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Ricorda la storia  |       
Autore: Simo90    19/08/2011    0 recensioni
Una fanfiction ispirata al romanzo “Numero Sconosciuto” di Giulia Besa. È la storia di Cristina e della sua vendetta nei confronti della Dea Artemide. Forse è la stessa Cristina che compare nel libro. Forse no.
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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PARTE I


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Post: 1. Titolo: nuovo blog. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Torno online dopo altri tre mesi di “vacanza”. Nuovo sito e nuovo blog. Quello vecchio su splinder l’ho cancellato. Era diventato un covo di lunatici, ed ero stufa di rispondere alla solita domanda: se davvero credi a quello che scrivi, perché non credi anche alle scie chimiche? Agli omini verdi? Ai fantasmi? A Nibiru? E a non so quale altra cazzata.

Io credo solo a quello che ho visto con i miei occhi. E mi ricordo ogni dettaglio, ogni singolo dettaglio.

Prima di cancellare il vecchio blog ho salvato gli articoli e i commenti più interessanti. Magari li riproporrò. Non sono ancora sicura, non sono neanche sicura di pubblicare questo articolo. In fondo scrivo solo per sfogarmi, non per comunicare con altri. Per questo ho deciso che in ogni caso terrò chiusi i commenti. Se proprio volete parlare con me contattatemi via mail. Trovate l’indirizzo alla pagina “Chi sono”. Ma non fatemi perdere tempo con le stronzate, ché tanto non vi rispondo.

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Post: 2. Titolo: assenza (in)giustificata. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Il nuovo blog comincia alla grande, nessun articolo per due mesi. ^_^

Ho avuto da fare. Ho trovato un lavoro. È un po’ particolare, ve ne parlerò.
Sono stati due mesi tranquilli, “normali”, non ho mai sentito il desiderio, l’esigenza, di sfogarmi. Sono guarita? Non lo so, lo saprò da domani. Stasera smetto di prendere il risperdal e gli altri farmaci. Quelli che mi hanno prescritto durante l’ultima “vacanza”. Per forza, non posso lavorare rincretinita.

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Post: 3. Titolo: incubo di una notte di mezza estate. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Be’, un successo! Tre giorni senza quelle medicine di merda e ho subito qualcosa da scrivere. Quando finisco di vomitare l’anima.

L’ho sognata.

Il solito sogno, solo che ha scoperto che non abito più a casa dei miei. Mi ha seguita fin qui.

I suoi passi risuonavano sui gradini. Una rampa dietro l’altra. Mi sono chiusa in bagno: perché la porta è stretta, e lei non ci può passare. Certe volte mi domando se faccio ragionamenti così cretini anche da sveglia.
Ho sentito il frastuono di lei che sfondava la porta di casa, ho pregato che si affacciasse qualcuno sul pianerottolo. La signora dell’appartamento di fronte. Ha tre figli, o quattro. Bambini piccoli. Se si infilano sotto il letto e lei ha voglia di giocare prima di sbranarli passa abbastanza tempo e mi sveglio.

Ma non si deve essere affacciato nessuno, perché i passi sono continuati in corridoio. E l’odore è arrivato fino a me, anche se premevo l’asciugamano bagnato contro il naso.

Quando convivevo con Marco e gli hanno tagliato la luce, le verdure sono marcite nel frigorifero. Gli scarafaggi hanno deposto le uova nell’insalata putrida. Una mattina Marco ha spalancato lo sportello del frigo e ha spruzzato nel cestello per gli ortaggi mezza bomboletta di schiuma velenosa.
Si grattava le guance ispide della barba di giorni e diceva: «Vieni a vederli crepare, vieni!»
Gli insetti sono scappati fuori, gli sono saliti sui piedi nudi. Marco sorrideva. Io sono rimasta a guardarlo seduta sulla sponda del letto, la puzza che veniva dalla cucina mi faceva girare la testa.

Questa è la puzza di lei: un misto di decomposizione, sporcizia, sudore. Il tanfo di cose viscide che si dibattano mentre muoiono.

Lei colpisce la porta del bagno.

Il legno si gonfia, le venature si spaccano, la linfa cola sul pavimento. Le piastrelle si sciolgono in una massa di vermi bianchi. I vermi si intrufolano tra il terriccio umido; felci spuntano sotto il lavandino, intorno allo scarico della doccia. Funghi incrostano le tubature; la corteccia degli alberi copre le pareti, le chiome nascondono il soffitto. Le libellule ronzano nell’aria soffocante che precede il temporale.

Lei non abbandona mai il suo bosco. Il suo terreno di caccia.

Frugo tra l’erba cresciuta sulla mensola sotto lo specchio. Stringo le forbicine per le unghie. Conficco le due lame divaricate nel palmo, spingo nella carne finché mi sveglio.

Vi assicuro che è la maniera più dolce.

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Post: 4. Titolo: incubo parte seconda. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Ho vomitato nel cesso fino all’alba. Lei mi fa questo effetto.

Nota positiva: l’ultima volta ho rigettato solo bile gialla, e non sapevo fosse così efficace nello sgrassare. Non ho mai visto le pareti del water tanto lucide, dove sono passati i succhi gastrici il bianco splende come nelle pubblicità.

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Post: 5. Titolo: mamma è una stronza. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Magari il sogno – l’incubo! – di ieri dipende solo dalla tensione per la visita di mamma. Non sono riuscita a trovare scuse, me la devo sorbire. Saranno i soliti discorsi. Mi dirà che non mi può più lasciare l’appartamento, che deve affittarlo. Che se voglio vivere da sola, devo trovare un lavoro che mi mantenga e mi permetta di pagare l’affitto. Come se fosse facile.

Io le ricorderò che il dottor Falchi ha insistito sul fatto che debba essere indipendente, che può essere utile nella mia condizione. Poi la minaccerò che se insiste torno a vivere con Marco – che credo sia in galera, non importa.

Il solito, sempre il solito. Tanto a casa non ci torno.

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Post: 6. Titolo: un luminare. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Il dottor Cesare Falchi è famoso nel suo ramo. Si occupa di persone affette da disturbo asociale della personalità, ovvero di psicopatici. Ha anche contribuito ad affinare il test di Hare.

Il test di Hare determina se un individuo è uno psicopatico. Ti fanno un’intervista, scartabellano nel tuo passato e assegnano un punteggio da zero a due a venti fattori. Il punteggio massimo è quaranta, se arrivi a trenta sei psicopatico.

I fattori sono del tipo: “si annoia facilmente”, “manca di rimorso”, “ha un’esagerata opinione di sé”, “racconta bugie in maniera sistematica”, “non ha realistici obiettivi a lungo termine”, “ha una vita sessuale sregolata”, “non dimostra empatia”, e simili.

Se sei psicopatico rischi di finire in “vacanza” per il resto della vita, perché non esiste cura.

Ora la parte divertente!

Con un test così generico, uno psichiatra può far passare chiunque per psicopatico. Può rovinare la vita a chi gli pare. Il test di Hare sarebbe lo strumento ideale per uno psicopatico.

Durante una seduta l’ho fatto notare al dottor Falchi e lui è scoppiato a ridere. Il giorno dopo mi hanno tenuta ferma in quattro mentre mi infilava gli aghi nella pancia. In profondità. In modo che non rimanessero bruciature sulla pelle quando dava corrente.

Per fortuna sono svenuta quasi subito. Ma stai male anche i giorni successivi, vomiti sangue e ti pisci addosso.

Il dottor Falchi è uno psicopatico.

Ma non ho prove.

E poi sono pazza.

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Post: 7. Titolo: (non) sono pazza. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Secondo la polizia ho ucciso mia sorella. Anche secondo il dottor Falchi. Poi le perizie hanno dimostrato il contrario, ma il bastardo ha stabilito che ero pazza lo stesso.

Sapete perché?

Perché ho raccontato la verità.

Mia sorella l’ha uccisa lei.

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Post: 8. Titolo: dump diving. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Chi è lei? I lettori del vecchio blog lo sapranno già, gli altri lo scopriranno... un altro giorno. ^_^

Oggi voglio parlarvi del mestiere che faccio, perché è curioso. Io mi occupo di dump diving. Frugo nella spazzatura. Detta così pare che io sia una barbona, invece si tratta di un lavoro all’avanguardia.

Il lavoro me l’ha trovato Fabio, un “amico” di Marco. Era il periodo che Marco si era messo in testa di fare le truffe con i bancomat. Così ha conosciuto Fabio, un esperto di sicurezza informatica.

Fabio spiega a Marco come smontare gli sportelli del bancomat per sostituire il lettore di tessere. Ci prova almeno. Marco è fottuto idiota. Mi sembra di essere di nuovo a scuola, con il prof di mate che vuole insegnarci gli integrali quando metà della classe ha difficoltà con le quattro operazioni.
A un certo punto Fabio si incazza. Ma prima di andarsene mi osserva da capo a piedi. Mi lascia il suo biglietto da visita. «Abbiamo sempre bisogno di facce nuove.»

Quando lo chiamo, qualche settimana fa, non ho idea di che cazzo avesse in mente. Ma ho bisogno di un lavoro e non so fare niente.
Si scopre che il lavoro consiste nello sguazzare tra il pattume a scopo spionaggio. Le aziende non sempre sono abbastanza attente da bruciare i documenti, smagnetizzare gli hard disk, sfasciare gli stick USB, le memory card, i CD-R e i DVD-R. Spesso buttano via senza pensarci.
E qui intervengo io. Raschio i cassonetti e recupero ogni materiale interessante. Fabio mi paga una piccola cifra per qualunque reperto utile. Se poi le informazioni estratte si rivelano di pregio, ho diritto a un bonus.

Il mese scorso ho racimolato circa 600 euro lavorando un paio di ore a notte. Ho anche recuperato uno spremiagrumi elettrico funzionante e un quadro di arte astratta. Non ci capisco niente di pittura, ma mi piace.
Invece il dizionario enciclopedico di mitologia l’ho buttato. Era un bel volume, come nuovo, ma le pagine centrali erano appiccate tra loro, impastate di sperma. Vorrei proprio conoscere il demente pervertito che si masturba con un dizionario di mitologia.
Ripensandoci, no, faccio volentieri a meno.

L’altro ieri Fabio mi ha avvertita di stare attenta: i primi tempi è facile, perché sei una “faccia nuova”, pensano che tu sia una mignotta o una stracciona. Ma se capiscono quello che fai sono botte.

Mi ha detto che se voglio mi procura una pistola.

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Post: 9. Titolo: anniversario. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Sono passati cinque anni dall’incidente. Per la mamma è “l’incidente”. Per tutti è diventato “l’incidente”. Una disgrazia. Non è colpa di nessuno. Be’, quasi: io avevo bevuto troppo e allora ho trascinato mia sorella in cima alla collina, le ho staccato la faccia a morsi e l’ho buttata di sotto. Non prima di aver controllato l’orario dei treni, in modo che il corpo venisse travolto dall’intercity Bologna – Milano delle ventitré e quaranta.

No, no, no. Non è andata così. Anche la polizia ha cambiato versione.

Sono stati i cani selvatici. Sì, credo siano stati i cani. Io mi sono inventata una storia incredibile perché avevo bevuto troppo e non sono riuscita ad aiutare mia sorella. Dovevo proteggermi dal senso di colpa.

Oppure sono pazza. Ma questo lo sapete già! ^_^

Però, ok, devo ammetterlo: il senso di colpa ce l’ho. Sono rimasta impietrita mentre lei affondava i denti da squalo nel viso di Angela. Vero, non avrei potuto fare niente, ma il mio unico pensiero era scappare.
Il corpo di Angela si è afflosciato sulle foglie marce ed è scivolato giù. Lei lo accompagnava con lo sguardo. Io pensavo solo: “Oddio, non ti girare nella mia direzione, non ti girare nella mia direzione!”
Angela è rotolata tra gli alberi, lei l’ha seguita. Poi il rombo del treno, la luce abbagliante dei fari, il fischio dei freni.

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Post: 10. Titolo: come funziona il senso di colpa. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Mi sono vestita per andare al cimitero. Ho tirato su la tapparella e ho aperto la finestra per controllare se pioveva. Ho guardato giù, quattro piani più in basso. Il cortile interno è tappezzato di mattonelle sbrecciate. Una pianta rachitica spunta in mezzo al cemento.

Ho fatto due passi indietro e ho immaginato la scena: breve rincorsa, il piede destro sul calorifero sotto la finestra, il piede sinistro sul davanzale, e poi il salto. Cruciale è cadere di testa. E non mi sembra difficile.
Mi sono vista schiacciata al suolo, la fronte spaccata, il sangue e il cervello che si spargono sulle mattonelle.
Non ne sono sicura, ma credo che così si muoia subito. Impiccarsi, tagliarsi la gola, elettricità, veleno: soffri. Ma se ti rompi il cranio finisce tutto in un attimo. L’ho letto su un sito specializzato in suicidi. No, non quei siti da sfigati che ti propongono di parlare con uno psicologo, che ti assicurano che la vita è degna di essere vissuta, che ti minacciano con la prospettiva dell’Inferno. No, niente del genere, era un sito serio, che ti spiegava come farlo nella maniera migliore.

Nessun dolore. Nessun rimorso. La soluzione perfetta.

La prospettiva giusta è questa: suicidarsi è l’unica decisione di cui non potrai mai pentirti. I pazzi non sono quelli che ci provano, sono quelli che neanche ci pensano.

Sono rimasta a casa. Non vado a portare i fiori. Non oggi. Ché se incontro mamma finisce che mi ammazzo sul serio. E poi i fiori sono una cazzata, non ho mai capito perché portare fiori ai morti.

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Post: 11. Titolo: come volevasi dimostrare. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Mamma si è lagnata al telefono. Avrebbe voluto incontrarmi. Le ho detto che se viene qui a casa le picchio la porta sul naso e glielo rompo. Ha risposto che chiama i carabinieri.

Ma non lo farà. L’ultima volta che mi ha fatta incazzare sul serio le ho tirato la tazza del caffelatte in faccia: pronto soccorso e tre punti alla tempia. Si è presa un bello spavento a sentire il sangue che le colava nell’orecchio.

Così impara.

Adesso, se solo la smettesse di frignare!

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Post: 12. Titolo: lei. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

La chiamo sempre e solo “lei”. Perché non ha davvero un nome, esiste da prima dei nomi. Però nel corso della storia il nome più comune che le è stato attribuito è Artemide.

Sì, avete capito giusto, mia sorella è stata ammazzata dalla Dea Artemide.

State sghignazzando? Avete chiamato un amico a leggere il blog e intanto vi picchiettate la tempia? Sono pazza, vero?

Ficcatevi un palo su per il culo e andate a farvi fottere.

Bene.

Quelli che sono rimasti hanno diritto a una spiegazione più articolata.

Avete presente J. M. Barrie? Forse lo avrete sentito nominare, è l’autore di Peter Pan. Sì, quella stronzata con Trilly e Capitan Uncino. Ho visto il film da bambina e già allora mi aveva fatto schifo. Ma non importa, quello che importa è che Barrie ha scritto:
“Quando il primo bambino sorrise per la prima volta, la risata si spezzò in migliaia di frammenti che si dispersero nell’aria e questa fu la nascita delle fate.”
Non è una cazzata. Esistono creature soprannaturali nate dai desideri, dai sogni, dai pensieri, dai sentimenti degli esseri umani. Sono poco più di scintille nelle notti buie, quando le nubi nascondono la luna e le stelle. Sono un soffio di vita che si dissolve in fretta come è nato.

Esistono poi altre creature, che non sono nate dagli uomini. Creature plasmate da emozioni che non appartengono alla nostra specie. Creature nate dal respiro di esseri immensi e oscuri che abitano il cuore di tenebra delle galassie.

Gli scienziati la chiamano: radiazione termica dei buchi neri. Ignoranti. È il loro respiro, che giunge fino a noi, impregna la carne e dà vita a quelli che chiamiamo Dei.

Artemide è una di loro. Un mostro demente che uccide dall’alba del mondo. Il mostro che ha dato la caccia a mia sorella.

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Post: 13. Titolo: testimonianze. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Sul vecchio blog avevo preparato una pagina apposita per raccogliere testimonianze degli incontri con Artemide. Ho ricevuto oltre 500 commenti. E volete sapere una cosa? Siete tutti dei dannati bugiardi!

Non l’avete davvero incontrata. Cercate solo delle scuse. Perché non avete chiuso bene il flacone dei farmaci e il piccolo Luca ha ingoiato metà pillole come fossero caramelle. Perché parlavate al cellulare, non avete visto i cartelli, e vostra moglie è rimasta impalata da un ramo quando la macchina è uscita fuori strada.

Perché eravate ubriache e quando la sorellina se ne è andata dalla festa da sola non l’avete seguita subito.

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Post: 14. Titolo: vestiti. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Durante la “vacanza” alcuni giorni mi vestivo di tutto punto. Il dottor Cesare Falchi mi spiegava che lo facevo solo per ingannare il personale.

Altri giorni rimanevo in pigiama. Il dottor Cesare Falchi mi spiegava che dovevo impegnarmi di più per dare valore al mio aspetto e alla mia vita.

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Post: 15. Titolo: spam. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Secondo Gmail, ho ricevuto questa mail quattordici mesi fa. Il testo dice  solo:

“Vuoi vendicarti?”

Non ho mai risposto. Mi puzza di spam: se dico che voglio vendicarmi ecco che posso farlo con appena 29,95 dollari! Acquistando un manuale che mi spiegherà come superare i miei problemi e trasformare le emozioni negative in energie positive.

Oppure è qualche svitato.

Forse uno svitato è meglio di niente.

Nell’ultimo periodo ho difficoltà a conoscere gente nuova. Ho persino preparato un discorso per gli interessati, nel quale definisco la mia professione come “archeologia urbana”, ma non ho ancora avuto modo di sfruttarlo. Gli uomini mi evitano, le persone mi evitano.

Magari puzzo e non me ne rendo conto.

La punta del cursore tentenna sul pulsante “rispondi”.

Al massimo se è uno svitato lo mando a fare in culo senza neanche incontrarlo.

>> “Vuoi vendicarti?”
“Sì”

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Post: 16. Titolo: regalo. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Ho trovato Fabio sul pianerottolo. Impettito come sempre, teneva in mano una scatola di scarpe chiusa dallo spago. Sul coperchio si aprivano due forellini.
«Non mi piace tenere animali per casa» gli ho detto.
Si è sistemato il nodo della cravatta e mi ha offerto la scatola. «Gli oggetti respirano.»

La scatola contiene una pistola e una manciata di proiettili.
«Non credo di avere i soldi per pagare» gli ho detto.
«È un regalo. Ti sarà utile.»

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Post: 17. Titolo: regalo (più tardi). Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

La pistola respira. Il calcio si contrae e si distende, le venature sul ferro pulsano come se il sangue scorresse al di sotto della ruggine. Mi sono scolata mezza bottiglia di vodka alla fragola e non è cambiato niente. La pistola era viva prima e lo è ancora adesso.

Sono pazza. Sul serio. Questa ne è la prova.

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Post: 18. Titolo: regalo (ancora più tardi). Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Ho infilato otto proiettili nel caricatore. L’ho spinto nel calcio della pistola, legno e metallo si sono deformati per accomodarlo. Mi sono puntata la pistola alla faccia, dritto in mezzo alla fronte. Ho piegato l’indice intorno al grilletto.

L’occhio si è spalancato allo sbocco della canna. L’iride viola, il bianco solcato da venuzze, la pupilla verticale. L’occhio ha lacrimato, una sostanza oleosa e nera. È colata tra le rughe del metallo, mi ha bagnato la mano.

Ho gettato la pistola contro lo sportello del frigorifero. Dopo il rimbalzo è scivolata sulle piastrelle della cucina. È finita sotto la credenza.

Come cazzo la tolgo da lì? Non vado certo a ficcare la mano nel buio. Spero di tirarla fuori spingendola con il manico della scopa. Se ci riesco la rimetto nella sua scatola di scarpe e la seppellisco. Ho già abbastanza problemi a prendere sonno senza armi demoniache in casa.

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Post: 19. Titolo: tomba. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Quando ero bambina avevo un gatto. Un micino con il pelo arancione. Mia sorella lo ha ucciso, lo ha chiuso in una scatola di scarpe e lo ha seppellito in giardino.

Me lo ha confessato due anni dopo che Pulce – così avevo battezzato il gattino – era scomparso. Angela aveva cercato di fargli il bagnetto nel lavello. Quando aveva aperto l’acqua Pulce era schizzato fuori, era caduto male e si era rotto una zampa. Per paura di essere sgridata dalla mamma, Angela lo ha nascosto nell’armadio, sotto le vecchie coperte. Finché Pulce non è morto soffocato.

Avrei voluto afferrarla per i capelli, schiacciarle la faccia contro l’asse da stiro e premere la piastra bollente del ferro sulla sua guancia. Non ne ho avuto il coraggio. «Un giorno la pagherai» le ho detto.

Ho letto da qualche parte che la tastiera di un PC è uno dei posti più luridi che si possano immaginare. Peggio di un cesso pubblico. La sporcizia si accumula sotto i tasti senza che ci accorga e alla fine la tastiera diventa un’incubatrice per ogni genere di germi.

Questa sera contribuisco un bel po’: mi sono lavata le mani, più volte, ma ho ancora terra sotto le unghie. Ho voluto scavare una buca profonda, prima di buttarci dentro la pistola.

Angela non mi ha mai indicato il punto esatto dove avrebbe seppellito Pulce. Forse non l’ha fatto, forse lo ha solo buttato in un cassonetto dei rifiuti. Forse uno di questi giorni me lo ritrovo zombie mentre frugo tra la spazzatura.

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Post: 20. Titolo: foto. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Oggi Fabio aveva due buste. La prima erano i soldi del mese – naturalmente mi paga in nero; la seconda conteneva fotografie. Le ho sparpagliate sul tavolo.

All’inizio non ho capito il senso, finché non ho trovato una foto del “luminare”. Il dottor Cesare Falchi. Le altre foto sono foto dell’appartamento dove abita. Esterno del palazzo, tromba delle scale, pianerottolo, ingresso, soggiorno, le varie camere. E foto del SUV che guida e del garage, foto del parcheggio dell’ospedale. Immagini satellitari prese da Google Maps del percorso che fa tutti i giorni per andare al lavoro. Dietro le foto sono segnati gli orari. E dietro la foto di Falchi:

“La giusta vendetta non sarà punita.”

Scritto in stampatello.

La bottiglia di vodka era ancora piena per un terzo. L’ho vuotata in un solo, lungo sorso.

Poi mi sono messa carponi, e ho allungato il braccio sotto la credenza. Ho tastato finché non ho sentito terra smossa sotto le dita. Ho percorso con i polpastrelli il profilo della canna, che spuntava tra le piastrelle. L’ho afferrata e ho tirato. Ho sradicato la pistola.

È incrostata di terriccio. In alcuni punti rimangono grumi ammuffiti di cartone, i resti della scatola di scarpe. Radici sottili avvolgono il grilletto.

Ho graffiato via lo sporco con le unghie.

Non mi stupisce che sia tornata da me. È uno dei vantaggi della pazzia.

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Post: 21. Titolo: tiro al bersaglio. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Sono seduta sui sedili in fondo all’autobus, la pistola avvolta in carta di giornale, nascosta in un sacchetto di plastica azzurro. Scendo al capolinea, scavalco il reticolato, cammino tra l’erba secca alta fino al ginocchio. Il ronzare delle libellule si sostituisce ai rumori del traffico. Fa caldo e non ho portato niente da bere. Trascino i piedi per tutta la mattina, vago per i prati incolti in cerca del luogo adatto.

La cascina diroccata emerge dalla sterpaglia, superato un canale di scolo. È circondata da uno steccato e i cartelli avvertono di non avvicinarsi perché il tetto è pericolante. Scritte fatte con la vernice spray si incrociano sull’intonaco che cade a pezzi. Numeri di telefono, offerte di sesso a pagamento, inni a Satana, parole senza senso. A caratteri cubitali, in inchiostro blu:

LA COSCIENZA È LA CANCRENA DELL’ANIMA.

Giro intorno alla costruzione. Sul retro mancano intere sezioni dello steccato. Entro nella cascina da una porta che pende attaccata a un solo cardine. L’interno è occupato da un solo locale. Al centro si innalza una montagna di calcinacci: il pavimento dei due piani superiori è franato. Tra i detriti spunta l’intelaiatura di ottone di un letto, l’anta dell’armadio, il pomello di un cassetto, pagine arricciate di un romanzo tascabile, schegge di vetro, i bracci contorti di un candelabro. La luce filtra da decine di buchi nel tetto, dove mancano le tegole.

L’aria puzza di polvere e di rancido. Come se sotto i calcinacci qualcosa di biologico stesse marcendo. Come se lei fosse passata di qui.

Scarto la pistola e la sfilo dal sacchetto, indietreggio di due passi, stringo il calcio con la mano destra, punto la canna verso un punto nella montagna di detriti. Dove spunta l’angolo di una cornice.

Premo il grilletto.

Il rinculo mi fa alzare il braccio, il boato dello sparo echeggia tra le pareti scrostate. Lacrime nere gocciolano dalla bocca della canna.

Mi arrampico sulla catasta di detriti, attenta a non strapparmi i jeans. Il proiettile ha colpito la cornice nel punto esatto dove avevo mirato. Ha disintegrato le due asticelle di legno, i moncherini sanguinano. Raccolgo sul polpastrello dell’indice una goccia di liquido rosso e denso. Lecco il dito. Sì, sangue.

Mi apposto lungo la parete di fondo del locale, la schiena contro il muro. Alzo la pistola e miro a un mattone. Chiudo gli occhi.

Fuoco!

Batto le palpebre. Il mattone non esiste più, polverizzato. Macchie rosse sporcano i calcinacci tutto intorno.

Scoppio a ridere.

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Post: 22. Titolo: pianificazione. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Ho fatto qualche ricerca su Internet. La pistola potrebbe essere uno tsukumogami, un oggetto che acquisisce un’anima dopo cento anni di utilizzo. Questi spiriti non sarebbero malvagi, a meno che il proprietario dell’oggetto non voglia sbarazzarsene.

Merda! Mi sa che ho proprio cominciato male il mio rapporto con la pistola.

Ma non è così importante, non intendo usarla. Almeno per ora. Mentre tornavo dalla cascina mi è venuta in mente la giusta punizione per il dottore. Non si merita di morire in maniera pulita.

Dannato psicopatico. E poi sarei io quella pazza!

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Post: 23. Titolo: le piccole soddisfazioni della vita. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Batto le nocche sul finestrino del SUV. Il dottore lo abbassa. Strizza gli occhi, ha il sole in faccia.

«Cristina?»

Gli punto la pistola contro il muso. «Spegni il motore e passami le chiavi. Fai piano.»

«Cristina, cosa–»

«Non farmi incazzare! Le chiavi, subito!»

Il cuore mi martella nel petto, a ogni battito il sangue pulsa nelle dita strette intorno al calcio della pistola. Sento il sangue pulsare nella pistola, come se fosse parte di me. Le lacrime nere si mescolano con il sudore, gocciano dal polso.

«Muoviti!»

Sfila le chiavi e me le porge, gliele strappo di mano. Giro intorno all’auto e salgo dietro. Mi accomodo sul sedile posteriore. Spingo la canna della pistola contro la nuca del dottore. «Adesso ti ridò le chiavi, tu metti in moto e guidi fino a dove ti dico. Non aprire bocca.»

Non sono scema, questa scena l’ho vista in un sacco di film. Se lo lasci parlare, lo psichiatra ti riempie di dubbi, cerca di convincerti che stai sbagliando, magari insinua che sei pazza.

Non mi faccio fregare. E appena scendiamo ho pronto un bel rotolo di nastro adesivo per imballaggi. Nastro spesso e resistente, che usano persino per riparare le pale degli elicotteri.

In ogni caso questo post è meglio se non lo pubblico.

Lego le mani dietro la schiena del dottore, dopo averlo imbavagliato con il nastro adesivo. Lo pungolo in mezzo alle scapole con la canna della pistola. Camminiamo tra gli steli secchi. La cascina spunta all’orizzonte, tra la foschia del mattino.

Il pozzo è sul retro. Do un calcio alla tavola di legno che copre l’apertura. Tanfo di cibo andato a male. Il dottore si volta verso di me, mugugna nel bavaglio. Raccolgo un sasso e lo colpisco al volto.

Crolla a terra, un filo di sangue gli scende dalla fronte e cola tra la barba grigia e bianca. Accenno al pozzo con la pistola. «Rialzati e salta dentro. Altrimenti prima ti massacro e poi ti ci butto io.»

È stato un lavoraccio. Gli ho rotto il naso e gli zigomi, gli ho ficcato i pollici negli occhi, gli ho spezzato le dita delle mani. Non perdeva conoscenza, continuava a dibattersi e a gemere.

Io non l’ho mai fatto. Mi mordevo la lingua e stavo zitta. Non gli ho mai dato la soddisfazione di gridare per il dolore.

Psicopatico senza dignità.

Il casino è stato spingerlo perché cadesse di gambe, ci ho impiegato ore. Sono rimaste macchie di sangue sulle pietre del pozzo e sul terreno duro. Le ho coperte con un po’ di sterpaglia.

Tornando a casa ho vomitato in un cestino per la carta straccia.

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Post: 24. Titolo: notizie. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Ho passato la sera a cambiare canale. Mi sono sorbita sei telegiornali diversi, compresi due di piccole televisioni locali. Nessuno parla del dottore. Non hanno ancora denunciato la scomparsa? Non ho idea di come funzionino queste cose. Però meglio così: più passa il tempo più le indagini diventano difficili.

Cazzi loro.

Ormai ho la pistola in mano da più di sedici ore. Ho timore ad aprire le dita, ho la sensazione che se lo facessi la pelle rimarrebbe appiccicata al calcio. Il che è assurdo. Assurdo persino per me. Lo stesso non voglio provare.

Questa notte non vado al lavoro.

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Post: 25. Titolo: simbiosi. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Ho la pistola appiccicata alla mano da tre giorni. La pelle intorno alle unghie si è gonfiata ed è diventata nera. Ha lo stesso odore di un dente cariato. Macchie di ruggine chiazzano il dorso della mano fino al polso, se cerco di grattarle via cola fuori pus biancastro. Non muovo più le dita, tranne l’indice che posso distendere o piegare intorno al grilletto.

Viticci pendono dalla pistola. Fili sottili che si agitano come i tentacoli delle meduse. Alcuni filamenti si sono attorcigliati al braccio.

O almeno così appare guardando attraverso un bicchierino pieno di whiskey. Sono tre giorni che bevo, vomito, guardo i telegiornali. Non parlano del dottore.

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Post: 26. Titolo: test. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Non esiste blog senza un post in cui si risponde a qualche stupido test!

Chi sei dove sei nata qual è il tuo colore preferito chi eri in una vita precedente a che età l’hai fatto la prima volta quale personaggio di harry potter vorresti essere hai mai torturato e ucciso qualcuno?

Andate a farvi fottere.

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Post: 27. Titolo: nuove foto. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Suona il campanello. Mi avvicino alla porta senza fare rumore, la pistola dietro la schiena. Apro il battente di due dita. Fabio. Non lo aspetto oggi. Credo. Non so che giorno è oggi.

«Cosa vuoi?»

«Uno dei miei clienti è rimasto molto impressionato dal tuo comportamento.»

Spalanco la porta. Gli punto l’arma al petto. «Piantala con le stronzate. Chi cazzo sei? Per chi lavori?»

La mano di Fabio scorre sotto il risvolto della giacca. Faccio scivolare il dito sul grilletto. Lui rallenta i movimenti. Estrae la solita busta. Me la porge.

Scuoto la testa. «Non voglio più niente da te. Mi licenzio.»

Fabio si stringe nelle spalle. Lascia cadere la busta sullo zerbino. Si volta e scende le scale. Il battito di tacchi delle sue scarpe di pelle nera risuona sempre più debole. Quando non lo sento più, mi chino a raccogliere la busta.

La tengo ferma con la mano buona e strappo il bordo con i denti.

Immagini di lei.

In alcune è ripresa da lontano, è poco più di una macchia grigia contro le ombre della foresta. Come quelle foto dell’abominevole uomo delle nevi, che potrebbe essere un orso polare, come un pupazzo di neve, come una semplice illusione ottica, una forma inconsueta tra le distese di ghiaccio.

In altre foto la si vede da vicino. La pelle ruvida simile a carta vetrata, composta da un manto di minuscole scaglie ossee; le branchie sul collo, che filtrano l’aria e rilasciano esalazioni velenose; le fauci spalancate sulle file parallele di denti, zanne più lunghe di un palmo; gli occhi tondi e neri, senza iride, senza palpebra, due cavità oscure.

Nelle leggende Artemide caccia armata di arco. Ma questo accadeva millenni fa, adesso si aggira usando le frecce come lance. Non ha più eleganza, si muove gobba strascicando i piedi callosi. Un cane idrofobo. E i cani rabbiosi si ammazzano con un colpo in testa.

Sollevo la pistola. I viticci hanno scavato nella carne del braccio e si sono incuneati sotto la pelle. Strisciano in avanti, verso la spalla. Non mi dà fastidio. È giusto così.

L’ultima foto è di nuovo presa da Google Maps. La posizione di Artemide è segnata da una croce. Dietro la foto:

“In guerra non conta chi ha ragione, conta solo sopravvivere.”

Scritto in stampatello.

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Post: 28. Titolo: un sogno si avvera. Data: senza data. Categoria: nessuna. Etichette: nessuna. Stato: bozza.

Se state leggendo queste parole significa che sono morta.

Wow! Ho sempre sognato di scrivere una frase del genere! ^_^

Ho impostato il programma che gestisce il blog in modo che pubblichi tutti gli articoli tra 48 ore. Se non sarò tornata chiunque potrà leggere questi post e pensarne quello che vuole. Se invece riuscirò ad ammazzarla, be’, non credo avrò più motivo per scrivere, né ci tengo ad avere pubblicità, perciò cancellerò gli articoli e nessuno saprà mai che questo blog è esistito.

I viticci della pistola sono arrivati al collo. Non so cosa accadrà quando strisceranno fino al cervello. Ma non me ne preoccupo. Rileggendo quanto ho scritto nelle ultime settimane devo concludere senza ombra di dubbio che sono matta come un cavallo.

Nessun dubbio a riguardo. Nessuno.

Ho anche pensato che forse niente di tutto questo è reale. Forse sono in una cella imbottita, la saliva che mi cola dal mento, lo sguardo allucinato. Intrappolata in un labirinto di fantasie indotte dai farmaci. Ma anche se fosse così, non sarebbe una condizione diversa da quella di qualunque essere umano: marionette di carne manovrate da forze oscure e aliene.

Quel che sia.

Questa notte parto.

Non ho rimpianti.



FINE PARTE I

   
 
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