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Autore: Sacu    06/08/2011    1 recensioni
Miti e leggende in formato one-shot su Iriu, il mondo di Sophelia e Jelia.
Ogni capitolo può essere letto singolarmente.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Principe Graamros si era lasciato trascinare ancora una volta da Lord Marhorn a scommettere al gioco dei dadi. Non era sua intenzione seguirlo nelle sue svariate idee, ma non riusciva mai a dire di no al suo amico: ogni sua parola era legge e viziato com'era se non veniva accontentato non smetteva più di lamentarsi, proprio come un bambino.

“...maledizione!” Esclamò più per far contento lo spirito agonista dei compagni che per una delusione personale.
“Ha! I dadi non mentono, avete perso mio Signore!”

Non c'era molto che potesse fare, quella non era serata per il gioco.
A sfidarsi in quel torneo erano stati una decina di Uomini di giovane età tutti determinati a vincere quasi come se si trattasse di una battaglia. Tutti tranne lui; l'unico che non aveva alcun interesse di competere era proprio Graamros, il cui unico scopo era intavolare qualche conversazione coi suoi compagni per distrarsi delle fatiche del giorno; di certo non si era impegnato minimamente nel cercare di fare punti.
Fu così che arrivò ultimo.

“Poco male, vincerò la prossima volta.” Disse non curante, anzi quasi felice che la questione fosse chiusa e che finalmente potesse andare a dormire. “Quanto ho perso?”
Dopo un attimo di silenzio in cui fu guardato in modo strano, un ragazzo si degnò di rispondergli.
“Spiacente mio Signore, ma stavolta non si giocava a monete.”
“Temo di non capire...” Disse confuso.
“Andiamo, Graamros, te l'avevo detto!” Cominciò Marhorn. “Non mi ascoltavi quando siamo tornati dalla caccia alla lepre? Ti avevo avvisato che il perdente avrebbe dovuto affrontare una prova di coraggio!”

Solo il rispetto per la Corona impedì ai presenti di scoppiare a ridere in faccia al Principe, rimasto a bocca aperta senza parole e gli occhi sgranati!
Rimase imbambolato per una decina di secondi nei quali prima si rese conto che non era uno scherzo, poi maledisse mentalmente il suo amico di patire atroci sofferenze e infine si preoccupò per il proprio futuro prossimo.
Quando si riprese e chiese in cosa consisteva la prova gli mostrarono un sacchetto di velluto blu scuro.

“Qui dentro ci sono tre sfere di vetro esattamente uguali tranne che per il colore. Se pescherai la sfera rossa dovrai riuscire ad ottenere dal dio Egir la ricetta segreta del suo idromele; se prenderai la sfera azzurra dovrai conquistare il cuore della Naiade Lukeni; se invece ti capiterà la sfera verde dovrai sconfiggere la Mezzaloreley.”

Graamros sbiancò e cercò di replicare che quelle non erano prove, ma imprese impossibili!
La ricetta del dio Egir era antichissima, si diceva provenisse addirittura dai tempi in cui gli dei abitavano su Tellus, e non l'aveva svelata neanche ai suoi sacerdoti più fedeli: si trattava di una bevanda che pochissimi uomini avevano avuto la fortuna di assaggiare, servita com'era solo durante i banchetti degli dei.
E Lukeni? La bellissima Naiade amava le acque del del fiume Kisangani come una moglie, devota ad esse come una figlia e protettrice come una madre. Aveva spezzato i cuori di molti spasimanti, i Satiri si sfinivano nel suonarle dolci melodie e tutti disperavano pensando che non avrebbe mai dato alla luce un'erede che prendesse il suo posto.
Infine la Mezzaloreley, la creatura più temibile ma di cui non si conosceva niente. Si diceva che avesse un animo di ghiaccio, che fosse un'assassina senza pietà, e le madri per spaventare i figli raccontavano loro che le notti fredde, quando le lune venivano oscurate dalle nuvole, si intrufolasse nei villaggi alla ricerca di bambini da mangiare. Voci soffuse, migliaia di storie diverse tra loro su quella creatura dannata venuta al mondo con qualche misterioso maleficio. Voci di girovaghi che affermavano che risalendo il Kisangani fino alle cascate Lualaba si poteva trovare la casa di quella strega. Ma nessuno pareva averla mai vista, nessuno affermava con certezza che esistesse, ma tutti avevano paura di lei come se non ci fosse peggiore disgrazia che averla in vita sul proprio mondo. Terrore di lei e dei suoi capelli verdi, colore incomprensibile contro ogni legge della natura e forse anche della magia; un mostro maledetto che doveva essere estirpato come erbaccia.

A niente valsero le rimostranze di Graamros coi suoi compagni.

Chiuse gli occhi, infilò la mano nel piccolo sacchetto di velluto blu ed estrasse una sfera. Una sfera verde.

“Non sappiamo neanche se esiste! Come faccio a dimostrarvi di averla sconfitta?”
“Dicono che porti sempre con sé una spada dalla lama verde. Portacela e noi ti crederemo.”

E a niente valsero le rimostranze del Principe con suo padre.
Il re Graros pensò che fosse un'ottima occasione per dimostrare il suo valore, dato l'animo fin troppo temperato che aveva sempre mostrato. Gli fornì un buon cavallo, una spada affilata e gli augurò un buon esito.

“Padre, ma avete bisogno del mio aiuto, non posso assentarmi per troppo tempo.”
“Sciocchezze, io governo da prima che tu nascessi. Adesso va e rendimi fiero di te, figlio mio.”

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Erano giorni che risaliva il fiume lungo il sentiero battuto da Folletti e Elfi Oscuri.
Non aveva fretta e approfittava di quell'occasione per prendersi una vacanza dalla vita rigida di corte; cacciava quando aveva fame e riposava quando era stanco. Si faceva comandare solo dai bisogni essenziali del suo corpo, senza preoccuparsi se fosse notte o giorno e mentre le ore si mescolavano fra loro la sua mente vagava libera perdendosi in quella foresta. Ammirava quei colori meravigliosi dati dalle rose, gli ibiscus e le orchidee, ma era attratto anche dagli alberi di tek, ebano, cedro, okoumé e iroko. Quella vivace armonia riusciva a metterlo di buon umore.
Fu così che quasi senza rendersene conto arrivò fino alle cascate Lualaba.
Ed ebbe paura.
Cosa avrebbe trovato? Come l'avrebbe sconfitta? E se lo avesse ingannato? E se non esistesse?
Poi una voce lo ridestò dai suoi pensieri.
“E' inutile che ti nascondi, la tua ora è giunta! Mostrati e affrontami!”
Una voce maschile.
Gli andò incontro senza sguainare la spada, non voleva dar impressioni di voler combattere. Scostò dei cespugli e vide un Elfo Oscuro vicino ad una tenda vuota che parlava in una lingua sconosciuta, dal tono sembravano imprecazioni. Fece per avvicinarlo, ma quello gli puntò contro la sua spada corta.
“E tu chi saresti? Forse la strega non ha abbastanza coraggio da affrontarmi? O forse sei un trucco?”
Il Principe alzò le mani cercando di farlo calmare.
“Io sono il Principe Graamros, figlio di Gramos. Sono giorni che sono in viaggio con la missione di neutralizzare la Mezzaloreley.”
L'Elfo Oscuro non lesse menzogna nei suoi occhi, così abbassò l'arma e si presentò a sua volta.
“Io sono il Principe Dabin, figlio di Damin e sono qui con lo stesso scopo. Dato che sono arrivato per primo mi aspetto da voi che rispetterete le regole e lasciate che sia io ad affrontarla per primo. In caso contrario, sarò ben felice di farvi mostra delle mie abilità.”
L'ultima cosa che Graamros voleva era uno scontro immotivato, così non ebbe niente da replicare.
“Ma siete sicuro che il luogo dove si nasconde sia questo?” Gli chiese.
“Assolutamente, cosa ci farebbe una tenda altrimenti in un posto simile? Basterà aspettare.” Rispose convinto Dabin.
Ed ecco che verso sera, quando il sole stava per tramontare, sentirono dei rumori: qualcuno si stava avvicinando. Entrambi estrassero le spade, quando da dietro gli alberi comparve una ragazzina di circa tredici anni piena di lividi. Era alta poco più di un metro, aveva le orecchie a punta come quelle degli Elfi, i capelli spettinati di colore verde raccolti in una coda e indossava degli abiti maschili; al fianco aveva un tipo di spada che Graamros non aveva mai visto.
Sembrava molto provata e camminava a testa bassa, poi d'un tratto alzò lo sguardo e si accorse dei due Principi. Non sembrava particolarmente sorpresa, anzi, era seccata.
“No, oggi no...” Disse scuotendo la testa con fare sconsolato.
I due Principi si guardarono senza capire, poi Dabin prese in mano la situazione e fece un passo verso di lei. Stava per parlare, quando fu preceduto dalla sua voce.
“Sì, sono io la Mezzaloreley. E comunque ho un nome, mi chiamo Jelia! Accidenti, possibile che non lo sappia mai nessuno? Oggi sono molto stanca, Estia mi ha fatto allenare fin'ora e come potete vedere mi ha riempito di lividi. Se non vi dispiace adesso vorrei mangiare e riposare, qualsiasi scontro vogliate dovrete aspettare domattina. Stasera non sono disponibile.”
Dabin rimase spiazzato da quell'uscita, ma non demordette.
“Sono il Principe Dabin, figlio di Damin, ho fatto molta strada per poterti sconfiggere e non lascerò passare un secondo di più per raggiungere il mio intento! Non provo pietà per una creatura come te! Preparati a combattere.”
La Mezzaloreley lo squadrò da capo a piedi.
“Senti un po', Principe figlio di non so chi. Scordati quello che sai su di me e guardami: ti trovi di fronte una ragazza di sedici anni (e non azzardatevi a dire che ne dimostro di meno se non volete trovarvi a nuotare nel fiume) stanca, dolorante e affamata. Pensi di riuscire a vantarti di aver sconfitto un avversario simile? O è meglio aspettare domattina?”
Dabin ci pensò un attimo, ma senza abbassare la spada.
“Chi mi garantisce che non sia un trucco e che non ci attaccherai nel sonno?”
“Casomai chi lo garantisce a me! Voi Elfi non dormite la notte, riposate e basta. Avresti mille occasioni per uccidermi.”
“Aspettate, ho una proposta.” Si intromise Graamros che nel frattempo aveva abbassato la spada, gesto non sfuggito alla Mezzaloreley. “Potremmo mangiare tutti insieme, ci riposiamo un po' e poi vi affrontate. Che ne pensate?”
Dabin e Jelia si sfidarono con lo sguardo, infine accettarono capendo che era un valido compromesso, ma l'Elfo Oscuro si rifiutò di passare del tempo con lei e se ne andò promettendo di tornare dopo due ore.
Così Graamros e la Mezzaloreley rimasero soli. All'inizio non parlarono molto, lui si occupò di accendere il fuoco e di preparare qualcosa da mangiare, mentre lei faceva un bagno rigenerante nelle acque del fiume. Quando poi la cena fu consumata si ritrovarono in un silenzio imbarazzante e il Principe decise di dire qualcosa.
“Quindi, a quanto ho capito, vengono in molti con l'intenzione di ucciderti?”
Non si era aspettato una vera risposta, quindi fu sorpreso quando lei gli sorrise e parlò.
“Purtroppo sì, pensa che ho perso il conto ma solo quest'anno ne sono venuti più di dieci. Uomini, Elfi Oscuri, Folletti, un paio di Gnomi e anche un Gancanagh*! E tutto per colpa delle sorelle di mia madre che hanno messo in giro questa assurda voce che porto sfortuna... Non ne posso più!
Anche tu sei qui per batterti con me, vero?” Quelle parole non risultavano come un'accusa, solo una constatazione.
“Sì, ma non per mia scelta.”
“In che senso?”
Fu così che il Principe le raccontò tutta la storia facendola ridere per diversi minuti.
“D'accordo che è frustrante sapere di essere un mostro senza cuore che causa gli incubi ai bambini, ma questa storia è troppo divertente! D'avvero tuo padre non ha fatto niente?”
O era una trappola ben congegnata oppure quella ragazza sua coetanea era fra le persone più pure che avesse mai incontrato. Parlarono e scherzarono per tutto il tempo e lui riuscì a capire qualcosa su di lei. Si trattava di una ragazza sola, senza amici o famiglia a sostenerla, esiliata da tutti per dei pregiudizi infondati; non odiava i suoi sfidanti, sapeva le loro motivazioni e anche se non approvava la loro chiusura mentale riusciva a capirli. Chi veramente detestava erano sua madre e le sue zie, che l'avevano abbandonata appena nata. La sua speranza era di sopravvivere agli allenamenti della dea Estia e di andare da sua madre per mostrarle che lei era degna del suo affetto.
Puntuale, allo scadere delle due ore, si presentò Dabin.
“Pronta, Mezzaloreley? Non vorrei mi accusassi di non averti lasciato abbastanza tempo per riprenderti.”
Jelia si alzò. Le risate che prima echeggiavano nell'aria erano scomparse sostituite dalla determinazione degli avversari. Negli occhi dell'Elfo Oscuro c'era rabbia, in quelli della Mezzaloreley decisione. Rimasero a studiarsi per qualche istante, dopo di ché estrassero le spade insieme, lentamente, quasi a voler prolungare il suono del metallo, poi tornarono a fissarsi. Dabin si liberò del fodero per avere meno impedimenti mentre al contrario Jelia appoggiò delicatamente la spada dalla lama verde a terra, in modo che non desse fastidio durante lo scontro.
“Cosa stai facendo? Ti ho dato del tempo proprio perché volevo scontrarmi con te al massimo delle tue capacità!”
“Per dimostrare ai miei sfidanti che non sono il mostro che credono ho promesso che non ne avrei ucciso nessuno, la dea Estia mi è testimone. Purtroppo però lei mi insegna tecniche mortali e se usassi la spada non potrei tener fede ai miei propositi.
Tranquillo, non avrai di che lamentarti.”
E così dicendo si portò davanti a lui.
E lo scontro ebbe inizio.
Graamros era rimasto impressionato dall'abilità dei due. Dopo i primi attacchi blandi effettuati per individuare la strategia migliore, erano passati allo scontro vero e proprio. I colpi dell'Elfo Oscuro erano più forti di quelli della Mezzaloreley, ma lei era più veloce; apparentemente si muoveva molto più dell'avversario, perché non poteva parare direttamente i colpi di spada col legno del fodero, ma in realtà ogni azione era ben calcolata e nonostante tutto sembrava non affaticarsi. Dopo poco era chiaro che l'esito era tutto da giocare.
Dabin però voleva chiudere alla svelta, così decise di sfruttare il vantaggio della forza e impugnò la spada con entrambe le mani, sferrando un potente colpo sulla testa di Jelia. Ma lei, grazie ai riflessi duramente allenati negli ultimi sei anni, lo schivò portandosi rapida alla sua destra e si abbassò colpendo verso l'alto il gomito dell'Elfo Oscuro, poi si alzò e colpì di taglio il polso del suo avversario, facendogli perdere la presa della spada. Ormai la impugnava solo con la mano sinistra e non riuscì quindi ad evitare il colpo di Jelia sul collo che lo fece cadere a terra frastornato.
“Hai perso, ammetti la tua sconfitta. Puoi dormire qui, ma domattina dovrai andartene.” Disse mentre rinfoderava la spada. Dopo di ché rivolse un ampio sorriso a Graamros e gli chiese se volesse combattere anche lui.
Il Principe era sorpreso. Le voci che erano giunte dicevano che la Mezzaloreley fosse forte, ma non si aspettava una simile abilità. Forse sarebbe riuscito a batterla, era più bravo di Dabin, ma non se la sentiva di battersi, soprattutto perché i motivi che lo spingevano a a farlo non avevano più senso dopo averla conosciuta. Così declinò l'incontro e aiutò l'Elfo Oscuro a rialzarsi. Questo, ancora un po' confuso e deluso per come si erano svolte le cose si congedò e partì all'istante, lasciando Jelia e il Principe liberi di dormire.

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La mattina dopo Graamros era in procinto di andarsene, quando ebbe un'idea.
“Che ne diresti di venire con me?”
“Come prego?”
“Vieni a palazzo con me. Mio padre difficilmente mi nega qualcosa e sarai mia ospite per qualche tempo. Conoscerai la gente del mio Regno e sono sicuro che come sono riuscito ad apprezzarti io lo faranno anche loro. Vedrai, non sono persone cattive, riuscirai a trovarti degli amici.”

Estia pensò che fosse un'ottima idea e diede il suo consenso alla partenza di Jelia.
Fu così che la Mezzaloreley e il Principe partirono insieme alla volta del palazzo.

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Marhorn aveva ricevuto un messaggio da Graamros in cui lo avvertiva del suo ritorno, così radunò tutti i partecipanti al gioco dei dadi di quella famosa sera. Erano arrivati tutti e lo aspettavano da qualche minuto, quando la porta si aprì.
“Sono tornato.” Disse il Principe fermandosi sulla porta.
“Graamros, amico mio!” Esclamò felice Marhorn. “Ci sei riuscito? Hai recuperato la spada?”
“Sì! E ho portato anche qualcos'altro!” E dietro di lui si affacciò una piccola ragazzina dai capelli verdi. “La sua proprietaria!”
“Buongiorno a tutti!” Salutò lei allegramente; ma il suo sorriso non riuscì a scaldare il gelo che era calato alla sua vista. Così Graamros le mise una mano sulla spalla e per la prima volta nella sua vita prese posizione e parlò deciso come un vero sovrano.
“Questa ragazza si chiama Jelia. Mi avete detto che era un mostro senza anima, mi avete spinto a sconfiggerla e a portarvi la sua spada. Devo ringraziarvi per questo, perché altrimenti non avrei mai potuto incontrare una persona così meritevole della mia amicizia. Sono felice che una creatura così pura, onesta e valorosa abbia deciso di accettare la mia ospitalità, perciò da oggi io vi ordino di trattarla col rispetto e l'onore che merita.”
Dagli sguardi stralunati Jelia capì che sarebbe stata un'impresa difficile farsi accettare, ma in fondo era lì per quello. E soprattutto non avrebbe affrontato tutto da sola.



Fu così che Jelia trovò il suo primo amico.




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* Gancanagh: una fata di sesso maschile

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SPAZIO AUTRICE
Questa storia è dedicata al mio amico Gianmarco, che purtroppo ho perso di vista. Ovviamente non è il protagonista, ma l'ho scritta pensando a lui.

   
 
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