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Autore: BellatrixWolf    03/08/2011    2 recensioni
Ok, premetto che il titolo originale era "fantasticherìe", perché inizialmente questa era una storiella che scrivevo per me, ma è dato che ci sta venendo fuori qualcosa di interessante ho deciso di pubblicarlo come racconto. "Quasi per caso" si riferisce alla creazione della fic.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok. Indovinate a chi mi sono ispirata per la descrizione di Lucille 8D. Sì, proprio lei, Lucy Lawless. Non mi sono nemmeno disturbata a cambiarle nome xD Beh, questo non è importante. Ditemi che ne pensate :3



Ricordo che la incontrai ad uno stage di danza antica. Subito, appena entrai nella stanza affollata, la notai. Non ho idea del perché, ma mi colpì fin dall'inizio. Era alta sul metro e ottanta, la sua pelle era chiara e gli zigomi alti. Aveva i capelli dorati e profondi occhi cerulei. Era davvero bella. Le labbra rosse aperte in un fantastico sorriso, stava chiacchierando con un altro ballerino.

 

Scossi la testa tornando alla realtà. “Ricorda, se è bella è stronza, se è simpatica è impegnata, se è libera è etero. Se non è etero, tanto, ti sta lontana.” mi dissi.

Eravamo una decina circa, quindi individuai velocemente Andreina, l'insegnante, dirigendomi verso di lei.

«Ehilà. Alla fine ce l'hai fatta vedo.» mi salutò con il suo sorriso solare.

«Sì. È stata dura, ma sono riuscita a liberarmi. Non potevo certo mancare.»

«Bene, bene. Dove alloggi? Ho sentito che alcuni hanno avuto problemi a trovare un posto dove dormire.»

«No, nessun problema, starò in un alberghetto in periferia, un quarto d'ora di distanza in moto. È comodo, c'è anche una cucinetta in stanza.»

«Fantastico allora! Vado a preparare le musiche. A dopo.»

Evitai di chiederle di escludere la Petitriense, dato che ero sicura non l'avrebbe fatto.

Verso le nove e mezza iniziammo, come al solito con il riscaldamento, e la donna che prima aveva rapito il mio sguardo si mise a sedere accanto a me.

Era imbarazzante, cercavo di evitare di guardarla a meno che non fosse strettamente necessario, ma avevo paura di sembrare maleducata o antipatica. Tuttavia, durante alcune posizioni del riscaldamento, non riuscii a distogliere lo sguardo. Fortunatamente nessuno mi notò.

Finito il riscaldamento ci fu una pausa-caffè di cinque minuti, tanto per socializzare.

Dopo aver salutato alcuni ballerini di mia conoscenza e una ragazza che avevo convinto a venire, mi feci coraggio e mi diressi verso la bionda.

«Salve» cercai di farle intendere che avevo scelto di andare da lei per caso, non per un motivo preciso, ma non sono sicura di esserci riuscita, anche perché non era vero. Lei mi guardò un attimo e tese la mano. «Piacere, io sono Lucille.» si presentò allegramente. Le strinsi la mano. «Robyn, piacere.» La guardai negli occhi per un attimo, ma rimasi incantata, e iniziai praticamente a fissarla senza accorgermene.

«Di dove sei?» mi chiese, spezzando finalmente l'incantesimo. Aveva una voce dolce e calda, molto piacevole.

«Vengo da Siena, nel centro Italia. Tu?» sbattei un paio di volte gli occhi, arrossendo imbarazzata per la figuraccia.

«Parigi, in Francia.» mi rispose, divertita. Forse ero buffa, cosa molto probabile.

«Parigi? Wah! Io ci sono stata solo una volta, purtroppo. È bellissima....» annuii.

Lei mi guardò negli occhi –o forse lo immaginai? A volte la mente mi gioca brutti scherzi.- e scandì con voce suadente «La città dell'amore».

Io annuii nuovamente, persa in quegli occhi profondi, quasi ipnotizzata. Anzi, letteralmente ipnotizzata.

Sentii la mia bocca aprirsi, stavo per dire qualcosa di particolarmente stupido, ma fui salvata da Andreina, che urlò «Bene! Si ricomincia!». Mi ripresi, scuotendomi un attimo, poi tornai assieme agli altri benedicendo sottovoce la tempestività di quella donna.

La prima danza che ballammo fu la Pavana con Variazione di Passemmezzo. Casualmente finii in coppia con Lucille.

Destino, mi prendi in giro?” Pensai, imprecando mentalmente.

Io interpretai la parte dell'uomo. Le presi la mano -oh, che pelle morbida...- e la condussi in cerchio, dietro ad un'altra coppia formata da un omino un po' goffo ed una donna alta e magra.

Ogni tanto dovevamo ricominciare, poiché per alcuni quella era la prima volta con la Pavana -da noi “veterani” apostrofata con “Pavana mala est”, poiché viene male quasi ogni volta-. Io e Lucille, però, eravamo perfette; non so esattamente come, anche perché solitamente le Variazioni mi avevano sempre dato qualche problema. Ma quel giorno era tutto diverso. Quella donna aveva un influsso positivo su di me.

Arrivate all'amoroso, ci avvicinammo -oh, che profumo inebriante...-, lei poggiò la mano contro la mia, e fissò il suo sguardo nel mio. Solennemente, girammo in tondo senza staccarci gli occhi di dosso. Terminammo in maniera impeccabile con una riverenza in otto tempi.

Ripetemmo la danza fino a che non venne bene a tutti. Era ormai mezzogiorno, e così ci fu un'altra pausa-caffè.

Non ero molto sicura di volermi riavvicinare a Lucille: ero molto imbarazzata, non volevo fare troppe figuracce in una volta sola, e sapevo che se l'avessi guardata ancora, o l'avessi sentita parlare di nuovo, avrei finito per svenire.

Fu lei, invece, a venire da me, con due bicchierini di plastica, offrendomi un caffè. Non potevo certo evitarla, ma ero leggermente a disagio. Cercai di non farmi notare e chiacchierai con lei per una ventina di minuti. Il senso di disagio decresceva via via che la conversazione continuava.

Scoprii che era molto simpatica e che avevamo molti gusti comuni. Inoltre, alloggiava nel mio stesso albergo, a due stanze di distanza.

Questa notte non dormirò.” pensai divertita.

Ricominciammo le prove. Andreina decise che io e Lucille avremmo dovuto fare coppia sempre e comunque, perché “assieme siete veramente bravissime!”. L'avrei fulminata, ma il suo fare angelico e le sue buone intenzioni la rendevano impossibile da odiare, come un cagnolino pestifero.

Inutile dire che la cosa, se da una parte mi piaceva molto, dall'altra mi creava qualche problema di contenimento delle mie emozioni.

Dover tenere la sua mano, guardarla negli occhi, stare accanto a lei era una sensazione fantastica ma allo stesso tempo imbarazzante perché a volte -almeno credo- dovevo sembrare veramente una cretina, con il mio sguardo perso. Lucille però non commentò mai, anzi, talvolta -o perlomeno così penso. Come ho detto, a volte la mente mi gioca dei brutti scherzi- ricambiava i miei sguardi, anche se per pochi secondi, o mi sorrideva dolcemente.

La giornata continuò normalmente fino alle sette quando, conclusa Chiarastella, Andreina salutò tutto il gruppo di ballerini e ballerine, dandoci appuntamento al giorno dopo alle otto del mattino.

Sospirai. “Sveglia alle sei, cheppalle.” pensai mentre mettevo via le scarpe da danza e i fogli con i passi di Petitriense, che ovviamente non ero riuscita ad evitare. Iniziai a canticchiare pacifica e mi misi a cercare le chiavi del motorino.

«Come non puoi accompagnarmi? Ma contavo su di te!»

«Scusa Lucy, ma sono di fretta e non posso proprio. Mi spiace, davvero. Scusa.»

«Capirai che non me ne faccio molto delle tue scuse ora. E io dove lo trovo un passaggio?» Lucille sbuffò e si lasciò cadere le mani contro le cosce. Quella che avevo appena sentito era la conversazione tra lei e il ballerino con cui parlava quella mattina. Un altro francese, data la lingua.

«Posso darti io un passaggio.» mi proposi, mostrando la mano con le chiavi del motorino. Non sono sicura di cosa mi spinse a farlo, ma dopotutto era un'amica in difficoltà. Non potevo abbandonarla.

Stupido lato altruista, mi costerai una notte insonne di fantasie irrealizzabili.” mi maledissi da sola mentre sorridevo cordiale a Lucille.

«Davvero? Grazie!» aveva l'espressione di una bimba a cui offrivano una giornata in una fabbrica di caramelle. Totalmente estasiata.

«Di nulla, tanto alloggiamo allo stesso albergo.» minimizzai. “Invece è molto! Motorino significa contatto fisico, e contatto fisico significa notte insonne. Maremmamaia... Mh.” zittii la mia mente iper-polemica e assistetti alla scena di Lucille che scacciava il ragazzo, Claude, elogiandomi. Che visione allegra. Per me. Dopo un sorriso-barretta-scusa verso Claude, mi rivolsi nuovamente alla donna.

«Non hai problemi con il motorino, vero?» le chiesi stringendomi nelle spalle.

«Anche se ne avessi, non ci sono alternative. No, comunque. E grazie ancora.» mi rispose felice, poi mi abbracciò.

Dopo essermi ripresa, le feci cenno di seguirmi fino al mio unico mezzo motorizzato. Le diedi un casco nero e un paio di guanti, per non avere freddo alle mani.

Misi il mio casco e mi sedetti, aspettando che anche lei facesse lo stesso.

Per tenersi mi mise le mani intorno ai fianchi, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena; mi godetti un attimo la sensazione e presi un profondo respiro.

«Pronta?»

«Quando vuoi.»

Partimmo, e la sentii stringersi ulteriormente contro di me. L'aria fresca della sera mi rinfrescò le idee, tant'è che avevo lasciato mezza visiera alzata. Fortunatamente non c'erano moscerini in giro, o avrebbe fatto davvero schifo.

Invece fu piacevole, ogni tanto controllavo lo specchietto per essere sicura di non stare sognando.

Nonostante la vedessi con i miei occhi continuavo a non crederci.

Sta' calma. Le stai solo dando un passaggio. Niente più niente meno” cercai di spiegarmi, ma la mia mente multitasking mi permetteva di guidare, fantasticare e rimproverarmi allo stesso tempo.

Arrivammo all'albergo dopo poco. Ci mettemmo circa 20 minuti, poiché scelsi la via più lunga, ma era comunque troppo poco.

Solo quando mi fermai mi resi conto di quanto facesse caldo.

Scesi dal motorino togliendomi casco e maglia, rimanendo con un top nero, adeguato alla calura estiva di quella serata di luglio.

Lucille seguì il mio esempio. Aveva la pelle imperlata di sudore, e illuminata dal sole del tramonto sembrava risplendere di luce propria. Gemetti appena, ma per fortuna lei non mi sentì.

Presi il mazzo di chiavi a cui avevo aggiunto quelle della mia stanza e del portone dell'albergo.

Una volta trovata quella giusta aprii il portone che -stranamente, dato che non erano nemmeno le sei e mezza- era chiuso.

Lucille stava frugando nella borsetta, cercando la sua copia delle chiavi.

«Maledizione!» Fu l'unica parola che riuscii a capire, dato che con le imprecazioni pesanti in francese non ci so fare. Credo di aver sentito un “Estidecolistabernac”, ma ora non saprei come tradurlo.

«Tutto bene?» chiesi, guardandola mentre svuotava freneticamente la sua borsa in cerca di qualcosa che evidentemente non c'era.

«No. Ho dimenticato là le chiavi... Tabernac!» Ma non si arrese. Continuava a cercarle nella borsetta, che aveva vuotato e riempito almeno tre volte.

«Suvvia, guardiamo se c'è l'omino alla reception, vedrai che capirà.» Cercai di rincuorarla mentre aprivo il portone cigolante.

L'omino alla reception non c'era. Effettivamente non c'era proprio nessuno, se non due donne anziane che chiacchieravano del più e del meno su delle poltroncine.

Lucille si abbandonò su una poltrona con la testa tra le mani, mormorando che avrebbe dormito lì.

«Lucille...»

«Chiamami Lucy. Dimmi.» mi sorrise calorosamente nonostante la situazione.

«Lucy. Puoi stare nella mia stanza, se per te non è un problema.» la guardai in attesa di risposta.

«No, non posso disturbarti così tanto, ma grazie.» Era arrivata. Esattamente quella che mi serviva. Almeno ero stata gentile.

«Ma figurati, nessun disturbo! Insisto, dopotutto può capitare a chiunque di dimenticare le chiavi.»

Merda.” Perché l'avevo fatto? Perché perdere tempo dietro ad una simile dea? Ormai il danno era fatto, tanto valeva continuare a quel punto.

«Sul serio non disturbo? Grazie, davvero. Grazie mille!» Si alzò di scatto e mi diede due baci sulle guance, poi mi abbracciò per la seconda volta.

«Di.. di nulla...» farfugliai, ignorando le due vecchine che si erano messe a fissarci e cianciare.

Quando finalmente riuscii a riprendere il controllo di me, ci dirigemmo verso la mia stanza, la n°7.

Aprii la porta e subito il caos che mi fa sempre da compagno di stanza si mise in mostra.

«Sì, beh... è un disastro, me ne rendo conto, mi spiace.» cercai di scusarmi, ma non fu necessario.

«Tranquilla, la mia casa è molto peggio. Una volta mi sono trovata una maglia nella lavastoviglie.» ridemmo entrambe allegramente, poi lei posò la borsa sul tavolino accanto alla porta e mi aiutò a raccogliere un po' di roba.

Quando avemmo finito di mettere via il minimo indispensabile, ci rilassammo sul divano.

Mi accorsi che portava un paio di jeans solo quando si rannicchiò accanto a me, stringendosi le ginocchia.

Io mi misi a gambe incrociate e le passai una coppetta di gelato al cioccolato assieme al cucchiaino mentre cercavo di non far cadere la mia.

Passammo una piacevole serata guardando la tivvù e chiacchierando.

Verso le undici pensai che fosse meglio andare a letto, dato che il giorno seguente la sveglia sarebbe stata alle sei.

Solo allora mi resi conto di avere solo un letto a due piazze. Per quanto mi sarebbe piaciuto proporle di dormire assieme, mi parve fuori luogo.

«Tu prendi pure il letto, io dormo qui sul divano che è bello morbido.» le dissi da bravo galantuomo. Sarei stata un vero cavaliere se solo fossi nata maschio.

«No, no. Io prendo il divano, dopotutto questa è la tua stanza, sono io che mi sono scordata le chiavi.»

Andammo avanti per cinque minuti, finché non cedetti e non la lasciai dormire sul divano.

Mi diressi verso la camera per prendere un pigiama. L'unico che riuscii a trovare era di un bell'azzurro decorato a nuvolette. Tornai nel salottino e glielo porsi. Dopo l'ennesimo ringraziamento mi diede altri due baci sulle guance.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi mise le mani sulle spalle e mi guardò negli occhi, ipnotizzandomi nuovamente come quella mattina. Rimasi a fissarla, incantata, mentre lei sorrideva dolcemente.

Mi diede un terzo bacio, questa volta sulle labbra, e sussurrò qualcosa che suonava come un “Sei fantastica.” Non ne sono sicura perché ero concentrata sul contatto che le nostre labbra avevano appena avuto, e praticamente tutte le mie forze erano orientate al non cadere a terra morta.

Rimasi impalata lì per qualche secondo, poi sbattei le palpebre. La vidi arrossire. Fece scivolare via le mani dalle mie spalle ed abbassò gli occhi

«Scusami... Forse non avrei dovuto...» tentò di scusarsi, ma ormai era tardi, chiusi gli occhi e la baciai, chissenefrega degli schiaffi che avrei ricevuto, volevo di nuovo quel contatto.

Non si scansò, non mi urlò contro, non cercò di sottrarsi.

Poggiai una mano sul suo viso, avvicinandomi leggermente, mentre lei schiudeva le labbra, permettendomi di entrare. Giocherellai con la sua lingua, mantenendo sempre il contatto. Socchiusi gli occhi quanto bastava per vederla sognante.

Il bacio finì e lei allontanò appena il suo viso dal mio, quanto bastava per guardarmi in volto e permettermi di ammirarla a mia volta. Lucy era di poco più alta di me, ma in quel momento mi sentivo una formichina. Mi pareva di aver appena baciato Venere stessa.

Ancora intontita, mormorai un “g' night” e mi defilai, con il cuore che batteva a mille.

Mi stesi sul letto e iniziai a fissare il soffitto, pensando, insultandomi, fantasticando, insultandomi ancora. Non so a che ora presi sonno, ma credo fosse intorno alle cinque e quaranta, dato che pochi minuti dopo la sveglia suonò.

Mi alzai, anche se controvoglia, e mi voltai verso il comodino per spegnerla.

«Che giorno è oggi? Il ventisei. Bene. Mh. Che strano sogno.» mugugnai, incapace di credere che tutto ciò che era successo poche ore prima fosse vero, mentre mi stiracchiavo davanti al letto. Infilandomi una maglietta e un paio di pantaloni da ginnastica uscii dalla camera. Mi guardai intorno e realizzai in pochi millisecondi che quello non era stato un sogno.

Lucy dormiva pacifica e bellissima sul divano. Non aveva indosso la maglia del pigiama, ma solo i pantaloni e, ovviamente, un reggiseno.

Mi abbassai su di lei silenziosamente, godendomi la vista del suo viso angelico per un attimo, prima di svegliarla a malincuore.

«Lucy..» Le poggiai una mano sul braccio, scuotendola piano. «Sveglia, sono le sei e mezza.»

Avevo promesso di svegliarla a quell'ora e lo avrei fatto, a costo di beccare le botte che non avevo beccato la sera prima.

Lentamente, aprì i suoi occhioni cerulei, leggermente spaesata.

Per qualche secondo non seppe né chi fosse né dove si trovasse.

Mentre io cercavo uno scudo -o anche un semplice cuscino- per pararmi dai colpi tastando il pavimento, lei riprese coscienza di sé. Mi guardò un attimo, forse chiedendosi, come me, se era stato tutto un sogno.

Quando finalmente comprese che era vero io avevo un cuscino sotto mano, pronta ad alzarlo al minimo scatto. Scatto che però non arrivò.

Lucy sorrise con uno sguardo così dolce da farmi salire il diabete alle stelle. Con un sospiro di sollievo lasciai la presa sul mio pseudo-scudo.

«Ciao. Che ore hai detto che sono?» mi chiese allegra, visibilmente assonnata ma sveglia.

«Le sei e mezza.» ripetei, osservandola per cercare di capire le sue emozioni ed intenzioni.

Si portò una mano alla fronte come se si stesse coprendo dal sole, poi allungò entrambe le braccia sopra la testa, stiracchiandosi come avevo fatto io poco prima.

«Stiracchiarsi è molto importante: serve a fare in modo che la giornata non prenda una brutta piega.» commentò seria, poi scoppiò a ridere, ed io con lei.

«Groucho Marx.» scossi la testa divertita e incredula: quella donna non poteva esistere veramente.

«In assoluto il mio comico preferito.» aggiunsi, prendendo fiato.

Mi scansai dal divano, permettendo a Lucy di alzarsi. Lei si accorse dopo qualche secondo di essere coperta solo da un reggiseno e un paio di pantaloncini del pigiama, così decise di andare in bagno a cambiarsi. Le diedi una delle mie maglie perché la sua era da lavare, e devo dire che le stava molto bene.

Una volta che ci fummo entrambe lavate e vestite, tentai di iniziare a parlare ma fui interrotta.

«Andiamo a fare colazione?» propose Lucille, indicando con un cenno la porta.

«Ho delle merendine alla Nutella. Non sono un granché, ma c'è la Nutella.» risposi scrollando le spalle. Lei annuì e ci mettemmo a sedere, entrambe con una merendina confezionata.

«Rob, per ieri...» iniziò, dopo aver mangiato silenziosamente la sua colazione «scusa.»

Io rimasi leggermente spiazzata. “Sono stata io a baciarti, tu mi hai solo dato il pretesto” pensai, ma non lo dissi ad alta voce.

«Di cosa?» sorrisi, cercando di farle capire che per me non c'era nessun problema.

«Ho decisamente approfittato di te, e mi spiace.» si grattò la nuca, chiaramente in imbarazzo.

A me no.”

«Ti ho offerto io un passaggio. Ho insistito perché rimanessi qui.» Pausa. «Ti ho baciata. Sono io che dovrei scusarmi.» Ero molto a disagio, smisi di sorridere, ma non riuscivo a non pensare alla fantastica sensazione delle mie labbra premute contro le sue.

Si alzò, prese le carte delle merendine e le buttò, tutto senza fiatare, infine tornò a sedersi.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, lei fissava una macchietta sul tavolino, cercando di graffiarla via, mentre io fissavo lei; la tensione era talmente palpabile che ci si poteva appoggiare.

«Sarà meglio andare» mugugnò guardando l'orologio. Decisi di non controbattere e la condussi fuori, chiudendo la porta a chiave ed infilandomi le chiavi nella tasca dei pantaloni.

Rimaneva ancora il problema del motorino. Le passai il casco, che lei accettò senza guardarmi in faccia, ancora imbarazzata, e si mise su.

Una volta arrivate scese, mi porse il casco e si diresse verso l'entrata.

La fermai afferrandole il braccio. Lucy si voltò, guardò prima la mia mano, poi finalmente il mio volto. Sfoggiai il mio sorriso migliore, sperando con tutto il cuore che non mi odiasse.

«Ma come? La nostra conversazione finisce così?»

«Rob, senti, sei magnifica, davvero, ma sono fidanzata.»

Sentii un nodo allo stomaco, ma non smisi di sorridere; me lo aspettavo, non saprei dire il perché ma me lo aspettavo. “Ricorda, se è bella è stronza, se è simpatica è impegnata, se è libera è etero. Se non è etero, tanto, ti sta lontana.

«Capisco.» riuscii a dire dopo qualche secondo «Ma ciò non significa che non possiamo restare amiche, vero?» chiesi speranzosa. “Magari un'amicizia alla Xena Gabrielle” pensai, ma capii che non era possibile.

«Non lo so. Suppongo di no.» la sua espressione si addolcì e mi sorrise.

Sentii il cuore alleggerirsi, e di molto. Mi trattenni da commenti come “prometto che ci proverò raramente”, perché sarebbero state balle. E anche squallide.

«Bene allora» risposi quasi in un soffio, lasciandole andare il braccio. Lucy si riavvicinò fissandomi negli occhi. «Ma non nominiamo più quel bacio.» impose con voce ferma ma triste. «Tutto quello che vuoi.» Qualunque cosa per lei. Faceva male, ma avrei seguito le sue direttive

senza fiatare.

Lei abbassò leggermente lo sguardo, poi fece un cenno con la testa verso l'entrata. Annuii e ci dirigemmo dentro senza aggiungere ulteriori parole.

  
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