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Autore: BellatrixWolf    10/08/2011    3 recensioni
Ok, premetto che il titolo originale era "fantasticherìe", perché inizialmente questa era una storiella che scrivevo per me, ma è dato che ci sta venendo fuori qualcosa di interessante ho deciso di pubblicarlo come racconto. "Quasi per caso" si riferisce alla creazione della fic.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scoprii che il fidanzato di Lucille era proprio Claude, il ragazzo che il giorno prima l'aveva lasciata a piedi. Lei era ancora seccata per quello, ma non abbastanza da lasciarlo.

Inutile dire che lo odiavo. Dopotutto era colpa sua! Se solo non avesse rifiutato un passaggio a Lucy, io non l'avrei aiutata, non avrebbe passato la sera da me e non ci saremmo baciate.

Durante la pausa-caffè Claude mi si avvicinò. Lo guardai. Effettivamente era carino, aveva i capelli neri medio-lunghi legati in un codino, gli occhi verdi e tutto sommato un bel fisico.

«Ehi... Robyn vero? Lucy mi ha raccontato di come sei stata gentile.» Mi disse allegro, chiaramente ignaro del bacio che c'era stato tra me e la sua ragazza.

Mi voltai verso di lui, sforzandomi di non guardarlo con odio. «Sì, è stato un piacere, almeno mi ha fatto compagnia.» Alle spalle del ragazzo, Lucille ci fissava appoggiata al muro con una spalla.

«Beh, grazie!» sorrise, e mi fece quasi pena. Ma non lo sopportavo comunque.

«Mi... mi ha già ringraziata lei, tranquillo.» gli risposi scuotendo la testa. Abbassai lo sguardo e me ne andai, sotto l'occhio vigile di Lucy; lo sentivo su di me, come un raggio di sole. “Prank” pensai furiosa lanciando un'occhiataccia ad un distratto Claude.

Perché vado sempre a scegliermi quelle fidanzate con dei coglioni?” mi chiesi sedendomi sul davanzale della finestra, mentre guardavo il cielo azzurro a batuffoli.

«Cosa ti ha detto?» La sua voce era ancora calda, rassicurante, dolce... Mi voltai verso di lei e fui catturata dai suoi occhi cerulei.

«Niente di che» scrollai le spalle ed appoggiai la testa al vetro «Mi ha ringraziata. Bah.» sospirai.

«Gli avevo detto che non serviva, ma ha insistito.» mi sorrise.

«È un ragazzo gentile, posso capire perché ti piace.» la buttai lì come se non mi facesse male. Dovrei mettermi a fare l'attrice, sono brava a recitare. Lucy fece una smorfia ed annuì appena.

«Beh, a dire il vero non l'ho scelto io. Non mi lamento, ma effettivamente è stata una scelta dei nostri genitori.»

Sgranai gli occhi e raddrizzai la schiena, fissando Lucille. Forse avevo capito male. Sperai di aver frainteso. «Vuoi dire...»

«Matrimonio combinato, più o meno.» Non sapevo nemmeno che queste cose esistessero ancora in Europa.

«E a te va bene?» le chiesi, sempre più perplessa. Ero abbastanza confusa.

«Non esattamente ma...» esattamente in quel momento arrivò Andreina con un gran sorriso, richiamando il gruppo per ricominciare le prove. A volte odiavo davvero il suo tempismo. Sospirai e guardai Lucy, che concluse la conversazione con un semplice “ne riparliamo dopo”.

Scossi la testa, rassegnata, e la seguii in mezzo agli altri ballerini per provare Le Buffon, una moresca da ballare in gruppi di quattro; perlomeno non saremmo state in coppia, fatto che mi garbava alquanto, almeno fino a che la situazione non si fosse chiarita.

Quando i due gruppetti ebbero imparato tutti i passi provammo con la musica, che a me piaceva tanto perché mi metteva di buonumore.

Devo dire che mi aiutò molto Le Buffon, poiché potevo tirar bastonate a destra e a manca. Quella danza infatti consisteva in una serie di colpi di bastone coreografati, ed io mi divertivo molto.

Neanche a farlo apposta, i due contro cui mi trovavo -Le Buffon si ballava in quadrato, quindi ognuno aveva due ballerini contro cui menar fendenti- erano Lucille e Claude.

Con lei ci andavo piano, normalmente, mentre con lui mi sfogavo e tiravo colpi molto forti, tant'è che quasi gli spaccai il bastone.

Per sbaglio diedi un colpo troppo forte e a lui, che non se l'aspettava, scivolò il bastone a terra. Ci fermammo, ed io lo guardai con perplessità: non pensavo di essere così potente. Lucille, dietro di me, si stava piegando in due dalle risa. Un sorriso soddisfatto mi scappò dalle labbra, ma non fu notato da nessuno se non da Lucy.

«Ti ho fatto male?» chiesi dopo qualche secondo, mentre il ragazzo si piegava per raccogliere il bastone.

«No, no, tranquilla. Solo... vacci piano!» mi rispose, sorridente. Avevo un'incredibile voglia di tirargli una bastonata, ma mi limitai a sfoggiare un sorriso preconfezionato, di quelli che si riservano alle persone che ti stanno sulle palle quando non vuoi far capire loro che ti stanno sulle palle. Complicato? No, universalmente noto ma difficile da spiegare.

Ricominciammo daccapo, io diminuii la potenza dei miei colpi, tutto filò liscio fino alla fine della giornata.

Fortunatamente, Claude non rifiutò il passaggio a Lucy come il giorno prima, ed io potei passare la serata in eremitica riflessione. Nessun passeggero sul motorino, nessun compagno di serata sul divano, nessuna distrazione.

Velocemente, girai la chiave nella serratura della mia stanza ed aprii la porta. Sospirai ed entrai accendendo la luce con una mano e poggiando la borsa sul tavolino con l'altra. Mi richiusi la soglia alle spalle e mi diressi verso la camera per prendere un pigiama. Mi recai in bagno, attaccai il cellulare con la mia musica e mi feci una bella doccia, canticchiando qualche brano ogni tanto.

Ero arrivata a The Wheel of Fate (da The Bitter Suite, il mio episodio preferito di Xena, episodio-musical) quando decisi che ero stata abbastanza sotto l'acqua. Chiusi il flusso ed uscii dalla cabina, afferrando un asciugamano al volo per coprirmi. Mi asciugai con calma, mi infilai il pigiama e tornai in camera. Mi squadrai passando davanti allo specchio; portavo un pigiama viola a righe incrociate nere che formavano tanti quadratini, i pantaloncini mi arrivavano a metà coscia ed avevano due taschine ai lati, la maglia non aveva maniche ed oltre ai quadrati era decorata con un cuoricino nero accostato ad uno viola, entrambi all'altezza del petto. Scrollai le spalle, presi le chiavi ed uscii dalla camera portandomi dietro cellulare, cuffiette ed un libro di Kathy Reichs.

L'alberghetto in cui alloggiavo era un piccolo insieme di circa quattro casette, una attaccata all'altra, di diverse grandezze; la più grande dava direttamente sulla strada ed era la sede principale in cui si trovavano la reception, le varie stanze di servizio, la camera dei proprietari e quella del loro figliolo. Due casette più piccole erano ai lati di quella grande, collegate ad essa da dei piccoli corridoi, e davano sul giardinetto interno. La mia stanza era in una di queste due casette, così come quella di Lucy. L'ultima casetta era l'unica staccata dal complesso e si trovava oltre il giardinetto, era più piccola e fungeva da garage per i proprietari.

Scalza, uscii nel giardinetto interno, che a me piaceva molto perché fresco e ben curato. Al centro di questo giardino si trovava un grosso albero che, attaccata al ramo più robusto, aveva un'altalena. Tutt'intorno c'erano tavolini, sedie, ombrelloni, il tutto illuminato dalla fioca luce di una lampada legata ad una frasca. Amavo uscire la sera e stare seduta sull'altalena a leggere, ascoltare musica, guardare il cielo o anche solo rilassarmi, dato che non c'era mai molta gente, specialmente alla sera.

Mi misi comoda ed iniziai a leggere, ma non riuscivo a concentrarmi -tanto più che per la Reichs ci voleva anche attenzione- e finii per chiudere il libro ed appoggiarlo sul tavolino, spegnendo la luce.

Guardai il cellulare, che segnava le ventuno e qualche minuto. Alzai lo sguardo alla volta celeste.

Sopra di me, la sera avanzava lenta ma inesorabile. Il sole era tramontato da poco e a Ponente i batuffoli di nuvole si erano tinti di un colore rosso intenso. A Levante, la luna faceva la sua comparsa in un cielo blu puntellato di diamanti, mostrando solo uno spicchio di sé, ed era di un colore ambrato, non dissimile dalla striscia di nuvolette sottostante.

Sospirai, che spettacolo magnifico. Iniziando a dondolare lentamente, mi misi a contare le stelle che vedevo, come facevo da piccina quando volevo pensare.

Mentre contavo sottovoce tutte le stelle del firmamento, la mia mente vagava. Un attimo prima ero Robyn Black, l'antropologa che durante le ferie estive si era dedicata alla danza medioevale prendendosi una pausa dall'orrore, un attimo dopo ero Xena, la principessa guerriera, poi ancora Wolf Ares Black, il personaggio da me inventato che utilizzavo quando avevo voglia di fantasticare.

Quando persi il conto degli astri, mi destai dalle mie fantasie varie. Non era stato un caso.

Avevo sentito un rumore provenire dalla porta della casetta in cui alloggiavo. Mi tastai la tasca, per assicurarmi di aver preso le chiavi; tutto ok.

Qualcuno era uscito, sentivo dei passi leggeri venire verso il grande albero su cui si trovava l'altalena. Udii un sospiro, poi uno spostamento e una persona che si sedeva su una sedia.

Chiccazzo osa disturbarmi?” mi chiesi, guardando l'ora. Si erano fatte le dieci. Nessuno usciva mai a quell'ora! Solamente io me ne stavo qui fuori per i fatti miei. Scocciata, scesi dalla mia bell'altalena. Appoggiai i piedi sull'erba morbida e fresca, godendomi per un istante la piacevole sensazione.

Posai le mani al tronco e mi sporsi per vedere chi fosse l'intruso che mi aveva distratta dai miei pensieri.

Con mia somma sorpresa, vidi una chioma bionda poggiata al tavolino. Lucille era seduta su una sedia, le braccia erano incrociate sul tavolo e la testa era deposta su di esse.

Non ci tenevo troppo a farmi notare, quindi me ne tornai silenziosamente sull'altalena.

Dopo qualche minuto di piacevole silenzio, la sentii parlare tra sé.

«Bel casino sei riuscita a combinare, Lucille. Come se non bastasse il fatto di dover sposare un idiota. Ti innamori anche di una ragazza che non rivedrai mai, finita questa settimana di stage.» Si diede una pacca in fronte, la sentii chiaramente.

Il mio cuore aveva smesso di battere, mentre la mia mente lavorava veloce. “Ti innamori anche di una ragazza che non rivedrai mai, finita questa settimana di stage” rimbombava prepotente nella mia testa. L'unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era avvicinarmi a lei, prenderla per un braccio, attirarla a me e baciarla. Mi astenni a malincuore.

Rimasi in ascolto. Lucy stette in silenzio per qualche minuto, poi si alzò e rimase in piedi. Nuovamente, scesi dall'altalena e sbirciai. I suoi meravigliosi occhi cerulei risaltavano, illuminati dalla luce delle stelle. Stava fissando la luna, che era lontana da me, quindi non mi notò. Vidi una lacrima solitaria attraversarle il volto, e sentii il cuore lacerarmisi in petto. Davvero ero così importante per lei? Stava realmente parlando di me? Forse mi stavo solo illudendo, e lei non si riferiva a me.

«E poi...» continuò, ed io tornai a focalizzare l'attenzione sulle sue parole «chissà cosa ne pensa lei. Mon Dieu, magari a lei nemmeno interesso. Un bacio... è l'unica cosa successa tra noi, dopotutto.» Si sfiorò le labbra con la punta delle dita. «Ed io, come una cretina, le ho detto di non nominarlo più...» Ormai ero sicura che parlasse di me. «Devo parlarle.» decretò. Fece per voltarsi.

Finalmente, io uscii dalla mia tana. «Lucy...» fiatai appena. Non riuscivo ad alzare ulteriormente il volume della mia voce, tanto ero emozionata, figuriamoci formulare frasi di senso compiuto.

«R...Robyn... Da quanto mi stavi...» le sue guance erano dello stesso colore delle nuvole illuminate dal sole che fino a un'ora prima decoravano il cielo.

«Ero qui da prima che arrivassi.» anticipai la sua domanda, prendendo coraggio ed avvicinandomi a lei di due passi.

Lucy si lasciò cadere sulla sedia. Non ero sicura di cosa fare, quindi inspirai profondamente ed azzardai. «Era con me che volevi parlare?»

«Sì.» Presi una sedia e mi misi accanto a lei, incrociando le mani e poggiando gli avambracci sulle cosce. Le sorrisi dolcemente. «Spiegami meglio questa storia di Claude, perché credimi, non ci sto capendo nulla. Non sapevo che esistesse ancora il matrimonio combinato. Non qui, almeno.»

Lei sospirò a lungo ed abbassò lo sguardo, coprendosi gli occhi con la mano. «È complicato. Versione breve: i miei genitori “vogliono il meglio per la loro amata Lucille”. La mia è una normale famiglia, non abbiamo particolari problemi di soldi o altro, io faccio un lavoro che mi piace e che tutto sommato paga bene. Claude viene da una famiglia ricca, i suoi genitori e i miei si conoscono da molto tempo e da molto tempo le nostre due famiglie hanno avuto intenzione di unirsi in qualche modo. Mio padre, gran sostenitore della supremazia maschile ed accanito contestatore dell'emancipazione femminile, ha deciso per me il mio futuro sposo, dicendo che se non avessi sposato Claude lui e mia madre avrebbero smesso di considerarmi loro figlia. Folle eh? Nonostante io sia molto contrariata, voglio bene ai miei genitori, e tutto sommato Claude è un bravo ragazzo.» Si asciugò una lacrima con il palmo della mano. Mi sentii morire. Questa tristezza era colpa mia dopotutto, ero entrata casualmente ma prepotentemente nella sua vita e avevo distrutto il già fragile rapporto che aveva con il suo ragazzo.

La guardai tristemente, solo allora mi resi conto di quanto contasse per me. La conoscevo da quanto? Due giorni? E già sentivo qualcosa che mai avevo provato per un'altra donna o uomo, come se l'amassi da una vita.

Scossi la testa, amareggiata, e le poggiai una mano sul braccio. Non sapevo cosa dirle, solitamente ero brava con i consigli ma allora ero senza parole. Lei alzò la testa e i suoi occhi cerulei si fissarono nei miei occhi verdi. Le misi una mano sul volto, asciugandole una lacrima con il pollice.

«Ci deve essere un modo...»

«Non c'è.» Posò la mano sulla mia ed io provai un dolore tremendo, avvertendo tutta la pena che si trovava dietro a quel gesto. Mi sembrava una sensazione irreale, io -la povera sfigata- e una bellissima fata, al chiaro di luna, conoscenti da due giorni, amanti da quella che sembrava un'eternità, destinate ad essere divise, che cercavamo una soluzione ad una situazione irrisolvibile.

Sospirai. «Ribellati! Non posso credere che i tuoi genitori ti rinnegherebbero per una cazzata del genere!» scostai delicatamente la mia mano dal suo viso, voltandomi a guardare il cielo blu. «Non ci credo» mormorai triste.

«Già... Tremendo eh?»

«Inverosimile.»

«Decisamente.»

«E tua madre è d'accordo con tuo padre?»

«Mia madre lo seguirebbe all'inferno.»

Tornai ad ammirare Lucy. Fissò i miei occhi nei miei, poi mi abbracciò. «Tutto ciò è così.. incredibile.»

«Allora non sono l'unica a pensarlo.»

«No, credimi.»

«Ma... Claude che ne dice?»

«Di certo non si lamenta, o almeno non sembra.»

Ridacchiai mentre si allontanava dall'abbraccio. Sul suo volto era tornato un leggero sorriso, sebbene malinconico.

«Sarà meglio andare a dormire.» le carezzai una guancia dolcemente e le sorrisi. Lei annuì ed assieme ci avviammo verso le camere, per poi dividerci a malincuore.

  
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