Harry
Era una
questione urgente, e la porta del ripostiglio sotto
le scale si era aperta da sola. Harry non si era chiesto il
perché e il per
come. La solitudine notturna gli aveva dato il coraggio di rovistare
nel mobile
da bagno; tra asciugamani e saponette aveva trovato una boccetta di
vetro con
ancora mezzo dito di profumo. Quando lo aveva portato al naso gli era
sembrato
di averlo già sentito da qualche parte; ma poi era arrivata
zia Petunia, e gli
aveva sbraitato contro, e aveva versato quel poco di profumo rimasto
giù per il
lavandino. Harry non potè far altro che prendere a ditate il
marmo. Conservarne
un po’ sulle punte delle dita era meglio che perderlo per
sempre.
‹‹Era
di tua madre,›› disse zia Petunia mentre lo
chiudeva di nuovo nel ripostiglio sotto le scale.
‹‹Una porcheria. Pessimo
gusto.››
Harry
aveva spalmato le sue cinque dita intinte di
profumo su una delle vecchie magliette di Dudley e quella notte si era
addormentato
odorando i polsi della madre. Era così debole che doveva
quasi strusciare il
naso contro il cotone per sentirlo, ma era lì, intriso nelle
fibre della maglia
e del suo cuore. Per molte notti a venire sognò che Lily
Potter si stendeva lì
accanto a lui, e gli accarezzava i capelli. L’unico suono era
il battito del
suo cuore, defunto da sei anni.
Anni dopo,
mentre riempiva per l’ultima volta la borsa
nella sua camera di Privet Drive, avvicinò la maglietta al
naso, ricordandosi
di un bambino che aveva pensato di poter catturare, almeno per un
po’, una
frazione di sua madre. Sentì qualcosa, il fantasma di un
odore, e non gli
importò scoprire se fosse realtà o immaginazione.
Ancora una
volta Lily Potter gli aveva allungato, in un
altro di quei modi indiretti che si stabiliscono tra vivi e defunti,
una mano
affettuosa.