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Autore: Medea00    18/08/2011    14 recensioni
Ecco la storia di Blaine...narrata proprio dagli occhi di Blaine. Dal suo primo arrivo alla Dalton fino al fatidico incontro con Kurt, e da lì in poi, tutte le scene topiche del telefilm raccontate dal punto di vista di Blaine, ma non solo. Fanfiction Blaine (e ovviamente Klaine)-centrica.
Mi hanno detto di dire che non scrivo per scopi di lucro e che tutti i personaggi da me trattati appartegono a Ryan Murphy e alla Fox. E già che ci siamo aggiungo che tutti i riferimenti a fatti e persone sono puramente casuali, ahah!
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Tratto dal capitolo 15:
E non riuscii più a negarlo: anche lui piaceva a me. Mi piaceva il suo sorriso, il suono della sua risata, la sua stravaganza, e perfino la sua insolenza. Mi piaceva quando fuori facevano venti gradi e lui indossava un cappotto invernale. Mi piaceva quando piangeva, e non avevo mai creduto fosse possibile, ma ogni volta che vedevo quelle lacrime provavo l’irrefrenabile istinto di baciarle via, perché era bellissimo, anche con la fronte imperlata di sudore e una smorfia di disappunto dipinta sulle sue labbra.
Mi piaceva così tanto da star male. Perché non riuscivo più a non pensare a lui, e alle sue morbide labbra premute contro le mie. Perché, in quel momento più che mai, la mia mente riepilogò quel discorso fatto a San Valentino.
E cominciai a riflettere.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 22

Hummel&Hummel

 

 

Controllai per l'ennesima volta l'orologio e mi sistemai la camicia, lasciandola fuoriuscire dai jeans scuri. 

Quella volta avevo davvero fatto magie con il gel: non c'era un singolo ciuffo di traverso, e avevo perfino comprato un nuovo profumo per l'occasione, dolce e leggero, ma elegante e seducente allo stesso tempo, che in un certo senso mi rispecchiava molto; il ristorante giapponese ci attendeva un poco fuori città, con i suoi freschi sushi e sashimi, il tempura fumante e la carne cotta alla grigia davanti ai nostri occhi.

Insomma, era tutto pronto; eppure, quel giorno, quella macchina sembrava decisa a farmi fare tardi: nonostante tenessi premuto costantemente l'acceleratore, sembrava non voler andare oltre i venti chilometri orari, e ogni tanto si azzardava perfino a emettere un basso lamento di sottofondo, che zittivo immediatamente dando più gas. 

Un mese. Cavoli, non riuscivo ancora a crederci. Era un mese che stavo con Kurt, che lo baciavo, che lo accarezzavo, che uscivo assieme a lui passando le migliori giornate della mia vita.

Può sembrare un tempo relativamente piccolo, e in effetti è così: ma in appena trenta giorni erano successe talmente tante di quelle cose -il nostro primo appuntamento, le regionali, il trasferimento di Kurt- che ci eravamo promessi di festeggiare. A patto che pagasse Kurt la cena, e che non ci facessimo alcun regalo di nessun tipo. 

Nonostante quest'ultima clausola un po' scomoda, soprattutto per come ero fatto io, non vedevo l'ora di spegnere il motore della macchina, bussare alla porta di Kurt e trascinarlo fuori di casa senza nemmeno dargli il tempo di salutarmi: lo avremmo fatto più tardi, tra baci passionali e carezze affettuose, mentre avrei aspettato il verde del semaforo, che sarebbe arrivato sempre troppo in fretta.

Alla fine, con mio grande sollievo, arrivai a destinazione. Staccando la cintura ancor prima di fermarmi, afferrai il cellulare posato sul cruscotto ed estrassi velocemente le chiavi dal quadro, con un gesto secco e sicuro.

Forse troppo secco e sicuro.

Fu un battito di ciglia. Neanche il tempo di sussultare che udii un guaito disperato, un fragoroso crepitio metallico provenire dal cofano, e dopo...nulla.

Il silenzio più totale. 

E l'atmosfera si caricò di un denso aroma di lutto.

Mi diressi, stavolta molto lentamente, verso quella che sarebbe stata la fonte di tutte le mie imprecazioni, ma esitai un attimo prima di sollevare il cofano della macchina: non volevo veramente guardare. Una vocina nella mia testa mi stava suggerendo di ignorare quegli otto mesi di costruzione della Chevrolet Impala del '56 che mi avevano reso un meccanico in erba; mi stava suggerendo anche di ignorare quei rumori appena sentiti, perché dentro di me sapevo benissimo che erano la traduzione di un paio di candele nere come la pece, una marmitta danneggiata e, chissà, ipotizzai anche un tamburo non perfettamente oliato. Un'altra vocina, invece, stava già chiamando le pompe funebri.

Alzai il coperchio, ed osservai con i miei occhi inermi ciò che rimaneva di un motore distrutto.

La macchina era inservibile, questo sarebbe stato chiaro anche ad un bambino. Ma era anche palese che fosse appena saltato in aria tutto il nostro appuntamento.

Mi abbandonai contro la portiera, la testa bassa, il morale sottoterra.

“Merda... -mormorai, verso quell'ammasso di plastica e ingranaggi- grazie, grazie davvero. Direi che hai avuto un tempismo perfetto per romperti.”

“Stavo pensando la stessa cosa.”

Un uomo alto si avvicinò con passo sicuro e voce ferma, il cappellino tirato all'indietro sulla testa calva e il viso marcato, ma con dei dolci occhi chiari, che stavano saettando da me, alla mia macchina.

“Signor Hummel.” Non era tanto un saluto. Era più un “oh, diavolo, quest'uomo mi ha appena sentito imprecare come uno scaricatore di porto”. Era più un “oh diavolo, l'ultima volta che ho visto quest'uomo gli ho detto di parlare a suo figlio di sesso gay.”

Era più un “oh, diavolo. Questo è il padre del mio ragazzo.”

“Ciao, Blaine.” Era una mia impressione, o aveva pronunciato il mio nome in modo strano? “Problemi con la macchina?”

Gli spiegai velocemente i danni riportati, specificando anche che quella macchina aveva all'incirca dieci anni ed era sopravvissuta ad un'incursione in montagna con sette persone -di cui quattro folli amici-.

Lui rimase un attimo a fissare il motore, leggermente sorpreso dall'esattezza della mia diagnosi.

“Mi avevi già dimostrato di conoscere i motori, ma non avevo capito che fossi così bravo.”

Arrossii, sviando velocemente lo sguardo e sussurrando un “grazie”.

Dopo qualche secondo di riflessione propose di lasciare la macchina nella sua officina, annunciando che sarebbe stata pronta entro il fine settimana e senza alcuna spesa di servizio. Io insistetti che non era necessario, che non doveva accollarsi altro lavoro e soprattutto non retribuito, ma non sentì ragioni; lo guardavo con la coda dell'occhio mentre spingevamo la macchina dentro al garage, e pensai che, in quanto a testardaggine, fosse tale e quale a suo figlio.

Non ancora soddisfatto, mi fece entrare quasi a forza dal momento che Kurt ancora non era pronto, e io non potevo aspettarlo fuori dalla porta come uno sconosciuto.

Perché, in effetti, non ero affatto uno sconosciuto.
Appena entrato mi soffermai qualche secondo ad osservare l'arredamento: la casa era piuttosto grande, con un salotto arredato da quadri colorati e mobili di legno, un divano scuro posto davanti alla televisione e una zona cucina, che comprendeva anche la sala da pranzo. Accanto all'entrata, poi, si ergeva una scala che ipotizzai conducesse alla zona notte.

E fui sopraffatto da una vampata di tenero calore quando mi resi conto che, quella, era la scala dalla quale Kurt scendeva ogni mattina, con il suo adorabile pigiama di seta, gli occhi ancora assonnati e i capelli liberi dalla lacca, mentre il suo corpo si trascinava svogliatamente in cucina, per addentare il suo solito yogurt e barretta ai cereali integrali.

Quella era casa di Kurt.

Ed anche se non era grande, sfarzosa, o piena di maggiordomi, era incantevole. Proprio come lui.

E notai che non fosse nemmeno molto silenziosa.

Infatti non erano passati nemmeno dieci secondi quando vidi Finn correre da una parte all'altra, con una scarpa sì e una no, seguito da quella che dedussi fosse sua madre, non solo dall'aspetto, ma soprattutto da come stava inveendo contro suo figlio con una voce che raggiungeva gli ultrasuoni.

Ecco da chi aveva preso le sue doti canore.

“Mamma!” Sbottò il ragazzo, togliendosi le dita dalle orecchie. “Non è colpa mia se quella maledetta lavatrice ha dei disegnini sbagliati!”
“SBAGLIATI!? FINN HUDSON, tu ci hai messo l'intera divisa di football!”

Beh, fin qui, pensai, non c'era niente di male.

“Compresa di parastinchi e dentiera!”

...Ah.

“Quel coso diceva lavaggi pesanti, mamma! La divisa pesa otto chili!”

“Vallo a dire al bagno allagato e alla centrifuga spaccata! Oh, io ti...Io ti-”

“Carole? Tesoro?”

La donna, finalmente, si accorse della presenza di suo marito, e della mia. Il suo viso passò da un'espressione terrificante ad una assolutamente angelica.

“Tu devi essere Blaine!!”

“E' Blaine.” Ribatté il marito, con tono decisamente meno entusiasta.

“Oh mio Dio Blaine, sono così felice di conoscerti come si deve! Ti avevo visto alla partita di campionato del mio Finn, però non abbiamo parlato molto, no?” 

“Sono felice di rivederla. -esordii, gentilmente- E non si preoccupi, anche io ero piuttosto preso dalla partita.”
Burt sollevò un sopracciglio, come preso contropiede.

“Ti piace il football?”

“E' il mio sport preferito.”

“...Ti piace lo sport!?”

Prima che potessi rispondere in modo affermativo un altro urlo riecheggiò per tutta la casa.

“Mamma! Dov'è l'altra scarpa!?”
“FINN HUDSON! Mi manderai in galera un giorno di questi!!”

“Ma si può sapere cosa sono tutte queste urla!?”

Mi illuminai. Il mio sorriso si fece più largo, e il mio sguardo più acceso. Mi ero quasi dimenticato del motivo per cui mi trovavo lì.

“Io starei cercando di prepararmi per un appuntamento, con un armadio miseramente limitato e dei capelli increspati dal vento! Un po' di comprensio...”

Non finì la frase. Perché Kurt aveva appena finito di scendere le scale, con il papillion sbottonato e i calzini a pois bianchi e rossi, e davanti a lui c'ero io.

“Ciao.” Sussurrai, il cuore che assomigliava ad una mitraglietta per quanto batteva forte.

Il suo viso si dipinse di un'espressione a metà tra il sorpreso, l'imbarazzato e l'innamorato.

“Blaine!” Esclamò, avvicinandosi a me con un solo lungo passo, e rimanendo qualche secondo così, immobili, l'uno di fronte all'altro.

“Che...che ci fai qui? E'...è da tanto che aspetti?”

Era sinceramente contento di vedermi. Era entusiasta della nostra serata, si stava impegnando per prepararsi a dovere, l'avevo sentito bene.

E fu ancora più doloroso per me, quando gli dissi che la macchina aveva subito dei seri danni, e ci aveva lasciato a piedi.

Lui ci mise un po' ad afferrare il concetto, preferendo tralasciare inutili dettagli tecnici e concentrandoci sul fulcro del problema.

“Quindi...niente giapponese?”

“Mi dispiace, Kurt.” Abbassai lo sguardo. Ero davvero amareggiato.

“Beh, poco male. Possiamo sempre usare la macchina di Finn.”
“Cosa!? - Il ragazzo sbucò da sotto il divano, con una scarpa impolverata in mano – No, non esiste! Io devo uscire con Quinn stasera!”

“Oh, andiamo, Quinn la vedi tutti i giorni!”

“Ma ora lei è presissima da questa faccenda del Prom Queen e Prom King, e vuole che vada a casa sua a provare i discorsi di ringraziamento e le pose per il ballo di apertura! E dai, lo sai com'è fatta, se le do buca all'ultimo momento è capace di non rivolgermi la parola fino alle Nazionali!”

Sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto, e Finn sgattaiolò via prima che il fratellastro facesse qualche manovra di sabotaggio per rubargli le chiavi della macchina.

Mi scervellai per trovare un piano B, ma niente sembrava allettante quanto il giapponese e la passeggiata sotto al chiaro di luna.

“Senti, perché non andiamo a mangiare dal Bel Grissino?”

“E' Sabato sera, sarà tutto pieno, lo sai..”

“Oh, già...”

Abbassammo istintivamente le spalle, ma senza interrompere lo sguardo. I nostri occhi sembravano domandarsi a vicenda che cosa fare.

Carole, che aveva assistito alla scena in silenziosa contemplazione, ci propose timidamente di cenare lì con loro, e di fare un bel giro per il centro dopocena.

“Mi va! -Esclamò Kurt- Cioè, sempre se va bene anche a te...”

Sorrisi. Mi sarei potuto perdere nel mare dei suoi occhi azzurri.

“Sembra perfetto.”

“Ottimo. Vado a...hem... -lanciò uno sguardo ai suoi calzini colorati, per poi correre via lungo le scale- mi cambio in un attimo e scendo!”

Più ci pensavo, e più fremevo dalla voglia di salire le scale con lui, per poi dirigermi in camera sua e tempestarlo di baci. 

Ma, evidentemente, Burt aveva in serbo un altro piano.

“Blaine, potresti raggiungermi un attimo in cucina?”

Mi fece sedere sul tavolo, faccia a faccia, e prima che me ne potessi accorgere Carole mi aveva chiuso la porta alle spalle lanciandomi un sorriso piuttosto tirato.

“Allora.” 

Non prometteva niente di buono.

“Kurt mi ha detto che oggi è esattamente un mese che state insieme.”

Oh, cavolo. 

Aveva iniziato la “chiacchierata”. “L'interrogatorio”. “La resa dei conti”. Chiamatela come vi pare, fatto sta che ero fottuto.

“E insomma...sei il ragazzo di mio figlio?” Domandò, con un tono spaventosamente tranquillo.

Era una domanda a trabocchetto!?

“...Sì, signore.” 

“Sei sicuro di essere gay al cento per cento, vero? Voglio dire, le macchine, il football...”

“Sono sicurissimo.” Feci d'istinto, e lui non apprezzò molto la determinazione con cui affermai quella parola. Era come se gli avessi appena detto che suo figlio mi arrapava da impazzire! Oh, Dio, volevo morire.

“Tu...fumi?”

Inspirai profondamente.

“No, signore.”

“Però, da quanto ricordo, bevi.”

Oh, giusto. Perché il nostro primo incontro era stato con io in stato semi-comatoso sul letto di suo figlio.

Mi guardai intorno; doveva esserci per forza una scala anti-incendio, o una pala per scavarmi una fossa. Oh, c'era uno spago. Chissà se avrebbe funzionato, come corda da impiccagione?

“Le giuro -balbettai, il volto pallido come la morte- che non ho più toccato una goccia da quella sera.” 

“Lo spero bene. Siete ancora troppo piccoli per fare queste cose. E non solo queste cose.”

Mei-dei. Mei-dei. Autocombiustione tra tre, due, uno....

“Parliamo da uomo ad uomo, ti va?”

No, non mi andava. Non mi andava per niente!

“Tu, con mio figlio...” e fece un gesto convesso con le mani,che voleva dire tutto e niente, che voleva intendere delle cose e molte altre che mi fecero avvampare soltanto all'idea.

“Oh, N-NO! Cioè, mi lasci spiegare! I-io le posso assicurare che n-non ho mai cercato n-nemmeno una volta di..di..non ho alcuna intenzione di...o almeno, non adesso...Oh, Dio! Non intendevo, voglio dire, Kurt è il mio ragazzo, però non vorrei mai...cioè, certo che vorrei, è il mio ragazzo! Ma non vorrei che, non adesso, cioè, non senza che...non...mi scusi, qual era la domanda..??”

Mi fissò incolore. 

E il colletto della camicia si era fatto improvvisamente molto, molto stretto.

“Tu...sei un tipo strano.”

Deglutii. Non ebbi il coraggio di chiedere se fosse uno strano positivo, o uno strano da “stai lontano da mio figlio”.

Eppure, dopo qualche secondo, vidi il suo viso distendersi.

“Sai...” non c'era più astio, nelle sue parole, e nel suo sguardo non c'era più quella punta di freddezza da terzo grado. Sembrava soltanto un uomo, che si stava confidando ad un altro uomo, come un amico.

“Kurt...Kurt è mio figlio.”

Sospirò, posando il cappellino sul tavolo e tenendoselo stretto tra le sue dita.

“Da quando mi ha dichiarato di essere gay, abbiamo iniziato ad essere una vera famiglia. Non lo eravamo da tanto tempo, da quando sua madre è morta. Ma nonostante tutto il mio appoggio possibile, Kurt si è sempre sentito molto solo. E il fatto di essere l'unico gay dichiarato lo distruggeva.”

Fece una breve pausa, prima di riprendere.

“Non è mai stata facile, per lui. Prima sua madre, poi la scuola...quest'anno ho avuto un infarto, e mentre cadevo a terra l'unica cosa a cui ho pensato è stata mio figlio.''

Rimasi in silenzio. Non c'era niente da dire, di fronte ad una cosa simile. Non mi sarei mai aspettato un simile discorso, da parte sua. Non mi sarei aspettato tanta confidenza.

“Non volevo che si sentisse solo. Perché si era sempre sentito da solo. O meglio...fino ad un mese fa.”

Sussultai.  

“Non so come dirtelo... -mormorò, la voce fatta più tremolante. -Un giorno torna a casa e mi dice: papà, io sono felice.”

I miei occhi si fecero improvvisamente più limpidi.

“E per un momento -continuò lui- ho avuto paura. Paura che questo ragazzo facesse del male a mio figlio. Paura che...che me lo portasse via da me.”

“Non lo farei mai.” Sussurrai, la gola secca, il respiro irregolare.

E in quel momento lui si sporse un po' più in avanti, abbozzando un sorriso.

“Lo so, Blaine.

L'ho capito subito. Cavolo, lo capirebbe chiunque: mi è bastato osservarti per un minuto nel corridoio per vedere quanto gli vuoi bene. Non appena lo hai visto ti sei illuminato come una lampadina. Avevi un sorriso che arrivava fino ai capelli!”

Arrossii leggermente, ma allo stesso tempo mi sentii lusingato. 

“I miei amici lo chiamano Kurt-sorriso.”

Il signor Hummel esitò un secondo, guardandomi confuso, e poi ridacchiammo entrambi; fu come se fossimo stati inondati da una gettata di acqua fresca, rincuorante e benigna. 

Andava tutto bene. Conoscevo per fama la bontà e l'intelligenza di quell'uomo, ma mai e poi mai mi sarei aspettato una cosa simile. Mi stava parlando con il cuore in mano. Non mi stava giudicando come uno sconosciuto ragazzo che pretendeva di stare con suo figlio. Mi stava guardando come Blaine, il ragazzo che Kurt aveva scelto. 

E le mie mani tremarono. Ma non di paura. 

Ero commosso.

“Sei un bravo ragazzo, Blaine. -concluse, più sicuro di ciò che diceva- Un po' strano, a dirla tutta. Ma sei un bravo ragazzo e, soprattutto, tieni veramente a mio figlio.”

Sorrisi. Ecco, adesso sapevo che era un complimento.

“Kurt si fida di te, ciecamente. E io mi voglio fidare.”

Lui mi aveva accettato. Mi aveva affidato suo figlio,  la cosa più importante, suo figlio, perseguitato da bulli, e sofferenze. E ora sentiva di poter essere tranquillo. Sentiva di poter accettare che un altro ragazzo, uno sconosciuto, un altro gay, come lui, lo amasse e entrasse a far parte della sua vita, della loro vita.
“Non la deluderò,” affermai, e lui mi rispose orgogliosamente: “Oh, ti conviene non farlo. Altrimenti potrei accidentalmente distruggerti la macchina con il montacarichi.”

Ridemmo di nuovo, stavolta più fragorosamente, e così facendo attirammo l'attenzione di Carole, che intuì fossimo giunti alla fine della chiacchierata.

Non appena entrò in cucina capì che era andato tutto bene: “era ovvio”, mi disse in seguito, mentre l'aiutavo ad apparecchiare la tavola. Io la ringraziai del complimento sottinteso, e preferii non dirle che per me, invece, non era poi così tanto ovvio.

La signora Hudson mi chiese di andare a chiamare Kurt per la cena, e io non me lo feci ripetere due volte. Feci le scale a due a due, rischiando di inciampare tre o quattro volte per l'emozione, e una volta arrivato alla sua camera feci un bel respiro, rimanendo diversi secondi ad osservare la targhetta sulla porta con su scritto il suo nome. Era deliziosa, tutta decorata di brillantini e con una calligrafia indimenticabile.

“Kurt?” domandai, bussando gentilmente alla porta.

Il ragazzo l'aprì di scatto: era vestito in un modo completamente diverso da prima, fatta eccezione per i calzini a pois.

“Come sto?”

Diedi una veloce occhiata ai suoi jeans aderenti, il cardigan abbottonato all'altezza della cintura e la maglietta di cotone elasticizzato sotto di questa, raffigurante una stampa in bianco e nero di New York.

“Come prima. Benissimo.” Specificai, eliminando all'istante la sua espressione delusa. “Mi spieghi perché ti sei cambiato?”

“Oh, non ero molto convinto della giacca da abbinare.”

“I calzini, però, sono rimasti.”
Si coprì i piedi nel miglior modo possibile, e io scoppiai a ridere a crepapelle.

“Non mi giudicare!! Ovviamente non sono quelli che metto per uscire. In verità non li metto MAI! E' solo che me li ha regalati Finn per Natale, e se non me li metto una volta ogni morte di Papa si offende! Sono orribili, lo so, sembro la versione a colori di Charlie Chaplin!”

“Io li trovo adorabili.” 

Sentendo quella frase si rilassò all'istante, increspando le labbra in un sorriso.

“Lo dici solo per non offendermi...”

“Invece sono serissimo. Guarda.” Alzai l'orlo dei miei jeans ripiegati, mostrando un paio di calzini neri a righe blu e rosse.

“Blu e rosse? -Sbottò Kurt, con una risata- Non riesci proprio ad indossare altro?”

“La Dalton ti penetra fin dentro l'anima.” 

 

 

 

La cena passò in un lampo. In verità ero troppo concentrato ad ammirare lo splendido rapporto tra Kurt e il signor Hummel per poter mangiare granché. Si raccontavano la giornata, Kurt aggiungeva qualche particolare della scuola e Burt ci faceva ridere con qualche aneddoto divertente che gli avevano detto in officina. Carole, poi, cominciò a parlare dei saldi e di come volesse comprarsi un vestito nuovo, e ovviamente Kurt colse la palla al balzo per prenotare una giornata di sano shopping, tutto sotto alla sospirante rassegnazione del padre, che non poté far altro che annuire, e garantire la sua carta di credito. Perché Kurt e Carole, insieme, non riusciva a fermarli nessuno.

E io sorridevo, commentavo, ridevo alle battute di Kurt e alle urla isteriche di Carole, che avevo capito essere una cosa di routine, e non un campanellino d'allarme per qualcosa di più serio.

Stavo davvero bene. Il cibo non era di qualità, la televisione era rigorosamente spenta, e gli argomenti di conversazione non riguardavano cose serie o importanti come la crisi economica, le ultime elezioni o lo scandalo avvenuto nello sporting club vicino. Si parlava di vita, di lavoro e di sfilate di moda, e all'inizio fui un po' titubante quando Kurt mi chiese un parere sulla copertina dell'ultimo Vogue: alzai lo sguardo, incrociando quello dei due adulti, e mi assicurai che fosse ok, che potessi farlo veramente, parlare di riviste, musical e quant'altro, in piena libertà.

Era una bella sensazione. Essere a tavola, con il mio ragazzo e la sua famiglia, ed essere libero di esprimermi in tutto me stesso.

E i miei occhi cominciarono a pungere terribilmente quando pensai che, a casa mia, una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere.

 

 

Finita la cena mi era rimasto poco tempo da passare con Kurt, se non volevo perdere l'ultimo autobus possibile. Carole mi aveva proposto di restare a dormire per la notte, con grandissimo entusiasmo di Kurt e pochissimo di suo padre, ma io gentilmente rifiutai l'offerta, spiegando che dovevo alzarmi presto per studiare, e che non volevo recare alcun disturbo. 

Senza perdere ulteriore tempo, quindi, ci rifugiammo in camera di Kurt, stando bene attenti a socchiudere la porta, invece di lasciarla completamente spalancata come ordinato dal padre. Va bene che si fidava, ma era pur sempre il super-protettivo Burt Hummel.

Entrai nella stanza... e rimasi semplicemente estasiato. C'erano poster di Barbra Streisand e Lady Gaga appesi al muro, vestiti di qualsiasi sorta sparsi per la camera, il letto coperto da delle lenzuola di seta blu, intonate con il suo pigiama raffinato, e la scrivania era tappezzata da riviste di Vogue, Fair e Matrimoni, mentre le altre erano perfettamente catalogate e riposte nella lunga libreria a muro.

“Scusa il disordine... -borbottò- non ho fatto in tempo a sistemare.”

“Intendi dire che...questi sono tutti i vestiti che ti sei provato per stasera?”

Lui annuì, un po' incerto, mentre cominciava a piegarli accuratamente e ad infilarli nella cassettiera.

“Stasera ammetto di aver esagerato un pochino.”

“Solo un pochino?” Incalzai, avvicinandomi a lui da dietro, lentamente, continuando a guardarlo con amore.

“Beh, un pochino-tanto.” Si voltò, sentendo il calore del mio corpo attraverso i vestiti. 

Mi sporsi quanto bastava per annullare quella distanza e lasciargli un tenero bacio a stampo, premendo appena le labbra.

“Siamo ad un mese.” commentò, e il mio sorriso scomparve non appena mi ricordai della serata che avevamo perduto a causa del mio stupido catorcio. Ma Kurt non sembrò essere tanto dispiaciuto: “Sai quanti altri Mesiversari ci saranno? Avremo tutto il tempo per fare cenette romantiche.”

Il mio cuore perse qualche battito per la strada.

“E' vero. E comunque abbiamo passato una bella serata. Beh, quando ero con tuo padre ho seriamente preso in considerazione il suicidio, ma..”

“Cosa? Mio padre? Che ti ha detto? Quando? Oh ti prego, non dirmi che ti ha parlato.”

“L'ha fatto.” E nei suoi occhi comparve il terrore. Cominciò ad osservarmi millimetro per millimetro, accarezzò i capelli, controllò le guance, afferrò i polsi in cerca di segni di lotta, e continuava a domandarmi scusa, perché suo padre era una piaga, secondo lui, e non ci poteva credere che mi aveva veramente fatto una chiacchierata da suocero.

“Kurt, Kurt.” Presi il volto tra le mani, cercando di calmarlo con il mio sguardo dolce.

“Non mi devi chiedere scusa. Tuo padre non ha tentato di uccidermi, anzi, è stato molto gentile. Aveva il diritto di parlarmi...e se devo dirla tutta, l'ho apprezzato molto. Il mio non l'avrebbe mai fatto.”

I miei occhi si rabbuiarono un poco, mentre si scostavano dai suoi, e lui semplicemente inarcò un sopracciglio, dubitante, ma anche profondamente curioso di sapere qualcosa di più. Ma non era il momento adatto. Dovevamo festeggiare il nostro Mesiversario.

“Un mese”, ripetei, cominciando ad assaporare quella parola dentro di me.

“E' soltanto l'inizio”, disse, cominciando ad accarezzare la mia mano tra le sue, le dita affusolate che scorrevano su e giù sul dorso e sul palmo.

“Un bellissimo inizio.”

E stavolta fu lui ad avvicinarsi, con sorprendente e alquanto piacevole audacia, intrecciando le mani e passando quella libera sopra al mio collo.

“Hai un buon profumo. Come si chiama?”

“Polo. L'ho preso per l'occasione. - spiegai, crogiolandomi dei suoi respiri caldi contro la mia guancia – come mai non usi quello che ti ho regalato io? Quello di Kalvin Klein.”

Si scostò leggermente, guardandomi leggermente allibito, per poi dire: “Non posso certo usare quello, dopo si consuma!”

“Kurt, in teoria il suo scopo sarebbe quello.”

“Giammai. Lo tengo come un cimelio.”

Ridacchiai, ripensando a quello che mi aveva detto Chase: un altarino con tutte le mie cose. Chissà che fine aveva fatto. 

Inaspettatamente, anche lui scoppiò a ridere. Ma di gusto. E io inarcai un sopracciglio chiedendogli che cosa lo rendesse tanto allegro.

“Rachel Berry crede che ti stia tradendo con Sam.”

“Che cosa?!?”

“Gli ho prestato una mia giacca, e lei si è ricordata che l'avevo messa l'anno scorso. Non so se essere profondamente lusingato, o cominciare ad aver paura.”
Giusto: nessuno sapeva che Kurt stava prestando dei vestiti a Sam, che era in serie difficoltà economiche. Io gli avevo regalato un paio di felpe, ma tornarono indietro attraverso Kurt, scoprendo che gli stavano piccole e strette.

Risi insieme a lui dopo aver immaginato la faccia sconcertata di Rachel che fantasticava su scenari a dir poco improbabili. Dopodiché lo abbracciai, dolce, lento, e lui si accoccolò con la testa sopra la mia spalla, e una mano intrecciata alla mia, all'altezza del cuore.
Ci guardammo negli occhi, entrambi pensando la cosa: battevano fortissimi. Ma era come se, nel loro frenetico rimbombo, fossero collegati. Sembrava il suono di un duetto.

“Credi...credi che posso baciarti?”

Alzò velocemente la testa, guardando la porta socchiusa e la nostra posizione decisamente sconveniente. Probabilmente avevamo superato già di una spanna il limite di gesti di affetto consentiti nel territorio Hummel. 

Ma, quando vidi il suo viso avvicinarsi sempre di più, e il suo sorriso farsi sempre più divertito, capii che potevamo concederci una piccola trasgressione, di tanto in tanto.

 

 

*****

Sì, so che morite dalla voglia di sapere che diavolo di padre abbia Blaine, ma vi chiedo un altro pochino di pazienza, e vi assicuro che avrete molto presto le risposte alle vostre domande.

Nonostante la settimana di Ferragosto abbia mietuto molti lettori ci sono state lo stesso sette fantastiche persone che hanno recensito: vi ringrazio!! Mi avete fatto passare davvero delle belle vacanze.

E ringrazio anche tutte quelle persone che continuano a leggere, a preferirmi e soprattutto a commentarmi.

Se avete qualche secondo, potreste recensire questo capitolo? Vorrei davvero sapere il vostro parere su questa fantomatica chiacchierata.

Grazie ancora, e alla prossima!!

   
 
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