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Autore: Spring Dania    20/08/2011    1 recensioni
Riprese il telefono e il giornale, poi digitò nuovamente il numero di Sakura e attese.
Il numero della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile.
Sasuke cercò di mantenere la calma: magari le si era scaricato il telefono proprio mentre stava andando a cercarlo.
No.
Sakura non era esattamente il tipo che si faceva scaricare il cellulare giusto prima di un appuntamento con lui.
L’opzione chiamata era fallita perciò l’alternativa che gli restava era andare a cercarla.
Dove poteva trovarsi?
Hinata gli aveva detto che Sakura era uscita di casa per andare a cercare lui: questo significava che si era diretta specificatamente da casa sua in direzione dell’istituto.
Aspettò.
Il ragionamento di Sasuke non faceva una piega, sicuramente le cose erano andate in quel modo.

La storia di Naruto in un universo alternativo.
L'amore segreto per Naruto di una timida compagna di classe, Hinata, la serrata silenziosità di Sasuke e il suo irremovibile desiderio di vendetta.
Pairing: Naruto/Hinata, Sasuke/Sakura, Kakashi/Anko e molti altri.
Fanfiction ripresa dopo anni di pausa... perdonate perciò la differenza di stile tra inizio e fine.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Asuma/Kurenai, Hinata/Naruto, Jiraya/Tsunade, Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Naruto prima serie, Naruto Shippuuden
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Uuuh quante visualizzazioni :) e grazie a ladyvampire90 per aver scritto la recensione, per aver aggiunto la storia tra le seguite e tra quelle da ricordare =)
Ringrazio inoltre tofuavariato per aver aggiunto la mia ff tra le preferite, Uchiha_sama per averla inserita tra quelle da ricordare e rory94, sasukina90 e VeRy327 tra quelle seguite. ^^



Capitolo 8
Un giorno perfetto


Just a perfect day
problems all left alone
Weekenders on our own
It’s such fun…
Just a perfect day
you made me forget myself
I thought I was
someone else, someone good …

Perfect day – Lou Reed

“Ogni giorno che passa mi stupisco sempre di più della determinazione dei ragazzi che fanno parte di quella classe.”
Un difetto che aveva Asuma Sarutobi era quello di fumare come una ciminiera; era stato etichettato come fumatore accanito sin dai tempi del liceo e la sua fama si era incrementata mentre frequentava l’università e su questo non ci pioveva.
La sua voce era diventata rauca, i suoi vestiti erano sempre impregnati dell’odore del tabacco bruciato, i suoi denti non avevano un colore tendente al bianco da circa vent’anni e in più le sue dita difficilmente non stuzzicavano il pacchetto delle sigarette quando non fumava.
Tutto sommato Asuma era un bell’uomo, piuttosto equilibrato in tutto ciò che faceva e galante con le donne abbastanza per non poter passare inosservato e troppo poco per far loro montare la testa; forse perché comunque i suoi pensieri si concentravano per lo più su una soltanto e quindi tendeva a non esporsi in maniera particolare.
E poi aveva un particolare pregio.
Asuma Sarutobi riusciva a notare in breve tempo le menti geniali, a incoraggiare i più timidi a fare meglio e a sorridere di fronte alle stranezze.
“Che è successo?” Chiese Kurenai, gentilmente, alzando gli occhi dal suo giornale.
La sala professori era deserta.
Asuma sorrise brevemente e raccontò a Kurenai il motivo di quell’affermazione: quella mattina era andato alla macchinetta del corridoio del primo piano per bere del the con Kakashi, che discretamente stava tessendo le lodi del motore del suo nuovo suv, quando gli era venuto incontro Shikamaru Nara con uno sguardo seriamente irritato.
La cosa strana di quell’incontro era che il ragazzo gli si era fermato davanti con le mani in tasca, gli occhi visibilmente sgranati e il naso deformato in una smorfia indisponente.
“Qualcosa non va, Shikamaru?” gli aveva chiesto Asuma.
“Valuti un po’ lei.” Aveva risposto Shikamaru come se la cosa non lo riguardasse.
“Come sarebbe a dire?”
“Sa benissimo di cosa sto parlando.”
La provocazione che gli aveva lanciato il ragazzo quella mattina era priva di qualunque senso: per prima cosa, Shikamaru Nara era uno dei suoi migliori studenti, uno di quelli che dava l’impressione di essere in grado di ragionare su un compito di matematica o su un quesito posto alla lavagna avendo studiato unicamente per un paio di giorni o per poche ore a settimana; secondo fatto, Asuma conosceva i genitori del ragazzo e inoltre al colloquio non avevano fatto altro che ripetergli che il ragazzo si sentiva decisamente a suo agio nelle ore di matematica, un po’ meno in quelle di fisica, ma comunque amava la materia e apprezzava il lavoro e la simpatia dell’insegnante.
Non riusciva a capire quale torto avesse mai potuto fargli.
Le risposte alle domande che Asuma aveva cominciato a porgersi però, dacché il ragazzo gli si era presentato davanti, non tardarono ad arrivare.
“Lei! Non mi sta facendo fare mezzo esercizio decente da quando mi ha fatto iscrivere a quelle dannate gare di matematica!” Shikamaru si era messo a braccia conserte. “Mentre qui ci sono certe cornacchie che si vantano di essere le più giovani vincitrici degli ultimi dieci anni!”
Ecco qual era il problema, una donna. E sapeva anche di chi stava parlando.
“Stavo facendo il mio stupido sudoku, quella vacca si è intromessa e me l’ha risolto in tre… dico, TRE SECONDI!” Shikamaru aveva alzato indice, medio e anulare. “Senta professore, inizialmente non era da me impegnarmi più del dovuto… non posso però sopportare di essere umiliato così! Pretendo una maggiore dedizione, da parte sua.”
Kurenai guardò Asuma con tanto d’occhi, mentre quest’ultimo scoppiava a ridere al racconto di quel curioso episodio.
“E cos’hai deciso di fare?”
“Niente. Gli ho detto di venire due volte a settimana a casa mia per fare un po’ di esercizio di potenziamento oltre a quello che fa per conto suo. Mi ha chiesto la dedizione, gliela sto dando. Ho fatto bene?”
Kurenai fece per posare la matita rossa con la quale stava correggendo gli ultimi tre compiti della prima F quando Anko entrò nella sala professori, correndo a perdifiato.
“Oh, Anko.” Esordì Kurenai, rassegnandosi all’idea di poter comunicare col collega di matematica ogni qual volta fosse presente Anko.
“Finalmente, vi ho trovati!” La donna poggiò tutto il suo peso sulle mani, stancamente, inclinando di un paio di centimetri sotto di sé il tavolo al quale stavano seduti Asuma e Kurenai.
“Che è successo?” domandò Kurenai.
“Ieri mattina è successa una cosa pazzesca.” Anko si piegò in due tossendo amaramente per poi riprendere la parola. “Kakashi è venuto a prendermi con la sua macchina.”
Asuma e Kurenai si guardarono per diversi secondi con sguardo complice.
“No, no! Che avete capito?!” Anko prese a gesticolare, arrossendo vistosamente. “Non avete capito niente! Non è di questo che volevo parlarvi… È venuto a prendermi con la sua nuova macchina e quando sono salita ho trovato sul cruscotto una specie di nastro e c’era una targhetta con su incisa una foglia! UNA FOGLIA! Non è per caso il simbolo di quella banda?! E Kakashi ne fa parte!”
I due tornarono a guardarsi, stavolta con sguardi intrisi di serietà; rimasero in silenzio.
“Allora?! Non vi viene in mente niente?”
“Anko… non so che dirti!” proruppe Kurenai innocentemente.
“Sei sicura di aver visto quella foglia che dici di aver notato? L’hai vista di sfuggita?”
“Io, non lo so… mi è sembrata una foglia.”
“Può darsi che ti sbagli o sicuramente ci sarà una spiegazione.” Incalzò Asuma. “Non penso che se fosse stato suo si sarebbe fatto scoprire così facilmente…”
“Oh, andiamo! Non è una coincidenza che Kakashi arrivi sempre in ritardo, sicuramente ha altre cose per la testa!”
“Secondo me ti fai troppi problemi tralasciando i particolari più importanti.”
“Quali particolari?”
“Che in tutto questo Kakashi sia comunque venuto a prenderti a casa tua senza che tu glielo avessi chiesto. C’è qualcosa sotto?”
“Ma come ti viene in mente?!”
Senza che Anko se ne rendesse conto, Asuma era perfettamente riuscito a deviare il discorso dove voleva lui, mettendo da parte quella nota scomoda.
Nel frattempo Naruto e Sasuke, camminando in direzione dell’orfanotrofio, stavano litigando su chi avesse fatto meglio il compito di biologia di quel giorno.
Chissà come mai, le interrogazioni e i compiti di Naruto contenevano sempre qualche imperfezione, a parte qualche sporadica performance in cui egli riusciva perfettamente a fare persino meglio dei suoi compagni di scuola.
Le uniche materie in cui non sembrava avere esitazioni erano quelle scientifiche, in linea generale, e nei corsi pomeridiani che stava seguendo con i suoi compagni stava ottenendo ottimi risultati. Andava data una ritoccatina a tutta la parte umanistica.
“Senti, alla fine quando abbiamo l’esame per la cintura nera?”
Sasuke non rispose subito: in quei giorni era stato decisamente silenzioso, forse come conseguenza di ciò che era accaduto a Sakura nella palestra della scuola. Naruto aveva saputo tramite Sakura che Sasuke aveva ricevuto da quei tre teppisti il fazzoletto della Banda del Suono, come segno di rispetto di fronte alla sua determinazione e alla sua forza.
Ovviamente il biondino aveva fatto parola di non dire alcunché ad altri, soprattutto al diretto interessato.
“Fra due settimane.”
“Davvero?! Così presto? Come vola il tempo.”
“Ma com’è possibile che dimentichi sempre tutto?”
“Senti, non ci ho pensato.”
“E quando mai pensi qualcosa?”
Sasuke fece un ghigno di fronte all’espressione indignata di Naruto, che non disse altro e si limitò a incrociare le braccia e voltare la testa da un'altra parte.
La loro attenzione però fu presto catturata da una strana presenza inquietante, perfettamente immobile in fondo alla strada, poggiata al muro di un edificio posto esattamente di fronte all’istituto in cui i due ragazzi risiedevano.
Aveva folti capelli rossi, il colorito della sua pelle era pallido, quasi cereo, e i suoi occhi verdi erano cerchiati da due profonde occhiate. Quel ragazzo all’apparenza della loro stessa età indossava inoltre abiti scuri di buona fattura e portava ai piedi dei robusti anfibi di pelle nera e uno di questi stava poggiato sul muro, come se egli avesse l’atteggiamento di qualcuno che ha la situazione perfettamente sotto controllo, nonostante le evidenti occhiaie che sembravano il simbolo di una grave mancanza di sonno.
Naruto e Sasuke lo guardarono con delle occhiate serie e di sfida non indifferenti fin quando fu loro possibile e il ragazzo ricambiò gli sguardi con altrettanta profondità, forse persino peggiore di quella dei due ragazzi messi insieme.
“Ma chi è quello…?” fece Naruto quando furono abbastanza lontani da non poterlo vedere più.
“Non lo so…” rispose Sasuke guardando dritto. “Non l’ho mai visto.”
“Uchiha, Uzumaki…” i due ragazzi ricevettero un cenno di saluto dal portiere, una volta entrati nell’istituto e, come da normale amministrazione, presero a salire le scale in direzione delle loro stanze.
“Ah, Uzumaki, vieni qui un momento.” Il portiere lo chiamò.
“Che succede, signor Ebisu?”
“Il professor Sarutobi ti vorrebbe nel suo ufficio, dice che è abbastanza urgente.”
Naruto deglutì: che accidenti aveva fatto stavolta?
Sasuke ricambiò l’occhiata come se stesse pensando la stessa cosa e si congedò con un semplice. “Ci vediamo a cena.”
Naruto percorse dunque il corridoio del piano terra che portava agli uffici amministrativi dell’orfanotrofio, in direzione dell’ufficio del direttore Sarutobi, chiedendosi cosa avesse mai potuto fare di tanto grave da essere convocato.
Da quando era iniziato il liceo, Naruto aveva cominciato a comportarsi con maggiore riguardo verso sé stesso e gli altri, capitava per esempio di incrociare quel birbantello di Konohamaru che gli proponeva qualche marachella ma riusciva sempre a mantenere il controllo e a continuare per la sua strada, decidendo di chiudersi in camera e studiare per fare del suo meglio.
Quando arrivò alla porta del vecchio Hiruzen, bussò, con un lieve movimento di impazienza.

Meglio che ci leviamo il pensiero…

“Avanti!” esclamò la voce gracchiante di Sarutobi.
Naruto aprì la porta, leggermente in apprensione, e si decise ad entrare dentro l’ufficio del direttore, che stava seduto dietro la scrivania e di fronte al quale si trovava un uomo vestito in maniera abbastanza distinta, con dei lunghi capelli grigi legati in una coda.
“Buonasera professor Sarutobi, voleva vedermi per caso?”
“Oh, Naruto! Ragazzo mio, entra siediti!” Sarutobi si mise in piedi per andare a sistemargli la sedia. “Ti vedo piuttosto preoccupato, è successo qualcosa?”
Naruto scosse le mani, ponendosi sulla difensiva. “Oh, no professore! Sinceramente mi chiedevo come mai mi avesse convocato, dato che di norma lo ha fatto solo per mettermi in punizione ma è da diverso tempo che non mi metto nei guai.”
“Infatti è così, ti stai comportando brillantemente.” Sorrise il direttore. “Ti ho convocato qui per presentarti quest’uomo, il signor Jiraiya.”
L’uomo sorrise bonariamente. “Sono felice di conoscerti, finalmente.” E tese la mano per stringergliela.
Naruto ricambiò, mostrando comunque una certa perplessità. “Tanto piacere…”
“Sicuramente, Naruto…” cominciò Sarutobi. “… ti starai chiedendo come mai ti abbia presentato il signor Jiraiya… vedi, diverso tempo fa è venuto fuori che tua madre aveva espresso la volontà di affidarti a un tutore, questo signore per l’appunto, che si è battuto per diversi anni per mezzo di avvocati e tribunali di ogni tipo affinché riuscisse a rendere valida tale richiesta.”
“Mia madre mi aveva assegnato un tutore…?”
Naruto non riusciva a credere alle sue orecchie: per quanto ne sapeva sua madre era morta dandolo alla luce.
“Esattamente.” Rispose Jiraiya. “Tua madre sapeva di correre alcuni rischi e aveva agito di conseguenza, falsificando la firma di tuo padre alla dichiarazione di tutela, poiché undici anni fa era irreperibile. La questione che si è posta ai giudici che hanno trattato il caso riguardava per lo più il ruolo di tuo padre, ma essendo morto alla fine hanno stabilito che il reato di falsificazione da parte di tua madre non sussisteva e quindi potevi essere messo sotto la mia tutela. A tale scopo la direzione dell’orfanotrofio e in particolare il professor Sarutobi, mio grandissimo amico, hanno fatto del loro meglio per facilitare tutte queste procedure e mi preme farti sapere che, quando avrai compiuto vent’anni e quindi raggiunto la maggiore età, ti verrà dato tutto quel che apparteneva ai tuoi genitori e che ovviamente ti spetta.”
Naruto fissava quelle due persone sorridenti con tanto d’occhi.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto ricevere queste notizie tutte in una volta e dopo così tanto tempo.” Proruppe Sarutobi, evidentemente rammaricato. “Pensavo però che illuderti che potesse succedere qualcosa sarebbe stato peggio. Ho pensato che sarebbe stato meglio renderti partecipe di ciò se fossi stato certo che tutti i problemi fossero stati risolti.”
“Io… io non so che dire.”
Naruto guardava le sue mani, poste sulle sue ginocchia, contorcersi con nervosismo.
“Naruto.” Continuò Sarutobi. “So che qui hai stretto delle salde amicizie e hai vissuto tutti gli anni che hai compiuto… ma vivere in un’altra casa non significherà di certo non poter più venire qui a fare visita al tuo amico Sasuke. Capisci bene che la fortuna che hai avuto tu di essere affidato a qualcuno lui non l’avrà… e non ha nessuno oltre te, noi persone della comunità e i suoi compagni di scuola. Il ragazzo è diligente e pieno di qualità, sono sicuro che potremo accordarci anche sulla possibilità di far restare Sasuke fuori dall’istituto oltre l’orario di rientro, qualche volta.”
Naruto continuò a tenere lo sguardo rivolto verso il basso.
“Sasuke ha molte persone. Non è solo.”
E Sakura ne era la testimonianza vivente.
“Non intendevo dire questo.” Sarutobi mosse le mani come per scusarsi. “Ma non penso che tu stesso sospettassi che un giorno avresti avuto la possibilità di vivere al di fuori di questo luogo, prima del compimento della maggiore età.”
Naruto aprì bocca, pronto a rispondere, ma ben presto si rese conto di non aver nulla da dire e la richiuse, sentendosi improvvisamente maturato di un paio di anni.
Qualche minuto dopo entrò alla mensa per dare la notizia al suo migliore amico, che in quel momento era seduto davanti al suo piatto di misto sushi; era triste a dirlo ma Sasuke non avrebbe mai sospettato che qualcosa di estremamente importante aveva appena cambiato la vita di Naruto.
Naruto strinse la sua ciotola di ramen e si passò le mani sulla faccia, visibilmente stanco. Faticò a dividere le bacchette e dopo un paio di minuti buoni si costrinse ad abbandonarle sotto la sua mano destra, sul tavolo.
Sasuke lo notò. “Ehi testa quadra, tutto a posto? Che aveva da strigliarti Sarutobi?”
Naruto respirò a fondo e alzò la testa solo dopo che fu riuscito a darsi coraggio.
“Il tribunale dei minori mi ha affidato a un tutore che quindici anni fa era stato nominato da mia madre. Domani dovrò lasciare l’orfanotrofio e andare a vivere a casa di questa persona.”

* * *

“Karadajuu fuu no wa shinzou ni, Hageshinku chi narase yo STOMPING! Taeru tsuki wo usaku CALL ME! Kawarisugiru ga nuki ka STORY!”
Sotto il getto dell’acqua Anko riusciva a dare libero sfogo alla sua voce, perfettamente in grado di giungere a toni molto alti e di incantare insospettabili visitatori.
Uscita dalla doccia si era bardata del suo bianco accappatoio spugnoso, quando improvvisamente aveva udito il trillo del campanello; qualcuno suonava alla porta.
“Oh… e chi sarà?” disse piano mentre si pettinava di fronte allo specchio umidiccio.
Si strinse ancora di più nell’accappatoio e indossò le ciabattine per poi andare in direzione della porta e guardare dallo spioncino.
“No… non ci posso credere! Kakashi, ma che ci fai qui?”
Kakashi si passò una mano tra i capelli argentei e mostrò due cartoni di pizza, sorridendo dolcemente. “Spero che tu non abbia mangiato.”
“Oddio no… entra!” Anko divenne paonazza. “Perdonami se sono impresentabile, se hai qualche minuto di pazienza mi vesto e mi asciugo i capelli…”
E si dileguò.
Kakashi si sedette sul tatami del soggiorno dell’appartamento di Anko, impugnando il telecomando del televisore e mettendo sull’edizione della sera del telegiornale.
Anko, dal canto suo, aveva appena finito di indossare i vestiti meno attraenti che si trovavano all’interno del suo guardaroba, un buffo maglione azzurro con su stampata la faccia enorme di un orsacchiotto rosa sotto la quale stava la scritta ‘ANKO’; poi si era messa un paio di fuseaux neri e le pantofole della stessa tonalità rosa della faccia dell’orso, il tutto reso inguardabile dalla sua faccia a dir poco congestionata.
Il fatto che i suoi capelli non fossero molto lunghi contribuì a fare aspettare Kakashi non più di dieci minuti e, quando tornò in soggiorno, vide che si era perfettamente messo a suo agio accendendo il televisore e guardando i quadri appesi alle pareti.
“Quello è un vero Klimt?”
“No, l’ho dipinto io. È una copia molto fedele, me lo dicono tutti.” Rispose Anko.
“Bel pigiama.”
“Grazie. La pizza si è raffreddata? Ma come mai sei qui? Non mi dispiace la tua visita ma se l’avessi saputo non ti avrei fatto aspettare.”
Kakashi fece cenno con la mano come se la cosa fosse superflua, mentre Anko si spostava verso la cucina per prendere tutti gli oggetti per apparecchiare la tavola.
“Cosa ti porto? Acqua, Coca Cola… birra?”
“No vabbè, sono venuto con la macchina, prendi pure la Coca Cola.”
Anko ritornò in soggiorno armata di Coca Cola, forbici per la pizza, bicchieri e tovaglioli. “Ti sei affezionato alla tua macchina, eh? Non butti più un passo senza di lei.”
“È molto confortevole.”
Anko si sedette di fronte al collega e cominciò a tagliare le pizze. “Itadakimasu.”
“Anche a te.”
“Senti, me lo spieghi come hai avuto quel nastro? Mi hai detto che in macchina non volevi parlarne perché non era sicuro, ma qui siamo a casa mia, non ci sente nessuno.”
Sebbene si pentì immediatamente di essere stata così diretta, Anko lanciò il sasso e ora stava solo a Kakashi afferrarlo; certo, dato che lui era piombato così a casa sua, non sarebbe stato così maleducato rispondere a quella domanda.
Kakashi alzò gli occhi, rassegnato dinanzi all’idea che Anko non lo avrebbe lasciato in pace se non le avesse detto la verità. Facevano come il cane e il gatto ma erano grandi e vaccinati e lo sapevano tutti che il tempo che quei due passavo insieme era molto e che si conoscevano troppo bene e da troppi anni per poter mentirsi l’un l’altra.
“Quello è il mio nastro della Banda della Foglia. Ufficialmente è una banda il cui unico interesse era difendere le persone dalla violenza esercitata da altre bande e i cui componenti non agiscono più da diversi anni; ufficiosamente io, in maniera autonoma, mi sono rimesso in moto perché quelle stesse bande che, per alcuni anni, si erano placate ora si stanno muovendo.”

Si è deciso a rispondere… finalmente.

Anko non osò interromperlo.
“Da parte mia è stato molto imprudente tenere il nastro sul cruscotto della macchina ma non essendo io il capo della banda, non posso farmi vedere in giro con quel tipo di segno di riconoscimento dopo così tanto tempo di silenzio, devo agire da solo. Lo tengo con me nella speranza che qualcosa possa risorgere.” Rispose Kakashi. “Alcune settimane fa tre nostri studenti sono stati aggrediti dal capo delle Bande del Suono e del Serpente, Orochimaru… mi trovavo nei paraggi e li tirati fuori dai guai ma lui mi ha riconosciuto nonostante la maschera e quindi sono portato a stare molto all’erta.”
“Orochimaru… era il mio maestro di karate.”
“Davvero?”
Anko si era lasciata sfuggire quella scomoda verità ma ignorò la domanda di Kakashi. “E… ti ha riconosciuto…?”
“Non sa che mi chiamo Kakashi Hatake e non sa com’è la mia faccia… ma sa qual è il mio stile di combattimento e da questo si è ricordato qual era il mio soprannome storico.” Rispose il collega.
“Chi erano i nostri tre studenti che sono stati aggrediti da Orochimaru…?”
“Sasuke Uchiha, Naruto Uzumaki e Sakura Haruno.”
“Ma secondo te perché li ha aggrediti?”
“Orochimaru aveva interesse a parlare con Sasuke Uchiha… entrambi hanno troppo rancore verso Itachi Uchiha… il fratello maggiore di Sasuke che ha ucciso tutta la sua famiglia…”
Kakashi non disse più una parola e Anko rimase improvvisamente con la bocca secca: quella conversazione aveva cominciato a sfociare in parti oscure della realtà che molti stentavano a immaginare.
Era strano ripensare al suo vecchio maestro Orochimaru, soprattutto perché quando era solo una ragazzina della stessa età di Sasuke, Naruto e Sakura… lei doveva aver subito un trauma ben peggiore, perché non ricordava più nulla.
Ciò che le era accaduto per mano di Orochimaru non era nitido.
“C’è qualcosa che vuoi dirmi?”
Anko si riscosse e tornò a guardare il volto ansioso di Kakashi, nascondendo il viso dietro al braccio poggiato sul suo ginocchio. “Io… io non ricordo bene…”
“Non c’è problema…” rispose Kakashi abbracciandola. “Io sono qui.”

Oh, it’s such a perfect day
I’m glad I spent it with you
Oh, such a perfect day
You just keep me hanging on,
you just keep me hanging on…

Perfect day – Lou Reed


Prossimo capitolo: ‘È abbastanza presto, ora?’

   
 
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