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Autore: Lua93    02/08/2011    10 recensioni
Isabella Swan è una giovane Dottoressa, appena laureata in chirurgia e medicina. Per completare la sua formazione decide di partire per l'Asia sud-occidentale, durante la Seconda Guerra del Golfo.
Edward Cullen è un giovane Tenente, in missione di pace vicino Kuwait City, capitale dell'Emirato del Kuwait, arida regione Islamica. Tra le dune del deserto e il chiarore della luna i due protagonisti s'incontreranno incendiando il deserto con un'inarrestabile passione.
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Come sempre sono in ritardo, ma questa volta ho davvero esagerato facendovi aspettare più di un mese. Mi scuso anticipatamente con tutti voi, e spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo un pò più lungo del solito. Io vi consiglio di ascoltarlo con questa canzone: Sigur Ros - Glosoli


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«Per favore, potresti ripetermi le motivazioni che mi hanno spinto ad accettare?»

La figura minuta di Angela veniva coperta completamente dalla notte, nascondendomi così il suo volto. In silenzio mi avvicinai verso di lei, sdraiata da diversi minuti sul mio letto.
«Salveremo due persone innocenti.» Le risposi meccanicamente, mentre afferravo frettolosamente la torcia da dentro il comodino. «E dopo averlo fatto, ti sentirai molto meglio.»
Angela si sollevò a sedere, allungandomi le batterie di ricambio, in caso si dovessero scaricare quelle dentro la pila. Bofonchiai un grazie, mentre continuavo a riempire il borsone.
«E’ una follia.» Sospirò alzandosi dal letto.
«Lo so, ma non posso fare finta di nulla.»
Gli occhi scuri di Angela saettarono velocemente sui miei, trafiggendomi. «Sappi che ho accettato di venire con te, solo perché non voglio che vada in giro per il deserto da sola.»
Le sorrisi, «ammettilo, anche a te eccita da morire disubbidire agli ordini del Tenente.»
Angela mi fissò truce, «oh non penso proprio. Dimmi un po’ la verità Isabella, tra te e Edward c’è stato qualcosa vero? Non dirmi di no, perché non ci credo.»
Mi voltai dall’altra parte, con la scusa di osservare strani movimenti provenire dal campo. Ma fuori dalla finestrella del mio dormitorio, sembrava tutto estremamente tranquillo. La notte inghiottiva ogni cosa, divorando famelicamente ogni piccolo spiraglio di luce.
«Sai perché lo chiamano “il quarto vuoto”?» Le chiesi, evitando di rispondere alla sua domanda. Sapeva di costa stessi parlando. Era con quel nome che veniva chiamato il deserto che ci circondava.
Angela non rispose immediatamente, ma quando lo fece, dopo quasi due minuti, il sangue mi sembrò congelarsi nelle vene.
«Dicono che venga chiamato così per le sue dimensioni, ma io ho sempre creduto che si trattasse di una scusa, un diversivo.»
Mi voltai verso di lei, «un diversivo?»
Angela annuì, avvicinandosi con passi lenti verso di me, «il deserto non è altro che un territorio vuoto. Un pezzo di Mondo dove non ci può essere vita, ma solo solitudine, desolazione. Si dice che gli stessi beduini abbiano paura ad attraversare questo deserto. E’ vuoto perché non si riempie mai.»
Il rumore del vento che bussava sui vetri della finestra mi fece sobbalzare. «Abbiamo la mappa, vedrai non ci perderemo.»
Un sorriso intrinseco di tristezza si dipinse sul suo volto stanco, «non capisci, non è il deserto che mi terrorizza Bella, ma ciò che ci aspetta una volta arrivati in città. Dovremo muoverci come fantasmi, entrare di soffiato dentro l’ospedale e portare via Jannah e Nadira senza farci scoprire.»
«Pensi sia impossibile?» Le domandai afferrando il borsone contenente qualche medicinale e diverso materiale utile per il breve viaggio.
Angela fece spallucce, «probabilmente avremmo più possibilità di sopravvivere se ci perdessimo nel deserto.»
Mi voltai verso di lei, prima di aprire la porta del dormitorio, «allora non venire, riuscirò a cavarmela anche senza di te.»
Angela scosse la testa, ridacchiando, «non lascerò a te tutto il divertimento.» Poi mi superò, estraendo dalla tasca dei pantaloni le chiavi della Jeep, facendole tintinnare. «Allora, vogliamo andare?» Mi sorrise vincitrice.
Annuii raggiungendola velocemente, senza fare il minimo rumore.
L’aria fredda della notte mi colpì in pieno viso. Strinsi forte gli occhi nel tentativo di proteggermi dai granelli di sabbia che il vento sollevava fastidiosamente. Angela mi allungò la mano che io afferrai prontamente in modo da seguirla.
Avevamo progettato quel salvataggio abbastanza velocemente, forse da incoscienti, ma non avrei cambiato idea per nessun motivo al Mondo. Angela e Alice si erano subito offerte di aiutarmi, anche se con qualche ripensamento quando poi si resero conto che le mie intenzioni erano serie. Il piano sarebbe stato abbastanza semplice. Alice ci avrebbe procurato le chiavi di una delle Jeep parcheggiate fuori il campo, in modo da non svegliare i militari con le luci degli abbaglianti, e nel frattempo tenere il Sergente e il Tenente occupati per le prossime ore. Distrarre Jasper non sarebbe stato difficile per lei, in fin dei conti, era quello che faceva tutte le notti. Il vero problema sarebbe stato Edward, ma chissà come lei era riuscito a bloccarlo nel suo ufficio con la scusa di dovergli parlare. Mentre io e Angela avremmo raggiunto Kuwait City per poi entrare dentro l’ospedale e riprenderci Jannah e Nadira, portandole al sicuro in un accampamento italiano, poco distanze dalla città.
Angela aveva lavorato diversi mesi in quell’accampamento, conosceva molto bene Aro Volturi il chirurgo che si occupava dell’ospedale del campo. Mettersi in contatto con lui non fu affatto semplice, ma Angela sembrava avere sempre la soluzione ad ogni problema. Lì la donna e la bambina sarebbero state al sicuro, almeno fin quando le acque all’interno del nostro campo non si sarebbero calmate, in seguito mi sarei occupata personalmente del loro trasferimento in una base più sicura. Il tutto venne organizzato nel giro di un paio d’oro. Era da poco passata l’una di notte, quando io e Angela uscimmo dal mio dormitorio, raggiungendo frettolosamente la Jeep.
La ghiaia scivolava sotto le suole delle nostre scarpe, emettendo uno strano rumore, come se non fossimo le sole a correre in quella notte gelida. Ma voltandomi non trovai altro che buio e ombre silenziose di capanni allestiti frettolosamente per le provviste. Il silenzio del deserto riempiva gli spazi vuoti, circondandoci minacciosamente. Quando raggiungemmo la Jeep, mi sedetti al posto di guida, aspettando che Angela chiudesse lo sportello accanto a me.
«Pericoloso è a dir poco.» Borbottò, mentre estraeva dal borsone la mappa che avremmo dovuto seguire.
Ridacchiai, inserendo le chiavi e attesi qualche secondo prima di mettere in moto.
«Cosa stai aspettando? Avanti Bella parti, e cerca di essere il più veloce possibile.»
Obbedii silenziosamente, accendendo il motore della macchina con le mani che mi tremavano. Un rumore secco e repentino mi fece intendere che la Jeep era pronta, così affondando il piede nella frizione e spostando la marci sulla prima, mi lasciai andare ad un gridolino di felicità, quando abbandonata la frizione premetti il piede sull’acceleratore, lasciandomi alle spalle il nostro campo militare.
Sentivo la sabbia del deserto scorrere sotto le ruote della Jeep, mentre accendevo gli anabbaglianti per raggiungere il più velocemente la strada.
«Hai mai guidato una Jeep, Bella?» Mi domandò Angela con entrambe le mani che stringevano la cintura di sicurezza.
Le sorrisi, «A diciassette anni guidavo un Pick Up.»
«Non è la stessa cosa.» Borbottò Angela, nel tentativo di rimanere ferma, «cerca di non sbandare e rimani sulla strada principale.»
Feci come mi disse, e nel giro di qualche secondo la Jeep sembrò rilassarsi sotto le mie mani, procedendo con più tranquillità lungo la strada buia.
Mi sporsi per osservare le dune del deserto illuminate dal chiarore della luna. Il colore alabastro del nostro satellite illuminava la sabbia, che sembrava brillare sotto di esso.
«Sei sempre stata così?» Mi domandò improvvisamente Angela, mentre sembrava perdersi come me, nel meraviglioso panorama che ci circondava.
«Così come? Impulsiva?»
Lei scosse la testa, sorridendomi, «altruista.»
Feci spallucce ritornando con lo sguardo sulla strada, «ho sempre pensato che salvare gli altri mi avrebbe aiutato a salvare me.»
«Salvarti da cosa?»
«Da ciò che sono realmente. Ossia una ragazza terribilmente spaventata dalla vita. Vivo con gli occhi chiusi, perché ho paura di rimanere delusa da ciò che mi circonda se dovessi aprirli.» Le spiegai, stringendo forte le mani sul volante.
Angela corrugò la fronte, pensierosa, «sinceramente non riesco ancora a capire cosa ti ha spinto a raggiungere queste terre.»
Ridacchiai cercando di alleggerire la tensione, «vuoi sapere la verità? Non lo so neppure io. In America la mia vita è sempre stata piuttosto piatta e monotona, come se ci mancasse qualcosa. Salvare vite umane mi fa sentire bene, mi riempie di orgoglio, e mi fa credere soprattutto di essere importante per qualcuno.»
Angela allungò la mano fino a sfiorare il mio braccio, che accarezzò lievemente, per non deconcentrarmi dalla guida.
«Sei così giovane e così bella, che questa tua scelta di vita ti fa onore.»
Mi morsi il labbro inferiore, «voglio una vita che mi faccia sentire fiera di me e di ciò che sono. Sai a volte vorrei tanto essere come te.»
Angela scoppiò a ridere, portandosi un indice sul petto, «come me? E perché mai?»
«Perché hai tutto ciò che a me manca.»
«Ti sbagli Bella, io se potessi tornerei indietro. Sarei stata capace di salvare solo Ben, infischiandomene di tutti gli altri innocenti che si trovavano dentro le torri Gemelle quel maledetto 11 Settembre. E avrei vissuto con lui, senza interessarmi degli altri. Perché sono un essere egoista Bella, sono una donna che se avesse potuto scegliere, non avrebbe mai permesso alla sua vita di imboccare questa strada.»
Mi voltai verso di lei, «ma tu non sei così.»
«Ora non lo sono, ma prima ero egoista e vigliacca. La morte dell’unica persona che abbia mai amato in tutta la mia vita, mi ha fatto aprire gli occhi, forse è stato un bene in fin dei conti.» Sospirò, rilassandosi sullo schienale del sedile. «Tenevo gli occhi chiusi, proprio come te, e poi un bel giorno, sono stata costretta ad aprirli.»
«Mi dispiace tanto.» Le sussurrai tornando con lo sguardo sulla strada.
«Sono passati due anni, quante cose sono successe da quel giorno.» Sorrise con le labbra, ma negli occhi vi era dipinta la tristezza più dolorosa che avessi mai visto.
Stavo per controbattere, quando mi accorsi che non eravamo sole, lungo la strada. Istintivamente accelerai, beccandomi un occhiataccia da parte di Angela.
«Ci stanno seguendo.» Le spiegai, affondando per quanto fosse possibile, il piede nell’acceleratore.
Angela iniziò ad agitarsi, si voltò cercando di scorgere che tipo di macchina ci stesse seguendo.
«Si sta avvicinando.»
«Chi pensi che sia?» le chiesi spaventata, mentre cercavo di calmarmi. Iniziai a respirare lentamente, cercando di non decelerare.
Angela afferrò lo zaino che aveva sotto i piedi, estraendone una pistola che avevamo portato con noi, per sicurezza.
«Ho paura.» Ammisi voltandomi verso di lei.
I suoi occhi erano gonfi e rossi, sembrava sul punto di scoppiare in un attacco isterico. «Tu non fermarti per nessuna ragione al Mondo, anche se questi dovessero spararci contro.» Mi disse cercando di calmare il tremolio della sua voce.
Riuscii solo ad annuire, mentre mi passavo una mano sul viso, imperlato di sudore.
Le luci si fecero più intense, segno che la macchina si stava avvicinando. Non appena mi resi conto che non era una sola, la Jeep che ci stava seguendo, lanciai un urlo di terrore.
«Sono due.» Disse semplicemente Angela, zittendosi immediatamente.
«E adesso cosa facciamo?»
Silenzio.
«Angela rispondimi dannazione, vedo le luci della città in lontananza, ma non so cosa fare.» Le dissi urlando, cercando di risvegliarla dal trans in cui era scivolata.
Con la mano cercai di attivare il segnale radio che collegava tutte le Jeep del campo, sperando che qualcuno potesse sentirci. Ma non appena premetti il tasto giusto, la voce del Tenente Cullen mi raggiunse come un tuono nel petto.
Lo sentii distintamente mentre parlava con qualcuno, ma non appena ebbi la certezza che chi ci stava seguendo non era altro che lui con gli altri soldati, il mio cuore perse diversi battiti. Se una parte di me era sollevata da quella rivelazione, l’altra era terrorizzata all’idea di doverlo fronteggiare sotto quel cielo stellato.
Rallentai istintivamente, frenando bruscamente quando le forze mi vennero a mancare. Angela lasciò scivolare la pistola dalle mani, voltandosi verso il finestrino.
«Come hanno fatto a trovarci?» Mi chiese sollevata.
Le lanciai un’occhiataccia, «per favore non dirmi che sei stata tu.» feci per scendere dalla Jeep quando lei mi bloccò.
«Non giungere a conclusioni affrettate, il Tenente non è un novellino, evidentemente Alice non è riuscita nel suo intento.» Mi disse quasi come se volesse rimproverarmi per aver pensato male.
Strinsi forte le mani intorno al volante, e attesi in silenzio che lo sportello venisse aperto, per ritrovarmi il volto furente del Tenente a pochi centimetri dal mio.
Ma non accadde nulla, così dopo diversi minuti, Angela scese dalla Jeep, portando le mani sugli occhi, come se stesse cercando di scorgere il volto dei passeggeri delle Jeep che ci seguivano. In meno di dieci secondi però, dalla prima Jeep scesero il Tenente Cullen e il Sergente, seguiti da Peter e John.
Vidi Jasper raggiungere Angela e stringerla in un plaid scuro, per poi portarla dentro la loro Jeep. Nell’oscurità della notte, vidi la figura fiera e distinta di Edward raggiungermi, con passo veloce. Non appena mi fu accanto, aprì lo sportello del guidatore, ritrovandomi così, i suoi bellissimo occhi chiari addosso. Occhi che sapevano di fuoco ardente, lava incandescente che bruciava come impazzita. Erano due gemme inferocite, ma anche terribilmente spaventate.
Non appena mi vide la sua espressione divenne meno feroce, ma i suoi occhi continuavano a bruciare di rabbia.
«Tu sei completamente impazzita.» Mi disse facendomi scendere con uno strattone dalla Jeep. Quando toccai terra con i piedi, per la troppa foga da lui usata, scivolai sulla sabbia, ma prima che potessi toccare davvero quel terreno freddo, le braccia di Edward mi afferrarono, stringendomi in una morsa tra il protettivo e l’infuriato.
«Come diamine ti è saltato in mente di prendere una delle mie Jeep e scappare nel pieno della notte? Per fare cosa poi? Disubbidire ad un mio ordine.» Sembrava un altro uomo sotto quella luna che sapeva di veleno. I capelli perennemente scompigliati, sembravano più sconvolti del solito. Benché inferocito, il suo viso era incorniciato da una bellezza troppo intensa per un solo essere umano.
«Sali immediatamente sulla Jeep, faremo i conti una volta tornati al campo.»
Feci esattamente tutto ciò che mi disse, e non appena lo vidi salire sulla Jeep e mettere in moto, mi lasciai sprofondare sul sedile, dove poco prima era seduta Angela.
Gli lanciai un occhiata furtiva, giusto quel tanto che bastava per scattare una fotografia virtuale di quella scena. Teneva lo sguardo fisso davanti a se, le mani strette sul volante, lo stringeva talmente forte che le nocche delle dita si fecero bianche.
«Tu sei pazza.»
Feci un grosso respiro prima di parlargli, «come sei riuscito a scoprici?»
Lui si voltò di scattò verso di me, trafiggendomi con quei due smeraldi che si ritrovava al posto degli occhi. «Pensi davvero che io sia talmente stupido da non rendermi conto di ciò che accade intorno a me? Di ciò che accade all’interno del mio campo?» Urlò inferocito. Non l’avevo mai visto così arrabbiato e spaventato.
«Tu non ti rendi conto di ciò che ho passato negli ultimi trenta minuti. Avevo il terrore che vi fosse successo qualcosa.» Disse, questa volta, senza alzare la voce, negli occhi leggevo tutta la sincerità di quelle parole.
In quello stesso momento, vidi le luci del campo accese, e tutti i soldati che ci attendevano lungo il cancello d’ingresso. Socchiusi gli occhi quando la luce dei fari delle altre Jeep ci affiancarono.
Non appena il motore si spense, Edward afferrò il borsone da sotto le mie gambe, portandoselo in spalla, poi mi ordinò di scendere.
Non appena toccai terra, due esili braccia mi abbracciarono spaventate.
«Mi dispiace tanto Bella, ma ho avuto troppa paura per voi.» Alice cercò di scusarsi con me, ma io continuai a ripeterle che andava tutto bene, e che non ero arrabbiata con lei.
Rimasi immobile di fronte a tutti gli sguardi delusi degli altri soldati, quando la voce severa di Edward risvegliò tutti quanti.
«Come potete vedere sia la dottoressa Swan che Angela Weber stanno bene, non c’è alcun motivo per cui dovete rimanere alzati a quest’ora della notte. Chi è di turno torni nelle proprie postazioni, gli altri vadano a letto.» Detto ciò tutti si allontanarono, continuando però a lanciarmi occhiata.
Edward si avvicinò a me, allungandomi il borsone, «domani mattina alle otto presentati puntuale nel mio ufficio.»
Lo fissai sbigottita, «perché attendere, se devi cacciarmi fallo subito.»
«Non esagerare dottoressa, in questo momento non sono nel pieno delle mie facoltà mentali.» Mi disse digrignando i denti.
«Come vuoi Tenente.» Bisbigliai allontanandomi da lui, seguita da Angela e Alice.
Peter ci accompagnò personalmente nei nostri dormitori, come se avessimo bisogno di una guardia.
Quando richiusi la porta del dormitorio alle mie spalle, mi voltai verso Alice, che mi fissava preoccupata.
«Tranquilla, non sono arrabbiata con te.» Le sorrisi, cercando di rassicurarla.
Poi senza aspettare alcuna risposta, m’infilai nel letto, lasciando scivolare le scarpe sul pavimento, ero talmente esausta ed agitata che crollai non appena posai la testa sul cuscino.


Il mattino seguente, mi risvegliai con un forte mal di testa, dovuto probabilmente alla posizione scomoda che avevo assunto poco prima di addormentarmi. Mi svegliai prima del solito, a causa dell’agitazione, infatti intorno a me c’era ancora buio. Non era l’oscurità della notte, ma più un chiarore lontano che cercava di farsi spazio. Sollevandomi mi accorsi di non aver neppure più il giubbotto, ma che probabilmente era stata Alice a levarmelo durante la notte, perché io non ricordavo di averlo fatto.
Silenziosamente raggiunsi il borsone che la sera prima avevo riempito prima di tentare quell’assurdo salvataggio, e con estrema lentezza lo svuotai, racimolando un po’ di tempo. Era ancora molto presto.
Passai quasi un’intera ora a sistemare prima il borsone e poi la valigia che conteneva i miei vestiti, per poi uscire dal dormitorio per raggiungere i bagni femminili.
Feci una doccia veloce, sciacquandomi da tutta la sabbia che il mio corpo aveva appiccicato sulla pelle la sera prima. Quando uscii dal bagno, mi accorsi di una figura piegata sul water.
«Alice è tutto okay?» Le chiesi avvicinandomi.
Vedendo che non rispondeva, le posai una mano sulla fronte, raccogliendole i capelli per evitare che si sporcassero.
«Non sei costretta ad assistere.» Borbottò china sulla tazza, con un braccio cercò di allontanarmi, ma io non mi mossi, e attesi che finisse per aiutarla a sollevarsi.
Dopo che si fu sciacquata e lavata i denti, le passai un asciugamano
«Grazie.» Mi sorrise flebilmente, il volto ancora completamente bianco.
Mi accorsi solo allora che ero ancora bagnata e che indossavo l’accappatoio, così facendola sedere sul pavimento le dissi di non muoversi. Corsi nello spogliatoio dove avevo lasciato i vestiti puliti e mi cambiai velocemente, voltandomi di tanto in tanto per controllarla. Quando ebbi finito, tornai da lei.
«Stai bene?» le domandai, aiutandola a rimettersi in piedi.
Alice mi sorrise, annuendo, «adesso sto molto meglio, ieri sera credo di aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male.»
«Vuoi fare una visita?»
Lei scosse la testa, «non c’è bisogno, sono un’infermiera riconosco i sintomi di un’intossicazione alimentare.» Ridacchiò mostrandomi una fila di denti piccoli e perfetti.
«Sai che non te l’ho chiesto per mettere in dubbio le tue capacità, ma solo perché sono preoccupata per te.»
«E’ solo un po’ di nausea.» Sorrise, «passerà presto.»
Mi sporsi per abbracciarla e lei si tuffò immediatamente tra le mie braccia. «Scusami se ieri sera ti sono sembrata scorbutica, ma ero troppo arrabbiata per parlare.» Farfugliai tra i suoi capelli.
Alice si allontanò di poco, guardandomi negli occhi, «tranquilla, l’avevo capito. Solo non voglio litigare con te, quindi ti darò prima la mia versione dei fatti. Non che non mi fidi di Edward, ma ultimamente non è più lo stesso.» Disse più a se stessa che a me.
«E quale sarebbe la verità?» Le domandai portandomi entrambe le braccia sui fianchi.
Alice abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata, «mentre voi vi allontanavate dal campo, io ero riuscita a distrarre Edward, ma qualcosa deve essere andato storto, perché lui ha capito immediatamente che c’era qualcosa che non andava. E io sono così pessima nella recitazione.» Ammise afflitta, «non sono proprio riuscita a mentirgli, così quando gli ho rivelato le vostre vere intenzione, si è trasformato in una specie di segugio. Era irriconoscibile.»
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, fissando un punto lontano del pavimento bianco.
«Ciò che più mi fa sentire in colpa è il fatto di non essere stata in grado di aiutarvi.» Aggiunse tristemente.
Con un sorriso sincero le dissi che non doveva affatto prendersela con se stessa, e che forse se non ci avessero fermate, molto probabilmente saremmo morte.
«Non saprei, mi sembravi così determinata ieri, nessuno sarebbe riuscito a fermarti.» Rifletté pensierosa.
Con un alzata di spalle posi fine a quella ambigua conversazione, così dopo averla riaccompagnata nel dormitorio, le concedetti la mattinata libera.
Una volta pronta, m’incamminai con passo deciso verso l’ufficio del Tenente.

Il sorriso allegro di Peter mi rassicurò, e stringendomi in un abbraccio un po’ impacciato mi condusse davanti la porta dell’ufficio di Edward.
«Grazie Peter, ne avevo proprio bisogno.» Lo ringraziai con un sorriso.
Il soldato rise, una risata allegra e spensierata, sembrava quasi appartenere ad un altro Mondo, distante anni luce da dove mi trovavo io in quel momento. Ma infondo, come poteva essere altrimenti, aveva da poco scoperto di aspettare un bambino con la sua compagna, Charlotte. Anche se si trovava in una zona di guerra, non poteva evitare di sorridere, dopo aver scoperto una notizia così bella.
«Sicura di non voler fare prima colazione?» Mi chiese per la terza volta.
Gli lanciai un occhiataccia, «Non cominciare a fare il papà ansioso proprio con me.»
Lui scoppiò in una fragorosa risata, e sollevando entrambe le mani verso il soffitto si scusò.
«Adesso sarà meglio che vada.» Borbottai indicando la porta in legno. Peter annuì, mimandomi un in bocca al lupo. Gli sorrisi per l’ultima volta, prima di bussare energicamente sull’uscio.
La voce pacata e profonda di Edward, mi risvegliò da uno strano torpore che per tutta la notte aveva avvolto il mio corpo. Non appena entrai nel suo ufficio, lo vidi sollevare la testa da dei documenti, fissandomi con i suoi intensi occhi verdi.
«Alla buon ora.» Commentò facendomi cenno di avvicinarmi e sedermi sulla sedia di fronte alla scrivania.
«Scusa il ritardo, ma Alice questa mattina si è sentita poco bene.» Confessai sedendomi.
L’espressione dura di Edward cambiò, trasformandosi in preoccupazione, «qualcosa di grave?»Mi domandò corrugando la fronte.
Subito scossi la testa, «semplice intossicazione alimentare.»
«Spero tu, le abbia dato il resto della giornata libera.» Mi punzecchiò inarcando un sopracciglio.
Evitai di controbattere, annuendo semplicemente.
Ci fu un minuto di silenzio, nel quale non facemmo altro che fissarci negli occhi. E ci furono brividi, che mi scavarono sotto la pelle, raggiungendo l’intera spina dorsale. Forse erano i suoi occhi o semplicemente il fatto che avevo provato il sapore delle sue labbra sulle mie, qualsiasi cosa fosse, era terribilmente frustante, perché mi rendeva debole, come se mi trovassi nuda, priva di difese davanti ai suoi occhi.
Lo vidi sistemarsi più comodamente sulla sedia, portando entrambe le mani dietro la nuca, «sai che per quello che hai fatto ieri, meriteresti il rimpatrio?» Mi domandò con fin troppa calma.
«Lo so.»
«Tecnicamente è quello che dovrei fare, ma sai perché non lo farò?» Mi chiese con un lieve sorriso.
Scossi la testa, osservando il suo repentino cambiamento d’umore.
«Perché per quanto io disapprovi ogni tua decisione, e per quanto io possa detestare l’idea di avere una ragazzina che disubbidisce ai miei ordini, non sarò io a mandarti a casa. Ma sarai tu stessa a chiedermi di farti partire.» Sorrise senza ironia.
Lo guardai esterrefatta, «non verrò mai da te a implorarti di licenziarmi.» Gli dissi gelida.
Edward posò entrambe le mani sulla scrivania e con un gesto improvviso si avvicinò al mio viso, osservandomi di sottecchi, «ne sei proprio sicura?»
«Ovvio, e per favore Tenente, non chiamarmi più ragazzina, sicuramente abbiamo la stessa età.» Gli dissi sbuffando.
Lui rimase in silenzio, lanciandomi un’occhiataccia.
«Mi spieghi qual erano i tuoi piani Isabella?»
Che strano sentirgli pronunciare il mio nome. Un’altra scarica invase il mio corpo, questa volta fu qualcosa di più intenso e profondo.
«Volevo andare a riprendere Nadira e la madre.» Gli risposi con una certa indifferenza, che lo fece incupire ancora di più.
Corrugò la fronte, pensieroso, «Per portarle dove?»
«All’accampamento di Aro Volturi.»
«Ovvio, dove altro avreste potute portarle, se non dagli italiani? Ma davvero credete che la loro sia solo una missione di pace?» Mi chiese sornione, ma qualcosa mi fece intendere che la sua era solo una domanda retorica, «perché sei così cieca, come fai a non accorgerti del Mondo che ti circonda?»
Non riuscivo a capire cosa stesse cercando di dirmi, «spiegati meglio.»
Lui sbuffò e sollevandosi dalla sedia, fece il giro della scrivania, posizionandosi oltre le mie spalle, poi con una calma disarmante scese con le labbra sul mio collo, avvicinandosi all’orecchio, «perché hai così poca fiducia in me?» Mi domandò con un sussurrò impercettibile.
Deglutii in attesa che continuasse.
«Davvero pensi che io sia così insensibile da non aver già pensato alla protezione di Jannah e Nadira?»
Questa volta mi voltai verso di lui, trovandomi il suo volto a pochi centimetri dal mio, «cosa vuoi dire?»
Lui scosse la testa, sorridendomi dolcemente. Ed era questo suo soffrire di diverse personalità che mi faceva impazzire ogni secondo, ogni minuto, ogni dannatissimo momento che passavo in quel campo.
«Non sono più a Kuwait City, sono state trasferite entrambe questa mattina.»
Lo fissai incredula, «vuoi dire che tu avevi già in mente di allontanarle dal loro villaggio?»
Edward annuì, «ovviamente ho dovuto prima chiedere il permesso, che stranamente mi è stato subito accordato. In questo momento un’ambulanza le sta trasportando in una base inglese che si occupa solo di donne e bambini.»
Non appena sentii quelle parole, un nodo stretto nella gola m’impedii di parlare, e sentii come qualcosa che scoppiava nel petto, forse felicità, forse, semplicemente gratitudine.
«Se solo tu fossi stata meno impulsiva.» Borbottò contrariato, «ne saresti stata informata questa mattina stessa.»
Mi voltai verso di lui, imbarazzata, «ho messo a repentaglio la mia vita e quella di Angela per un’incomprensione.»
Edward annuì, avvicinandosi di nuovo alla mia sedia, e abbassandosi alla mia altezza, mi fissò dritto negli occhi, «adesso capisci perché ero così infuriato?» Mi chiese cercando di non alzare il tono di voce, «dopo che Alice si è lasciata scappare qualche parola, ho subito capito le tue intenzioni. Ero così infuriato con te Isabella che solo al pensiero mi viene da vomitare. Ho avuto paura lo capisci?»
Sospirai abbassando la testa per nascondermi dai suoi occhi.
«Se ti fosse successo qualcosa, non me lo sarei mai perdonato.» Farfugliò a bassa voce allontanandosi da me.
«Mi dispiace Edward, ma se tra noi ci fosse un po’ più dialogo, forse non sarebbe successo nulla.» Gli dissi alzandomi dalla sedia.
Edward scosse la testa, «tu sei troppo testarda, certe cose proprio non riesci a capirle.»
Feci diversi passi verso di lui, raggiungendolo, «e allora spiegamele queste cose.» Sussurrai costringendolo a guardarmi negli occhi.
Eravamo di nuovo troppo vicini, come due mine pronte ad esplodere. Lo vidi smettere di respirare e cercare con tutte le sue forze di evitare di sfiorarmi.
«Sei troppo stupida, certe cose non puoi capirle.» Disse infine, voltandosi dall’altra parte. Ancora una volta, l’Edward cinico aveva vinto sull’Edward altruista. Ma qual’era la sua vera faccia?
«Non ti permetto di parlarmi in questo modo.»
Lui si voltò furioso, «e io non ti permetto di comportarti come se fossi l’unica persona in questo campo. Non esisti solo tu, lo capisci? Ho altre vite da salvare.» Disse sbattendo la mano sulla scrivania.
Sobbalzai presa alla sprovvista, «il tuo problema e che non riesci a gestirmi, ammettilo il mio comportamento ti fa impazzire.» Lo punzecchiai, affermando solo la verità.
Edward si voltò verso di me, inondandomi con il suo sguardo. «Ti tratterò come uno dei miei innumerevoli problemi, e come con tutti gli altri problemi che ho avuto a che fare, troverò una soluzione.» Ammise con un mezzo sorriso.
Feci spallucce, «non ti libererai di me tanto facilmente.»
Scosse la testa, ridacchiando leggermente, «vedremo dottoressa Swan.» Disse, mentre mi apriva la porta del suo ufficio.
Lo superai senza neppure salutarlo, ma voltandomi verso di lui, gli sorrisi, come a voler riconfermare la mia presenza all’interno del campo. Lui chiuse la porta alle sue spalle, questa volta senza dire nulla.

Quella stessa sera, in sala mensa raccontai ad Angela della conversazione avvenuta con Edward quella mattina. Lei mi ascoltò in silenzio, senza mai interrompermi e solo dopo aver ascoltato il racconto, si decise ad aprire bocca.
«Lo dicevo io, che tra te e il Tenente c’era qualcosa.»
La fissai sconvolta, «ma cosa diamine stai blaterando, smettila di dire scemenze Angela, piuttosto cosa pensi che farà?» le domandai, mentre davo un morso al pezzo di pane che mi era rimasto.
«Non saprei, essendo un militare, utilizzerà qualche strategia altamente complicata per il tuo cervellino.» Mi sorrise divertita.
«Mi stai prendendo in giro?» Le domandai improvvisamente imbarazzata.
Lei scoppiò a ridere, «vedrai Bella, non farà assolutamente nulla. E’ un uomo troppo intelligente e poi figurati se avrà il tempo di pensare a come vendicarsi di te, con tutto quello che ha da fare qui dentro.» Mi sorrise, rassicurandomi.
«Speriamo.» Sospirai, voltandomi dall’altra parte, «poso il vassoio e vado a salutare Alice, è da questa mattina che non la vedo.» Dissi, incamminandomi verso il ripiano della cucina dove i soldati avevano lasciato tutti gli altri vassoi, poi raggiunsi Alice, stringendola in un abbraccio non appena la vidi.
«Ehi come mai tutto questo calore? Non sto morendo Bella.» Mi disse sorridendomi.
Ridacchiai, «come ti senti?»
«Molto meglio.» Mi rispose e sembrava essere sincera.
«Almeno voi riuscite ad essere allegre, io sono un fascio di nervi.» Jessica ci passò accanto, sedendosi sulla sedia con fare teatrale.
Alice la fissò incuriosita, «questa volta cosa ti è successo?»
Jessica scosse la testa, agitando la mano in aria, «a me personalmente nulla. Ma da domani le cose cambieranno.»
Mi voltai verso Alice, fissandola interrogativa, poi mi rivolsi a Jessica, «cosa intendi dire?»
Jessica mi guardò disgustata, «oddio davvero non sai nulla?»
«Avanti Jessica, illuminaci con uno dei tuoi soliti pettegolezzi.» Disse Alice sbruffando.
«Nessun pettegolezzo questa volta, ma solo la pura e semplice verità. Da domani avremo un nuovo militare che gironzolerà nel campo.» Disse accavallando le gambe.
«Non sapevo dovessero arrivare nuovi ragazzi.» Borbottai cercando di capire a chi si stesse riferendo.
«Infatti non arriverà nessun novellino, ma un vero e proprio esperto di guerra.» c’informò Jessica.
Alice corrugò la fronte, «e chi sarebbe?»
Jessica si sollevò dalla sedia, osservandoci dal basso verso l’altro, con un sorrisetto divertito sul volto, «avete mai sentito parlare del Sergente Black?»
In un primo momento quel nome non mi fece tornare nulla in mente, ma non potevo dire la stessa cosa di Alice, era sbiancata improvvisamente.
«Il Sergente Jacob Black è stato mandato qui dal Generale in persona, per controllare che tutto venga svolto a dovere.» Continuò Jessica.
Mi voltai verso Alice, «è una specie di supervisore?»
«E’ come un controllore Bella, lo spediscono dove c’è bisogno. Solitamente non viene mai mandato se prima non c’è stata una soffiata.» Mi spiegò sedendosi sulla sedia.
«Vuoi dire che qualcuno ha chiamato il Generale Winchester, chiedendogli di mandare nella nostra base un supervisore?»
Entrambe le donne annuirono.
«Quando è stato chiamato?» Domandai mordicchiandomi il labbro inferiore.
Jessica sembrò rifletterci su, «qualche giorno fa.» Disse infine.
«Chi è stato a chiedere il suo intervento?» Chiesi, sentendomi le forze mancare.
«Il Tenente Edward Cullen in persona.» Mi rispose Jessica, fissandomi preoccupata. «Tutto okay?»
Scossi la testa, sedendomi sulla sedia per evitare di cadere a terra in seguito ad un violento capo giro, «no, non è okay per nulla.»
Edward aveva fatto la sua mossa, e questo, prima che io e Angela cercassimo di salvare Nadira e Jannah, questo significava solo una cosa, ossia che lui voleva liberarsi di me, probabilmente subito dopo esserci baciati.




Buonsalve a tutti quanti!
Colpo di scena, ammettetelo non ve l'aspettavate. E invece è proprio lui signori e signore, Jacob Black! qunate di voi avevano ipotizzato in un suo arrivo? Quante di voi vorrebbero rispedirlo a calci da dove è venuto? Eh lo so, quest'ultima cosa la vorrei fare anche io, essendo una Team Edward, ma purtroppo per voi, in questa storia il bel Black avrà il suo bel ruolo xD
Vi chieso scusa ancora una volta per l'enorme ritardo. Potrei giustificarmi dicendo che sono appena tornata dalle vacanze, prima sono stata a Londra, poi in Sicilia. Insomma è stato un mese piuttosto movimentato, in cui è andato tutto un pò più a rilento, mi riferisco al mondo di Efp.
Mi scuso anticipatamente per gli errori che potreste trovare, non ho avuto il tempo di rileggere il capitolo! Ma lo farò presto.
Non so ancora quando riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo, spero comunque i primi di Agosto.
Vi lascio alle vostre riflessioni, un bacione a tutte voi! xD
Lua93.
   
 
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