Titolo del capitolo: Capitolo 5
Torno in ufficio
devastata. Non ho preso neppure un giorno
di ferie, per paura di restare sola con i miei pensieri.
Dormo in albergo perché mi manca il coraggio per tornare a
casa.
Sento trambusto e un vociare frettoloso mentre esco
dall’ascensore. Attraverso
il piccolo atrio rivestito di specchi e apro la porta.
L’intero ufficio è in silenzio,
ognuno è seduto alla sua scrivania. Chi batte sui tasti, chi
sfoglia book, chi prende telefonate.
Mi scappa da ridere.
So come funziona, anch’io facevo così.
Probabilmente ho interrotto una sessione
di gossip quotidiano. Javier, dalla portineria, deve averli chiamati
per
avvisarli del mio arrivo non appena ho messo piede in ascensore.
Lo faceva anche quando il caporedattore non ero io.
La mia segretaria è in piedi di fianco alla porta, il menabò in una mano e uno
Starbucks nell’altra. Me li porge entrambi.
La ringrazio a bassa voce, ed inizia a farmi il resoconto degli ultimi
problemi
ed impegni della giornata.
Ma non riesco ad ascoltarla.
Mentre mi dirigo verso la porta del mio ufficio vedo la nuova stagista
bionda
lanciarsi su un mucchio di fogli sulla sua scrivania, come per
nascondere
qualcosa.
Mi impongo di proseguire, ma non riesco.
È più forte di me.
Mi avvicino con calma.
“Cos’è?” le chiedo. Nella
stanza scende il silenzio.
“No, non
è… non è niente” mormora la
stagista bionda con aria terrorizzata, allungando le mani cercando di
coprire i
fogli davanti a lei. Ma sono più veloce. Sono copie del
numero del mese scorso,
con un post-it giallo sopra.
“Fai sparire questa roba
dall’ufficio
della Stronza prima che torni. Fidati è
meglio per te, quella ti mangia” recita. Riconosco
la calligrafia della mia
segretaria.
La Stronza devo essere io. Eh già.
Non me ne stupisco.
Me lo sarei dovuto aspettare. Con lentezza stacco il post-it, mente
sento
sguardi timorosi puntati su di me. Alzo lo sguardo, e immediatamente
tutti lo
abbassano. Sospiro.
“Sono una stronza” dico.
Silenzio.
Beh, in effetti questo non se lo aspettavano. Sospiro di nuovo. Non
voglio
vedere nessuno.
“Mmm per favore, andate tutti a casa. Giornata libera. Domani
mattina tornate e
facciamo finta che non sia successo niente.”
Stupore, sguardi increduli e mormorii.
“Non sto scherzando. Avete ragione a chiamarmi
così. Ma” dico “ci stiamo
lavorando”. Sorrido. Un sorriso doloroso, ma efficace. Uno di
quelli veri,
quelli che ho sempre fatto.
Prima di diventare la Stronza.
Mi chiudo nel mio ufficio, la testa fra le mani. E piango.
Qualcuno bussa delicatamente alla porta.
“Avanti” dico mentre mi ricompongo. So benissimo di
avere gli occhi gonfi.
“Volevo chiedere scusa per l’incidente del
post-it” dice timidamente la mia
segretaria stando sulla soglia.
“Entra e chiudi la porta” le dico con un sospiro
stanco. La vedo tremare mentre
ubbidisce.
“È solo colpa mia, Heather… la stagista
nuova… lei non c’entra. Se vuole
licenziarmi la capisco” dice mestamente. Non si avvicina alla
mia scrivania e
non mi guarda negli occhi.
“Sei sposata?” le chiedo, mentre i miei occhi
notano una sottile fede in oro
bianco all’anulare sinistro. Annuisce.
“Da quanto?” le chiedo.
“Io… due anni” risponde, avvicinandosi
un po’.
“Ti ho fatto il regalo?”
“S-sì, certo. Una… una bottiglia di
champagne” mi risponde. Alzo lo sguardo e
sospiro di nuovo. Ci metto un attimo a ricordarmi il suo nome.
“Annie…”
“Mi dica”
“Quando sono diventata così stronza?” le
chiedo. La mia domanda la spiazza. E
posso ben capirla. La vedo incepparsi, indecisa se rispondermi o meno.
“Avanti” la incoraggio. Mi alzo e vado a sedermi
sul divanetto bianco di fronte
alla porta e le faccio cenno di raggiungermi. Si siede, ancora un
po’
titubante.
“Credo di aver perso contatto con la mia vita” le
dico, mentre sento gli occhi
riempirsi di lacrime.
“No, lei non… beh, non è sempre stata
così. Era una capa fantastica, mi
invidiavano tutti perché ero la sua segretaria. E a un certo
punto…” non
conclude. Ma capisco. Annuisco e le sorrido, grata per la sua
sincerità.
“Puoi andare” le dico con dolcezza
“grazie mille. Di tutto”. Di slancio, mi
abbraccia. Si stacca, spaventata.
“Oddio, mi scusi, non volevo…” balbetta.
Rido con tenerezza.
“Tranquilla, ne avevo bisogno. E… puoi darmi del
tu, sai?”.
Mi sorride ed esce.
“Bene” mi dico ad alta voce “e questa
è andata”.
Bene, ecco anche il capitolo 5
:-) siamo agli sgoccioli, ne manca solo uno e dovrei riuscire a
postarlo tra stasera e domani :-)
Mmm che dire, spero vi piaccia! Al prossimo aggiornamento :-)
Fede
Felle: wow *.* mi fai arrossire :-D sono davvero davvero felice che ti sia piaciuto, speriamo che anche questo sia all'altezza! Un bacio :-*