Sì ragazzi,
dopo veramente tanto tempo sono tornata.
Mi dispiace
veramente tantissimo di avervi abbandonati a storia iniziata ma purtroppo ho
attraversato una fase molto critica che, per fortuna, ho superato da diverso
tempo ma che mi ha privato del respiro giusto per scrivere non solo questa
storia ma tutto quello che ero riuscita a elaborare prima di avere questa
crisi.
Un saluto
speciale va ad Inu_Kagghy, Beckill
e bambi88.
Spero che mi
perdoniate e che torniate a seguire la mia storia, farò di tutto per farvi
viaggiare con le mie parole.
Capitolo 7
Non dirò una parola
Everyone needs
love…
You know that it's
true,
someday you'll
find someone…
That'll fall in
love with you
but oh the time it
takes;
When you're all
alone
someday you'll
find someone…
That you can call
your own
but till then ya better...
My Michelle – Guns
N’Roses
“Uffa, quanto vorrei che tu fossi qui.”
Sapere di aver rischiato la vita non
sembrava tangerla minimamente; sapere che Ino, che nella sua vita aveva un
tempo ricoperto un ruolo importante, si fosse preoccupata per lei evidentemente
non era abbastanza.
In quel momento gli occhi verdi di Sakura,
fissi sul soffitto di norma bianco adesso incupito dal buio della notte, non
volevano saperne di chiudersi, per andare ad ammirare i mondi inesplorati nel
profondo della sua anima; si limitavano a disegnare quelli già conosciuti
proprio su quel soffitto all’apparenza anonimo, a colorare il supporto del
lampadario di metallo con mille colori, a modificare lo sguardo di quei personaggi
famosi stampati sui poster appesi nella sua camera unicamente con quei
profondissimi occhi neri, neri come quella stessa notte illuminata solo dalla
luce di qualche lampione che filtrava attraverso le aperture della persiana.
Era bello sapere che qualcuno si fosse
preoccupata per lei, soprattutto sapere che ad averlo fatto fosse stato Sasuke, anche se Rock Lee aveva decisamente dimostrato di
essere una persona su cui poter contare.
Il solo ricordo del ragazzo che la
riportava a casa da sua madre (che aveva strillato con leggero terrore
vedendola con alcune abrasioni e i capelli falciati) la fece sorridere e
sospirare con emozione.
Rock Lee non aveva riportato gravi lesioni
ma anche lui era stato accompagnato a casa sua con il sostegno di Naruto che si trovava fuori dalla palestra al momento
dell’aggressione dei due ragazzi.
Sakura non sapeva che anche il suo amico
da capelli biondi in quel momento stava guardando fisso il soffitto della sua,
di camera.
Lui però non sognava come lei, non
riusciva a capacitarsi di quanto fosse stata fortuita la situazione: se fosse
stato lui ad accorgersi per primo che Sakura stesse tardando, l’idea di entrare
per vedere cosa stesse succedendo sarebbe stata sua, anche se non era molto
sicuro che la sua abilità di mettere al tappeto quei tre delinquenti sarebbe
stata pari a quella di Sasuke.
Il suo disappunto si manifestò nei giorni
successivi, quando vide Sakura moltiplicare le sue attenzioni nei confronti del
giovane Uchiha, che però comunque non sembrava
particolarmente preso.
Era come se qualcosa lo preoccupasse, come
se tutto ciò che gli accadesse attorno fosse solo un superfluo filo scucito dal
ricamo accurato del grande arazzo dell’insieme.
Di ciò se n’era perfettamente accorto il
professor Hatake che, alla fine dell’ora di storia
precedente la ricreazione di un caldo mercoledì di aprile, si era rivolto a lui
con curioso interesse.
“Sasuke, va
tutto bene?”
Sasuke si era tolto la giacca della divisa e si
era snodato leggermente il nodo della cravatta.
“Tutto bene, professore.”
La voce non tradì la stanchezza che invece
si poteva percepire di fronte alla scompostezza nel vestiario del ragazzo;
tuttavia Kakashi non desistette nel suo intento e
continuò a rivolgersi a Sasuke.
“Socrate diceva: le parole false non solo sono cattive per conto loro, ma infettano
anche l’anima con il male. Non mi voglio fare i fatti tuoi ma se c’è
qualcosa che ti turba, sappi che puoi parlarne. Io qui non sono solo una
macchina di voti e nozioni che scalda una sedia.”
Il ragazzo fece un cenno di assenso senza
dire una parola, come per dire che aveva capito.
“Due onigiri e
una Sprite, per cortesia…”
Hinata pagò ciò che aveva appena ordinato per
poi indietreggiare dal bancone con andamento incerto. Si guardò intorno con il
suo sguardo grigio chiaro e prese a camminare lungo il corridoio del primo
piano della scuola in direzione della classe.
“Ehi Hinata!
Dimmi che c’è ancora qualcosa da mangiare!”
“Kiba! Beh, si…
qualcosa è rimasto ma vai subito.”
“Mi fai compagnia? Quella demente della Mitarashi mi ha trattenuto per mezza ricreazione per farmi
vedere il compito di arte e non sono riuscito a venire subito.”
“Com’è andata?”
“Bene dai, 85 anche se poteva andare
meglio. E a te?”
“S-s-sono sicura che potrai prendere di
più… io ho preso 95.”
“Bravissima! Ero sicuro che ti fosse
andato benissimo, però mentre che c’era poteva metterti 100.”
Hinata arrossì. “Non è un problema…”
Quando si furono avvicinati al bancone, Kiba uscì dei soldi dalla tasca. “Mi dà due tramezzini e
una mezza minerale.” Poi si voltò di nuovo a guardare Hinata.
“Sì ma a te piace l’arte. Non volevi diventare architetto?”
“S-s-si… mi piacerebbe. Ma bisogna vedere
cosa vuole mio padre… vorrebbe che studiassi legge per portare avanti
l’attività del suo studio legale…”
Hinata abbassò lo sguardo.
Kiba la guardò per qualche secondo: e già, non
ci aveva pensato… Hyuuga era un ricco bastardo.
“Ma la vita è tua, non di tuo padre… e tu
hai ancora tante cose da imparare, da vedere, e se tu lo vuoi non sarà di certo
un manuale di Diritto Privato a segnare per sempre la tua esistenza.”
Si erano fermati a pochi passi dalla
soglia della loro classe, dove ancora qualcuno stava facendo lo spuntino o,
come Shino, si portava avanti nei compiti.
“Kiba, mi serve
assolutamente il tuo quaderno di Giapponese Antico! Choji
ha versato sul mio la salsa di soia del suo piatto di tonno e adesso non si
legge più niente! E Morino oggi mi interrogherà sicuramente, sono rovinato!
Sakura non mi vuole dare il suo perché dice che anche lei è senza voti!”
Forse una persona che camminava dall’altra
parte della città non aveva sentito per poco le urla di Naruto
che, alla loro vista, aveva scavalcato alcuni banchi con un paio di manovre
poco delicate ed era uscito dalla classe.
Kiba mise le mani avanti agitando il
tramezzino che stava trangugiando. “Che cosa?! È proprio un idiota, ti
presterei il mio quaderno ma l’ho lasciato a casa perché già ho il voto e non
mi deve più interrogare!”
“E ORA COME FACCIO?!”
“Tranquillo, N-n-naruto…
ti presto il mio… penso che n-n-non avrai problemi a capire la mia scrittura…”
Naruto puntò i suoi brillanti occhi azzurri su Hinata, che in quel momento stava tormentando la linguetta
della lattina di Sprite che aveva bevuto mentre camminava con Kiba.
“Dici sul serio?!”
“S-s-si… certo… a me non serve…”
“Aaaaaah! Hinata sei una vera amica, non so come farei senza di te!”
Naruto abbracciò la ragazza con un trasporto
tale che fece smettere di respirare la ragazza e la fece diventare di un colore
degli stessi toni di un pomodoro molto maturo.
Kiba assistette alla scena divertito, mentre
il ragazzo biondo continuava a gioire per il colpo di fortuna.
“Insomma, potreste togliervi dai piedi?”
La velocità con cui le guance di Hinata sbiancarono, nell’udire quella voce, fu
incalcolabile persino per Kiba che la stava guardando
direttamente da diversi minuti; Naruto sembrò
accorgersi del fatto che qualcosa non andasse quando vide che nella sua stretta
soffocante la ragazza aveva cominciato a tremare.
“Sii più gentile la prossima volta.”
Sbottò Naruto.
“Come se dei vostri stupidi problemi di
scuola ne importasse qualcosa a qualcuno.”
Neji li superò con tre lunghi passi ed entrò
in classe scuotendo la sua liscia chioma nera, gonfiando il petto e camminando
spedito in direzione del suo banco.
La presenza incombente di Hiashi Hyuuga nella vita di Hinata, forse, non era un problema poi così grave.
Anko quella mattina non si era svegliata
particolarmente di buon umore e ciò non era di certo una novità.
Messo piede fuori di casa, però, il suo
sguardo diffidente si era rilassato in maniera insolita e non era più
disturbato dinanzi alla prospettiva di passare dieci ore della sua giornata
presso la Leaf High School.
Aveva camminato in direzione della fermata
della metro, posta di fronte al palazzo in cui si trovava il suo coloratissimo
appartamento, quando un cespuglio di capelli argentei aveva colpito la sua
attenzione.
“Kakashi?”
“Ah ma allora il mio nome te lo ricordi.”
“Ma che ci fai qui?!”
“Mi trovavo nei paraggi. Vuoi un
passaggio?”
Kakashi fece un cenno al suv
su cui stava poggiato e il cui colore era uguale a quello dei suoi capelli. Anko inarcò un sopracciglio.
“È un BMW, vero?”
“Colpito e affondato.”
“Quando l’hai comprato?”
“La settimana scorsa ma me l’hanno
consegnata ieri pomeriggio perché il colore era troppo richiesto e dovevano
portarla al concessionario.”
Anko alzò il capo in segno di sorpresa e
approvazione e si avvicinò all’automobile, facendo segno che aveva intenzione
di salire.
“E come mai così in orario?”
“Volevo scatenare la tua invidia di fronte
al mio nuovo acquisto dunque non mi è risultato difficile arrivare qui senza
incappare in imprevisti di qualsivoglia tipo.”
“Certo, non andando a piedi è difficile
incontrare vecchiette armate di spesa o incapaci di attraversare la strada.”
Kakashi si grattò la testa sorridendo
stupidamente e aprì la portiera sinistra dell’auto, facendo segno ad Anko di salire. “Dopo di lei.”
Anko fece una smorfia ma obbedì, dopodiché Kakashi occupò il posto di destra e mise in moto per andare
a introdursi lungo la strada, alla volta del liceo.
“E questi?” la donna non aveva fatto in
tempo ad allacciare la cintura che aveva già notato sul cruscotto una pila di
libriccini tutti dello stesso autore e dai titoli incentrati sulla stessa
tematica.
“Il
paradiso della pomiciata… Le tattiche
della pomiciata… Le violenze della
pomiciata… questo Jiraiya non ha niente di meglio
da fare che scrivere queste sciocchezze? TU non hai niente di meglio da fare
che leggerle?”
“Ognuno ha i suoi passatempi.”
“Sì certo, come no?” Anko
prese i tre libriccini e li squadrò con curiosità innata.
“Se vuoi te li presto.” Esordì Kakashi con lo stesso stupido sorriso.
“Non ci contare!” Anko
li rigettò sul cruscotto ma l’impatto fece sussultare uno dei tre libri dal
quale cadde un nastro con su cucita una targhetta su cui era incisa una piccola
foglia.
“Ma questa…?”
Anko non ebbe il tempo di formulare alcun
pensiero, dato che Kakashi aveva velocemente sfilato
l’oggetto dalle mani della collega per riporlo all’interno della giacca.
“Questa non è affar
tuo.”
“Ma quella foglia, io lo so cos’è!”
“Ed è meglio che non ne parli qui.” sbottò
Kakashi. “Scendi, siamo arrivati.”
Anko non poté non protestare ma quel pensiero
la tormentò per tutta la mattinata, tanto che non ebbe nulla da obiettare
nemmeno di fronte al fatto che il compito di Naruto Uzumaki fosse sufficiente e per niente al livello dei
compiti di altri suoi compagni di classe.
Anzi, si ritrovò persino ad assegnare un
pari voto ai compiti di arte dei due cugini Hyuuga
nonostante quello svolto da Neji fosse scritto in maniera
decisamente più articolata rispetto a quello di Hinata
e niente sapendo che avrebbe potuto gettare le basi di una vera e propria
guerra.
“Dannazione, questo sudoku
non ne vuole proprio sapere di risolversi.”
Shikamaru Nara odiava la scuola.
Odiava aspettare l’auto del padre alla
fine delle lezioni davanti al cancello della scuola.
Odiava lo sport.
Odiava qualunque cosa che richiedesse un
minimo di impegno.
E decisamente gli piaceva il sudoku, gli piacevano gli scacchi, gli piaceva lo shouji. Ma odiava quei momenti in cui ciò che gli piaceva
rischiava di farsi impegnativo e odiava se stesso poiché non era in grado di
lasciarsi andare alla stessa pigrizia che lo attanagliava di norma durante il
resto della giornata.
Una volta aveva letto una di quelle
riviste di scienza e miracolosamente aveva scoperto di soffrire di una malattia
chiamata pigrizia nevrastenica. Il
nome di per sé poteva risultare contraddittorio ma la verità era quella.
Shikamaru era perfettamente in grado di
innervosirsi ogni qual volta gli si presentasse un intoppo, qualcosa di
imprevisto che richiedesse in qualche modo ulteriore fatica.
E in tutto questo detestava amaramente
chiunque osasse intromettersi tra la sua fatica e la sua pigrizia.
“Serve una mano?”
Le mani del ragazzo si poggiarono sul
muretto tempestato di muschio della scuola e i suoi occhi si sollevarono in
direzione della voce che si era appena rivolto a lui, una voce femminile mai
sentita e il cui tono sostenuto era ben lontano da quello stridulo e talvolta
irritante della voce di Ino Yamanaka.
La proprietaria di quella voce era una
ragazza che forse aveva un anno in più di lui e dei voluminosi capelli biondo
cenere, legati in quattro code bizzarre.
“No.”
“Dai, fa vedere.”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio.
“Faccio da solo.”
La ragazza mosse le dita della mano destra
perentoriamente.
Shikamaru sbuffò e consegnò il ritaglio di giornale
e la matita con la quale aveva tracciato i numeri, sperando vivamente che non
fosse in grado di risolverlo.
La ragazza impugnò la matita con fare
pratico e sbruffone, guardò il riquadro di ottantuno caselle e cancellò diversi
numeri per poi scriverne altri. Infine fece un sorriso scaltro e arrogante.
“Era più facile del previsto.”
Shikamaru le strappò di mano il foglio e osservò i
numeri. La soluzione quadrava.
“Non ti avevo chiesto di risolverlo, hai
insistito tu.”
“Puoi sempre rifarlo.”
“Non ci proverò la stessa soddisfazione.”
“Siamo permalosi. Come ti chiami?”
“Fatti i fatti tuoi.”
“Io lo so chi sei, sei Shikamaru
Nara, quello del primo anno che si è iscritto alla gara di matematica dell’istituto.”
Shikamaru stavolta aggrottò entrambe le
sopracciglia. “Ma di che t’impicci…”
“Di niente, sono solo felice di notare che
un mio possibile avversario che rischiava di strapparmi la nomina di vincitrice
più giovane degli ultimi dieci anni non è poi così bravo come sembra.”
Le palpebre di Shikamaru
si socchiusero leggermente. “Ma chi sei, razza di strega?”
La ragazza si poggiò le mani sui fianchi e
sorrise con fare denigratorio.
“Sono Temari,
del secondo B.”
Now you're clean
and so discreet…
I won't say a word
but most of all
this song is true
cause you haven't
heard
so c'mon and stop
your cryin'…
'Cause we both
know money burns
honey don't stop tryin;
and you'll get
what you deserve…
My Michelle – Guns
N’Roses