. "È successo qualcosa, Shampoo?".
"Questo stupido Mousse mi ha messo in imbalazzo! Ha fatto il cascamolto con quella stupida spatolona!".
"Non è vero! E lei non è una stupida!", ribatté Mousse con fervore. "Ero solo preoccupato, tutto qui! Non si comportava come al solito!".
"Preoccupato per un'altra donna?", chiese Cologne con grande interesse. Mousse arrossì.
"Non è quello che pensi!", protestò. "Quest'altro Ranma, la sua presenza sta causando un sacco di problemi, tutto qui!". L’anziana continuò a guardarlo in un modo che lo fece sentire decisamente a disagio.
"Casca-casca-molto", puntualizzò bruscamente Shampoo, "e ha anche pomiciato con lei!". Mousse sentì il sangue salirgli in volto al ricordo del bacio che Ukyo gli aveva dato sulla guancia. Cologne si incupì alla sua espressione.
"Mousse, spero che tu non abbia fatto niente che abbia potuto causare imbarazzo alla mia bisnipote", disse con un tono molto freddo.
"Ma certo che no!", rispose lui da dietro i denti serrati. "Io stavo solo... ah, ma cosa parlo a fare? Buonanotte! Me ne vado a letto!". Dopodichè si girò e si diresse alla porta che dava sul retro del locale. Una volta dentro, crollò contro il muro, cuocendo nella sua rabbia impotente. Era così ingiusto! Si era solo chiesto perché Ukyo sembrasse così abbattuta. Era stato bello, parlare con lei. Lo aveva fatto sentire bene, e vederla così infelice lo aveva preoccupato proprio per questo. Perché mai preoccuparsi per qualcuno doveva mettere in imbarazzo Shampoo? Perché lei e Ukyo erano in competizione per il cuore di Ranma? Davvero era così meschina?
"Dunque, Shampoo", sentì dire dalla vecchia, "quale dei due preferisci?". Ci fu un silenzio attonito.
"Bi-bisnonna, come puoi chiedelmi una cosa del genele? Io sposelò Lanma! Lanma mi ha battuto in combattimento! Quello stupido di Mousse non salà mai come Lanma, non salà mai abbastanza blavo...".
"Shampoo", la interruppe con un tono di tolleranza costernata. "Quale dei Ranma preferisci?". Mousse sentì ancora il calore del sangue salirgli al volto. Mai abbastanza bravo, eh? Strinse i pugni fino a farsi dolere gli avambracci, ma continuò ad ascoltare.
"Oh. ehm, sono uguali. Ma... il nuovo Lanma, lo chiamano Lanko, ha qualcosa di tliste dentlo, è felito nel cuole. Gli sono capitate blutte cose plima di allivale qui".
"Hmmmm. Tecnicamente, non puoi avanzare pretese su questo nuovo Ranma. Comunque, se si renderà necessario, potremo cambiare la situazione". Mousse sussultò alla sicurezza nel tono della vecchia, e digrignò rabbiosamente i denti. "Andiamo. Raccontami tutto".
Quella vecchia strega, pensò cupamente, staccandosi dal muro e dirigendosi nelle sue esigue stanze. Avrebbe ascoltato tutta la storia, e poi avrebbe creato uno schema per ottenere quello che voleva. Senza curarsi di chi ci sarebbe andato di mezzo. E Shampoo l'avrebbe seguita passo dopo passo.
E lui? Chi era lui per contrastare i loro grandi schemi? Solo un insignificante maschio amazzone, per cui non valeva la pena preoccuparsi. Allora sentì un piccolo truce sorriso contrargli le labbra, al ricordo di quanto seccata era stata Shampoo sulla strada del ritorno. Dunque la sua preoccupazione per Ukyo l'aveva preoccupata, eh? Bene.
Aprì i pugni, senza notare i sottili rivoli di sangue che uscivano dai tagli che le sue unghie avevano inciso nei palmi. Le sue dichiarazioni d'amore non l'avevano portato da nessuna parte. Forse era tempo di tentare una nuova tattica per conquistare il cuore di Shampoo.
Ripensò ancora alla sua conversazione con Ukyo, e il suo sorriso crebbe ancora un po'.
Sì. Decisamente una nuova tattica.


(Ukyo)

Sedeva sul letto, con ancora addosso gli stessi vestiti che aveva portato alla cena. Con la schiena contro il muro sfogliava l'album fotografico, pagine e pagine piene di ricordi.
Ricordi di lui. C'erano foto di Ranma da ragazzo e da ragazza. Foto di lui che corre, sta fermo, parla, e combatte. Oh, già, un bel po' di queste ultime. La maggior parte erano state comprate da Nabiki, che sembrava averne sempre a disposizione per lenire il suo appetito insaziabile. Non ne poteva mai avere abbastanza. Scorse le pagine, immagine dopo immagine del suo vero amore, e desiderò che fossero l'originale. Si stupì quando una lacrima colpì il rivestimento di plastica con uno schiocco sonoro.
"Io non mi metterò a piangere", disse alla stanza vuota. "Non mi metterò a piangere perché non lo perderò. Verrà da me. Dovrà farlo". Chiuse il pesante album, accarezzando amorevolmente la fredda copertina di cuoio. Poi lo strinse al petto e si lasciò scivolare lentamente sul letto, rannicchiandosi e affondando il volto nel cuscino. "Verrà da me", sussurrò con forza. "Deve. Perché io lo amo più di ogni altra". E infine, come quella notte di tanti anni prima in cui era stata abbandonata la prima volta, pianse fino a addormentarsi.


(Casa Kuno)

Kodachi faticava a rimanere tra le quattro mura della sua stanza. Due Ranma. Due. Lasciamo che quelle sempliciotte si arrabattino su quale corteggiare. Kodachi era di stoffa più ambiziosa. Li avrebbe semplicemente ottenuti entrambi. Era così che doveva andare, lo capiva in quel momento. Non un solo Ranma, ma due! Devoti a lei, innamorati di lei, decisi a fare della sua vita un paradiso. Due.
Si portò una mano alla bocca, col palmo in fuori, e rise con la sua deliziosa risata per la pura gioia di quell'idea. Gioia.
E altrettanto improvvisamente, si fermò.
LORO non volevano che lei fosse felice. LORO non volevano che lei avesse mai niente. E LORO stavano ridendo di lei. La stavano deridendo.
"Piccoli sudici vermi", sibilò. "Non riderete più quando Ranma sarà mio. Quando entrambi saranno miei, non oserete più ridere di me! Mi sentite? Sì?". La sua voce salì a un grido stridulo. "CREDETE CHE IO NON VI VEDA?". Srotolò il suo nastro, e cominciò a lanciare colpi rapidi e mortali negli angoli in ombra della stanza. Danzò follemente attorno alla camera, rapita dalla gioia e dalla collera, finché la porta non si aprì improvvisamente.
E si fermò.
Nell'apertura c'era suo fratello, nella sua solita divisa da kendoista, il bokken stretto fermamente nella mano. Impassibile, la guardò mentre cercava di riportare la respirazione sotto controllo, con il sudore che le gocciolava dalla fronte.
"Stavano ridendo", disse lei alla fine. "Sai che lo odio". Lui continuò a fissarla, indecifrabile.
"Non c'è nessuno qui, sorella", disse alla fine. Lei ridacchiò, e si mise a riavvolgere il nastro.
"Ma certo che non c'è nessuno. Non c'è mai nessuno qui. E niente si perde senza ragione. E Sasuke si è semplicemente stufato di essere una devota guardia del corpo e se n'è andato". Eseguì una graziosa piroetta, poi tornò a fronteggiarlo. "Questa è solo una normalissima casa piena di normalissimi problemi, giusto?". Lui la guardò, con un'espressione insolitamente grave.
"Ieri notte piangevi. Per lei". Kodachi si immobilizzò improvvisamente, in un atteggiamento che non mancava mai di incutere timore nei suoi avversari. Suo fratello, però, era fatto di tutt'altra pasta. Almeno quando andava da lei.
"Si potrebbe pensare che con tutte le risorse della nostra famiglia potremmo permetterci dei muri più spessi", disse allegramente, ma ancora immobile.
"Tu non dormi bene". Non era una domanda. Kodachi scivolò vicino a Kuno, spiacevolmente vicino, e lo scrutò con occhi cerchiati, solo apparentemente stanchi.
"Ho fatto brutti sogni, fratello. I tuoi preziosi poeti non hanno scritto niente sui brutti sogni? Credevo che tu fossi un esperto in materia". Si portò un dito alle labbra con fare pensoso. "Perché ti preoccupa così tanto? Possibile che tu stavolta non li abbia condivisi con me?". Kuno la guardò impassibile, e lei sorrise, lentamente, con sensualità. "Possibile?".
"Avevi promesso di dirmelo se fossero tornati". Una sottile vena di emozione era finalmente scivolata nella sua voce. Rabbia. Lei sostenne il suo sguardo senza paura. La sua rabbia non la terrorizzava. Poche cose lo facevano, ormai.
"Non importa", disse piano. "Il mio adorato Ranma è la luce, e due Ranma sono stelle gemelle, in orbita attorno a me! Porterò qui i miei amori e la loro luce spazzerà via le ombre e bandirà le tenebre! A Casa Kuno ritornerà la luce, fratello! Non sarà magnifico?". I suoi occhi scintillarono, e il respiro le si fece affannoso. Si alzò sulle punte dei piedi affannandosi nel tentativo di farglielo capire. "Tutto andrà bene. Tutto tornerà come una volta!". A quelle parole, il volto di Kuno si torse.
"La tua ossessione ti acceca, sorella. Ti ho già detto che Saotome indulge nelle arti occulte. Sicuramente è uno stregone. E la sua controparte è marchiata nell'anima dalla sua stessa oscurità. Anche se questo fardello potesse essere diviso con degli estranei, anche se venisse a cadere il giuramento del nostro clan, quei due non potrebbero aiutarci". I grandi occhi a mandorla di Kodachi si strinsero per la rabbia mentre si allontanava.
"Io credo che tu abbia solo paura, caro fratello. Paura che possa succedere, paura che l'amore possa illuminare la mia strada e lasciarti indietro! Tutto ciò che fai è parlare, alla fin fine! Va’ a languirti per la tua ragazza col codino e la tua amata Akane Tendo!", scattò. "Avranno moltissimo tempo da dedicarti dopo che entrambi i Ranma si saranno impegnati con me!". Kuno la fissò per un momento, contraendo la mascella alla ricerca di una ribattuta, ma lei gli voltò le spalle, alzando altezzosamente la testa nel dirigersi a una consolle coperta di bottiglie e vasi di tutti i tipi. Infine lo sentì sospirare, sentì il fruscio dei suoi abiti mentre spostava il suo peso.
"Il nuovo cuoco se n'è andato", disse alla fine. Cambia argomento, pensò lei trionfante. Un punto per me.
"Com'è che si dice? 'Se non sopporti il calore, sta’ fuori dalla cucina'? Suppongo che l'abbia presa in parola". Cominciò a trafficare con le sue erbe, pensando alle pozioni e alle polveri necessarie per assicurarsi i suoi Ranma. "Sembra che cambiamo ancora più servitù ultimamente. Secondo te da cosa dipende, fratello caro?", chiese quasi oziosamente, ma osservandolo con la coda dell'occhio. Con suo disappunto, lui non reagì. Almeno non visibilmente.
"Dormi bene, sorella", fu tutto ciò che disse nell'allontanarsi, chiudendo silenziosamente la porta. Kodachi strinse un'ampollina così forte da incrinarla, e si voltò per lanciare uno sguardo velenoso alla porta chiusa.
"Non è divertente", sibilò. Poi vide il fluido limpido che sgocciolava dall'ampolla incrinata e sospirò. Brontolando, si mise a cercare qualcosa di pulito per asciugare.
Tatewaki non avrebbe mai conquistato né la pel di carota né quella sempliciotta di Akane Tendo, lei lo sapeva, perché lui non capiva il cuore di una fanciulla. Pensa un po', dirle che Ranma non poteva aiutarla. Leggendo tutta quella poesia, a uno verrebbe da pensare che l'amore vince su tutto. Sempre. L'arrivo del secondo Ranma era un segno per lei, naturalmente. Un Ranma poteva solo amarla tanto; due potevano riversare su di lei l'adorazione che meritava.
Canticchiando allegramente sottovoce, lasciò cadere l'ampolla vuota nel cestino dei rifiuti e si dispose a preparare alcune sorprese molto interessanti per le sue fidanzate.
Perché, dopo tutto, la strada del vero amore raramente correva agevole.


(Jack)

"Non ci credo. Questo ragazzino è incredibile". Jack si lasciò cadere contro lo schienale e si fregò gli occhi arrossati dallo schermo. "Quante fidanzate ha, poi?".
"Te l'avevo detto di leggere il briefing della missione prima, no?", brontolò Scooter.
"Ma guarda che razza di gruppo. Vediamo, qui ci sono mortali spatole volanti, tecniche segrete, colpi energetici...".
"Ci stai ripensando, Jack?".
"E calmati. Se lui dice di no, noi ce ne andiamo pacificamente e chiamiamo la cavalleria. Ok?".
"Perché ho il presentimento che non sarà così semplice?".
"Perché sei un pessimista. Qual è lo status delle riparazioni dei sistemi principali?".
"Tutti i sistemi principali sono riparati e operativi, con l'eccezione delle comunicazioni, che sembrano aver sofferto di un guasto intermittente... guasto che ovviamente è stato riferito nel rapporto...".
"Sei il mio dio, Scooter".
"...e la rete principale dei sensori, che si prevede operativa per le 0406, ora del tempo locale".
"Un sacco di tempo", disse Jack.
"Beh", replicò Scooter esitante, "io sono ancora preoccupato per le letture anomale del subspazio locale. Fanno davvero paura, e non sono sicuro che siano state causate dal raggio di energia di Saotome".
"C'è un modo per sapere cos'ha causato quelle letture senza la rete principale?".
"Uh, no".
"E allora smettila di preoccuparti. Lo saprai alle 4:06 ora locale, giusto?".
"E tu lo saprai alle 4:07".
"Ehi, stammi a sentire. Ora mi faccio una doccia e mi schianto in branda. Se mi svegli alle quattro di mattina, sarà meglio per te che sia per la fine del mondo. Capito?".
"Così sia scritto, così sia fatto. Buonanotte, mio faraone".
"See, see". Jack si alzò dalla postazione di comando, desiderando di poter far tacere i suoi presentimenti che quel gioco d'azzardo con Saotome alla fine gli si sarebbe rivoltato contro per prenderlo a calci nel culo.


Sul tetto, un'ultima volta

Ranma si appoggiò contro il tetto, con Akane al suo fianco, e il capo di lei sulla spalla. Le sue braccia erano attorno a lei, le dita mollemente intrecciate, e lui ebbe un brivido delizioso quando sentì il pollice della ragazza scorrervi distrattamente sopra. Il suo cuore non aveva ancora rallentato i battiti da quando si erano seduti, solo perché per una volta erano vicini, senza quasi parlare. Il loro respiro sembrava uscire all'unisono, il calore dei loro corpi si fondeva intimamente, e il profumo dei suoi capelli gli dava alla testa, come una droga potente. Aveva aspettato quegli attimi di quiete, anche senza capirlo, almeno da quando l'aveva incontrata. Voleva che quel momento non finisse più. E soprattutto non voleva essere lui a farlo finire.
Ma doveva. L'essere riusciti ad ammettere i propri sentimenti reciproci era stato un grosso passo, ma probabilmente non era l'ultimo. Oltretutto, avrebbe reso le loro vite più complicate di prima. Spesso si era chiesto come sarebbe stato dire ad Akane quello che lei significava veramente per lui, ma non aveva mai pensato granché a quello che sarebbe successo tra di loro dopo. Il primo grande passo sembrava aver sempre messo in ombra ogni altra cosa. Sospirò, e Akane si sollevò, alzando leggermente il volto per guardarlo negli occhi.
"Sì?", chiese gentilmente. Lui le fece un sorriso dispiaciuto.
"Stavo pensando. Devo fare quello che ha fatto Ranko oggi. Voglio dire, devo parlare alla altre "fidanzate". So che devo, ma odio il pensiero di doverlo fare". Detto questo, si tese al pensiero di come Akane avrebbe potuto fraintendere la sua riluttanza. Eppure, per una volta, lei non si inalberò, solo continuò a guardarlo con calore.
"So che non vuoi ferirle, Ranma", disse. "Ma non otterrai niente di buono accantonando il problema. Questa incertezza rende le cose difficili a tutti. Tu... noi abbiamo bisogno di porvi fine, presto. Non si risolverà mai da sola, lo sai".
"È facile per te dirlo", borbottò Ranma. "Tu non devi spezzare il cuore a nessuno".
"Nessuno come Ryoga?", chiese lei con calma. Ranma sussultò.
"Come diavolo...?". Akane sorrise, con fare enigmatico.
"Le ragazze capiscono queste cose, Ranma", disse semplicemente. "E hai ragione, io sono fortunata. Ha deciso di rinunciare a me da solo. Ma sappiamo entrambi che non sarà neanche lontanamente così facile con Ukyo, Kodachi o Shampoo. A dire il vero, potrebbero esserci problemi".
"Beh, ci penseremo dopodomani", disse lui, stringendola affettuosamente. "Abbiamo già un problema da risolvere, ricordi?". Akane distolse lo sguardo.
"Noi abbiamo un problema?", chiese. Lui le strinse una mano e le diede di gomito.
"Sì, noi. Non mi scuserò per averti voluto proteggere, Akane. Io ci tengo a te, e il mio istinto mi ordinerà sempre di impedire che ti succeda qualcosa. Ma non voglio ferirti, e comunque stavo facendo attenzione a quello che dicevi prima. Saremo compagni, succeda quel che succeda". Fece una pausa, guardando nei suoi grandi occhi castani. "Ti voglio al mio fianco. Non voglio fare lo stesso errore di Ranko".
"Che? Quale errore?", chiese lei. Ranma si ricordò che lei non sapeva quello che gli aveva detto Ranko giù al fiume. Si chiese se fosse giusto dirglielo, e decise che ormai non poteva far male.
"Ha cercato di proteggere la sua Akane lasciandola indietro, e quando è tornato era già morta". Stupore, costernazione e dolore lampeggiarono sul volto di Akane in rapida successione.
"Povero Ranko", sussurrò. "Non mi meraviglia... quando te l'ha detto?".
"Oggi. Dopo che gli ho detto.. lo sai. Non credo che mi abbia ancora perdonato. Voglio dire, io al suo posto non l'avrei fatto. Ma si sentiva molto in colpa, e aveva bisogno di raccontare a qualcuno tutta la storia. Aveva bisogno che io lo capissi. Tutta questa faccenda è difficile per lui".
"Ma sarà ancora più difficile quando ci vedrà insieme. Mi sento così stupida, non ho nemmeno pensato a come si sente lui!". Akane lo guardò con smarrimento. "Insomma, se prova quello che tu mi hai appena detto di provare per me...".
"È così. Ma non sarà un problema, perché vuole andarsene". Ranma distorse lo sguardo, chiaramente in imbarazzo.
"Cosa? Andarsene? Ma... dove andrà?". Ranma cercò di spiegarle le ragioni che Ranko gli aveva dato per la sua decisione. Quando ebbe finito Akane non sembrava tranquillizzata.
"Non mi piace l'idea di lasciarlo andare così, Ranma. Ti assomiglia così tanto. E tu hai appena finito di raccontarmi quanto ti addolorerebbe essere solo dopo aver vissuto qui. Non possiamo lasciarlo andare!".
"Non credo che possiamo fermarlo", rispose Ranma. La studiò per un lungo momento, poi sospirò.
"Che c'è?".
"Non posso fare a meno di chiedermi... chi avresti scelto se lui fosse rimasto? Se tu avessi dovuto scegliere tra noi due? Lui sapeva cosa voleva dire perderti, avrebbe saputo trovare tutte le parole che io quasi non sono riuscito a dirti". Akane lo fissò, assorta, per così tanto tempo che lui cominciò a preoccuparsi. Finalmente lei alzò un dito per seguire la linea della sua mascella, facendolo rabbrividire.
"Ti assomiglia così tanto", disse piano. "E mi piace. Davvero. Ma non è te. Dopo tutto quello che abbiamo passato, tutto quello che ci è capitato, tutta la nostra storia, tu sei l'unico che voglio. Il solo. Per lui non sarei mai altro che un riflesso di lei. Ma per te...".
"Per me", disse lui, con la voce malferma per l'emozione, "tu sei l'unica. La sola". Quando lei aprì la bocca per parlare, lui la attirò a sé e la guardò negli occhi. "Akane, basta con i discorsi seri. Stiamo un po' insieme", disse. "Presto, avremo le nostre famiglie alle spalle, per non menzionare tutti gli altri. Abbiamo dovuto aspettare tanto questo momento, godiamocelo in pace. Solo tu, io, e la notte. Ok?". Lei sorrise e annuì. Ranma deglutì con un certo nervosismo e si avvicinò. Akane parve sorpresa, tuttavia alzò il mento e lo incontrò in un gentile bacio. Ranma la circondò con le braccia, stringendola.
Mi ci posso abituare, pensò beatamente. Akane si rannicchiò di nuovo contro di lui, e per una volta, Ranma non provò alcun rancore verso il mondo. Dimenticò la sua maledizione, le altre fidanzate, e anche Ranko. Insieme, guardarono il cielo, mentre il mondo dei problemi sembrava, almeno per un po', davvero molto lontano.
Sul quel tetto, l'ultima notte innocente.


Epilogo

Dietro il Liceo Furinkan era parcheggiato un furgoncino bianco, nascosto dall'ombra dell'edificio. Il portellone posteriore era aperto, e dall'interno il veicolo veniva scosso sulle sospensioni in modo allarmante.
Più allarmanti, comunque, erano i rumori che ne uscivano.
"COSE CATTIVE, COSE CATTIVE, CO-CO-CO-COOOOOSE CATTIVE!" Un paio di ardenti occhi rossi apparvero nell'ombra, quasi fossero indipendenti da un corpo, e contemplarono il furgone.
"Grinnis", sibilarono. Il furgone smise di sobbalzare e l'orribile canzone si interruppe di colpo. "GRINNIS", ripeté la voce, più forte.
"CHECCÈ?".
"Non dovresti essere qui fuori", disse la voce con calma. Una figura voluminosa uscì dal furgone, torreggiando nella sua statura eretta.
"GRINNIS HA FAME", grugnì con fare petulante.
"Non ci sono più idraulici lì dentro, Grinnis", sibilò pazientemente la voce. "Torna dentro. Non dobbiamo essere scoperti prima che siamo pronti, prima che siamo forti abbastanza. Ricordi?".
"MA GRINNIS HA FAME! GRINNIS VUOLE MANGIARE! GRINNIS VUOLE GIOCARE!".
"Sì, sì, lo so. Presto, Grinnis. Presto potrai fare quello che più ti piace di questa mandria di uomini".
"PRESTO?", chiese Grinnis incerto. Una strana luce brillò non lontano, e qualcosa con un sacco di tentacoli cominciò a scivolare fuori dall'ombra con un rumore raccapricciante, ultraterreno. Gli occhi risero, allegramente, follemente.
"Oh sì, presto. Molto, molto presto". Gli occhi rossi risero di nuovo, e un largo sorriso da idiota si stese sull'orrenda faccia di Grinnis.
"PRESTO. COSE CATTIVE, COSE CATTIVE, PRESTO PRESTO COSE CATTIVE!".
"Sì, amico mio. Molte, molte cose cattive". La sua folle risata si perse nella brezza notturna, e ovunque quella brezza passava, la gente gridava nel sonno, gli animali guaivano e il buio estendeva il suo dominio.





Fine sesta parte.
Revisione versione originale inglese: 3 agosto 1997
Revisione traduzione italiana: 20 ottobre 1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 2/8/2011
Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.
   
 
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