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Autore: Mark MacKinnon    03/08/2011    4 recensioni
Questa non è casa tua.
Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino.
Non puoi stare qui.

Il capolavoro di Mark MacKinnon tradotto da Il Corra Productions, una delle ff più sconvolgenti mai scritte, torna riveduto e corretto.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".

ULTIMO CAPITOLO ON LINE.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




VII

L’abisso





E quando fissi lo sguardo nell'abisso, l'abisso stesso guarda dentro di te.

Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male


Prologo


Jack si levò di scatto dalla sua cuccetta, con un urlo bloccato in gola. Ansimò, rabbrividendo alla sensazione del sudore che si asciugava sul suo petto nudo. Si rese conto che stava cercando a tastoni la pistola e strinse i pugni di riflesso. Non dormiva più con un'arma sotto il cuscino. Non ne aveva più bisogno. Scosse la testa e deglutì, cercando di convincere il cuore in tumulto che non c'era alcun pericolo.
Svegliarsi da un incubo era un'esperienza terrificante.
Svegliarsi solo, con nessuno con cui parlare, nessuno da cui cercare conforto, nessuno a cui importasse, era un'esperienza profondamente solitaria. E triste.
Casa. Aveva sognato casa sua. Non aveva avuto quel particolare sogno da... anni, Dio, dovevano essere anni. Passò il polso lungo il volto madido di sudore, notando con un po' di sorpresa che stava ancora tremando. Nelle orecchie gli sembrava di poter sentire di nuovo le urla, le sirene in lontananza, il tuono distante delle esplosioni.
E un singolo colpo di arma da fuoco.

("Mamma, perché il papà è uscito? Aveva detto di non uscire più. Aveva detto che non era sicuro. Ci ha fatto promettere di non uscire più. Allora perché è uscito? Mamma? Mammina? Perché stai piangendo?".)

Solo più tardi aveva capito, riguardo al virus e come, negli ultimi stadi, le vittime impazzivano, e attaccavano tutto quello che si muoveva. Tutto ciò che sapeva era che la città si stava facendo a pezzi, c'erano scontri ovunque, e tutti sembravano ammalarsi.
Eccetto lui.
Scosse rabbiosamente la testa, per non far riaffiorare quei ricordi. Appartenevano al passato, assieme all'Errore. Lui voleva essere lasciato solo. Voleva essere di nuovo impegnato per non avere così tanto tempo per pensare.
"Tempo!", scattò. Lo schermo della parete si accese, ubbidiente. Ore 04:06.
Jack aggrottò la fronte, mentre una sottile punta di paura trapassava il suo stomaco. Che diavolo? Quello doveva avere qualche significato per lui, lo sapeva. Quell'ora... scosse debolmente la testa ancora intontita dal sonno. Non riusciva a pensare chiaramente quando era stanco. Se almeno Scooter avesse finito le riparazioni avrebbe avuto qualcuno con cui parlare...
Riparazioni. Rabbrividì, e la sensazione di presagio nello stomaco si intensificò.
"Ripeti dopo di me", sussurrò. "Io NON credo nelle premonizioni, io NON credo nelle premonizioni, io...".
Lo schermo segnalò 04:07 ore. E una sirena cominciò a suonare.
"EMERGENZA! STATO DI ALLERTA! STATO DI ALLERTA! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE! RIPETO, QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE!". Jack saltò giù dal letto, agguantò i vestiti dal pavimento e corse, odiando la voce di allarme pre-programmata, chiedendosi cosa avesse trovato Scooter.
Rabbrividì.
Io non credo nelle premonizioni, si disse silenziosamente. Ma a quanto pare loro credono in me.


Fu, come si suol dire, l'ennesimo déjà vu.
Cominciò in modo abbastanza semplice. Eravamo seduti intorno al tavolo per fare colazione dopo i tradizionali esercizi mattutini. Quella mattina, tuttavia, ci eravamo dati da fare Ranma e io, mentre gli altri guardavano. Senza la tensione che c'era stata tra di noi il giorno prima, eravamo riusciti ad allenarci in modo amichevole. Beh, abbastanza amichevole. Entrambi odiavamo perdere, e c'era ancora un po' di tensione, ma alla fine, risultò che eravamo avversari troppo equilibrati perché una delle parti potesse guadagnare un vantaggio decisivo. Ci eravamo bagnati entrambi, comunque.
La madre di Ranma si era presentata presto e si era unita a noi per la colazione, e così pure Ryoga. All'inizio mi sorpresi di vederlo, poi capii che voleva essere a portata di mano quando Jack sarebbe tornato quel pomeriggio. Con il suo senso dell'orientamento, non poteva che restare in casa fino a quel momento. Tuttavia, ero piuttosto sicuro che se ne sarebbe andato poco più tardi. Doveva essere duro per lui restare così vicino ad Akane, dopo la sua decisione.
Specialmente ora.
Avevano passato un bel po' di tempo su quel tetto la notte prima, e quando Ranma era ritornato nella nostra stanza, i suo piedi toccavano a malapena il pavimento. Solo stargli vicino era come avere accanto un cavo dell'alta tensione non isolato. Aveva gli occhi sfuocati, continuava a sorridere senza ragione, e non riusciva ad addormentarsi. Non era necessario essere dei geni per capire cosa gli frullasse per la testa. O meglio, chi.
Alla fine ce l'avevano fatta. Scoccai un'occhiata a quei due. Erano entrambi stranamente tranquilli, e continuavano a guardarsi con sorrisetti timidi. Effettivamente, Akane arrossiva ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli di Ranma-chan, e la mia controparte stava perfino masticando il suo cibo anziché fagocitarlo. Non credo che qualcuno l'avesse notato, ma solo perché avevano tutti altro a cui pensare.
Ce l'avevano fatta davvero. E io avevo voglia di urlare. Era una cosa dannatamente buona che io fossi sul piede di partenza, perché, per quanto potesse sembrare ridicolo, non riuscivo a provare alcuna gioia per loro, solo un'irrazionale gelosia. Inghiottii la mia amarezza, stringendo la mascella in modo quasi doloroso. Avrei dovuto esser felice per loro, avrei dovuto rallegrarmi per il fatto che si fossero finalmente dichiarati. Ma naturalmente, tutto quello cui riuscivo a pensare era che ora lui aveva la sua famiglia, i suoi amici, la sua vita. E Akane.
E io non avevo niente.
Smettila, mi dissi con rabbia. Hai deciso, ricordi? È la cosa migliore. Ci sono un sacco di buone ragioni per farlo. Ricordi?
Riflettendoci, conclusi che Ucchan avesse ragione. Al cuore non importa granché della logica. Eppure, me ne sarei andato, e questo mi avrebbe semplificato le cose. Oh, pregai, fa che sia così.
Kasumi si alzò e si diresse verso la cucina per scaldare un po' d'acqua per Ranma-chan e me, visto che eravamo ancora entrambe nella forma femminile, e il signor Tendo si schiarì la voce.
"Bene, Nabiki, Akane, visto che ci aspettiamo che il nostro ospite compaia di nuovo durante il pomeriggio, vostra zia si è gentilmente offerta di ospitarvi a casa sua con Kasumi finché non sarà tutto finito". Akane guardò Ranma-chan, che annuì di rimando. Poi si alzò con piglio deciso e incrociò provocatoriamente le braccia. Ranma-chan si alzò al suo fianco.
"Io resto", disse Akane. L'improvviso silenzio venne rotto dal rumore secco dei bastoncini che il signor Tendo aveva spezzato in due.
"Akane, ne abbiamo già parlato!", disse seccamente. Lei sussultò.
"No, papà, tu ne hai già parlato. Ora voglio che tu mi ascolti. Sono l'erede di questa scuola, e non scapperò via da questa minaccia o da qualsiasi altra. Ranma è il mio fidanzato, e Ranko ora fa parte della nostra famiglia. I loro problemi sono anche problemi miei. Io resto".
"Signor Tendo...", cominciò Ranma-chan.
"Tu stai zitto! Non credere che mi sia dimenticato di come hai quasi ucciso mia figlia qualche giorno fa, Ranma! Che grilli le hai messo per la testa?". Ranma-chan sussultò, Akane impallidì, e tra gli occhi del padre di Ranma comparve una piega.
"Tendo", cominciò a disagio. Lui lo interruppe con uno sguardo infuocato.
"No! Non voglio sentire ragioni! Akane se ne va e questo è tutto!".
Ranma-chan avanzò e prese la mano di Akane, sbalordita.
"Se lei se ne va", disse tranquillamente, "me ne vado anche io." A quelle parole sul nostro piccolo gruppo cadde un silenzio di pietra. Ranma e Akane che fanno fronte comune? Akane guardò Ranma-chan con gratitudine. E anche qualcos'altro. Qualcosa a cui non volevo pensare. Per un lungo momento, nessuno parlò. Potevo sentire il fischio della teiera in cucina, o i movimenti di Kasumi. Poi sentii qualcos'altro. Uno strano ronzio.
E fu allora che Kasumi urlò e io ero già lanciato oltre la tavola, alla guida degli altri in una corsa a capofitto verso la cucina. Girai l'angolo e vidi Jack di fronte a una delle sorelle Tendo, proprio come due giorni prima. Solo che questa volta era Kasumi invece che Akane.
E questa volta non aveva una pistola.
Coprii la distanza tra di noi prima che quell'intenzione si fosse completamente formata nella mia mente, e afferrai Jack per il suo lungo cappotto nero; lo slancio lo spinse contro il muro. Essendo nella forma femminile, non ero molto forte, ma la rabbia mi diede abbastanza energia per allontanare quell’uomo più alto dal muro e risbattercelo. Non fece resistenza. Sentii il mio autocontrollo dissolversi e aspettai una scusa per martellarlo con un Kachu Tenshin Amiguriken. Qualsiasi scusa.
"E così", ansimai, "non sei un uomo di parola, eh, Jack? Perché non sono sorpreso?". Lui alzò lentamente le mani, aperte e vuote, all'altezza delle spalle.
"Sei tu, vero, Saotome?", chiese con cautela. Mi resi conto che non mi aveva mai visto in forma femminile prima di allora, ma visto che sembrava sapere tutte quelle cose su di me, era abbastanza logico che sapesse della maledizione.
"Già. Tutto bene, Kasumi?". La vidi annuire con la coda dell'occhio.
"Non mi ha fatto del male", disse con voce tremante. "Ero solo spaventata".
"Non sono qui per far del male a nessuno...", cominciò Jack. Sentii qualcuno avvicinarsi alle mie spalle.
"Esatto", sentii dire dal signor Tendo. "Tu non farai del male a nessuno". Il suo tono mi fece capire che Jack era stato fortunato a incappare in me per primo.
"Senti, ragazzo, dobbiamo parlare", disse guardandomi negli occhi. Il livido sotto il suo occhio si era stinto in un brutto colore giallo, e il suo volto sembrava distrutto. Resistetti all'impulso di sbatterlo una volta ancora contro il muro, e aprii la bocca per dirgli che non dovevamo parlare di un bel niente.
"Ranko", disse il signor Tendo con un tono spaventosamente calmo. "Allontanati, per favore".
"Tendo", fece il padre di Ranma con voce allarmata. Soun allungò una mano sopra la mia testa, agguantò il cappotto di Jack e lo tirò seccamente, premendoci entrambi contro di lui.
"Tu", ruggì, "ora pagherai per aver minacciato la mia famiglia". Mi ritrovai bloccato tra i due uomini più alti.
"Ehi!", gridai. A me spettava la precedenza. Capivo i sentimenti di Tendo, ma lui avrebbe dovuto aspettare il suo turno. Eppure, aspettare non sembrava essere nelle sue intenzioni. Caricò indietro il braccio, con le dita chiuse e il palmo in fuori, e capii che se non lasciavo andare Jack per cercare di fermarlo lo avrebbe centrato con un colpo tremendo, forse letale. Jack rimase immobile, forse senza capire il pericolo che stava affrontando, e continuò a cercare di parlare.
"Ascoltatemi, tutti voi! Devo dirvi una cosa! Dannazione, non potete ascoltarmi?". Poi sentii qualcun altro parlare, con una voce calma, controllata, che esigeva attenzione.
"Genma". Al suono della voce di sua moglie, Genma abbandonò la posizione di spettatore e strinse fermamente il braccio di Tendo.
"Saotome, lasciami andare", grugnì lui, cercando di raggiungere Jack. Ero ancora tra di loro, e mio malgrado li tenevo separati solo perché volevo colpire Jack per primo.
"Papà, smettila!", gridò Kasumi, spaventata. Vidi Ranma-chan e Akane di fianco a lei, e zia Nodoka che si avvicinava a noi. Notai con un po' di trepidazione che aveva con sé la sua katana, ancora nel fodero ma senza la sciarpa di seta.
"Soun", disse con voce calma e autoritaria, "forse dovremmo ascoltare quello che ha da dire. Colpirlo mentre non offre resistenza è disonorevole e inutile. Non sei d'accordo?". Era chiaro che lui non volesse essere d'accordo, ma non riusciva a liberarsi dalla stretta del suo amico, e l'altra sua mano era ancora chiusa sulla giacca di Jack. "Siamo tutti d'accordo?", disse lei, stavolta guardando me. Strinsi i denti. Aveva ragione, naturalmente. Avevo bisogno di Jack perchè tornasse dalla sua gente a dir loro che me ne andavo da casa Tendo, il che sarebbe stato problematico se il padrone di casa gli avesse mozzato la testa. O se lo facevo io.
Alla fine, una parte della tensione si dissipò e il signor Tendo parlò tra i denti stretti.
"Dì quello che hai da dire", grugnì a Jack, ancora impassibile, "e vattene. E se tornerai, nessuno ti salverà da me". Pensai che forse stava esagerando un po'; in fondo, Jack non aveva mai fatto del male ad Akane o a qualcun altro. Comunque, aveva invaso casa Tendo e minacciato Akane con una pistola, e il signor Tendo era rimasto molto scosso dall'incidente quasi fatale per sua figlia. La sua natura iperprotettiva era stata duramente provata. Restai a guardare mentre il padre di Ranma lo attirava lentamente indietro. Rimasi comunque abbastanza vicino, così da prevenirlo se avesse tentato di prendere la pistola.
Lui mi guardò e, come leggendomi nel pensiero, aprì lentamente il cappotto. La sua fondina era chiaramente visibile, ed era vuota.
"Voglio solo parlare", disse, senza staccare gli occhi da me.
"Hai violato i confini di questa casa due volte", disse freddamente zia Nodoka, fissandolo. "Dubito che ci sia qualcuno, inclusa me, che ti possa proteggere dall'ira di Soun Tendo se tu ci proverai una terza". Jack si voltò verso di lei, e la sua espressione si indurì.
"Signora, io non sono più il vostro maggior problema", disse con cautela. Tutti lo stavano guardando come si guarda un cane trovato per strada, uno che può mordere in qualsiasi momento.
"Che vuoi dire? Non ti lasceremo prendere Ranko, a nessun costo!", scattò Akane con rabbia. Ranma-chan era vicino a lei, con uno sguardo preoccupato, ma non interferì. Jack la osservò, poi tornò a me.
"Chi è Ranko?", chiese.
"Io. Senti, che vuoi, Jack? Io non verrò con te...".
"Loro sono qui, ragazzo". Mi fermai. Tutto si fermò. La mia mente, il mio cuore, il respiro, il tempo stesso. Tutto mortalmente fermo.
"No", dissi. Poteva significare una cosa sola.

("Promettimi che tornerai, Ranma".)

("Non essere così drammatica, Akane...".)

Una cosa sola. Macchie nere comparvero ai limiti del mio campo visivo e le orecchie cominciarono a fischiare.

("Promettimelo! Promettilo, o non ti lascerò andare! Promettilo, maledizione!".)

("A-Akane, stai... no. Non piangere...".)

Erano qui. Loro. I demoni, i mostri. Gli assassini. Qui.

("Promettilo, Ranma. Ti prego".)

("Te lo prometto. Tornerò".)

Mi avevano seguito. Mi avevano trovato.

("Tornerò e porterò tutti con me. E andrà tutto bene, Akane. Vedrai".)

No, per favore. Non ancora.

("Andrà tutto bene".)

Per favore.
Da una grande distanza sentii la voce di Jack, che diceva: "Mi dispiace, ragazzo. Vorrei che ci fosse un modo più facile per dirtelo...". Le sue parole vennero perdute mentre il suono del vento nelle mie orecchie cresceva.
Sono qui. Sta tutto succedendo di nuovo. Tutto.
Qualcuno mi toccò il braccio.
E cominciai a urlare.


Il Comandante Shetney era riuscita a racimolare meno di quattro ore di sonno a notte da quando la situazione a TI 49 era precipitata. L’essere richiamata alla postazione di comando dopo averla lasciata così poco tempo prima non aveva contribuito al suo buon umore.
"Takahashi", scattò, entrando a grandi passi rabbiosi dalla porta scorrevole. "Rapporto". Takahashi si voltò dallo schermo che stava esaminando e aggrottò la fronte. L'intera stanza sembrava in preallarme per qualche ragione. Shetney sentì una debole fitta di allarme allo stomaco.
"Comandante, una porta di pattuglia disabilitata nella fascia di mondi numero 300 ha ricevuto questa trasmissione meno di un'ora fa. L'hanno mandata a noi per decrittarla. Apparentemente proviene da un faro d'emergenza vicino...".
"Me la mostri". Non potevano essere buone notizie. Perché proprio adesso? Era stata costretta a inviare praticamente tutto quello che aveva a disposizione a TI 49, e TI 413 era crollata senza preavvisi, all'improvviso, persa prima che lei potesse agire.
Si ritrovò a ricordare di come sua madre le ripeteva sempre che le cattive notizie arrivavano a tre a tre.
"Pronto, Comandante". Si sedette di fronte allo schermo e premette sulla tastiera.

ATTENZIONE: MESSAGGIO CRITTOGRAFATO CODICE DES-1
INSERIRE COMANDO AUTORIZZAZIONE

Attivò la modalità protetta e compilò.

SHETNEY CAROL A. COMANDANTE DI GUARNIGIONE
AUTORIZZAZIONE: WISKEY 24399 ALFA

STAND BY PER SCANSIONE RETINA

Sospirò e rimase seduta immobile, in attesa che la scansione terminasse. Takahashi si portò di fronte alla stazione e guardò la stanza mentre Shetney si rodeva silenziosamente. La cifratura DES-1 non poteva che significare notizie molto cattive. Alla fine, l'autorizzazione venne confermata e il messaggio lampeggiò sul suo schermo privato, solo testo.

DALL'UNITA' DI PATTUGLIA GRUPPO DI INTERVENTO DIMENSIONALE X-RAY FOXTROT SIERRA SEI TRE TRE AL COMANDO DI GUARNIGIONE SETTORE JA. PRIORITA' DES-1.
MAYDAY MAYDAY MAYDAY.
RILEVATO VARCO DIMENSIONALE ATTIVO TRA TI 417 E TI 413.
SITUAZIONE URGENTE RIPETO URGENTE MA NON ANCORA INCONTENIBILE.
UFFICIALE RICHIEDE ASSISTENZA IMMEDIATA. STO TENTANDO CONTROMISURE.
DISTORSIONE PROVENIENTE DAL VARCO LOCALE RENDE COMUNICAZIONI DIRETTE TUTTORA IMPOSSIBILI.
RIPETO UFFICIALE RICHIEDE OGNI ASSISTENZA POSSIBILE AL PIÙ PRESTO.

UFFICIALE DI PATTUGLIA JACK GARY CONROY GID 880 GRUPPO DI PATTUGLIA - X-RAY FOXTROT SIERRA SEI TRE TRE.

FINE MESSAGGIO

RIPETO MESSAGGIO:

Shetney premette il tasto di blocco, poi cancellò lo schermo. I problemi arrivano davvero a tre a tre, pensò stupidamente. Chissà come sarebbe soddisfatta la mamma adesso. Fissò lo schermo, con occhi secchi e stanchi.
"Urgente ma non incontenibile", mormorò. Takahashi si sporse sulla console.
"Che cos'era, Comandante?", chiese. Shetney scosse la testa.
E al diavolo Jack. Il suo messaggio non andava molto per il sottile, ma non era nella posizione per dare ordini. Le sue forze erano malamente sparpagliate, e se si era formato un varco attivo tra un mondo infestato di demoni e uno incapace di combatterli, allora c'era solo una cosa che lei potesse fare.
"Takahashi, scendi alla centrale dell'Ops. Trova Dussault. Digli che autorizzo un Cerchio Nero a TI 417. Poi trovami una porta e un pilota. Ho bisogno di sapere in che casino ci stiamo cacciando". Takahashi esitò.
"Non sarà facile...".
"Dannazione, richiama qualcuno dal congedo se necessario! Non autorizzerò un attacco terminale finché non avrò avuto conferme! Ora muoviti!". Takahashi scattò in posizione di saluto e corse via, lasciando Shetney sola con la sua coscienza.
Spiacente, Jack, disse silenziosamente. È così che vanno le cose.
Si appoggiò contro la poltrona sentendosi vecchia di un milione di anni.


Ranma era preoccupato. Ranko-chan si era finalmente calmata, ma la sua reazione era stata estrema. E la situazione minacciava di tornare fuori controllo.
Aveva prelevato la teiera dal fornello e si era annaffiato con l'acqua calda giusto un momento prima che Ranko cominciasse a urlare. Aveva preferito essere un ragazzo nel caso si arrivasse alle mani, ma quel Jack non aveva fatto niente. Continuava a dire che loro erano là. E quando Ranko-chan era impazzita, lui aveva capito istantaneamente di cosa stesse parlando.
Solo che non riusciva a crederci.
Akane stava mormorando qualcosa alla sua sconvolta controparte, con un braccio attorno alle sue spalle, e Ranma combatté un'improvvisa fitta di gelosia. Non ora, dannazione, concentrati, pensò con rabbia.
"Stai dicendo che quello che è successo al mondo di Ranko sta per accadere qui?", chiese, andando dritto al punto. Gli altri, ancora sotto choc dopo la crisi di Ranko-chan, vennero riportati bruscamente alla realtà dalla domanda. Jack scosse la testa con enfasi.
"No! No, non esattamente. Sentite, vi dirò tutto, ma dovete mantenere la calma, ok? È necessario che capiate con esattezza cosa sta succedendo qui". Ranma non era sicuro del perché lui volesse la loro comprensione, e non era sicuro di fidarsi di quel tizio, ma se c'era anche solo una possibilità che quei mostri potessero arrivare avrebbe ascoltato comunque, e con molta attenzione.
Non intendeva lasciare che quello che era accaduto a Ranko accadesse a lui.
"Se non è la stessa cosa, allora qual è esattamente la situazione?", replicò.
"Ascoltate", disse Jack, guardandoli tutti. "Non è come prima, quando hanno distrutto il mondo di Ran... di Ranko. Possiamo fermarli, se agiamo in fretta".
"Ranko ci ha parlato di te, dei metodi della tua gente. Non avete fatto niente per aiutare gli altri su quel mondo. Perché dovremmo fidarci di te?", chiese Akane con amarezza. Lui la guardò, esasperato.
"Perché è l'unico modo. Se non vengono fermati, soccomberete allo stesso fato delle vostre controparti". Nessuno parve sapere cosa rispondergli. La tensione sembrava turbinare attorno a loro, stringendoli tutti insieme nel limitato spazio della cucina, in un crescendo da tempesta estiva.
"Allora dicci quello che sei venuto a dirci", fece Ranma, "e vedremo se crederti o no. Che te ne pare?". Jack annuì.
"Ok. Stamattina ho finalmente riparato la rete di sensori della mia Porta, e ho scoperto che si era aperto un varco tra questo mondo e quello dove ho trovato Ranma. Questo non sarebbe dovuto succedere".
"Stai dicendo che quelle cose hanno seguito Ranko?", chiese Nabiki con aria incredula dall'ingresso. Ranma si voltò e vide Ranko-chan irrigidirsi tra le braccia di Akane. Nabiki parve comprendere le implicazioni delle sue parole nello stesso istante e arrossì.
"Scusa, Ranko", disse velocemente. "Io non...".
"Loro mi hanno seguito, vero?", disse piano Ranko-chan dal suo cantuccio sul pavimento. "Sono venuti perché sono fuggito da loro, e mi rivogliono indietro". La sua voce era spaventosamente piatta, e i suoi occhi fissavano il suolo senza vederlo. Ranma sentì un brivido freddo scendergli per la schiena. Era vero? La presenza di Ranko li aveva messi tutti in pericolo?
"Senti, ragazzo, non c'è assolutamente modo in cui possano aver saputo che eri finito qui. È stato un incidente, ricordi?", lo interruppe Jack. "Il fatto che il varco che hanno aperto conduca qui è solo una coincidenza. Ecco tutto". Ranko-chan non sembrava convinta.
"Se stanno davvero arrivando, come possiamo fermarli se le nostre controparti non ci sono riuscite?", chiese Ranma. Ricordò di aver detto a Ranko che lui non avrebbe lasciato morire tutti quanti se fosse stato al suo posto. Si augurò di non dover provare sul campo le sue parole. Jack si sfregò stancamente il mento.
"Vi dovrò dare qualche spiegazione, quindi cercate di seguirmi. Ogni dimensione è comprensiva di vari livelli di esistenza. Ci possono essere, per dire, un piano dei kami, un piano demoniaco, un piano astrale, un piano materiale e così via. Nel mondo di Ranma... di Ranko, le barriere che separavano il piano umano da quello dei demoni avevano completamente ceduto. Una volta liberati, i demoni erano stati in grado di invadere il reame degli uomini, arrivando da ogni dove. Ma quella dimensione è completamente separata da questa. Le barriere interplanari possono essere scavalcate, o a volte aperte, con vari mezzi tecnologici o magici. Le barriere dimensionali sono tutta un'altra cosa".
"Ma ci sono riusciti", ribatté Ranma. Jack annuì.
"Ci sono solo due modi conosciuti per superare le barriere tra i mondi. Uno consiste nell'attraversare i vortici naturali tra le dimensioni usando tecnologie di transito dimensionale. Il nostro Gruppo di Intervento Dimensionale usa questo metodo. Il secondo è aprire un varco subspaziale preesistente tra i mondi, e per farlo è necessario un raro e potente artefatto conosciuto come chiave di ipervarco".
"Allora hanno aperto un varco per arrivare qui", disse cupamente Ryoga da dove si trovava, appoggiato contro il muro, in posizione falsamente rilassata. "Questo ci aiuta?".
"Sì. Quel varco è il loro solo ponte per questo posto. Cercheranno di mantenere un basso profilo finché non riusciranno a trasportare abbastanza forze per difendere questa estremità. Una volta che il loro approdo sarà al sicuro, cominceranno a dilagare, distruggendo tutto ciò che vedranno. A meno che noi non li fermiamo".
"Noi?", chiese Ranko-chan, alzando di scatto la testa. "Hai appena detto 'noi', vero? Chi sono esattamente 'noi', Jack?". L'uomo contrasse la mascella, poi respirò a fondo.
"Secondo i miei dati su di te, c'è un gruppo di artisti marziali piuttosto in gamba nel tuo circolo di amici. Penso che si possa riuscire a fermare queste cose se agiamo abbastanza in fretta, con la sorpresa dalla nostra, prima che loro siano pronti. Un gruppo d'attacco di tutti i tuoi amici....
Questo fu tutto ciò che Jack riuscì a dire prima che Ranko-chan si liberasse da una sbalordita Akane e si lanciasse contro di lui. La forza della collisione li mandò entrambi a terra, con Ranko sopra. Afferrò la giacca di Jack e strattonò il suo volto in su finché i loro nasi quasi si toccarono.
"No!", ruggì. "Assolutamente no! Sei impazzito? Non puoi chiedergli di combattere quelle cose, non te lo lascerò fare! Mai!". Ranma si avvicinò, chiedendosi se fosse il caso di separare i due. Jack continuava a mantenere la calma, non lottava con Ranko-chan, solo guardava nei suoi occhi con un'espressione spiritata.
"Ragazzo, è il solo modo", disse piano. Ranko-chan cominciò a sbatterlo contro il pavimento, infuriata.
"NO! CI ABBIAMO GIÀ PROVATO! CI ABBIAMO PROVATO E NON HA FUNZIONATO! NON LI GUARDERO' MORIRE UN'ALTRA VOLTA! MI RIFIUTO! MI STAI ASCOLTANDO?". Ranma scattò in avanti, ma venne subito fermato dalla madre. Lei lo attirò indietro, poi si inchinò vicino a Ranko-chan, ancora scossa dalla violenta intensità del suo respiro. Jack sembrava non sapere che cosa fare con lei.
"Ranko. Ranko, lascialo andare. Va tutto bene, Ranko, non gli lasceremo fare niente. Solo lascialo andare, va bene?". Parlò con un tono basso, calmante, posando una mano sulla spalla della ragazza. Ranma vide la sua controparte sussultare convulsamente, per poi voltarsi a guardare sua madre, con occhi selvaggi e disperati.
"Non è giusto", sussurrò. "Non può succedere di nuovo. Non permetterò che succeda di nuovo. Non lo permetterò, e basta". Allentò la presa su Jack e si lasciò attirare gentilmente indietro. Sua madre allontanò Ranko-chan dall'uomo disteso, mettendosi dietro il padre di Ranma, il signor Tendo e Akane. Jack si alzò lentamente, attento a non fare alcuna mossa brusca.
"Voi dovete capire cosa c'è in gioco in tutto questo", disse, con un tono quasi implorante. "Loro non sanno che sono qui, non possono sapere che qualcuno è a conoscenza del loro piano! Abbiamo solo una possibilità per disattivare quel varco, ma per farlo ho bisogno del vostro aiuto!".
"Vuoi che combattiamo quei demoni? E poi?", chiese Ranma. Si rese conto che, quasi contro la sua volontà, cominciava a credere che la minaccia fosse reale. O Jack era un brillante attore, o era disperato e impaurito.
"L'apertura in questo mondo sarà difesa. Quello di cui ho bisogno è che voialtri mi portiate a questa estremità del varco. Una volta dentro, dovrei essere in grado di distruggerlo con il mio equipaggiamento".
" Dovresti essere in grado?", chiese acidamente Ranma.
"SARÒ in grado! Senti, potete fare così, oppure sedervi ad aspettare che uccidano tutto quello che amate! È questo che volete?". Ranma fece per replicare, poi vide sua madre alzarsi con grazia, ergendosi in tutta la sua altezza. Nodoka si avvicinò a Jack, sfiorando gli altri per guardarlo negli occhi.
"Sono artisti marziali di grande talento, ma sono solo bambini", disse con durezza. "Cosa mi dici della gente che servi, il Gruppo d'Intervento Dimensionale? Non verranno per porre fine a tutto questo?". Jack rabbrividì alla rabbia a malapena repressa della donna, ma tenne duro.
"Ho inviato una richiesta di soccorso, ma c'è un altro problema in questo settore e francamente, non credo che potremo aspettarci il loro aiuto in tempo utile. Siamo lasciati a noi stessi, e stiamo esaurendo il tempo". Mentre i due continuavano a fissarsi, Ranma notò che Ranko-chan si era alzata in piedi e si era diretta in cucina. Raccolse la teiera e ne versò il contenuto su se stessa. L'acqua era ancora abbastanza calda da innescare il cambiamento, e Ranko si voltò verso Jack, con un'espressione dura.
"Lasciali fuori, Jack. Prendi me". Jack aggrottò la fronte.
"Senti, ragazzo, loro sorveglieranno il varco. Un solo uomo non sarebbe abbastanza. Non avremmo alcuna possibilità ragionevolmente decente".
"E la polizia?", chiese Kasumi con voce stridula. "O l'esercito?". Jack scosse la testa.
"Anche se riuscissimo a fargli credere la nostra storia prima che sia troppo tardi, sarebbe comunque preferibile un attacco rapido, mirato. E comunque, temo che la polizia sarà occupata con altri problemi".
"Laggiù io sono sopravvissuto da solo, Jack", continuò Ranko testardamente. "Quel posto ne era infestato, ma sono sopravvissuto. Puoi farcela anche solo con me".
"So cosa stai cercando di fare, ragazzo, ma non possiamo rischiare! Dal nostro successo dipendono troppe cose! E temo che non ci resti molto tempo". Jack venne interrotto da uno squillo acuto. Tutti sobbalzarono, lui tirò indietro la manica del cappotto e toccò leggermente un piccolo braccialetto grigio attorno al suo polso.
"Che c'è?", chiese bruscamente. Dal braccialetto, una voce gli rispose.
"Sta succedendo qualcosa, capo. Ho monitorato la polizia locale e le bande dei servizi d'emergenza, e stanno tutti impazzendo. Linee della corrente interrotte, incendi alle substazioni idriche, danni alle maggiori tubature di acqua e gas, eccetera. Un caos pazzesco, e sta dilagando".
"Mostrami". Un fascio di luce apparve di fronte a lui, prendendo la forma di quella che sembrava una mappa dell'area. Ovunque lampeggiavano luci rosse. Ranma si avvicinò, corrugando la fronte. Gli sembrava che formassero un disegno. Che diavolo...?
"È cominciata", annunciò Jack con asprezza.
"Che cosa? Cosa stanno facendo?", chiese Akane.
"Causano problemi. Tengono occupati i servizi di polizia e soccorso, intasandoli. Impediscono l'accesso alla loro area vulnerabile".
"Stanno facendo un grosso cerchio", fece Ranma. Jack annuì.
"Già, guarda. Queste sono le principali intersezioni stradali. Questa è allagata da una falla nelle condutture dell'acqua, questa è bloccata da linee elettriche abbattute. E qui c'è un treno deragliato. Il demone medio è intelligente quanto un’incudine, ma questo sembra un piano. Devono aver inviato almeno un demone di alto rango per coordinare il tutto. Dannazione". Ranma sforzò gli occhi sulle linee della mappa, cercando di capire cosa gli sembrasse strano. Poi, improvvisamente, se ne rese conto.
"Il liceo Furinkan è al centro del cerchio!".
"Ah, beh, sì. È là che c'è il varco. Non ve l'ho detto?".
"No, non l'hai fatto", fece Ranko con voce piatta.
"Capo, ho bisogno di parlarti un attimo", disse la voce che usciva dal braccialetto. Il rumore ronzante rincominciò e la strana porta apparve nel muro dietro a Jack. Il display della mappa sparì e lui si voltò.
"Tornerò presto", disse da sopra la spalla. "Vi suggerisco di decidere alla svelta se volete aiutarmi o no. Questa attività significa che il nostro tempo è quasi scaduto". Poi la porta si aprì e lui sparì al suo interno. Per qualche istante regnò un silenzio stupefatto. Infine, Ranko si voltò verso Ranma.
"Ho bisogno di parlarti. Da solo". Uscì dalla stanza, sfiorandolo, lasciando tutti sorpresi dal suo risveglio.
Ranma sospirò e fece per seguirlo.
"Ranma", disse sua madre, con la preoccupazione evidente nella voce. Lui le sorrise rassicurante.
"Non temere. Torniamo subito". Seguì Ranko fuori sulla veranda, dove l'altro ragazzo si voltò per guardarlo in volto.
"Allora?", chiese Ranma dopo un lungo momento carico di tensione. Ranko guardò il cielo, grigio e minaccioso, poi riportò gli occhi sull'altro.
"Non andare", disse alla fine. "Ti prego. Restane fuori".
"Sai che non posso farlo".
"Ascoltami! Se tu non vieni, anche gli altri resteranno qui! Loro seguiranno la tua guida, lo sai! Ti prego, Ranma!".
"Ma di cosa stai parlando? Quegli esseri hanno distrutto il tuo mondo, ucciso i tuoi amici...".
"E io voglio fargliela pagare! Non dargli una possibilità per farlo di nuovo! Dannazione, tu non sai contro chi stai andando! Non capirai finché non sarà troppo tardi! Quelle cose, loro non sono una specie di artisti marziali incazzati con delle tecniche strane, sono macchine per uccidere! Non hanno coscienza, paura, niente!". I due si fissarono a vicenda, mentre l'aria attorno a loro si caricava di tensione.
"Io so solo che quel Jack pensa di aver bisogno di noi per far funzionare il suo piano. So che non posso restare qui seduto mentre la mia casa è minacciata. Sai cosa significhi questo luogo per me. Voglio difenderlo, e questa gente, costi quel che costi. E anche gli altri lo faranno. Tra tutti tu dovresti conoscermi abbastanza da sapere che non posso far finta di niente".
"Tutti?", chiese l'altro con voce bassa. "Anche Akane?". Ranma tese le labbra in una smorfia e distolse lo sguardo.
"Gliel'ho promesso", disse, e le parole facevano male. "Le ho promesso che sarò al suo fianco. E il suo orgoglio...".
"L'orgoglio non vale granché come armatura, Ranma! L'orgoglio non la proteggerà!".
" Io la proteggerò! Non lascerò che le accada niente!".
Rimasero in silenzio, guardandosi, con rabbia palpabile.
"Lei è brava, lo sai", disse piano Ranma, rompendo il silenzio, nella speranza che Ranko capisse. "E non sarà sola. So cosa stai pensando, ma...".
"Ma non le chiederai di restare qui". La voce di Ranko era piatta, senza vita.
"Non posso. Non posso perché aveva ragione, quando ha detto...".
"Quando, la notte scorsa? Immagino che voi due abbiate avuto alcune cose di cui parlare dopo che me ne sono andato, giusto?". La testa di Ranma scattò al suono della voce della sua controparte.
"È per questo? Per quello che è successo tra me e Akane ieri sera?". Ranko rabbrividì, colpevole.
"No. Sì! Merda, non lo so! Dovrei essere felice per voi due, suppongo. Dannazione, io volevo andarmene prima che succedesse! Non avrei mai voluto vederla innamorarsi di qualcun altro, nemmeno di te". Ranko scosse la testa, e il suo tormento interiore era chiaramente visibile sul volto. Ranma stava cominciando a capire quanto potesse diventare difficile la situazione.
"E ora che si fa?", gli chiese con voce neutra.
"Senti, tutto quello che so è che avevo deciso di andarmene per non ferire nessuno. Ora la mia decisione non vale più niente. Non stiamo più parlando di sentimenti feriti e cuori infranti, stiamo parlando di vita e morte! E non mi importa di quello che dice Jack, io lo so! So che sono venuti qui... perché ci sono io". Alla fine la sua voce si era ridotta a un sussurro agonizzante, e Ranma provò un moto di comprensione per la sua controparte. E anche un po' di frustrazione.
"Ha detto che non...".
"Lo so cosa ha detto! Ma lo posso sentire! Non hanno ancora finito con me!". La voce di Ranko era selvaggia, piena di paura. Ranma poteva percepire l'intensità della rabbia cieca dell'altro ragazzo come un vento caldo sulla pelle.
"Ranko, se domani ci fosse un terremoto a Tokyo, sarebbe colpa tua? Se un'ondata di marea spazzasse via mezzo Giappone, ti sentiresti colpevole? Comincio a pensare di sì. Dopo il nostro discorso giù al fiume, pensavo di aver capito quanto ti sentissi in colpa per quello che era successo, per essere sopravvissuto. Ma mi illudevo. Forse ci illudevamo entrambi. Un giorno dovrai perdonare te stesso, ma ora non abbiamo quel genere di tempo. Dobbiamo cercare di fermare quelle cose prima che facciano del male a qualcuno. Io vado. Questo è tutto".
"E gli altri?", chiese Ranko, con un mormorio sottile e privo di emozione.
"Loro potranno decidere da soli".
"Anche Akane?". Ranma prese un respiro profondo e ricacciò il panico che stava montando dentro di lui.
"Già. Anche lei". Ranko lo guardò a lungo, poi finalmente la tensione abbandonò il suo corpo.
"È solo che non voglio che anche tu debba vivere quello che ho vissuto io", disse con voce stanca. Ranma annuì.
"Lo so, ma scappare via non è la risposta. Dobbiamo farlo. Non c'è altra soluzione". L'altro assentì, evitando il suo sguardo.
"Suppongo di aver sempre saputo che non mi avresti ascoltato", mormorò. "Dovevo tentare, tutto qui. Capisci?".
"Sicuro. Capisco". Ed era vero. Solo, non approvava.
L'isteria di Ranko quando aveva saputo della presenza dei demoni lo aveva preoccupato. Non era sicuro che i nervi del suo amico avrebbero retto contro le creature che avevano ucciso i suoi amici e la sua famiglia.
Temeva che Ranko potesse crollare sotto la pressione, e non aveva idea di cosa fare per impedirlo.
Si voltò per rientrare, poi vide Akane che si dirigeva verso di loro e si fermò. Anche Ranko la vide, e si voltò verso Ranma con un sorrisetto amaro.
"Immagino di dovervi lasciare soli", fece. "Sono sicuro che avete di che parlare". Ranma sussultò al tono dell'altro, e rimase e guardarlo allontanarsi con aria disperata. Aveva bisogno di parlargli di quello che era successo tra lui e Akane. Aveva bisogno di chiarire la cose. Non voleva lasciare che rimanesse quell'incomprensione tra loro due, non ora che avevano cominciato a essere amici davvero.
Sfortunatamente, sembrava che non ce ne fosse proprio il tempo.


Akane guardò Ranko sorpassarla con circospezione, evitando i suoi occhi. Intuì che la sua conversazione con Ranma non fosse finita bene.
Sperò che la sua andasse meglio.
Raggiunse Ranma e lo guardò, col cuore che accelerava i battiti al ricordo di quello che era successo tra di loro sul tetto la notte prima. Proprio quando le cose cominciavano finalmente a mettersi bene, pensò amaramente, ecco cosa succede. Non potremo mai essere felici? È chiedere troppo?
"Allora?", chiese piano. Lui sospirò.
"Ranko vuole che restiamo fuori pericolo. Si sente ancora colpevole. Francamente, credo di capirlo".
"Cosa?". Lui le fece un sorriso malinconico.
"Ricordi la notte scorsa, quando ti dicevo che avevo paura di cambiare la situazione? E come temevo che cambiare le carte in tavola avrebbe distrutto tutto? Mi sento come uno scarto, sai? Come se avessi desiderato troppo, e ora...".
"Ranma, tu non lo stai pensando davvero! Dimmi di no!", gli gridò in risposta, sconvolta. Era spaventata dalla somiglianza di quello che lui aveva detto con ciò che lei aveva pensato solo un momento prima. Era dunque destino che non potessero mai essere felici? Cercò di respingere il pensiero come un'assurdità, ma qualcosa nel buio della sua anima, dove la luce non giungeva mai, gracchiava che ciò fosse altamente probabile.
L'espressione di Ranma si addolcì un poco, e scosse il capo con aria dispiaciuta.
"Scusa. Tutta questa faccenda mi sta facendo impazzire. È diverso da tutto ciò che abbiamo combattuto prima".
"E tu vuoi che io resti qui. Vero?". Lui sostenne il suo sguardo, con occhi tristi.
"Certo che lo voglio. Ma non te lo chiederò. Ero sincero quando ti ho parlato la notte scorsa. Compagni. È solo che... ho quasi la nausea, dalla paura che ti possa capitare qualcosa".
"Bene", disse lei. Lui sbatté le palpebre.
"C-come?".
"Mi hai sentito", rispose Akane, avvicinandosi di un passo. "Dovrai sentirti così tu, per una volta. Come credi che mi senta io, Ranma, ogni volta che ti lanci in qualche nuova avventura? Tu non permetti mai che quello che provo per te ti impedisca di cacciarti nei guai. Non sei invulnerabile, Ranma, ed è ora che te ne renda conto! Succeda quel che succeda, oggi, voglio che lo affrontiamo insieme. E voglio che tu mi prometta che non ti distrarrai per controllarmi. Prima o poi dovrai imparare a fidarti delle mie capacità. Ce la faremo entrambi, e poi...". Si interruppe, sostenendo fieramente il suo sguardo. "Poi potremo preoccuparci di noi stessi".
"È davvero così terribile che io mi preoccupi per te?", chiese Ranma con aria abbattuta. Lo sguardo di Akane si addolcì un po'.
"Non terribile", disse. "Non è terribile preoccuparsi per qualcuno che si ama. Credimi, lo so. Mi sono preoccupata per te già abbastanza". Ranma abbassò la testa, infelice e confuso.
"Mi spiace, Akane. Io non ho mai...".
"Lo so", lo interruppe lei con gentilezza. "Volevo solo farti capire che ci siamo dentro insieme, fino in fondo. E questo significa che saremo entrambi in pericolo. Ranma. Io ho dovuto imparare che non puoi chiudere la gente che ami in un vaso per tenerli vicino e proteggerli ogni istante di ogni giorno. Credimi, dopo la morte di mia madre ero invasa dal terrore. Non volevo perdere di vista nessuno perché avevo paura che potessero non tornare più". Fissò cupamente il giardino, mentre l'ombra di oscuri ricordi passava sul suo volto. "Mi ci è voluto un po' per capire che non potevo vivere così. Ma l'ho capito, e non è stato facile. Ora devi fare la stessa cosa".
Si voltò per guardarlo, e lui sentì il nodo nella gola intensificarsi. Sentiva così prepotentemente il bisogno di proteggerla, ma lei aveva ragione. Se doveva mantenere la promessa che le aveva fatto, doveva imparare a lasciarla andare. Lo spaventava come, all'improvviso, i suoi sentimenti per lei fossero cresciuti ora che non faceva più finta che non esistessero.
Una volta ammessi, erano diventati una forza primordiale al centro del suo essere, e martellavano la sua mente razionale con un'intensità terrorizzante.
"Capisco", disse piano, e pensò che forse era vero.
Capiva, ma non poteva smettere di preoccuparsi, e lei lo lesse con soprannaturale accuratezza nella sua espressione. Si avvicinò, col volto teso dalla preoccupazione e da altre emozioni meno identificabili.
"Mi prometti che non ti farai uccidere per controllarmi, vero?". Lui distolse lo sguardo per un istante, poi lo riportò su di lei, e annuì lentamente.
"Sì. Solo se mi prometti che sarai prudente". Lei gli sorrise.
"Proverò".
"Anche io". Si guardarono a lungo, comprendendo il peso di tutte le parole che non erano state dette, tutte le cose che avrebbero potuto non realizzarsi mai. Poi quel momento passò e Ranma lasciò sfuggire un sospiro.
"Faremo meglio a entrare e vedere cosa sta succedendo". Si mosse, ma Akane rimase immobile.
"Aspetta", sussurrò. Le sue braccia serpeggiarono attorno al collo di Ranma e lei alzò il volto verso il suo, chiudendolo in un bacio. Le mani del ragazzo si alzarono lentamente per circondarle il volto, e lei rabbrividì a quel tocco. Il bacio sembrò durare un'eternità, dolcissimo e disperato, e lei affondò nel corpo dell'altro, cercando di imprimere quel momento nella sua memoria.
Infine ruppero il bacio con riluttanza, rimanendo ancora con i volti a pochi centimetri di distanza, e gli occhi grigioazzurri di lui si persero nei suoi, pieni di amore e bisogno e paura.
"Per cos'era?", sussurrò Ranma.
"Per dire buona fortuna", gli rispose, poi seppellì il volto nella sua spalla perché non vedesse le lacrime. Ma lui le sentì comunque, e le accarezzò gentilmente i capelli mentre Akane inghiottiva un singhiozzo.
"Ranma", mormorò lei, "ho così tanta paura". Allora la circondò gentilmente con le braccia, accostò le labbra al suo orecchio, col cuore che martellava per quel contatto, per la sincerità che si sentiva obbligato a dividere con lei.
"Lo so, Akane. Anche io ho paura".
Rimasero là, sostenendosi a vicenda, per molto, molto tempo. Ma alla fine, sembrò come un momento effimero, finito troppo presto.
Lontano, un rombo di tuono.


Vidi Ranma e Akane rientrare in casa senza espressione, ma rimasi sorpreso da quanto facesse male vederla con lui. Dopo tutto, erano fatti l'uno per l'altra. Tutto il mio discorso riguardo lo star fuori dalle loro vite allora era stato solo... parole? Scossi con violenza la testa. Ora più che mai, non dovevo distrarmi. Mi ero deciso ed ero intenzionato a vivere con questa decisione.
Se possibile.
"Ehi", feci. Non mi avevano notato, assorbiti com'erano l'uno dall'altra. Sussultarono con aria colpevole al suono della mia voce, e potei immaginare cosa fosse successo sulla veranda. Essere geloso sarebbe stata una totale perdita di tempo, ma il saperlo non mi avrebbe fermato dallo sguazzarci dentro, solo per un po'. Vedendoli avvicinarsi cercai di non lasciar trasparire il mio tormento interiore.
"Jack è tornato", dissi brevemente. "Vuole sapere cosa avete deciso". Ranma annuì. Akane si limitò a guardarmi con un'espressione che mi mozzò il fiato. Non volevo che si dispiacesse per me, che provasse pietà. Volevo solo che mi amasse, e quello non era possibile. Non poteva succedere. Non poteva.
Li seguii in cucina, cercando di combattere il senso di terrore che continuava a salire dentro di me. Capivo dalla sua espressione che Akane non sarebbe rimasta indietro. Avevo sperato che lui potesse almeno convincerla a farlo. Non sarebbe stato chiedere troppo, no? Ma sembrava che qualunque cosa fosse stata detta tra loro due, era stato deciso che Akane avrebbe condiviso il rischio. Mi chiesi se avessi mai potuto fare lo stesso con la mia Akane.
Improbabile. Ricordai la Sorgente della Vita, mentre la guardavo danzare nell'aria da una testa di Orochi all'altra, ricordai come il mio sangue si era fatto di ghiaccio a quella vista. Era molto migliorata nelle sue capacità da quando l'avevo conosciuta, ma non era ancora pari a me, e non riuscivo ancora a sopportare di vederla in pericolo. Il problema era che questa volta non avevo voce in capitolo. Lui invece sì, e aveva deciso di portarla con sé.
Capii che lo odiavo per questo.
Jack era in cucina, a braccia incrociate, in nostra attesa.
"Allora?".
"Veniamo con te", disse Ranma con fermezza. Il silenzio era tale che si sarebbe potuto sentire il cuore del signor Tendo spezzarsi.
"Akane!". Lei si voltò verso il padre, con un'espressione ferma ma anche un po' triste.
"Cerca di capire, papà, ti prego. Devo andare". Lui la fissò, col volto grigio.
"Io ci sto, e anche gli altri", disse Ryoga. Lo guardai a bocca aperta.
"Gli altri? Come...?". Ryoga mi guardò come se avessi perso la testa.
"Non ho il senso dell'orientamento, Ranko, ma sono perfettamente in grado di usare un telefono". Mi parve come di pietrificarmi. Allora era così. Sarebbero tutti partiti per combattere quell'ultima battaglia, proprio come quella che li aveva uccisi prima. Non potevo fermarli. Potevo solo seguirli e cercare di non perderli di nuovo. E pregare di poter cambiare il risultato.
"Gli hai detto dove trovarci?", chiese Jack a Ryoga. Lui annuì. Il signor Tendo era ancora di fronte alla sua figlia minore, la fissava come se non l'avesse mai vista prima. I genitori di Ranma erano vicino a lui, e Nabiki e Kasumi si guardavano intorno nervosamente.
"Non c'è più tempo, papà", disse piano Akane. "Ora dobbiamo andare. Dobbiamo fermare quelle cose prima che facciano quello che hanno fatto alla casa di Ranko. Cerca di capire, non sono più una bambina piccola".
"Tu sarai sempre la mia bambina piccola", disse lui, con voce roca. "Sempre. Se ti capiterà qualcosa, io non...", si fermò, inghiottì a vuoto. "Io vengo", disse alla fine.
"Ne abbiamo già discusso, Tendo", fece con calma il padre di Ranma. "Non tutti i demoni sono al Furinkan. Qualcuno deve restare qui e difendere la nostra casa in caso di problemi. Hai altre due figlie. Devi restare". Non ero sicuro se lo avessero deciso perché era vero o perché la sua preoccupazione per la figlia lo rendeva praticamente inutile. A ogni buon conto, lui sembrava intenzionato a discutere la faccenda, finché la madre di Ranma non gli pose con gentilezza una mano sulla spalla.
"Soun, abbiamo bisogno di te qui. Lo so quant’è duro lasciar andare la tua bambina nell'ignoto, ma dev'essere fatto. Sii forte, Soun. Da questo dipendono così tante cose". Lui chiuse gli occhi e abbassò la testa, e le sue spalle caddero, sconfitte. Infine annuì, si rialzò e guardò la sua bambina per quella che poteva essere l'ultima volta.
"Torna presto, Akane", sussurrò con voce tremante. Akane era evidentemente commossa dal suo dolore, e poté solo annuire.
"Lo farò, papà. Non temere". La sua voce tremò, ma leggermente.
Jack aprì la porta che era riapparsa sul muro della cucina, e fece cenno di entrare. Ryoga andò per primo, seguito dal padre di Ranma, poi lui. Akane lo seguì da vicino, con un ultimo sguardo sopra la spalla a suo padre e alle sue sorelle; tutti sembravano avere difficoltà a contenere le proprie emozioni. Guardai per l'ultima volta il gruppetto, cercando di credere che li avrei rivisti, e seguii gli altri oltre la porta.
Non avevo parole d'addio, né conforto da dare. Non potevo fare a meno di pensare che quella gente stava per perdere la propria innocenza, e forse anche la vita.
Non potevo fare a meno di pensare che fosse tutta colpa mia.


Jack si sedette sulla poltroncina che si era materializzata sotto di lui e ruotò per trovarsi davanti allo schermo principale.
"Scooter, hai le coordinate?", chiese seccamente.
"Sicuro, capo". Lo schermo si illuminò mostrando una mappa di Nerima, con luci rosse che si moltiplicavano sotto i loro occhi lungo lo sfondo blu scuro. Una luce gialla brillante cominciò a lampeggiare vicino al Furinkan.
"Credo che sia il punto più vicino in cui possiamo arrivare senza correre rischi, con l'interferenza subspaziale che quella cosa sta emanando". Jack assentì.
"Occupati dei calcoli e fammi sapere quando sei pronto per partire", rispose. Occupò i pochi momenti di pace che l'operazione gli concedeva per controllare di nascosto il gruppo che si assiepava dentro alla sala di comando della Porta.
I due Ranma erano vestiti in modo abbastanza simile, anche se quello che gli avevano ordinato di ritirare, quello che per qualche ragione chiamavano Ranko, era vestito di nero, mentre l'altro di rosso e nero, come Ranko quando l'aveva raccolto. L'uomo calvo con gli occhiali portava un karategi bianco, e la ragazza, Akane, uno giallo. Ryoga, il tipo silenzioso, era vestito di una tunica dorata e una fascia tigrata e portava, incredibile ma vero, un ombrello.
Jack sospirò interiormente. Non era stato facile guardare la dolorosa partenza da casa Tendo. Sapeva che era altamente possibile che nessuno di quel gruppo alla fine tornasse. Proprio quando lui sapeva che l'alternativa era ancora peggiore.
"Pronti al transito", annunciò Scooter. Jack si riscosse dalle sue meditazioni e si spostò sulla sedia. "Vuoi i comandi, capo?"
"No, pensaci tu", fece Jack. Lo schermo lampeggiò brevemente.
"Ok, ci siamo", disse. Tutti lo guardarono con aria dubbiosa.
"Di già?", chiese Ranma. Jack annuì.
"Il transito locale non richiede molto tempo. Ok. Ora voglio che voialtri usciate per dare un'occhiata in giro. Perlustrate l'area ma siate prudenti, e non oltrepassate per nessuna ragione il muro perimetrale della scuola. Domande?". Si guardarono.
"È sicuro?", chiese Ranko.
"Andiamo, ragazzo. Dobbiamo conoscere la disposizione del nemico", disse cordialmente Genma. "Se si stanno ancora nascondendo non dovrebbe esserci pericolo".
"Ha ragione", fece Jack, "ma dovrete comunque andare in coppia. Non si sa mai".
"Siamo in cinque", fece notare Akane. Jack sorrise.
"Lo so, ma Ranko resterà qui ad aiutarmi". Ranma aggrottò la fronte.
"Questo piano non mi piace", disse. "E se poi tu te ne vai con lui mentre non ci siamo?".
"Non lo farà", intervenne Ranko, gratificando Jack di un'occhiata densa di significato. "Se ci prova, avrà più di quello che ha avuto l'ultima volta". Questa volta fu il turno di Jack di incupirsi.
"È così bello vedere che ci fidiamo tutti così profondamente", borbottò. "Dunque?". Il gruppo si divise, Ranma con Akane, Ryoga con Genma. La porta si aprì e loro scomparvero al di là di essa con un ultimo ammonimento di evitare il contatto col nemico.
Poi la porta si chiuse e Jack rimase solo con Ranko.
Proprio come aveva voluto.
"Allora, perché Ranko?", chiese oziosamente. Il ragazzo gli rivolse uno sguardo glaciale.
"Storia lunga. Come ti posso aiutare?". In realtà, Jack non aveva bisogno di alcun aiuto. Era preoccupato, più che altro, di cosa avrebbe potuto fare Ranko una volta lasciato solo.
"Stai buono e tieniti pronto finché non avrò bisogno di te". Jack richiamò una console di controllo nell'aria di fronte a lui e cominciò a inserire velocemente informazioni.
"Che succede, hai paura che io scappi e attacchi quelle cose da solo?", chiese acidamente Ranko.
"Forse".
"E se vengo ucciso, significa che la tua missione è fallita, giusto?". Jack strinse i denti e alzò lo sguardo dallo schermo.
"Senti, ragazzo, so che ce l'hai con me, e Dio sa che ne hai tutti i diritti. Ma prova ad allentare un po' la stretta, d'accordo?".
"E perché? Hai lasciato morire tutta quella gente visto che non erano utili per te, e ora vuoi usare un gruppo di adolescenti perché combattano al posto tuo così la tua gente non dovrà sporcarsi le mani! Non è così?". Jack fissò Ranko, mentre la sorpresa e la rabbia combattevano per avere la meglio su di lui.
"Lo credi davvero?".
"Certo che sì! Non voglio che loro rischino la loro vita, perché credo che tu li voglia sacrificare per avere quello che vuoi!".
"Ragazzo", disse Jack, con la voce bassa e pericolosa, "so che ne hai passate di brutte, ma questo non ti giustifica dall'essere diventato un perfetto coglione. Ascoltami ora, e ascolta attentamente. Ci sono centinaia di mondi solo in questo settore, e il GID è allargato al massimo solo per cercare di controllarli tutti. Credi che io non abbia voluto salvare più gente da quell'inferno che era diventata la tua casa? Credi che non abbia voluto dare l'ordine? Dimmi una cosa, ragazzo. Se il mondo stesse per finire, e tu potessi portare diciamo una dozzina di persone in questa Porta e salvarli, chi prenderesti? Anzi, chi lasceresti indietro? Non credi che ci siano persone che vogliono vivere, che vogliono salvare i loro amici e quelli che amano? Vorresti essere tu quello col potere di decidere chi si salva? Eh?".
"Allora il fatto che il tuo lavoro non ti piace sistema tutto?", scattò Ranko. Jack si alzò lentamente e si avvicinò al ragazzo per guardarlo faccia a faccia.
"Qui non si tratta di quello che mi piace o non mi piace. I codici d'onore e gli standard morali non valgono niente quando si parla di miliardi di vite umane. Non sto dicendo che sia giusto o sbagliato, ti sto solo dicendo che è così". Il respiro di Ranko era affannoso, irato, e affondò un dito nel petto di Jack.
"Beh, non è conveniente? Ti permette di usare i miei amici per fare il tuo sporco lavoro senza doverti preoccupare di cose insignificanti come l'onore o la moralità! E allora io dico che è da vigliacchi! Per come la vedo io, la tua gente decide chi vive e chi muore! Non hanno alzato un dito per salvare la mia casa, e ora non faranno niente per salvare questo posto! E se falliamo, si limiteranno a mandare qualcuno, tirare fuori i sopravvissuti riutilizzabili, e andarsene! Dico bene?". I due rimasero a fissarsi, e il fetore dell'imminente violenza era pesante nell'aria. Infine, Jack prese un lungo respiro e lo lasciò andare lentamente.
"Saotome", disse calmo, "se lo facciamo, c'è una possibilità che tutti moriamo. Se non lo facciamo, ti garantisco che centinaia di migliaia, forse milioni di persone moriranno sicuramente".
L'espressione di Ranko traballò, e per un attimo la sorpresa e il dubbio fecero capolino attraverso la rabbia.
"Che diavolo significa?", chiese alla fine, furente e confuso.
"Quelle cose sono a un passo dallo stabilire una testa di ponte qui", fece Jack, con voce bassa ma urgente. "Costruiranno una barriera per proteggere il loro varco, e dilagheranno come un cancro. Ho inviato una richiesta di aiuto, ma ci vorrà un po' di tempo prima che qualcuno arrivi. Ti interesserebbe sapere cosa prevedono i protocolli del GID in questi casi?". Era chiaro dalla sua espressione che non gli interessasse, ma Jack continuò nonostante tutto. "Se riusciranno a mettere insieme abbastanza unità di combattimento nell'area interessata in un accettabile ammontare di tempo, affronteranno il nemico immediatamente, alzando un perimetro di contenimento, e combattendolo con armature pesanti e armi al plasma. Certo, i demoni contrattaccheranno con tutti i mezzi a loro disposizione, e tu li hai visti. Ci vorrà tempo per penetrare nelle loro difese. Hai una vaga idea della densità della popolazione a Tokyo? È pazzescamente alta. Hai mai visto uno scontro militare in un'area urbana, ragazzo? Io sì. Il numero di vittime civili sarebbe spaventoso. Ora che i demoni vengano ricacciati nel varco, non sarei sorpreso se i morti e feriti si misurassero in decine di migliaia".
"Ti sbagli", sussurrò Ranko. Jack gli fece un sorrisetto ironico.
"Probabilmente hai ragione. Vedi, oltre alle numerose crisi minori in questo settore, c'è un’emergenza principale dall'altra parte del varco, una che minaccia un'intera stringa di mondi. La maggior parte delle forze disponibili di questo settore e di quello adiacente sono state inviate là. Il numero di terre parallele è molto alto, e le risorse del GID sono limitate, così non sarebbero in grado di inviare qui sufficienti forze in tempo. La distanza in questione è troppo grande, la logistica della situazione proibitiva. Così, per proteggere miliardi di vite, manderanno un'unità Ops Nera per sterilizzare Tokyo".
Ranko si gelò, mentre tutta la rabbia scorreva via dal suo corpo.
"Sterilizzare...?".
"Se sarete fortunati, decideranno di limitarsi a sigillare Tokyo e poi vaporizzarla. Se le creature si saranno sparpagliate, potrebbero decidere di ampliare il bersaglio. E comunque, sacrificherebbero milioni di vite per salvarne miliardi". Guardò le sue parole affondare nell'anima di Ranko, le vide fare presa, e provò un familiare senso di perdita nel riconoscere l'orrore nell'espressione dell'altro.
"La verità rende liberi, ragazzo", disse a bassa voce. "Sei una vittima della mancanza di tempismo e di risorse limitate".
Ranko scosse la testa con furia.
"Stai mentendo!", gridò. "Loro non...".
"Lo farebbero. Lo so che lo farebbero, ragazzo. L'ho visto". Vide la sua stessa faccia tormentata riflessa negli occhi di Ranko, occhi che avevano già visto troppo orrore, e ancora non avevano finito. "L'ho visto", ripeté piano. "Ero là. Adesso capisci, ragazzo? L'hai afferrato? C'è una possibilità per salvare tutte quelle vite innocenti, e io ho intenzione di sfruttarla. Sei con me?". Ranko fissò il pavimento, con le labbra torte in una smorfia. Jack provò comprensione per lui; non gli aveva dato molta scelta.
"Farò tutto quello che c'è da fare per chiudere quel varco", disse alla fine.
"Bene. Perché una volta fatto questo, il rischio di sterilizzazione è eliminato". Ranko crollò le spalle e alzò uno sguardo carico di rabbia impotente.
"Cosa vuoi che faccia?".
"Te l'ho detto, stai buono e tieniti pronto. Ti farò sapere quando avrò bisogno di te". Jack si voltò e tornò alla sua poltroncina.
"Dovevi proprio dirgli tutte quelle cose?", bisbigliò Scooter dalla console. Jack sospirò.
"Meritava di conoscere la verità", mormorò, ritornando a battere sulla tastiera. Nelle sei ore seguenti, uno sparuto gruppo di bizzarri artisti marziali avrebbe combattuto per determinare il fato della brava gente di Nerima, o forse di tutta Tokyo. Stretta tra demoni invasori e il GID, la città barcollava sull'orlo dell'abisso.
Ripensò al volto di Ranko quando gli aveva detto che il GID avrebbe ucciso milioni di persone innocenti per impedire agli invasori di dispiegarsi.
Pensi che sia ingiusto, ragazzo?, pensò cupamente. Diavolo, e noi siamo i buoni".


Osservai Jack mentre lavorava alla console, cercando di accettare quello che mi aveva detto. Avrebbero distrutto Tokyo se il varco fosse stato ancora attivo al loro arrivo. Non gli avevo chiesto quanto ci avrebbero messo. E del resto, se avessimo fallito sarei morto prima... Pensai a Ranma e Akane, infine riuniti, e subito vaporizzati da qualche forza priva di volto, e mi sentii come trafitto da schegge di ghiaccio.
No. Loro dovevano essere felici. Dovevano avere ciò che io non avrei mai avuto. Dopo tutto quello che avevano passato, anche se la amavo ancora, volevo che fosse felice. E tutti gli altri, volevo che le loro vite continuassero, per vederli crescere, cambiare, trovare il proprio futuro, il proprio destino. Non avrei permesso che fosse loro negato il diritto di vivere.
Non per causa mia.
Sapevo, nei più bui recessi della mia anima dove quella conoscenza era assoluta, che quelle cose erano là per me. C'era un conto da chiudere tra di noi, e avevo intenzione di accertarmi che fosse concluso. Personalmente. Il piano si stava già formando, ma avevo bisogno di saperne di più. Così mi avvicinai per parlare a Jack.
"Come faremo a fermarli?". Lui rispose senza alzare gli occhi.
"Non sappiamo ancora granché di questi artefatti, queste chiavi di ipervarco. Posso dirti per mia diretta esperienza che il varco che hanno aperto provoca un'ingente distorsione subspaziale, il che significa che non ci possiamo avvicinare quanto vorrei. Comunque, secondo quanto abbiamo determinato, il varco sarà vulnerabile alla distruzione dal suo interno".
"Avevi già accennato all'entrare. Vuoi dire che qualcuno andrà dentro la tana da cui tutti i demoni stanno uscendo?".
"Non qualcuno, gioia. Io".
"A questo proposito", disse la strana voce discorporata chiamata Scooter, "è strano, Jackie. Il ciclo del varco è irregolare. Dovrebbe operare costantemente alla massima energia disponibile, secondo quello che sono riuscito a trovare su casi del genere nei banchi dell'archivio, ma non è così. Stanno entrando a piccoli gruppi, credo, il che è un mezzo sollievo per noi, ma non capisco il perché".
"Forse non lo controllano ancora perfettamente. Le poche informazioni che possediamo su quelle creature indicano che si affidano ciecamente all'abilità del portatore affinché usi la chiave come può".
"Ma cosa puoi fare una volta dentro?", insistei.
"Rilassati, Saotome, ho un piano".
"RILASSATI? Ehi, non penso che conoscerlo sia chiedere tanto! Se lo conosci solo tu, e poi ti succede qualcosa...". Jack sospirò e alzò gli occhi dalla console.
"E va bene, per l'amor del cielo, datti una calmata. Te lo mostrerò subito, ok?". Jack digitò ancora qualcosa sulla tastiera fluttuante e poi alzò la testa. "Ehi, Scooter, sei pronto?". La sua voce suonava improvvisamente un po' roca, e mi chiesi se qualcosa non fosse andato storto.
"Pronto come sempre, Jackie. Diamoci sotto". Jack annuì con riluttanza e spinse un bottone. Una luce rossa cominciò a lampeggiare.
"Attenzione. Attenzione. Chiusure di sicurezza disabilitate. Pilone principale in azione". Sussultai al cambiamento nel tono della voce, e di nuovo al vedere il centro del pavimento aprirsi senza rumore. Un tozzo cilindro argenteo si alzò lentamente dall'apertura. Due anelli incrociati ruotavano attorno a se stessi sulla cima, e nel loro centro fluttuava una sfera di metallo lucido.
"Il nucleo di transito", disse Jack, notando la mia confusione. "Il cuore dei sistemi della Porta. È quella cosa che ci permette di viaggiare tra le dimensioni. Ed è con quella che distruggeremo il varco fino alla tua antica casa". Lo guardai con aria scettica. La sfera galleggiava nell'aria con aria innocente, più grande di un pompelmo ma più piccola di un pallone da basket.
"Quella cosa?", chiesi, dubbioso.
"Uh, uh". Si avvicinò al pilone, che si fermò quando raggiunse l'altezza del suo petto. "Ok, Scooter, disattiva i sistemi secondari". Gli anelli rallentarono la loro strana danza, e le luci di numerosi schermi si spensero. "Apri le chiusure di sicurezza". Gli anelli cessarono di muoversi, e si allinearono uno dentro l'altro, lasciando abbastanza spazio per rimuovere la sfera. La luce della stanza si affievolì, e quasi tutti gli schermi si fecero bui.
"Jack", la voce di Scooter era bassa e priva di emozioni, ora. "Jack. Che stai facendo, Jack? Non farlo. Jack. Parliamone. Susanna, o Susannaaaaa...". Jack cominciò a ridere. Non avevo idea di cosa stesse succedendo.
"Idiota", disse con affetto. Vidi la sua mascella contrarsi e i muscoli attorno ai suoi occhi tremare. "Ehi, nessuna frase per i libri di storia?".
"Potevo essere qualcuno", disse tristemente Scooter. "Potevo essere un carburatore, Eddie, invece che un vagabondo, come sono".
"Combattente, deficiente, non carburatore", disse Jack con un sorriso amaro. "E puoi ancora essere qualcuno". (1)
"Sicuro. La cavalleria arriva sempre all'ultimo momento". Vi furono alcuni istanti di silenzio. Stava succedendo qualcosa, e mi sentii improvvisamente un estraneo.
"Ehi, Jackie", disse Scooter alla fine. "Ci siamo divertiti, vero?".
"Yeah. Un mucchio, amico. Davvero".
"Ok, facciamola finita". Jack chinò la testa per un momento, e quando la rialzò, il suo volto era composto in un'espressione determinata.
"Disattivare Chiusura Finale. Disattivare sistemi principali, attivare stato di stand-by d'emergenza". Il suolo tremò, e vi fu un lamento quasi impercettibile che scese di tono, disperdendosi nel vuoto. Jack rimase immobile per un istante, con lo sguardo perso nel vuoto. Infine mormorò: "Addio, Scooter" a voce così bassa che lo sentii a malapena. Poi tese il braccio e raccolse con delicatezza la sfera fluttuante. La tolse dagli anelli e la tenne in una mano, mentre le luci basse si riflettevano sulla sua superficie a specchio, mostrandomi una vista distorta del mio volto.
"Uh, che cos'è successo?", mi decisi a chiedere. Jack continuò a fissare la superficie della sfera come se contenesse tutte le risposte che uno vorrebbe conoscere.
"Il cervello umano muore se privato dell'ossigeno, Saotome. Scooter è un'unità avanzata di Intelligenza Artificiale. Dipende dal potere del nucleo di transito per sostenersi. Anche se l'ho disattivato, le batterie di emergenza sosterranno i suoi circuiti appena sei ore prima che si degradino in modo irreparabile. Era amico mio, e io l'ho appena condannato a morte". Non sapevo cosa dirgli. Non riuscivo a pensare a una specie macchina come a una persona, come qualcosa di vivo, ma era evidente che a Jack era costato molto fare quello che aveva fatto. E quando si tratta di perdere un amico, sapevo meglio di chiunque altro che c'è poco che chiunque possa dire per farti sentire meglio.
Lo vidi estrarre qualcosa dalla tasca. Era una scatoletta metallica con un pulsante rosso su un lato. Lo appoggiò con cautela sul ponte, poi tirò fuori qualcos'altro da un'altra tasca.
"Vieni qui, ragazzo. Dammi una mano". Mi avvicinai per vedere cosa stesse facendo. Appoggiò la scatola in cima alla sfera e mi disse: "Tienila ferma, e per l'amor di Dio, non premere quel bottone".
"Che cos'è?", chiesi, osservando il cilindro che aveva in mano.
"Nastro adesivo", fece distrattamente, strappandone una lunga striscia. Vide la mia espressione e sbuffò. "Ehi, non è bello da vedere, ma funzionerà, ok?". Non risposi, e Jack fasciò con il nastro la sfera, fissando la scatola al suo posto.
"Allora quest'affare distruggerà il varco, eh? Come funziona?", domandai con aria distratta, anche se sembrava abbastanza semplice.
"Premi il bottone. Dieci secondi dopo, tutta l'energia del nucleo di transito viene rilasciata e il varco fa ciao-ciao. E anche la chiave, immagino, anche se non ne ho la sicurezza. Questa non è il genere di manovra che trovi nei manuali".
"Ma funzionerà", insistei. Lui mi fece un sorriso senza allegria.
"Oh, sì, funzionerà. Fidati. Quando quest'affare salterà, il varco verrà completamente destabilizzato. Quasi sicuramente la chiave cadrà nel subspazio e sarà perduta per sempre, se non distrutta. Senza, il varco non può essere ristabilito, così cesserà il pericolo di sterilizzazione".
"Dieci secondi non è molto tempo".
"Non posso regolarlo per più tempo, altrimenti un demone nel varco potrebbe raccoglierlo e gettarlo, e allora sarebbe stato tutto inutile. Giusto?".
"Afferrato il concetto". Sorrisi nonostante tutto. Afferrato, davvero.
Jack terminò di fissare il detonatore alla sfera, poi raggiunse un armadietto a muro e lo aprì, tirandone fuori la sua pistola, alcuni caricatori, altri strani oggetti rotondi e quella che sembrava una maniglia di plastica. Mi colse a osservarlo e alzò le spalle.
"Non è granché, lo so, ma sono un'unità di pattuglia. Questo genere di operazioni le dovrei lasciare agli Ops". Chiuse l'armadietto e diede un ultimo sguardo intorno. Nella luce fioca, sembrava un bambino che lasciava la casa per la prima volta, solo e sperduto. Eppure, non riuscivo a provare molta compassione per lui, non dopo quello che mi aveva detto. Forse ero ingiusto, ma non potevo preoccuparmene, ormai. "Ok, ragazzo, usciamo di qui". Lo seguii fuori dalla porta.
Una volta all'esterno, mi guardai attorno, sorpreso. La porta non fluttuava più, ma era saldamente fissata a una grande sfera metallica piantata nel suolo di un lotto deserto vicino alla scuola. La porta era al livello del terreno, e la sfera si curvava sulle nostre teste. La guardai a bocca aperta.
"Senza l'alimentazione principale, non c'è modo di tenerla nel subspazio", spiegò Jack. "Ne è uscita non appena ho disconnesso il nucleo di transito". Annuii. Jack fece qualcosa per chiudere la porta, poi si voltò.
"Là ci sono gli altri", disse. "Andiamo". Aveva ragione, li potevo vedere raccolti vicino alla recinzione ad aspettarci. C'erano tutti: Akane e Ranma, suo padre e Ryoga, Mousse, Shampoo, Cologne, Ukyo, Kodachi e Kuno. Guardai il cielo con un certo nervosismo.
"Sembra che stia per piovere", feci.
"Già, sarebbe un peccato se la fine del mondo venisse rimandata per colpa del cattivo tempo", replicò Jack.
"Pioggia, Jack. Acqua fredda. Davvero vuoi andare contro un'orda di demoni con un panda, un'anatra, un maialino e una gattina?". L'uomo impallidì.
"Oh, merda", disse, spiando il cielo minaccioso con disagio. "Mi ero dimenticato di quello stupido affare della maledizione". Un'altra cosa per cui preoccuparsi. Se non avessimo battuto la pioggia in velocità, quella sarebbe stata una battaglia straordinariamente breve. Ci affrettammo a raggiungere gli altri.
"Sembra tutto a posto", ci disse Ranma senza preamboli. "Non abbiamo visto alcuna vedetta, e niente di strano. È tutto molto tranquillo".
"Francamente, la cosa mi preoccupa", fece suo padre. "Sembra quasi troppo facile".
"Sono vicini alla fase critica", disse Jack. "Si terranno vicini all'apertura del varco. Ecco cosa faremo. Quando supereremo il muro, saranno su di noi piuttosto in fretta. Ho bisogno che voi li respingiate e li teniate occupati abbastanza a lungo da permettermi di raggiungere il varco e distruggerlo".
"Tutto qui?", chiese Ryoga incredulo. "È questo il piano?".
"I piani semplici sono i migliori, giovane Ryoga", intervenne Cologne. "I piani di battaglia hanno la tendenza a non sopravvivere al contatto col nemico". Mi guadava in un modo che non mi piaceva per niente mentre ci spostavamo verso il punto dove avremmo saltato. "Shampoo mi ha raccontato la tua storia", mi disse, avvicinandosi a me. "Molto strana. Forse...".
"Puoi dire quello che ti pare, vecchia strega, ma dopo che tutto questo sarà finito", scattai. Non mi era mai piaciuta, ma dovevo ammettere che averla con noi era in qualche modo rassicurante. Lei era potentissima, dopo tutto. Diavolo, non avrei storto il naso nemmeno ad Happosai, se fosse capitato da quelle parti.
Notai che Mousse si era avvicinato ad Akane durante il cammino. Si rivolse a lei.
"Non hai alcuna arma, Akane". Lei parve a disagio.
"In genere non le uso", rispose. Lui corrugò la fronte. Shampoo aveva i suoi bombori, Ukyo un mazzo di spatole da lancio nonché la sua spatola gigante, Ryoga aveva le fasce, la cintura, e il suo ombrello. Kuno portava, al posto del suo solito bokken, una katana infoderata, e Kodachi aveva con sé il nastro, un cerchio e alcune mazze (e chi sa quali altre letali sorprese). Mousse parve riflettere per un momento.
"A ogni modo la tua scuola insegna all'uso di varie armi, non è così?". Quando lei annuì, lui si sfregò il mento. "Mmmmh. Che ne dici di questa?". Incrociò le braccia ed evocò dalle maniche della sua tunica una lunga asta di legno che terminava con una lama ricurva dall'aria letale. La passò a lei, e Akane la soppesò a titolo di esperimento, poi sorrise.
"Ti permetterà di affrontare il nemico dalla lunga distanza. Dopo tutto, non sappiamo molto della loro abilità", concluse Mousse.
"Grazie, Mousse. Mi sento meglio con questa".
"Ehi!", saltò su Jack. "Che cos'hai lì dentro, ragazzo? Hai mandato in tilt il mio rilevatore subspaziale!". Mousse rialzò gli occhiali con l'indice e sogghignò orgogliosamente.
"Beh, io sono il maestro delle armi nascoste", disse con aria soddisfatta. Shampoo sbuffò qualcosa di derisorio al suo indirizzo e il suo sorriso oscillò.
"Immagino tu non abbia un lanciarazzi?", chiese l'altro.
"I maestri di arti marziali non hanno bisogno di queste cose", lo informò Mousse.
"Oggi ce l'hanno eccome", replicò Jack.
Nessuno ebbe niente altro da dire.
Nel silenzio seguente, osservai Ranma e Akane, notando quanto camminassero vicino, come continuassero a cercarsi con lo sguardo. Non ero l'unico ad averlo notato, poi. Sentii un impeto di calore salirmi al petto, e sorrisi tristemente, mentre tutta la mia amarezza scompariva. Sembrava inutile, ormai.
In un certo senso, era bello sapere che in un mondo una relazione tra Ranma e Akane avrebbe avuto successo. Seppi allora di aver avuto ragione: se fossi rimasto, non avrebbe mai funzionato. Non sarei stato capace di negare i miei sentimenti per Akane, e avrei portato solo dolore a tutti.
Comunque, non era più un problema. Era tempo che io affrontassi i miei demoni, tempo di abbracciare le ombre, e di dare a quella gente una possibilità di scoprire dove le loro strade li avrebbero portati.
Ero pronto.
Raggiungemmo il punto dove avremmo dovuto superare il muro, e ci fermammo.
"Ok, allora tutti sanno cosa fare?", chiese Jack. Appoggiai una mano sulla sua spalla e gli sorrisi.
"Ehi", feci. "Volevo solo ringraziarti per avermi detto la verità là dentro, Jack. E per dirti scusa". E poi lo colpii all'addome. Duramente. Mentre si accasciava, carpii la sfera dalle sue mani e scattai via, saltando sulla cima del muro mentre lui crollava a terra, tenendosi lo stomaco nel tentativo di respirare.
"Ranko! Cosa...?". Ranma cercava di capirci qualcosa, tutti mi guardavano, stupiti. Sorrisi con tristezza.
"Questa non è la vostra battaglia. Non avrebbe mai dovuto esserlo, le vostre vite avrebbero dovuto continuare nella luce. La farò finire io, e voglio che tutti voi restiate qui finché non sarà finita. E...", ingoiai il nodo di dolore nella gola, e guardai Ranma e Akane, "voglio dirvi che sono felice di aver incontrato tutti voi, e sono felice di aver avuto una possibilità di dirvi addio. Abbiate cura di voi stessi, ok?".
E un attimo dopo ero giù dal muro e stavo correndo verso il retro della scuola. Un cerchio di luce era visibile nell'aria davanti a me a destra, voltai verso di lui, percependo piuttosto che vedere le forme scure che cominciavano a sorgere attorno a me, la loro rabbia che cresceva nel vedere un solo umano che sfidava la loro supremazia. Con la sfera stretta in un braccio, scattai verso il varco, intoccabile, stranamente entusiasta, finalmente libero. Libero.
Akane, pensai, aspettami. Sto tornando da te, proprio come ti avevo promesso. Saremo di nuovo insieme. Torno a casa.
E il buio sorse da ogni parte.




(1) Nell'originale c'è un gioco di parole intraducibile tra contender (combattente) e car fender (paracarro). Scooter sta parodiando una famosa scena del film Fronte del porto, con Marlon Brando.




Fine settima parte
Revisione versione originale inglese: 7 agosto 1997
Revisione traduzione italiana: 24 gennaio 1999
Betalettura a cura di TigerEyes: 3/8/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.
   
 
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