Capitolo
3
Karl
Von Hennen
Gennaio
1943
(
Seconda parte )
La
festa
“Stringi forte il corsetto, mi raccomando, Annah” disse a gran voce Maddlen,
mentre si aggiustava i capelli.
“Saremo le più belle della serata. Sono sicura che
non appena i ragazzi ci vedranno rimarranno a bocca aperta”
“A me interessa il biondino, ha un non so che di
misterioso. Mi intriga” ribatté Annah che guardando
l’orologio a pendolo quasi svenne.
“Siamo in ritardo!” esclamò la ragazza tutta
allarmata.. Stava già prendendo la borsa quando si accorse che la cugina non
curante della sua preoccupazione, si stava ancora specchiando.
“Non hai capito cosa ho detto? Siamo in un ritardo
mostruoso! I ragazzi ci uccideranno”
“Si vede che non hai esperienza … bisogna fare
sempre aspettare i ragazzi, sennò si fanno una cattiva idea di noi” disse
scocciata Maddlen alzandosi dalla toelette.
In effetti, la ragazza aveva molta più esperienza
rispetto alla cugina che, nonostante aveva il fisico già di una donna aveva
soli diciassette anni.
Le due uscirono dal portone. La serata era fresca
ed il cielo era stellato. Era un’ottima serata. La strada come al solito era
trafficata. I caffè stavano aprendo e i camerieri erano già sull’orlo di una
crisi di nervi per colpa delle tante ordinazioni. C’erano un paio di carrozze
in attesa dei clienti ed un gruppetto di adolescenti che faceva battute poco
piacevoli sulle ragazze.
“Ma dove si saranno cacciate” sbottò Ludwig in
preda al nervosismo. Stavano infatti aspettando da più di mezz’ora sul luogo
dell’appuntamento, e delle ragazze non c’era traccia.
“Stai tranquillo, mi stai facendo innervosire!
Vedrai che arriveranno. Il ritardo e le donne è un binomio infallibile” replicò
Karl, aggiustandosi la giacca nera. Stavano ancora parlottando, quando un
ragazzino sulla quindicina inciampò nei piedi di Karl.
“Stai attento!! Ma dove guardi?” sbottò il
tedesco.
“Mi scusi, non volevo disturbarla.” disse
prontamente il ragazzino. I suoi occhi erano neri e si leggeva una nota di
paura. Ludwig notò che teneva una mano sul cuore, quasi come a nascondere
qualcosa.
“Cosa nascondi, ragazzo?” incalzò il giovane
paffuto, e così dicendo fece per spostargli la mano. Sul golfino beige spuntò
una stella gialla. Era il marchio. Il segno di riconoscimento. Subito Karl mutò
il suo carattere e diede uno spintone al ragazzo che per poco non cadde.
“Vattene feccia! Finirete tutti nei camini!” inveì
Ludwig.
Il ragazzo, impaurito non se lo fece ripetere due
volte, girò sui tacchi e scappò.
I due ragazzi si scambiarono un cinque e si misero
a parlare. Ormai era abitudine, anzi qualche volta Karl provava anche piacere a
mettere in ridicolo gli ebrei. Per lui, che era abituato a guardare gli altri
dall’alto gli ebrei erano paragonabili ai cani.
Dopo circa mezz’ora arrivarono le ragazze. Ludwig,
come al solito, riempì di complimenti Maddlen e la
ragazza faceva finta di nulla. Karl, invece si limitò solamente a fare qualche
battuta spiritosa. I quattro salirono in macchina e partirono.
Arrivarono alla festa. Entrarono nella sala da
ballo e per un attimo tutti si fermarono a guardarli. C’era tutta la Dortmund
bene. Signore tutte preparate con strani cappelli che spettegolavano su ogni
cosa, camerieri che sembravano tanti pinguini imbalsamati. Grassi signori con
la faccia rossa ed i baffi attorcigliati, che parlavano di affari, qualche
ufficiale dell’esercito nella classica divisa grigia, tempestata di medaglie ed
onorificenze, e con la fascia con la svastica sul braccio. I quattro presero
qualcosa da bere e si sedettero ad un tavolo. La serata era alquanto noiosa.
Ogni tanto le ragazze facevano un cenno di saluto a qualche signore che
ricambiava, il più delle volte arrossendo.
“Beh, che ve ne pare, bella festa vero?” fece
Ludwig per rompere il silenzio.
Gli altri tre si scambiarono uno sguardo e a
stento soppressero una risata.
“Ma dai finiscila Lud!
Piuttosto vai a prendere qualcosa da bere” fece con un gesto di stizza Karl.
“Ragazzi, che ne dite di andare un po’ a ballare?”
propose Maddlen. I ragazzi, quasi costretti dovettero
accettare l’invito. Iniziarono a ballare in mezzo alla sala. Ludwig, con la
scusa che non sapeva ballare, toccava i fianchi sinuosi di Maddlen.
Di tutta risposta la ragazza faceva finta di niente. Karl, al contrario del suo
amico, sapeva ballare e anche molto bene. Prese Annah
sotto il braccio destro e iniziarono a ballare. Karl non s’era accorto prima di
quanto fosse affascinante quella ragazzina, che fino a cinque minuti prima era
solo una scocciatura, un favore fatto ad un amico. I suoi capelli neri si
muovevano sinuosamente e il rossetto metteva in risalto la carnosità delle sue
labbra. Poteva essere la ragazza giusta. Da tanto, troppo tempo, non provava
una sensazione così per una ragazza. Non era solo attrazione fisica. C’era
qualcosa in più. Annah, accortasi del cambiamento di
carattere del giovane, appoggiò la testa sulle possenti spalle. In quel
momento, Karl avvampò e quasi temette di essere scoperto. Passarono tutta la
serata a ballare. Verso mezzanotte i giovani salutarono gli invitati e si
avviarono fuori.
“Che serata, non mi divertivo così da un sacco di
tempo” esordì Ludwig all’apice della felicità.
“Secondo me ti sei divertito a toccare i miei
fianchi” rispose sarcasticamente Maddlen. I quattro
scoppiarono a ridere.
“Hai freddo, stai tremando, prendi la mia giacca”
notò Karl, e così dicendo posò la sua giacca nera sulle spalle rosa di Annah.
“Grazie, Karl” disse timidamente la giovane che
diventò più rossa di un pomodoro.
Salirono in macchina, e subito partirono
sgommando.
Arrivarono alla villa di Maddlen.
Era una casa maestosa, in stile classico. Ludwig e Maddlen
scesero e si avviarono al portone. Gli altri due rimasero in macchina.
“Grazie della serata, Karl” disse educatamente la
giovane. In quel momento, Karl provò l’impulso irrefrenabile di baciarla ma avrebbe
fatto uno sbaglio. Fu Annah che salutandolo, gli
diede un bacio sulla guancia. Karl aveva toccato il cielo con un dito. Era
l’uomo più felice del mondo. Mentre si lasciava andare a fantasticherie entrò
Ludwig e scherzando disse :
“Ehy, Romeo, andiamo dai
si è fatto tardi.”
“Chi, Romeo?” fece distrattamente Karl, che era
sceso dalle nuvole.
“Si hai ragione, andiamo. Si è fatto tardi …”
replicò il biondino che si era svegliato da quel bellissimo sogno ad occhi
aperti.
“Di un po’, bellino, non è che sotto sotto hai perso la testa per quella bambolina?” lo
punzecchiò l’amico, con un ghigno beffardo.
“Quella bambolina ha un nome, si chiama Annah, e comunque no, ma ti pare, è troppo piccola”
“Mmm, va bene se lo dici
tu …”
Karl entrò nel salotto e stranamente vide che suo
padre era vicino al camino acceso.
“Buonasera, padre” disse educatamente il ragazzo.
“Ah ciao Karl, ti stavo aspettando. Tutto bene?”
disse quasi sorpreso il padre. Sul suo volto era dipinta un’espressione mista
di stupore e paura.
Senza che Karl potesse rispondere il padre
riprese: “Stamattina hai avuto uno scontro con una SS per caso?” .
Nella mente di Karl si iniziò a farsi strada una
strana idea. Per la prima volta in vita sua provò cosa vuol dire avere paura.
“Sai la gravità del suo gesto? Se non fossi un Von
Hennen già staresti in carcere …” era chiaro che il
padre, grazie alle sue conoscenze aveva già predisposto tutto, come al solito.
Era tipico del suo carattere, freddo e calcolatore. Quasi con aria di sfida
Karl fece: “Immagino che ti dovrei anche ringraziare, per qualsiasi cosa tu
abbia già fatto”
“Portami rispetto, insolente ragazzo!” sbraitò il
padre, che evidentemente non si aspettava una reazione simile dal figlio.
“La settimana prossima ti arruolerai
nell’esercito, che ti piaccia o no!” sentenziò l’uomo che riassunse la sua
espressione seria e gelida.
“Ma io qui ho la mia vita, i miei amici, la mia
ragazza …” provò a dire il ragazzo che trattenne a stento le lacrime.
“Ah si l’amore. Ma non ti rendi conto che non
esiste l’amore? Esistono solo gli affari. Prima fanno tutte le dolci per farti
cadere ai loro piedi e poi ti usano solamente per farsi una posizione. Gli
amici sono peggio delle sanguisughe.” disse sicuro il padre.
“Ma lo vuoi capire che io non sono come te, mi fai
schifo!” urlò Karl e così facendo se ne salì in camera sua lasciando il padre
ancora che imprecava contro di lui. Salì di corsa le scale e quasi non cadde e
sbattendo la porta si buttò sul letto. Finalmente, quasi come una liberazione
le lacrime rigarono il suo giovane volto. In un minuto o poco più era crollato
il suo mondo. Voleva urlare a quel mondo che gli faceva schifo, fatto solo di
guerra ed interessi. Dopo un po’ sopraffatto dalla stanchezza si addormentò.
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Scritto da UgoCINQUE