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Autore: Scar    02/08/2011    0 recensioni
[Alles was zählt] Fan fiction in 8 capitoli che tiene conto, non degli ultimi spoiler, ma solo degli episodi correnti fino a metà luglio. Come sarebbero andate le cose se, una volta fallito il Centro Steinkamp, Roman avesse deciso di lasciare Essen e cercare la sua fortuna altrove? Avrebbe dimenticato Deniz per sempre?
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3/8

Il mattino dopo, Roman riuscì a scambiare solo poche parole con Richard Steinkamp, che era tra l'altro in procinto di partire per una breve vacanza. Il suo ex datore di lavoro apparve piuttosto neutrale di fronte alla sommaria esposizione del concept. Era anche vero, tuttavia, che dopo essere uscito quasi indenne da due infarti, l'uomo cercasse di farsi coinvolgere dal suo lavoro di meno rispetto al passato, delegando agli assistenti le incombenze più onerose. Ed essendo conclusasi la Essen Cup solo il giorno prima, voleva approfittarne per trascorrere una settimana fuori città in compagnia della moglie. L'unico che avrebbe potuto valutare attentamente la questione era anche l'unico che sarebbe rimasto per il weekend, Deniz Öztürk, nel quale lui riponeva completa fiducia.
Roman avvertì una stretta allo stomaco. Tutto era nelle mani di Deniz e la cosa lo eccitava e, allo stesso tempo, lo impensieriva.
“Il problema è che il signor Öztürk ha comunque il weekend libero, ma potrebbe fare un tentativo, signor Wild”.
Roman annuì, cercando di mascherare l'aria afflitta.
“Vada dalla signora Schnell. Le dirà come mettersi in contatto con lui”.
A Roman non restò che ringraziarlo, anche se vedeva le speranze di concretizzare il suo progetto svanire ulteriormente, proprio come quelle di riavvicinarsi a Deniz.
E sembrava, infatti, che tutto fosse predisposto per far fallire i suoi piani. Deniz aveva dato disposizioni di non essere disturbato in quei giorni, quindi Brigitte non si lasciò convincere tanto facilmente a fornirgli i mezzi per contattarlo.
Roman era turbato al pensiero di sentirne la voce, ma soprattutto di fargli sentire la sua; quindi, dopo aver esitato per quasi tutto il giorno, non facendo altro che prendere in mano il cellulare e riporlo nella tasca dei pantaloni un attimo dopo, si decise a comporre il numero, ottenendo come risposta solo la voce impersonale della segreteria telefonica. Dopo svariati tentativi il risultato fu sempre lo stesso, e non ebbe nemmeno il coraggio di lasciargli un messaggio.
Tutto faceva supporre che avrebbe dovuto attendere l'inizio della settimana successiva per veder smuovere qualcosa, magari parlarne con Ben, ma la pazienza non era mai stata il suo forte. Tuttavia, alla fine decise di mollare, almeno per quel giorno, tornare al loft, chiacchierare un po' con Annette e divorare una confezione intera di gelato al tartufo.

“È lui?”
Annette annuì semplicemente.
Roman staccò dalla porta del frigorifero una delle foto rinvenute durante l'esplorazione della casa in cui aveva abitato in passato, e dove spesso si era rifugiato. Vi erano ritratti due bambini sorridenti. Uno era biondo, sui sei anni, Alexander ovviamente; l'altro molto più piccolo, con una zazzera scura, folta e ribelle, e uno sguardo che non lasciava adito a dubbi. Naso e bocca erano come quelli della madre, ma gli occhi... cavolo... gli occhi erano quelli di Deniz.
“Non ci posso ancora credere” chiosò, riponendo la foto sotto il magnete. Roman notò un'altra foto incorniciata, poggiata sul mobile sotto la finestra. Lo stesso bambino, molto più piccolo che nella precedente, si trovava strizzato tra due raggianti Annette e Ingo.
“Perché non le ho viste l'ultima volta che sono stato qui? Avrà più di sei mesi” fece lui, perplesso.
“Ha compiuto un anno la settimana scorsa” gli rispose Annette, dopo un lungo sospiro. “E non le avevi viste perché le avevo nascoste”.
“Ti ha chiesto Deniz di farlo?”
Annette scrollò il capo. “In verità a Deniz non importava, o almeno così ci è sembrato. E' stata una mia idea. Pensavo che la cosa potesse turbarti, anche se non mi avevi chiesto mai sue notizie, non fino a due settimane fa, perlomeno”.
“E lo sono” convenne lui. “ Come è potuto accadere? Cioè... voglio dire... non immaginavo che lui volesse un figlio, farlo poi”.
Annette invitò l'amico ad accomodarsi sul divano accanto a lei e a condividere il plaid. Lo baciò alla tempia e gli lasciò appoggiare il capo sulla spalla. “So che mi sono già intromessa troppo, ma tu... hai mai chiesto a Deniz quali fossero i suoi desideri, quando stavate insieme?”
Roman si accigliò, sforzandosi di ricordare se avesse mai posto quel tipo di domanda a Deniz. Aveva sempre parlato dei suoi sogni, quelli passati, quelli che si erano realizzati, quelli che lo avevano deluso e quelli irrealizzabili e, per questa ragione, l'avevano tormentato più di tutti gli altri, ma no... non gli aveva mai chiesto cosa desiderasse per se stesso. Quindi scrollò lentamente il capo.
“A te lo ha detto?”
Annette annuì. “ Ti confesso che ne restai sorpresa. Perché fino a quel momento lo avevo sempre visto solo come un ragazzino. Prima il ragazzo ribelle di Marian, poi il ragazzo di Roman, il ragazzo di Vanessa, poi di nuovo il ragazzo di Roman, ma mai per quello che era: un uomo con dei principi e con un gran cuore. Era un mese che tu te ne eri andato. Stavamo festeggiando il compleanno di Alexander e lui era lì - indicò un punto imprecisato del salone – con il compito di animare i giochi di tutti i piccoli invitati... ed è stato incredibile. Sembrava che non avesse fatto nient'altro nella vita. Gli chiesi se la cosa gli piacesse come sembrava, e lui rispose semplicemente che, se avesse potuto, avrebbe riempito la sua casa di bambini. E su questo ci siamo trovati in perfetto accordo. E se me lo chiedi, la risposta è sì: è un padre fantastico”.
Annette si asciugò l'angolo dell'occhio dove le era sfuggita una lacrima e si soffiò il naso con un fazzolettino di carta.
“Come è accaduto?”
“All'improvviso e per caso” rispose Annette. “Vanessa stava attraversando un periodo orribile dopo aver perso il bambino, con Tom non aveva funzionato, e Deniz la portava spesso qui, o in giro, per evitare che cadesse in depressione. Ma Vanessa voleva un altro bambino e questa cosa era diventata un chiodo fisso per lei. Era intenzionata ad andare alla banca del seme e invece...”
“Deniz si è fatto avanti” concluse Roman al posto di lei, con un ghigno accennato. “Tipico di Deniz. Per me sono stati incoscienti ed egoisti. Vanessa avrebbe avuto bisogno di un buon medico non di mettere al mondo un figlio”.
Annette lo fissò negli occhi, con uno sguardo torvo e malinconico al contempo. “Sì, forse hai ragione” replicò “ Noi donne diventiamo davvero incoscienti ed egoiste quando desideriamo la maternità”.
Roman si mordicchiò un labbro. Anche se lo aveva sempre pensato, non avrebbe dovuto parlare in quel modo, in particolare a lei. “Scusami. Non intendevo...”
“Fa niente” minimizzò la donna, sforzandosi di sorridere. “So come sei fatto”. Fece un lungo sospiro, attorcigliandosi la coperta fino al mento. “Vanessa voleva un bambino e Deniz una famiglia. Credo che siano entrambi molto felici e soddisfatti”.
“E il bambino? Che cosa c'entrava il bambino in tutto questo?” fece Roman con un tono acido. “Forza, Annette, siamo realistici! Non prendiamo il tuo caso. Tu e Ingo siete già una famiglia e il giorno in cui vi daranno un bambino in adozione, due, tre, quanti ne vorrete, sarà tutto perfetto, ma loro...”
“Pensavo lo stesso anch'io, all'inizio” convenne Annette. “Loro non sono una coppia, ma amano quel bambino come nessun altro e sono una famiglia, con tutti i suoi limiti”.
Roman cominciò a scrollare il capo e sembrava non voler smettere. L'unica parola che gli rimbombava nella testa era: stronzata.
Infine, si rese conto che non aveva ancora domandato che nome avessero dato al piccolo Steinkamp-Öztürk .
“Michael” gli rispose la donna “ma noi tutti lo chiamiamo Mickey”.
“Come Mike?” chiese Roman, sorpreso.
Annette annuì sorridente. “Come Mike”.

“Marian sarà impazzito dalla felicità” chiosò, sarcastico.

Il mattino successivo richiamò un sole splendente su tutta Essen. Le strade erano state appena liberate dalla neve, della quale erano rimaste poche tracce sotto i bordi dei marciapiedi. Roman decise di fare colazione allo stand in compagnia di Annette che si sentiva abbastanza in forma per lasciare il suo status da ammalata alle spalle e riprendere a lavorare.
Di domenica il quartiere era una festa di colori e di gente occupata solo a passeggiare e rilassarsi. Il chiacchiericcio si confondeva con lo sferragliare degli skateboard e delle bici lungo i viali.
Aveva quasi terminato la sua porzione di patatine con maionese a parte, quando all'ingresso del parco notò un bambino abbracciato a una palla quasi più grande di lui e che cercava di trasportarla incespicando sulle gambe malferme. Quel bambino sembrava lo stesso che aveva visto sulle foto disseminate nel loft, e se c'era lui...
Roman avvertì un tuffo al cuore. Buttò quello che era rimasto della sua colazione nel bidone della spazzatura e si avviò verso il parco, nascondendosi dietro a dei provvidenziali cespugli.
Come aveva immaginato, c'era anche Deniz e, con lui, Vanessa. I due giovani facevano rotolare la palla verso il figlio che l'afferrava per poi rilanciarla in modo goffo e approssimato; un cane di media taglia saltellava intorno a loro cercando di impossessarsene a sua volta. Da come ci giocavano, era chiaro che anche il cucciolo facesse parte della famiglia.
Nemmeno da ubriaco, un giorno, Roman avrebbe potuto associare un'immagine del genere a Deniz Öztürk, ma sembrava fosse la più congeniale a lui, in quel momento.
Il cucciolo, forse sentendosi messo da parte, cominciò a saltellare quasi all'altezza dei fianchi di Deniz e questi, ad un tratto, si lasciò cadere a terra, ignorando la fanghiglia formatasi sull'erba, dove la neve si era sciolta, e fingendo di soccombere sotto la sua piccola mole. Il bambino cominciò a strillare tutto eccitato - probabilmente era un gioco che facevano spesso – abbandonò a terra la palla, che ormai aveva perduto ogni attrattiva, e gattonò fino al padre, si posizionò a cavalcioni sulla sua pancia e cominciò a saltellare. Vanessa rideva di gusto a pochi passi da quel groviglio animale e umano; Deniz rideva a sua volta, chiedendo a gran voce e inutilmente il suo aiuto.
Roman non poté evitare di sorridere e di avvertire al contempo una stretta di gelosia per essere, in quel frangente, non solo spettatore casuale ma principalmente un intruso.
Finalmente era riuscito a comprendere i discorsi di Annette e Ingo: Deniz era ancora più bello di quanto ricordasse ma, probabilmente, non lo aveva mai visto così spensierato e felice.
Perso nelle sue elucubrazioni, ad un tratto, si ritrovò il loro pallone, a pochi centimetri dai suoi piedi e, appena dietro, il piccolo Michael che lo guardava con l'aria smarrita dei suoi grandi occhi neri. Roman si accovacciò, raccolse il giocattolo e glielo porse, ma il bambino sembrava fosse caduto in uno stato catatonico e continuava a fissarlo senza muoversi. Così lui decise di abbandonare palla, infante e ovviamente il parco, prima che i suoi genitori si accorgessero della sua presenza. Ma proprio mentre stava per rimettersi in piedi, il piccolo si aggrappò tenacemente alla sciarpa che portava legata al collo. Nonostante avesse solo un anno, sembrava in possesso di una forza straordinaria. Roman dovette sciogliere istantaneamente il nodo alla sciarpa per evitare di restarne soffocato. Conclusione: il bambino cominciò a correre verso i suoi genitori, sbandierando il prezioso e colorato accessorio come fosse un trofeo.
“Merda” imprecò sottovoce, restando ben nascosto dietro i cespugli.
“Amore, dove l'hai presa?” sentì chiedere da Vanessa.
Poi udì Deniz, il tono leggermente preoccupato. “Vado a controllare dietro quei cespugli”.
Il suo cuore fece un balzo nel petto. Restando quasi piegato in due, prese a correre verso l'uscita.
Non sapeva perché si fosse comportato così, o perché ad un tratto avesse addirittura il terrore di farsi vedere. Ciò che sapeva con certezza era che di colpo sentiva di non avere più niente in comune con Deniz, adesso più di prima.

Durante l'esecuzione di un doppio axel si avverte quasi la sensazione di volare; ecco perché una caduta in queste condizioni può essere piuttosto brusca e dolorosa, tanto da scoraggiare l'atleta a riprovarci immediatamente.
  
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